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    Predefinito Perché l'Europa non deve avere radici cristiane


  2. #2
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    Verso una nuova rivoluzione spirituale dell'uomo europeo?

    di Fabio Calabrese

    Non si può dire se una rinascita della religiosità pagana oggi in Europa sia possibile; di certo è necessaria.

    Non si può negare che l'Europa sia oggi in una profonda crisi: alle nazioni europee senili ed in regresso demografico, si contrappone un mondo extraeuropeo esuberante di popolazione che un'immigrazione difficilmente controllabile porta ogni giorno di più dentro casa nostra. Come se ciò non bastasse, l'Europa sconta una sudditanza che non è soltanto politica ma anche psicologica e culturale nei confronti degli Stati Uniti; la cultura europea o ciò che ne resta, rischia ogni giorno di più di essere annacquata ed assimilata nel calderone dell'americanizzazione che la globalizzazione delle comunicazioni ha ormai reso un fenomeno planetario.

    Sarebbe ancora possibile raccogliere le forze, giocare le nostre carte prima di arrendersi ad un destino, la scomparsa dell'uomo europeo, con la sua cultura, la sua storia, le sue tradizioni, la sua fisionomia spirituale, che appare altrimenti inevitabile, se si riuscisse a ritrovare il senso dell'identità europea, se l'Europa stessa non apparisse un pulviscolo di energie disperse, di membra sparpagliate, di individualità reciprocamente irriducibili.

    Un discorso che, senza voler dare indicazioni di schieramenti, tuttavia non nascondiamocelo, è anche un discorso politico, e qui si confrontano due tesi antagoniste, fra le quali non appare possibile alcuna sorta di mediazione, ma che forse peccano di un'unilateralità dello stesso tipo: quelle dei sostenitori di un occidentalismo che vedrebbe l'Europa fare corpo unico con gli Stati Uniti per fare fronte alla montante marea che proviene dal sud del mondo, ed in particolare verso/contro il mondo islamico (Le posizioni, ad esempio espresse da una Oriana Fallaci, ma anche da una gran parte di quelle nostre classi dirigenti - di destra e di sinistra - in questo uguali ed indistinguibili, che fanno di tutto per avallare il sospetto di non essere altro, a dispetto dell'investitura popolare, che i proconsoli dell'impero americano) e quelle di chi vorrebbe definire in qualche modo un'identità eurasiatica, fondando in qualche modo uno spirito di collaborazione fra Europa ed Islam e respingendo il concetto di un "Occidente" che vede l'Europa definitivamente relegata ad un ruolo subordinato a quello degli Stati Uniti, esemplare in questo senso la posizione di uno dei più interessanti intellettuali cattolici, Franco Cardini:

    Se la koinè dialektos dell'Occidente è l'American Way of Life, è pensabile che l'Europa accetti totalmente questa realtà, collaborando ad un processo di omologazione che in passato l'ha vista protagonista ma che oggi assiste a una sua ampia ricettività passiva? Oppure è possibile che essa si ponga il problema di una specificità da recuperare e da riaffermare, quindi di un'identità da ridefinire, forse da ricreare (...)
    Una sfida suscettibile di rimettere in discussione le stesse radici storiche dell'Europa: rileggendone la storia in una chiave che riproponga come centrale la sua origine mediterranea, vale a dire la grande cultura ellenistica nata dalla rivoluzione politico-culturale eurasiatica di Alessandro e ripresa in termini specifici dalla tradizione di pensiero romana avviata all'interno del Circolo degli Scipioni, maturata con l'esperienza democratica e imperiale di Cesare e culminata in due grandi eventi epocali: la Constitutio Antoniniana del 212 e la cristianizzazione dell'Impero.
    Ma una lettura euromediterranea della storia europea degli ultimi due millenni conduce fatalmente a riconsiderare lo stesso ruolo dell'Islam: non più secolare nemico dell'Occidente, bensì forza religiosa e culturale che ha ampliato verso est i confini della cultura ellenistica, nel momento stesso in cui le forniva gli elementi innovatori di quelle orientali: che ha consentito nuove forme di sintesi filosofico-scientifica e aperto nuove prospettive di sperimentazione tecnologica; che attraverso il modello politico ottomano ha rimodellato l'esperienza di governo romano-orientale trasmessa dai bizantini; che è stato uno dei fattori fondanti della modernità, spingendo gli Europei all'avventura oceanica del Cinquecento
    (1)


    Ho citato con ampiezza questo brano dello scrittore medievalista, perché esso permette di notare come ad una diagnosi attenta e largamente condivisibile dei mali europei: la sudditanza culturale oltre che politica verso gli Stati Uniti, l'essere divenuti pedine di quel processo di mondializzazione e di espansione tecnologica che già ci vide protagonisti, il bisogno di un'identità da ridefinire, forse da ricreare, si accompagni una proposta di terapia estremamente pericolosa, un rimedio forse peggiore del male.

    Se si vanno ad esaminare in concreto gli elementi di questa proposta di identità eurasiatica o euromediterranea, si ha l'impressione di uno straordinario strabismo intellettuale che spinge a scambiare per elementi fondanti quelli che invece furono altrettanti fattori di crisi: l'ellenismo nato dalle conquiste di Alessandro Magno, se allargò i confini della cultura ellenica, portò ad un progressivo annacquamento di quest'ultima nel mare magnum asiatico-mediorientale, alla nascita di quella koinè ibrida dalla quale doveva infine emergere il veleno più letale di tutti, la forza maggiormente dissolutrice del mondo antico, il cristianesimo; nel modo romano, l'azione del circolo degli Scipioni coincise in definitiva con la resa della tradizione romana al pensiero ellenistico-orientale, ed analogamente, Cesare di cui si esalta l'azione paradossalmente democratica e imperiale due termini antitetici che trovano il loro punto di convergenza nell'esautorazione dell'aristocrazia senatoria e delle strutture tradizionali dello stato romano, rappresentò un analogo sconvolgimento in campo politico. La Constitutio Antoniniana introdotta nel 212 dall'imperatore Caracalla con l'estensione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell'Impero, in concreto significava che era venuta meno la base etnica dell'impero circum-mediterraneo cosmopolita, che di romano non conservava che il nome, per nulla dire della cristianizzazione dell'Impero, imposta nel 380 da Teodosio con incredibile violenza che fu certamente l'evento più catastrofico della storia europea, quello che avrebbe condizionato più pesantemente la storia del nostro continente, portato alla dissoluzione dell?impero romano e del mondo antico.

