Intervista a Marco Pirina, autore di "1945-1947. Guerra civile"
La guerra civile che insanguinò l'Italia fra il 1943 e il 1945 si prolungò in realtà per qualche anno. Di solito immaginiamo l'immediato dopoguerra come un periodo ancora ricco di macerie, ma comunque tranquillo. Un periodo in cui il Paese si avviava lentamente alla ripresa di una vita normale, magari all'insegna dei film neorealisti o delle comiche di Totò e Aldo Fabrizi. La verità fu ben più amara. Fino al 1947-48, con qualche strascico estremo protrattosi nel 1949, fu in atto, stando a dati finora snobbati dagli storici, una strisciante guerra civile che opponeva non più nazi-fascisti ad antifascisti, bensì comunisti ad anti-comunisti. Tutto ciò emerge da un libro eccezionale, che per la prima volta passa in rassegna numerosi eventi dimenticati, analizzandoli sotto una nuova luce interpretativa. Il Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur" di Pordenone ha dato alle stampe un accurato lavoro di Marco Pirina, dal titolo "1945-1947. Guerra civile: la Rivoluzione Rossa". Un'opera che passa in rassegna tutti gli episodi di violenza operati da ex-partigiani comunisti dopo la fine del conflitto. Atti inquadrati in una precisa strategia politica volta a sfruttare il cosiddetto "momento buono" (cioè l'instabilità dell'immediato dopoguerra) teoricamente favorevole a una rivoluzione comunista.
Sig. Pirina, come è nata l'idea di questo libro?
«In questo Paese che dimentica troppo in fretta, era necessario recuperare quella che è una vera e propria pagina strappata della nostra storia. Una pagina dimenticata da tutti, che io, per primo, ho avuto il coraggio di ricostruire. E parlare di coraggio non è fuori luogo, perchè, seppure da quegli avvenimenti sono passati ormai 60 anni, è anche vero che oggi operano ancora gli epigoni di chi una volta sognava la rivoluzione. L'eredità delle fallite insurrezioni comuniste degli anni Quaranta, venne raccolta infatti dal terrorismo rosso degli anni Settanta, nonchè dalle frange anarco-insurrezionaliste di oggi».
Comunque è da tempo un fatto accertato dalla storiografia che molti esponenti del PCI avevano pensato alla guerra partigiana come all'anticamera della rivoluzione. In che cosa esattamente il suo lavoro è innovativo?
«Vede, se prendiamo ad esempio l'ultimo lavoro di Pansa, "Il sangue dei vinti", egli si limita cronologicamente all'estate del 1945. Si potrebbe pensare che i "regolamenti di conti" aventi per protagonisti ex-partigiani siano avvenuti nei primissimi mesi seguiti alla resa dei Tedeschi. In realtà i comunisti proseguirono per circa tre anni a uccidere o a far scomparire, letteralmente, alcune migliaia di persone. Si trattava non solo di ex-fascisti, ma dei rappresentanti più vari della società civile e dell'antifascismo. Industriali, sacerdoti, commercianti, artigiani, socialisti, sindacalisti cattolici...in una parola gli anticomunisti in genere! Ho raccolto documenti e testimonianze che provano che molti di questi giacquero (e giacciono) insepolti fra i boschi e nei fossati, vittime di un piano efferato. A organizzare queste azioni era una specifica scheggia del Partito Comunista Italiano, guidata dall'on. Secchia. Togliatti, da parte sua, mantenne una posizione di un'incredibile doppiezza. Se da un lato disconosceva le violenze, dall'altro si adoperò nel 1949 perchè oltre 34mila militanti comunisti italiani potessero riparare all'estero, cioè negli Stati "fratelli" dell'Europa Orientale, per sfuggire alla giustizia! Per non parlare dei circa 80mila che usufruirono di amnistie grazie a Saragat e Pertini! Nel mio libro riporto ad esempio la testimonianza del partigiano William, che ammise tranquillamente che il Partito aveva ordinato di fare la rivoluzione e che bisognava eseguire gli ordini, perfino togliendo di mezzo quei comunisti che non erano d'accordo».
Fra l'altro, proprio in questi giorni, è riemerso il tema delle foibe, uno dei capitoli più drammatici di questa vicenda. Da più parti è stata ventilata l'idea di istituire un "Giorno della Memoria" dedicato a questi martiri italiani del comunismo. Lei che ne pensa?
«Sono favorevolissimo! Credo che un'iniziativa del genere dovrebbe trovare spazio a livello di legge istituzionale. Il caso delle foibe ci insegna che, prima di tutto, occorre restituire dignità alla memoria. Storicamente, per questa Giornata della Memoria proporrei la data del 10 febbraio. Fu infatti il 10 febbraio del 1947 che il destino dell'Istria potè dirsi segnato. Col Trattato di pace di Parigi un territorio veneto e italiano da secoli fu assegnato alla Yugoslavia. Le potrei citare un dato storico significativo, a dimostrazione del nostro radicamento in quella penisola. Nel 1911, quando l'Istria era ancora parte dell'Impero Austro-ungarico (uno Stato che rispettava i popoli!) un censimento indetto in loco dalle autorità asburgiche rilevò ben 390mila italiani. Erano tempi non sospetti: il fascismo era di là da venire. Oggi ne sono rimasti solo 30mila, meno di un decimo rispetto a 90 anni fa. Oltre 350mila fuggirono, per non finire "infoibati"! La cosa vergognosa fu che durante i massacri, furono spesso gli stessi comunisti italiani a consegnare presunti "fascisti" alle forze yugoslave! "Fascisti" che in realtà erano semplicemente non-comunisti: democristiani, socialisti, monarchici, e quant'altro. D'altronde due divisioni dei partigiani comunisti della "Garibaldi" si erano aggregate ai partigiani di Tito fin dal novembre 1944. E ancora prima che finissero le ostilità contro i Tedeschi, cioè il 7 febbraio 1945, i comunisti avevano massacrato i partigiani democratici della "Osoppo". Era la famosa strage di Porzus, immortalata anche dal cinema».
Il suo libro si configura dunque come un'analisi ad ampio spettro sulle turbolenze rosse nell'area padana?
«Certo, furono le regioni del Nord a essere teatro di queste violenze. Il volume è strutturato per aree geografiche. Vengono riportati con precisione i fatti accaduti in ogni regione e provincia. Le fonti sono di vario tipo: atti giudiziari, memorie giornalistiche, fotografie. Il tutto per ricostruire verità dimenticate. Voglio ricordare che il giorno 13 febbraio ad Alfonsine (Ravenna) si terrà una presentazione del libro, organizzata dal locale segretario provinciale della Lega Nord, Federico Pattuelli. Infine, per chi voglia contattare il nostro centro studi "Silentes Loquimur", il numero di telefono è 0434/554230. Potrà essere un punto di riferimento per tutte quelle famiglie che hanno sofferto per tali eventi, ad esempio i troppo dimenticati profughi istriani».
Mirko Molteni
La Padania
[Data pubblicazione: 03/02/2004]