La barriera delle tradizioni culturali e degli interessi economici


Nella già discreta varietà di paure collettive planetarie ecco profilarsi una new entry: l'influenza aviaria. Un nome innocente, bucolico. Sicuramente meno inquietante della Sars o polmonite atipica, che lasciava al vago e generico aggettivo tutto il peso della rappresentazione di una malattia circondata da un alone di mistero. Ma il virus che sta uccidendo milioni di polli - mettendo in ginocchio l'economia di alcuni Paesi asiatici e preoccupando molto seriamente l'Oms e i diversi organismi internazionali - è tutt'altro che mansueto. Si presenta, anzi, con una fisionomia feroce.

Mai si era vista nella storia - affermano concordi i virologi dell'Organizzazione mondiale della Sanità - un'epidemia di influenza viaria di così alta patogenicità, in un territorio così vasto e simultaneamente. E subito, naturalmente - mentre in Asia soldati e detenuti sono impegnati nell'opera di sterminio di milioni di polli - scatta l'allarme rosso per la salute degli uomini: se davvero il virus - in seguito ad una mutazione - cominciasse a contagiare le persone, ci troveremmo di fronte ad una pandemia di ben sinistre proporzioni.

Ma al di là delle previsioni più o meno catastrofiche quello che s'impone, in queste ore, di fronte al crescendo di inquietudine dell'Organizzazione mondiale della Sanità e di altri organismi internazionali, è la stanca ripetizione di un copione già visto. L'inseguimento, cioè, dell'emergenza piuttosto che la messa a punto di strategie preventive, basate sugli apporti dei ricercatori che, da tempo, hanno dimostrato che il virus dell'influenza si sta adattando lentamente all'uomo, imparando velocemente e astutamente a compiere «il salto di specie».

Non si può certo dire che, a questo punto, manchino le dure e crude lezioni dei fatti; né che gli scienziati non abbiano da tempo richiamato l'attenzione sulla necessità di monitorare i virus, di studiare i fattori ecologici, mettendo in guardia dai pericoli dell'addensamento degli animali negli allevamenti intensivi.

Il campanello d'allarme sta suonando, insomma, sempre più forte. Virus e batteri non appartengono più ad un mondo invisibile, come al tempo della peste, della sifilide, del vaiolo, del colera. E' ora che gli organismi internazionali e le agenzie della salute mettano in campo nuove strategie di prevenzione, imponendo, se necessario, una notevole trasformazione delle condizioni d'allevamento e, se necessario, l'intero sistema, abbattendo, se necessario, la barriera delle tradizioni culturali e quella, ancora più poderosa, degli interessi economici

Eugenia Tognotti
La Stampa 28 gennaio 2004