    Ancora più pericolosa l'idea di contrapporre una sorta di sintesi eurasiatica a quella di un Occidente fondato sulla supremazia americana. Cardini è, verrebbe da dire, l'esponente tipico di un certo integralismo cattolico che guarda all'Islam con scoperta simpatia: nella religione del Profeta esso vede ed ammira ciò che esso vorrebbe che lo stesso cristianesimo fosse ancora da noi: una religione forte con una presa globale sulla società e la cultura, capace di modellare integralmente il contesto umano secondo i propri valori, senza spazi per una cultura laica od eccezioni alla propria supremazia spirituale, ma si tratta di un gioco pericoloso ai limiti del suicidio: un Islam compatto e battagliero, che l'immigrazione ci porta ogni giorno di più in casa, fronteggia un'Europa incerta sui propri valori e la propria identità, spiritualmente sbriciolata, pronta per la resa e l'assimilazione.

    Sull'altro punto di vista, quello "occidentale" che ci è costantemente proposto dai media, quello che etichetta come terrorismo ogni forma di opposizione alla supremazia americana, quello totalizzante al punto da aver quasi stroncato ogni forma di opposizione anche intellettuale ai dogmi del libero mercato e della pura politica di potenza, quello che ha dominato la scena planetaria al punto da meritarsi la definizione di Pensiero Unico, di certo non occorre stare a diffondersi molto, tanto è familiare a ciascuno di noi.

    Di fatto, la questione sembra ridursi ad un aut-aut: o con l'America contro l'Islam, o con l'Islam contro l'America.

    In un caso e nell'altro, sembra che per trovare un'identità in qualche modo riconoscibile o definibile come europea si debba fare riferimento al cristianesimo, ma molto presto ci si accorge che questo è peggio che appoggiarsi ad un muro che si sgretola: il cristianesimo stesso è qualcosa che si rivolta contro quell'identità europea che si vorrebbe preservare, si dimostra un drammatico boomerang, e le radici cristiane dell'Europa che papa Giovanni Paolo II vorrebbe addirittura menzionate nella costituzione europea, una trappola suicida.

    Da un lato, una forma molto specifica (e la cui radicalità ci sfugge fin troppo) di fondamentalismo cristiano è l'ideologia di base dei nostri dominatori che si ritengono calvinisticamente predestinati al dominio mondiale, un fondamentalismo che è solo in apparenza meno oscurantista di quello dei talebani o dei mullah iraniani; si vedano ad esempio le periodiche campagne contro i biologi che si ostinano a sostenere la teoria darwiniana dell'evoluzione, a pretendere addirittura che la si continui ad insegnare nelle scuole; in generale la pretesa arrogante che la scienza e l'indagine filosofica non possano esprimersi a prescindere od andando contro il testo biblico, un'arroganza dietro la quale è possibile sentire ancora il puzzo acre dei roghi degli eretici, e che va contro tutte le conquiste di tre secoli di pensiero europeo.

    Dall'altro, anche l'idea di far leva sul cristianesimo per definire un'identità europea in contrapposizione all'Islam è poco meno che delirante; a smentire qualsiasi velleità in questo senso, ci pensa in primo luogo la Chiesa cattolica, a cominciare da Sua Santità che non perde occasione di rimproverare a noi Europei la nostra scarsa "cultura dell'accoglienza", il nostro implicito razzismo verso gli immigrati e chissà cos'altro. Se il problema fosse solo in termini politico-economici, si dovrebbe pensare che quel signore polacco che abita a Roma, veste abitualmente di bianco e che fa molti viaggi in giro per il mondo, sia semplicemente impazzito. Si può davvero pensare che l'Europa può accollarsi le masse di diseredati del Terzo Mondo, che l'emigrazione, con l'emorragia umana che comporta non sia un danno anche per i Paesi di provenienza degli immigrati, e che non sarebbe più saggio promuovere in loco la cooperazione e lo sviluppo ?

    La posizione della Chiesa cattolica è, ritengo, molto meno fraterna verso gli immigrati, molto meno ispirata ai principi evangelici di carità, molto meno disinteressata di quanto vuole sembrare. Occorre considerare che i finanziamenti pubblici agli istituti caritativi che si occupano degli immigrati è un ottimo business, occorre considerare che, essendo l'Europa e l'Occidente, oltre che sempre meno tolleranti verso i preti pedofili, sempre più laici e poco sensibili ai vari tentativi di ri-evangelizzazione, è verso le popolazioni più culturalmente arretrate del terzo Mondo che la Chiesa cattolica si dirige sempre di più per reclutare nuovi effettivi per i propri esausti ranghi, ma questi sono gli aspetti più superficiali che spiegano l'atteggiamento cattolico, o cristiano in genere. Se cerchiamo di andare più a fondo, ci accorgiamo di una cosa: la Chiesa desidera, le Chiese cristiane desiderano un mondo imbastardito, ibridato, frammentato, dove etnie, tradizioni, culture si dissolvano in un melting pot indefinibile e nel quale esse sole rimangano datrici di valori, guide spirituali dopo la scomparsa di tradizioni, nazioni, eticità civile.

    Se noi vogliamo riscoprire un'identità europea, il punto di partenza di un coagulo spirituale che consenta all'Europa di raccogliere le forze, porre le premesse della propria sopravvivenza anche in termini politici, è prima di tutto in una posizione di antitesi rispetto al cristianesimo che ci dobbiamo collocare.

    Vorrei rifarmi ad un mio scritto precedente già apparso su questo sito, Santo cristiano o eroe pagano, nel quale ho sostenuto l'inconsistenza delle presunte radici cristiane dell'Europa: le radici dell'Europa non sono cristiane: la tradizione speculativa e filosofica (o filosofico-scientifica) greca, la costruzione romana nel campo del diritto e dell'organizzazione statale, l'immaginario ed il folklore celtici, le tradizioni germaniche di fedeltà e di onore; nulla che con il cristianesimo abbia a che vedere.

    A ciò, si possono aggiungere due considerazioni estremamente importanti: la prima è che il cristianesimo non può e non potrebbe essere alle radici di un bel nulla, perché il principio del cristianesimo è l'anomia (dal greco a-nomos, mancanza di leggi), ossia la desacralizzazione e la delegittimazione della società civile, cui esso sostituisce la propria sacralità e l'idea di una legge che essendo espressione della volontà di un supposto Dio trascendente non si radica in nessuna realtà umana. La seconda considerazione, senz'altro sorprendente, è che queste tematiche, un tempo soggetto per le esercitazioni di impenitenti ed arrabbiati anticlericali, sono oggi riconosciute e trattate perfino con una certa disinvoltura dall'intellettualità cattolica e cristiana in genere.

