di Dario Campione

Una nuova, minacciosa figura incombe, come mai prima, sul panorama della politica nostrana: il «professionista della verità». Chi, cioè, si prende la briga di tentare la riscrittura della storia utilizzando tutti gli spazi praticabili, un po? come Blaise Pascal con i suoi polsini. A Como è la volta del gruppo consiliare della Lega Nord, che con un tempismo davvero singolare - vale a dire nello stesso giorno in cui la Prefettura comunica l'imminente visita ufficiale del Capo dello Stato sul Lario - chiede di cancellare il conte di Cavour dalla toponomastica cittadina, rimpiazzandolo con il professor Gianfranco Miglio. Una picconata di cattivo gusto. Un autentico schiaffone, che il Carroccio motiva con la «crisi del concetto di unità d'Italia», ormai «inesorabilmente invecchiato e assediato da quello più ampio di unità europea». A parte la straordinaria faccia tosta con cui si utilizzano le categorie politiche a seconda delle convenienze - un giorno l?inno al federalismo contro l?Europa forcaiola, il giorno dopo il peana all'unione continentale contro Roma ladrona - colpisce negativamente l?idea balorda di strumentalizzare il nome e la figura di uno studioso insigne per alimentare una polemica di bassissimo profilo. Mettere Miglio contro Cavour è sbagliato per moltissimi motivi. Soprattutto perché il costituzionalista lariano, per decenni preside della Facoltà di Scienze Politiche dell?Università Cattolica di Milano e poi senatore della Repubblica, non può diventare improvvisamente la clava con cui martellare - fino a distruggerle - la memoria e la storia del Paese. Francamente, Miglio non merita questo trattamento. Il suo progetto di macroregioni andava molto oltre il federalismo di cui si discute adesso. Ma, al di là della condivisione o meno del suo progetto, il professore di Domaso è degno di essere ricordato tra i comaschi illustri. Intitolargli una piazza, una strada o magari la biblioteca o l?aula magna dell?Università sarebbe un gesto apprezzato da tutti. La guerra ideologica a Cavour, dissimulata dall?espressione arcigna del costituzionalista comasco, è invece inaccettabile. Come ha scritto lo storico piemontese Angelo D?Orsi, uno degli allievi di Norberto Bobbio, «assistiamo in questi anni a una forsennata accentuazione dell?uso politico della storia, riscoperta quale terreno di aggressione, legittimazione e delegittimazione politica degli avversari» e degli alleati. «La storia - aggiunge D?Orsi - non è un campo da tennis in cui ora l?uno, ora l?altro lanciano la palla e ogni opinione è lecita: per cui ?finora avete detto la vostra, ora diciamo la nostra?». Nessuno scandalo e nessuna paura se qualcuno, tra i leghisti comaschi, è interessato a rivedere il passato della Nazione. Comunque vada a finire, un secolo e mezzo di storia non si cancella rimuovendo una targa dagli angoli di una piazza.

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