    Recentemente è apparso in Internet un articolo che è un estratto del libro Gli Adelphi della dissoluzione di Maurizio Blondet che altrimenti avrebbe probabilmente continuato a non essere notato molto; in esso l'autore, che è un giornalista noto soprattutto per un libro inchiesta controcorrente sull'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre 2001, riferisce di una singolare intervista rilasciatagli da Massimo Cacciari, il filosofo sindaco di Venezia. Cacciari è assieme a Gianni Vattimo, il maggior esponente della corrente del cosiddetto pensiero debole; in pratica ha un'impostazione che potremmo definire cattolica di sinistra. Per chi non sia al corrente della terminologia filosofica, sarà forse il caso di precisare che "pensiero debole"- benché un simile termine non sarebbe mai stato scelto da un pubblicitario - non vuole essere una confessione di stupidità o limitatezza intellettuale, bensì designare un pensiero che si concentra su quegli aspetti della realtà che sfuggono al "pensiero forte" a base scientifico-tecnologica, ossia la cultura umanistica e le problematiche esistenziali rilette con gli strumenti della fenomenologia di Husserl e dell'esistenzialismo.

    Ebbene, il contenuto delle sue dichiarazioni a Blondet ha di che sconcertare, troviamo espressioni e concetti che starebbero bene in bocca a un Nietzsche. Per comprenderlo adeguatamente, si possono raffrontare le tesi esposte dal filosofo-sindaco di Venezia con quelle della più agguerrita critica anticristiana e scoprirne la sostanziale coincidenza.

    La riflessione sul/critica al cristianesimo ha ormai in Europa una tradizione plurisecolare. I primi a rompere antichi tabù, ad affermare il diritto dell'uomo a porre al vaglio della ragione anche i dogmi ritenuti fin allora più intoccabili, furono ovviamente gli illuministi ma a parte la conquista di quest'indispensabile premessa, nonostante i toni battaglieri di un Voltaire, non si può dire che si sia proceduto molto in là: al massimo si contestava alla Chiesa cattolica la sua frequente deviazione da quelli che si possono definire i principi cristiani; non molto di più, persino di meno di quanto non avessero già fatto i Protestanti. Con una eccezione: il più isolato, il più radicale, il più "eretico" degli illuministi, Jean Jacques Rousseau. A differenza dei borghesi Voltaire, Montesquieu, Diderot, Rouseau era animato da una visione organicistica e comunitaria della società come grande famiglia che non può reggersi se non sulla solidarietà reciproca in cui la felicità di tutti è condizione della felicità di ciascuno, un concetto rivoluzionario e arcaico, rivoluzionario in quanto ritorno all'antico. Da questo punto di vista è evidente al pensatore ginevrino che è stato proprio il cristianesimo che ha reciso il vincolo fra l'uomo e la comunità: Il cristianesimo separa l'uomo dal cittadino, la stessa morale non è più il vincolo e la norma delle relazioni fra gli uomini, bensì un codice a cui il credente si attiene per compiacere la divinità. Il cristianesimo mina la compattezza del consorzio umano e civile, laddove le religioni antiche lo rafforzavano, fornendogli la sanzione divina. In questo, la critica al cristianesimo di Rousseau s'incontra con quella di un altro grande isolato, Niccolò Machiavelli.

    In tempi recenti, la critica storica non ha fatto che avallare la grande intuizione di Rousseau: il cristianesimo è prima di tutto incompatibile con la cultura classica e la sua visione dell'uomo, incompatibile e dissolutore sia rispetto al pensiero greco sia alla tradizione romana. Al riguardo, lo storico-filosofo Denis de Rougemont ha scritto:

    [i]Nessuna armonia prestabilita tra il profetismo ebraico e la misura greca (...) il cristianesimo porta un nuovo mondo di valori, poco compatibili con la saggezza greca e totalmente contrari a quelli di Roma[/1] (2).

    Tutto ciò non deve stupire, ci si vada a rileggere la Lettera sull'umanesimo di Martin Heidegger: l'umanesimo non è in definitiva secondo il filosofo tedesco nulla che possa interessare un cristiano, porta dritto alla riscoperta del mondo classico, a valori che sono in antitesi a quelli cristiani, del che Niccolò Machiavelli ci ha dato ampia dimostrazione, ed è ancora poco: il cristianesimo si rivela di fatto incompatibile con qualsiasi cultura antica, perché il suo principio di fondo è l'anomia, la recisione dei legami fra il singolo e la comunità cui appartiene, il rapporto fra il destino individuale e le pubbliche sorti. Due altri storici, G. Falco e A. Passerin D'Entreves ribattono spietatamente il chiodo:

    Scrive G. Falco:

    La religione antica, di cui Roma è l'erede, vive ad una vita stessa con lo stato, da esso deriva, lo guida coi suoi misteriosi responsi, ne storna i pericoli, ne consacra i trionfi; essa non è una chiesa, ma una cittadinanza in comunione con le sue divinità che la prosperano e la proteggono (3).

    Né un discorso sostanzialmente diverso vale per le polis greche secondo A. Passerin d'Entreves:

    La contrapposizione, il dualismo del bene individuale e del bene dello Stato sono assolutamente estranei al pensiero greco: l'associazione politica rappresenta la piena attuazione del fine individuale, quindi la forma più alta della vita. E così come il pensiero greco non conobbe la distinzione tra vita politica e vita morale, non conobbe la distinzione tra Stato e Chiesa. Si potrebbe dire anzi, che la polis è, a un tempo, Stato e Chiesa (4).

    Rispetto a quest'orizzonte di valori per cui anche il destino spirituale dell'uomo si radicava nella polis, nella civitas, il cristianesimo segna l'irruzione eversiva e dissolutrice dell'opposto punto di vista mediorientale per cui la dimensione civile, destituita di ogni valore, di ogni importanza di ogni autonomia, viene risucchiata nella sfera di una religiosità onnicomprensiva ed oppressiva, nel rapporto personale con un Dio geloso che esclude ed azzera i legami interpersonali, civili, umani, di civitas, di stirpe, di patria, di tradizione.

    Ancora d'Entreves aggiunge:

    Il cristianesimo segna la definitiva proiezione dell'ideale morale fuori e al di là della via politica, proiezione venuta preparandosi e compiendosi nella dissoluzione dell'ideale classico e nella rivendicazione di nuovi valori disgiunti e talora antagonisti alla vita politica (5).

    Ancora più chiaro è, a questo proposito, il commento di G. Falco:

    Il cristianesimo dissociava, per così dire, il cittadino dal credente...trasferiva la religiosità dalla comunanza politica e dalle pubbliche sorti, alla coscienza e al destino individuale, l?interesse vitale dalla terra al cielo, dalle cure mondane alle speranze ed alle promesse ultraterrene (6).

    Due punti vanno qui evidenziati: quest'idea dello stretto legame fra individuo e comunità non è una caratteristica della società greca e romana, ma un tratto che unisce tutte le culture antiche, pagane, non diversamente stavano le cose per gli antichi Celti o gli antichi Germani. Il "dolce veleno" della predicazione cristiana significava l'irruzione di un mondo totalmente estraneo alle radici dell'Europa.

    La cristianizzazione è dunque uno stravolgimento profondo dell'animo dell'uomo europeo, ed a questo riguardo è impossibile non rammentare il giudizio espresso da Richard Wagner:

    Per quanto l'innesto sulle proprie radici di una cultura che le è estranea possa aver prodotto frutti di altissima civiltà, esso è costato e continua a costare innumerevoli sofferenze all'anima dell'Europa.

    L'altro punto è che solo apparentemente l'anomia cristiana è una liberazione. Di fatto, azzerati, annichiliti i tradizionali legami di patria, di stirpe, di civitas, l'uomo non si trova più libero ma più solo, senza più nulla in grado di sostenerlo, in balia di un'esigente comunità dei credenti, di una fede dogmatica, di un Dio geloso e oppressivo, di un'autorità esterna che si sostituisce a lui nella scelta di ciò che sia bene e ciò che sia male: quella libertà di scelta che gli è stata fatta balenare davanti agli occhi per un momento per ottenerne la conversione, si rivela ben presto uno specchietto per le allodole.

    Tutto questo, se è da tempo stabilito e verificato dalla cultura laica più o meno anticlericale (ma la questione sub judice non è ormai più la Chiesa cattolica bensì la dottrina stessa del Discorso della Montagna), è tuttavia sorprendente che trovi un avallo in quello che è oggi uno dei più autorevoli pensatori cattolici:

    Per cominciare va sgombrato il campo dall'abuso, dalla ripetizione a vanvera del termine "etica". Ethos, o per i latini "mos", non è affatto ciò che noi oggi intendiamo per "etico" o "morale". Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la "dimora", l'abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno "etico" per sua scelta o volontà. Egli apparteneva a un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere.

    Ogni società tradizionale ha, o meglio è, un ethos. Ogni società tradizionale, come un albero rovesciato, ha la sua radice nella legge divina, nel nomos. La legge della polis, dice Erodoto, è l'immagine di Dike [la dea della Giustizia]. Un ethos impone all'uomo valori che non è lui a scegliere, a decidere, ma a cui appartiene. Ma in Europa questa appartenenza è entrata in crisi quasi fin dall'inizio. Per l'uomo europeo è venuto molto presto il tempo della frattura con l'ordine degli Dei, il tempo della de-cisione.

    L'ethos era già in crisi profonda con l'Ellenismo, "cosmopolita" ossia sradicato. "E duemila anni fa, l'ethos ha cessato completamente di esistere".

    Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos" (...). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (...). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell'Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L'ethos antico era una religione civile (...). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli Dèi della Città, sradica l'uomo (...) Uno stato doloroso: il Cristianesimo getta l'uomo nella libertà come un naufrago è gettato in un mare in tempesta (7).

    Una libertà d'altronde destinata a durare poco, a culminare nell'inquisizione e nei roghi degli eretici.

    Generalmente, noi facciamo torto alla cultura romantica, sottovalutandone la profondità speculativa, eppure, se andiamo a vedere Madame de Stael, ci accorgiamo che la critica di Nietzsche al cristianesimo non nasce all'improvviso nella cultura europea come un fungo dopo una notte di pioggia, ma viene da lì: L'età moderna come età della lacerazione, del conflitto dell'uomo con se stesso, una lunga modernità che nasce con il cristianesimo, cui si contrappone l'antichità come età della salute, dell'armonia, del giusto equilibrio fra ragione ed istinti vitali; non c'è che un passo rispetto all'idea nietzschiana del recupero della salute, della pienezza degli istinti, della vitalità lasciandosi alle spalle l'età cristiana come una lunga, infelice parentesi.

    Tributario della cultura romantica è senza alcun dubbio anche Hegel. La filosofia hegeliana è certamente un mare magnum nel quale è possibile trovare di tutto e il contrario di tutto. Quel che ci interessa di più e si può leggere come una critica al cristianesimo ed alla modernità figlia del cristianesimo nei suoi aspetti deteriori, è la parte del pensiero hegeliano che riguarda lo spirito oggettivo, diviso nei tre momenti di diritto, morale, eticità. Al diritto, come contenuto di leggi avente validità sul piano esteriore ma non vincolante interiormente, si contrappone la morale intesa come vincolo interiore, obbedienza ai precetti (che si suppongono) imposti da una divinità, ma estranea alla/in conflitto con la sfera pubblica; è il concetto della morale religiosa, specificamente cristiana, di cui Hegel presuppone il superamento nella superiore sfera dell'eticità come vincolo sia interiore sia esteriore, il superamento, per così dire della frattura introdotta dal cristianesimo fra legge e coscienza.

    Tuttavia una cosa è chiara, noi non parliamo qui di un progresso ma di una realtà da recuperare che era già in essere nelle civiltà antiche (si pensi all'esempio di suprema dedizione alle leggi rappresentato da Socrate); Hegel, possiamo dire, legge lo sviluppo storico al contrario: nella realtà storica all'eticità antica succede la morale cristiana, cui fa seguito il diritto moderno, esteriore, formalistico e contrattualistico.

    Si arriva ad un altro punto fondamentale, riguardo al quale, mentre esso è stato sviluppato fino a diventare un cavallo di battaglia dei pensatori anticristiani, si pensi per tutti a Julius Evola in Imperialismo pagano e Rivolta contro il mondo moderno, tutto ci aspetteremmo meno che l'avallo di Cacciari: il cristianesimo come origine della modernità e dei suoi mali.

    Tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell'Uomo (...) La secolarizzazione totale che viviamo [è] figlia della sovversione originaria operata dal Cristianesimo (...). La borghesia crede che il libero espandersi degli egoismi e degli interessi individuali dia luogo a quell'armonia collettiva che chiama "mercato", e di cui scopre adorante le leggi: le "leggi del mercato". Il Marxismo, dal canto suo, ha creduto che dalla lotta scatenata fra le forze economiche potesse nascere l'armonia finale, la "società senza classi". E' la scoperta delle economie politiche. Che non a caso sorgono nell'Ottocento, insieme all'estetica.

    E l'estetica è la "scienza" che scopre le leggi del godimento soggettivo, come l'economia politica è la "scienza" che scopre le leggi dell'interesse individuale, mi spiegò. Sono queste due "scienze" a costituire la Modernità, e precisamente questa Modernità che oggi il Cattolicesimo si trova davanti come il Nemico.

    Negli ultimi settant'anni la Chiesa ha creduto che il Nemico fosse il Comunismo. Non era sbagliato; il Comunismo ha scatenato, ha portato alle ultime conseguenze la volontà di potenza europea. Il Comunismo affermava: l'uomo si salva da sé, armato di economia e di estetica. La Chiesa, giustamente, l'ha sentito come una sfida mortale. Oggi che il Comunismo è caduto, però, contro la Chiesa si rizza il Nemico vero, il Nemico finale: un sistema estetico-economico totalmente secolarizzato (...).

    Lo spirito estetico-economico borghese non tollera di essere messo in discussione; non ammette di poter essere superato?. (...) Verso ciò che è esterno ai suoi "valori" non ha pietà". E mi elencò i genocidi liberali: a cominciare dallo sterminio dei Pellerossa .

    "I Pellerossa erano radicati nel loro ethos, e l'americano vedeva nel loro ethos un sistema di non-libertà. Lo sterminio delle società sacrali, degli ethoi tradizionali, è prescritto dal liberalismo per il "bene" stesso dell'uomo. Per sradicare il Giappone dal proprio sacro nomos, non ci volle nulla di meno che l'olocausto nucleare. Migliaia di tonnellate di bombe furono necessarie per stroncare Fascismo e Nazismo, "forme di neopaganesimo che cercavano di ricollegare la società a un Ethos". E il Vietnam ,la guerra del Golfo, l'intervento "umanitario" in Somalia nel 1993 e in Jugoslavia nel 1999? (8).

    Lo spirito estetico-economico borghese in un mondo totalmente secolarizzato che appare alla Chiesa come l'Anticristo non è dunque altro che la conseguenza ultima del cristianesimo; nella sua incarnazione politico-militare come impero americano, contro il quale Cardini (ma anche Cacciari, come vediamo subito dopo) invoca l'alleanza con l'Islam, è certamente l'anti-Europa. Un nemico contro il quale la Chiesa non può vincere perché questo Anticristo non è se non il lato oscuro del Cristo; d'altra parte, come nascondersi il fatto che questo potere totalmente secolarizzato non cessa di fare appello al fondarsi sul cristianesimo, su di un'adesione alla Bibbia molto più radicale di quella della Chiesa cattolica, al punto di non cessare, ad esempio di prendersela con Darwin, e ci sarà pure da ringraziare qualche divinità se almeno lasciano stare Copernico e Galileo.

    Rispetto alla penetrante analisi svolta fino a questo momento, la conclusione dell'articolo mostra un'impressionante caduta di livello nel puro fideismo.

    Anche contro la Chiesa il sistema estetico-economico borghese] non esiterà a usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese. Ciò che la Chiesa non può fare: perché il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo. Già negli Stati Uniti si teorizza come l'avversario irriducibile sia l'Islam. Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico.

    Da una parte la Chiesa e l'Islam, e dall'altra una "etica" laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale, nella sua pretesa di essere l'unica valida.

    Purtroppo credo abbia ragione, [risponde Blondet]. Forse viviamo davvero sull'orlo dei tempi ultimi. Sappiamo che cosa aspetta i credenti: la resistenza eroica al di là di ogni umana speranza, il martirio. La Chiesa lo sa: è scritto nella sua tradizione.

    Lei, come cattolico, [conclude Cacciari] sa come finirà. Verrà l'Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto (9).

    Che una conclusione del genere sia ridicola, è il meno che si possa dire. Tra i cristiani e specialmente i cattolici di oggi sicuramente si trovano ben poche o forse nessuna traccia di quell'eroismo (o fanatismo) fino al martirio di tempi remoti; certamente un simile spirito è ben lontano dalla grande massa di coloro che sono battezzati e che si dichiarano più o meno cristiani, e ben pochi di quelli che si dicono cristiani sarebbero pronti a prendersi un qualche incomodo (tanto meno a morire) per la loro presunta fede. Ecclesiastici reclutabili in numero sempre minore vanno a gestire luoghi di culto sempre più disertati. Le Chiese oggi sopravvivono solo in quanto sistemi di potere; che si estinguano pure! Tutto il danno che potevano fare l'hanno già fatto!

    Il vero interrogativo per il futuro, è se l'Europa possa ancora raccogliere le proprie forze, porre le basi della propria salvezza e rinascita spirituale al di là della bimillenaria parentesi cristiana (In fondo duemila anni, età più che ragguardevole per qualsiasi altra istituzione umana, non sono tantissimi per una religione: l'induismo, il buddismo, lo zoroastrismo sono più antichi del cristianesimo, per nulla dire dei culti animistici e tribali che affondano nella notte dei tempi). Vi sono alcuni inizi in tal senso, che potrebbero non essere qualcosa di transeunte, ma farci pensare che nel momento in cui si approssima la crisi definitiva che deciderà se il nostro continente, i suoi popoli, la sua cultura sopravvivranno o meno, non abbia perduto la capacità di raccogliere le forze; siamo forse al punto di una svolta, o l'agonia o la rinascita; partendo proprio dal rinnovare i fili interrotti dall'anomia cristiana, una rivoluzione spirituale che ponga al centro l'uomo europeo, la sua stirpe, la sua storia, la sua comunità di appartenenza, il dare il via ad una nuova epoca di spiritualità pagana.

    Innanzi tutto, si può notare che tra i pensatori cristiani è diffusa la sensazione di essere arrivati alla frutta. Non ci sono solo Cacciari e Cardini, ma come dimenticarsi, ad esempio di Emmanuel Levinas, oggi il più in vista dei nouveau philosophes francesi. Quel che egli sostiene, ridotto all'osso, è semplicemente questo: due millenni di filosofia cristiana sono in realtà un equivoco, una contraddizione, un assurdo, perché l'atteggiamento del filosofo che cerca di capire il mondo con la propria ragione e quello del credente che si basa sulla purezza adamantina della fede che non si lascia scalfire da dubbi, sono due atteggiamenti opposti ed inconciliabili.

    Levinas propone dunque di abbandonare il prurito d'orecchie della filosofia (d'altronde, tale la considerava san Paolo) per ritornare alla semplice fede. Soluzione ottima per un prete, per un rabbino, per un mullah, ma non certo per noi Europei, figli dell'umanesimo, dell'illuminismo, di tre secoli di ricerca scientifica, di due millenni e mezzo di pensiero filosofico, che alla fede che in teoria dovrebbe smuovere le montagne ma fino ad un certo livello non produce risultati apprezzabili, preferiamo la volontà che le scala.

    Guardiamoci intorno: gli indizi di un nuovo cambiamento dell'animo dell'Europa, tenui come i primi segni della primavera dopo il lungo inverno cristiano, ci sono: pensiamo alla diffusione di culti come la New Age, perfino una cosa come la Wicca, che almeno testimoniano un diffuso bisogno di paganesimo, per nulla dire del neo - celtismo (noi, sissignori) che diventa spesso neo- druidismo; il riemergere, il venire alla luce finalmente senza timore né vergogna di gruppi pagani originari sopravvissuti alla cristianizzazione in Islanda ed in Lituania, ma le manifestazioni di questo spirito nuovo (o rinnovato) sono delle più varie: si pensi ad esempio ai movimenti ecologisti che implicano un rapporto dell'uomo con la natura, un sentirsi parte del mondo naturale, che è molto lontano dal cristianesimo che invece vorrebbe separare al massimo l'uomo dalla natura, considerarlo un essere ibrido la cui parte più importante è però quella soprannaturale, non-naturale; od addirittura l'enorme successo cui, complice la trasposizione cinematografica, sta andando incontro l'opera letteraria di Tolkien. Perché ci lasciamo incantare da una mitologia che sappiamo essere fittizia, se non per il fatto che tocca corde profonde nel nostro animo? E sebbene alcuni, Paolo Gulisano, ad esempio, abbiano cercato d'interpretare Tolkien in senso cristiano, chiaramente, esso è tutto meno che cristiano; il suo ethos è eroico, guerriero, non comanda di porgere l'altra guancia, ma di resistere al male e di contrattaccare.

    L'Europa è forse sul punto di riscoprire le sue vere radici, quelle che stanno al di là del cristianesimo.

    Note

    1) Franco Cardini: Oriente e occidente, "Iter", Istituto dell'Enciclopedia Italiana anno V n. 15, Roma aprile-giugno 2002, pag. 10-13.
    2) Denis de Rougemont, voce Europa, enciclopedia GE 20, De Agostini, Novara, 1981, vol. VIII, pag. 305.
    3) G. Falco, La santa romana repubblica, Ricciardi, Napoli 1966.
    4) A. Passerin d'Entreves, La filosofia politica medioevale, Giappichelli, Torino, 1934.
    5) ibid.
    6) G. Falco, op. cit.
    7) Maurizio Blondet: Gli Adelphi della dissoluzione, Ares, Milano 2000


    Fonte: http://www.bibrax.org/celti/oggi/nuova_spirtualita.htm

  3. #3
    Mjollnir
    Ospite

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    Mi sembra una riflessione valida per molti aspetti, ma non priva di alcune zone d'ombra, per cosi' dire:

    un fondamentalismo che è solo in apparenza meno oscurantista di quello dei talebani o dei mullah iraniani; si vedano ad esempio le periodiche campagne contro i biologi che si ostinano a sostenere la teoria darwiniana dell'evoluzione, a pretendere addirittura che la si continui ad insegnare nelle scuole; in generale la pretesa arrogante che la scienza e l'indagine filosofica non possano esprimersi a prescindere od andando contro il testo biblico, un'arroganza dietro la quale è possibile sentire ancora il puzzo acre dei roghi degli eretici, e che va contro tutte le conquiste di tre secoli di pensiero europeo.


    Certo, il tentativo di proibire l'insegnamento del darwinismo e' assurdo, tuttavia non bisogna dimenticare che, specularmente al dogma creazionista, si e' eretto a dogma portante dell'occidente anche la teoria evoluzionista, la cui rivisitazione critica e' sempre + difficile ed osteggiata negli ambienti che contano.

  4. #4
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    Salve,

    sono un nuovo iscritto, devo ammettere che trovo questa discussione molto stimolante, tra l'altro da appassionato studioso di tradizione ed esoterismo spero di dare il mio contributo.

    Non posso che concordare su una necessità impellente di una rinascita neopagana, per quanto il termine sia esso stesso non felicissimo, di una riscoperta che sia anche restaurazione di quei simboli e valori tradizionali che la nostra civiltà sembra ormai aver dimenticato.

    Venti secoli di cristianesimo hanno, di fatto, disperso o affogato tali simboli in un mare di interpretazioni soggettive, "antropologiche", "psicanalitiche" , qualche fondamentalista cristiano ha persino parlato di testimonianze di una presenza "satanica" nella storia.

    Di fronte a tutto questo, lo sgretolarsi di una civiltà nella quale solo in pochi momenti: la Roma dei Re e quella Repubblicana, in età antica.
    In Essa si è avuta la presenza vivificante di tali simboli, in uno stato nella quale ogni cittadino in primis sentiva gli Dei e la tradizione come una presenza reale nelle Leggi, nella vita e nello stato.
    Lo stato Etico, nel senzo vero e proprio di questo termine, compiuto e realizzato.
    In età Medievale l'Ordine dei Templari, e stato l'ultimo baluardo a difesa di questi simboli tradizionali, la sua caduta ha determinato il declino progressivo di cui la nostra civiltà attuale è figlia.

    Nell'Età del Ferro o Kali Yuga, a seconda di come vogliamo chiamarlo, la restaurazione del segreto che è stato dimenticato ed è andato perduto, che ha insterilito la terra si deve all'opera costante e incessante degli Eroi, ma proprio perchè di Restaurazione si parla non è detto che essa si compia, in questo caso il declino diventa irreversibile.

    L'Europa in quanto culla della civiltà e della tradizione occidentale, nelle sue varie sfumature ed accezioni, romana, celtica, nordica, se non vuole soccombere dovrebbe farsi portatrice delle istanze e di questo barlume di risveglio a cui si accennava.

    Le giovani generazioni hanno bisogno di un ritorno al rito, agli Dei, alla natura ad una dimensione spirituale/guerriera totalizzante, che sia Vitale, e pienamente Umana, nulla comunque a che vedere con certe interpretazioni fuorvianti "New Age", su pace e amore universali, che nulla hanno a che vedere con la tradizione del sacerdote/guerriero.
    A queste istanze non è stata data risposta, e si vede quando centinaia di ragazzi cadono nelle mani di sedicenti millantatori, o peggio di autentici delinquenti come i recenti fatti di cronaca
    sulle sette sataniche hanno dimostrato.

    Non volendo andare off-topic, non posso comunqe non notare che nessun movimento politico, sopratutto nella destra italiana, si fa portatore di questa necessaria rinascita, anzi si persevera nell'essere alfieri di un fondamentalismo cattolico che è la causa prima del nostro crepuscolo.

  5. #5
    Mjollnir
    Ospite

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    Benvenuto

    Le tue riflessioni sono molto interessanti, ci sono vari spunti che col tempo potranno essere toccati.

    Cosi', in prima battuta, ti farei una domanda: cosa ne pensi, ad es, del problema della continuita' ?

    Saluti

  6. #6
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    Per continuità intendi continuità storica della tradizione nella nostra civiltà?

    A presto.

  7. #7
    Mjollnir
    Ospite

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    In Origine Postato da Sothis
    Per continuità intendi continuità storica della tradizione nella nostra civiltà?

    A presto.
    In generale sì.
    Ma più precisamente, mi riferisco ad una questione ormai "consolidata" soprattutto tra i perennialisti e pagani relativa alla continuità della trasmissione delle forme religiose, riti, dottrine ecc... cioé: se continuità nella trasmissione di tutto ciò ci sia stata, se possa esservi in futuro, se sia necessaria per parlare di paganesimo, se ciò dia luogo a problemi di "legittimità" ecc... ecc...

    Per farti un'idea più precisa della questione puoi guardare anche queste discussioni:

    "Essere pagani"
    "Paganesimo e politeismo ?"
    "Neopaganesimo o cristianesimo trasposto ?"

    che trovi nelle vecchie pagine del forum.

    Ciao

  8. #8
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    Salve.


    Una questione molto interessante.
    La continuità storica è comuque sempre stata un grosso problema, specie nel momento in cui si cerca di stabilire cosa è tradizione da cosa non lo è.
    In occidente la questione della contaminazione nella trasmissione è stato evidente, pur essendo consapevoli che il nucleo originario del sapere tradizionale non è stato corrotto, certamente è mal compreso o peggio del tutto ignorato.
    Nel thread "Essere Pagani" leggevo ad esempio sul problema della tradizione pagana europea rispetto al modello delle religioni abramitiche, ma anche lì si potrebbe discutere molto sulla vera tradizione del popolo ebraico, perchè appunto, essendo stati gli ebrei un popolo senza un territorio per millenni, hanno subito tante di quelle contaminazioni nella loro tradizione che è difficilissimo risalire ad una sorgente univoca.
    Lo stesso culto di Jeovah, quello dell'Antico Testamento, non è che, con ogni probabilità, una contaminazione anch'esso, non dimentichiamoci della cattività egizia del popolo ebraico e che la riforma teologico solare di Akhenaton deve aver inciso molto nella revisione della loro tradizione, prima di Geova c'era Baal o El Shaddai e altre divinità semitiche le cui origini si perdono nella notte dei tempi, e che probabilmente fanno capo ad una tradizione presolare.
    Queste stesse divinità una volta compiuta la riforma sono state abbandonate e demonizzate (e quì si potrebbe aprire un thread sulla comparsa di Satana e sul Satanismo (o forse è stato già aperto), parola che ha un senso esclusivamente nell'ambito di una formulazione teologica ortodossa della Bibbia, ogni interpretazione in chiave esoterica dello stesso è a mio avviso, o in malafede, o frutto di cattiva comprensione).
    Il mito della Genesi e della Caduta, assumono, per esempio, un tono molto diverso persino all'interno della tradizione ebraica corrente, se si vanno ad esaminare i testi meno ortodossi e più esoterici (vedi la stessa Kabbalah).
    Il problema delle rielaborazioni e delle contaminazioni è quindi preminente, nel Crisitianesimo stesso la Tradizione Occidentale stessa appare e riappare in forme mutevoli, a volte straordinarimente vive, ma spesso totalmente riadattate, distorte e piegate alle esigenze del nuovo credo, mi viene in mente il Mito del Graal ad esempio.
    Il mito e tutte le forme di culto precristiane, con le testimonianze che ci hanno lasciato, rappresentano una fonte più autorevole del Cristianesimo stesso, che si pone più come momento di rottura che di continuità della Tradizione stessa, sebbene quest'ultima pur soffocata può rinascere nell'ambito di una vera rinascita spirituale neopagana.
    Lo stesso Gnosticismo è sempre stato in opposizione rispetto all'ortodossia cristiana, le sue tesi, sono sempre state, a loro volta, considerate eretiche, pur essendo più vicine al sapere tradizionale.
    L'Ordine del Tempio fu l'unico momento in Occidente nel quale la Tradizione poteva avere il sopravvento sul Cristianesimo essoterico/ortodosso, e sicuramente Esso fu figlio di una Rivelazione e di una completa nuova visione Spirituale/Esoterica del Cristianesimo rispetto a com,e era stato inteso fino ad allora.
    Filippo il Bello e il papato dell'epoca non potevano permetterlo anche in considerazione del fatto che l'Ordine aveva acquisito un potere ed una ricchezza tali da abbattere la Chiesa di Roma.
    Riguardo al problema di una ritualità pagana, avendo il Mito e una Tradizione che nel suo nucleo è rimasta originaria, può essere creata una ritualità, è stato già fatto e può essere ancora fatto.

    A presto.

  9. #9
    Laocoon
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    Una risposta, per delimitare il problema, che offre qualche indicazione per essere approfondita, è questa:

    D. Qualcuno, basandosi anche su considerazioni di carattere dottrinario e religioso, sostiene che la tradizione romana è da ritenersi irreversibilmente tramontata ed estinta.
    Come risolvete tale questione?

    R. Solitamente, per controbattere le tesi di quanti affermano che la tradizione romana è da considerarsi estinta, poiché soppiantata dal trionfo della nuova religione cristiana, si è richiamato l'attenzione, da parte del nostro ambiente, su di una indubbia "continuità" culturale, religiosa e perfino iniziatica, che si sarebbe ininterrottamente perpetuata, per vie diverse talvolta segrete, dall'epoca dell'ultimo fronte ufficiale del paganesimo romano, cioè il IV-V sec. d.C., fino ai giorni nostri.
    A sostegno di questa tesi si sono riscoperti ricordati i nomi gli scritti di autori tardi, quali Macrobio (V sec. d. C.), Marziano Capella (V sec. d.C.), Giovanni Lido (VI sec. d. C.), per arrivare a quelli della rinascenza platonica, quali Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452), Giulio Pomponio Leto (1428-1497) e tanti altri.
    Mentre, per quanto riguarda i tempi recenti qui basterà ricordare la figura e l'opera di un Arturo Reghini (1878-1946) e dello stesso Julius Evola (1898-1974).
    Ma al di là di queste testimonianze storiche che pure comprovano, di contro ad ogni ragionevole dubbio, l'esistenza e la vitalità di una corrente "pagana" mai del tutto esauritasi, noi qui vorremmo invece affrontare da un altro punto di vista, spesso trascurato, la complessa questione: ci riferiamo all'aspetto propriamente metafisicio che riveste un tale problema. Se si abbandona la prospettiva sotricista, con tutte le sue appendici politiche e religiose, e si assume il superiore riferimento ai principi eterni e trascendenti, su cui unicamente può fondarsi ogni richiamo o ricollegamento tradizionale legittimo, si verificherà facilmente che sopratutto da questo punto di vista può trovare conferma la "attualità" di una via romana al sacro.
    E' evidente però che qui non si tratta affatto di riesumare e parodiare ottusamente forme e consuetudini religiose soggette all'inesorabile legge temporale della degenerazione e del mutamento.
    Si tratta invece di riallacciarsi dall'interno, secondo una sapiente e profonda opera di esegesi, di interiorizzazione e di attualizzazione spirituale delle corrsipondenze simboliche, a quella fertile eredità dottrinaria che è per noi rappresentata sopratutto dal più autentico platonismo.
    Come ha scritto H. Corbin:

    "Nel momento in cui a un uomo si impone il desiderio di riportarsi a una tradizione, in questo stesso momento si stabilisce il legame "storico" tra lui e i suoi predecessori.
    Egli ne è il legittimo erede e successore, qualunque sia lo iato cronologico che li separa. (1)
    questo legame esistrenziale non è un legame "storico" nel senso corrente del termine, perchè può anche non lasciare traccia negli archivi. Nondimeno il legame rimane stabilito per sempre nel tempo della "storia sottile", che si potrebbe anche chiamare "parastoria", al momento che il suo rapporto con la storia profana è analogo a quello tra la "parabola" e gli enunciati unidimensionali". (2)

    Così, in riferimento non solo alla "legittimità" della tradizione a cui si richiama l'attuale movimento tradizionalista romano, ma anche alla funzine attuale dei suoi esponenti, potremmo assumere e fare nostra, senza riserve, come indicazione, per così dire, programmatica, questa frase che Corbin riporta da un'opera ismailita:

    "Sappi, fratello, che apparteniamo alla società dei Fratelli della Purità, i più versati tra gli uomini nel culto religioso (...) quelli che ne hanno la conoscenza più profonda (...) ma anche i più versati tra gli uomini nel culto filosofico, i più capaci a conservarlo e a rinnovare quanto di esso ha potuto degenerare". (10)

    (1) "Abbiamo più volte citato"- ricordava Corbin - "il caso esemplare di Sohrawardi, che nell'Iran islamico resuscita la tradizione teosofica dei saggi dell'antica Persia".

    (2) H. CORBIN, 'immagine del tempio, Boringhieri, Torino 1983, p. 222.

    (3) Rasa'il, IV, P. 306.

    TRATTO DA: "Sul problema di una Tradizione romana nel tempo attuale", a cura del Movimento Tradizionalista Romano (Sear Edizioni, 1988).

    -------------------------------

    Un brevissimo commento: il problema è più che altro exoterico, io credo, perchè ciò che dice Corbin, da un punto di vista esoterico, non è possibile mettere in dubbio. Quanto alla "effettività" della trasimissione iniziatica, sappiamo come il problema possa essere risolto, in casi eccezionali, e comunque sarebbe un problema che anche il cattolicesimo dovrebbe affrontare (e si guarderà bene dal fare) - pur sapendo che il cattolicesimo non esaurisce il cristianesimo.
    Continiuità-non continuità, rinascita "neopagana": qualsiasi cosa avverrà non avrà causa umana, nè l'uomo potrà opporvisi (non potè nemmeno Apollo opporsi ad Achille, nè -viceversa- Giunone ad Enea).

    ---------------

    (e quì si potrebbe aprire un thread sulla comparsa di Satana e sul Satanismo (o forse è stato già aperto), parola che ha un senso esclusivamente nell'ambito di una formulazione teologica ortodossa della Bibbia, ogni interpretazione in chiave esoterica dello stesso è a mio avviso, o in malafede, o frutto di cattiva comprensione).
    Mi interesserebbe davvero che sviluppassi questo punto: di fatti, senza polemica alcuna, non riesco a capire le difficoltà, di cui spessissimo si parla, di concepire esotericamente l'avversario. Almeno, se questa difficoltà è intesa nel senso "Se Dio è uno ed è buono, e tutto proviene da Dio, come può esistere il male?"; se il problema è questo, la soluzione, solo accennata, è questa: l'errore è una verità relativa, il male una "parte" del Bene; e tutto questo tendere alla divisione è l'avversario (che appunto nulla può, se non siamo noi a concederglielo)- si veda Guenon, "il demiurgo".
    Magari -però- sono io che sbaglio ad inquadrare il problema.

    Cordialmente,
    Milesphoenicis.

  10. #10
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    Originally posted by waldganger
    Mi interesserebbe davvero che sviluppassi questo punto: di fatti, senza polemica alcuna, non riesco a capire le difficoltà, di cui spessissimo si parla, di concepire esotericamente l'avversario. Almeno, se questa difficoltà è intesa nel senso "Se Dio è uno ed è buono, e tutto proviene da Dio, come può esistere il male?"; se il problema è questo, la soluzione, solo accennata, è questa: l'errore è una verità relativa, il male una "parte" del Bene; e tutto questo tendere alla divisione è l'avversario (che appunto nulla può, se non siamo noi a concederglielo)- si veda Guenon, "il demiurgo".
    Magari -però- sono io che sbaglio ad inquadrare il problema.

    Cordialmente,
    Milesphoenicis.
    Ti rispondo, brevemente, perchè non voglio andare troppo fuori tema.

    Mi riferivo ai maldestri tentativi di estendere il Satanismo inteso come culto di Satana al di fuori di una dimensione biblica, tentativo spesso in atto da parte di fondamentalisti cristiani, per inficiare qualunque movimento neo-pagano.
    Ossia l'adorazione di Satana, non può che formularsi all'interno della visione biblica, ossia dell'angelo caduto, non esiste parimenti un Satana pagano che si evidenzi come epitome del male.
    Il tempo pagano è ciclico, o meglio spiraliforme, e come tale un bene/male assoluti non hanno valore, è questione di tempi e modi, è più esatto dire ciò che è più o meno adatto ad una data persona o popolo in un dato tempo.

    Per esempio negli USA, vedi la chiesa di Satana di LaVey, il satanismo si è manifestato all'interno di delusi ex-frequentatori di chiese protestanti repressi dalla morale opprimente puritana in voga in quel paese.

    Non è detto che sia sempre così ma comunque non si può giustificare o dimostrare in alcun modo, se non in malafede o attraverso fraintendimenti, che sia possibile adorare Satana al di fuori di un contesto strettamente biblico.
    Satana ha bisogno del Dio ebraico/cristiano e viceversa.

    Il fatto poi che esistono divinità pagane o simboli tradizionali, i Titani o Prometeo, per esempio, che possono in qualche modo riallacciarsi al Satana biblico non può in alcun modo giustificare ardite letture in chiave biblista o parlare di "Satanismo pagano".
    Infatti in una chiave tradizionale è proprio la spinta Prometeica, con le dovute limitazioni, ad imprimere l'impulso eroico nell'età del Ferro.

    Anzi, ma questo può essere argomento di future discussioni, il Satana biblico non è che la trasfigurazione e la demonizzazione dei culti delle dee madri babilonesi (Tiamat ma anche il solare Marduk uccisore della Dea e quindi erede delle sue "acque tenebrose"), e di antichissime divinità adorate in passato dal popolo ebraico, che il culto di Geova soppiantò.
    La paura del loro ritorno e la teologia del nuovo Dio non permettevano la sopravvivenza di tali culti, che vennero quindi cancellati e marchiati come malvagi.
    Satana e la schiera della demonologia Medioevale, vedi i vari Asmodeo e Astaroth (antiche divinità babilonesi), sono ciò che resta di quei culti.

 

 
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