Storie di paese, storie contadine, ma soprattutto passioni e sentimenti forti
Guido Conti, cantore dell'immaginario padano
"La piena e altri racconti", sulla scia di Zavattini e Guareschi

Luca Marchesi
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Storie di paese. Storie contadine. Storie padane. Vite di persone né buone né cattive, ma tutte desiderose di continuare a vivere perché così si è sempre fatto. Niente nevrosi e niente psicologismi. Semmai passioni: sane o insane che siano, ma passioni. Forti sentimenti e forti contrasti per cui vivere: l'odio, l'amore, l'invidia, il proprio lavoro, la roba, la devozione.
Il mondo di Guido Conti è questo. Lo stesso di Zavattini e di Guareschi, ai quali lo stesso autore dichiara di sentirsi irrimediabilmente debitore.
Dopo che la sua ultima fatica, "La piena e altri racconti" (Monte Università Parma editore) è balzata agli onori della critica più affermata, il suo immaginario "padano e ruspante" è ritornato di moda, come era successo con la raccolta "Il coccodrillo sull'altare" che sei anni or sono gli aveva fatto vincere un mazzo di premi letterari e dato notorietà.
«Le storie che scrivo non sono inventate. -ci dice Conti, parmense doc -. O me le hanno tramandate come accadute o ne sono venuto io stesso a conoscenza. Anche quelle che sembrano fantasy o horror, scaturiscono da dei fatti che direi hanno a che fare con quello che i colti chiamano il genius loci. Mi spiego. Io ho cominciato a scrivere molto giovane. Poi sono andato alla facoltà di lettere e ho avuto quindi una formazione alta e classica. E solo dopo ho cominciato a leggere degli autori locali delle mie parti. E mi sono accorto che scrivevo nello stesso modo, senza che prima avessi letto una solo loro pagina. Questo è il genius loci, quello che ti fa scrivere in un certo modo senza che tu non abbia fatto niente per scrivere in quel modo. Salvo il fatto di essere nato e vissuto a Parma, piuttosto che a Venezia o a Roma. Io sono uno di quegli scrittori che del proprio territorio non può fare a meno. Posso solo scrivere storie della mia terra, che non possono non essere diverse , sia nei contenuti che nel linguaggio, da quelle della Sicilia o del Lussemburgo». Una prostituta fa morire durante una prestazione un notabile del paese; un giocatore da bisca ci lascia le penne per la tensione durante il poker; il fantasma di un parroco terrorizza i parrocchiani; dei gaglioffi si mangiano la carne sublime di un maiale di un amico vissuto solo per fare ingrassare la propria bestia ed ottenere degli insaccati da record. Personaggi bizzarri, sanguigni, spesso comici, calati in un contesto magico molto coeso , lontano dalla frammentazione sociale e culturale. Sembra un elogio alla Padania che fu.
Poco importa se ci si pugnala alle spalle, se ci si accanisce contro i deboli e si intrattengono ugualmente rapporti cordiali. Cionondimeno ci sono slanci di amore in tutte le sue possibili variabili, in un alternarsi di contrasti che rendono la vita per quello che è: un caos. «Io scrivo di preferenza dei racconti bravi, non romanzi. - precisa lo scrittore non ancora quarantenne -. Mi interessano delle vicende brevi e di crisi, nelle quali un personaggio deve uscire allo scoperto e quindi manifestarsi per quello che è. Perché proprio durante le crisi manifestiamo la nostra essenza. Anche per questo che io spesso parlo della morte come di un evento che sopraggiunge inaspettato e che crea una situazione di forte instabilità».
La critica ha avvicinato Conti a Piero Chiara, per la sostanziale assenza di giudizio morale nelle sue storie e per la scelta del linguaggio: sempre piano, diretto, semplice, naturale e assai espressivo. «Io non uso la lingua locale con la quale si esprimono i miei personaggi - continua lo scrittore -. Traduco dal dialetto in italiano, per non precludermi la stragrande maggioranza dei miei lettori. Ma mi sforzo di mantenere tutta l'espressività della lingua della tradizione. E questo funziona non solo nei motti o nell'intercalare, ma anche nella costruzione sintattica della frase. Mi fa ovviamente piacere che la critica apprezzi questo mio lavoro, che dà sì risultati leggibilissimi, ma che a monte è molto oneroso. Per il resto non è che la critica mi interessi più di tanto. Voglio dire i vari Pacchiano e Paccagnini, dei quotidiani grossi, non sanno neanche loro quale idea di narrativa hanno in testa. Stroncano ed elogiano a seconda dell'estro, ma non riescono a proporre qualcosa che valga. Qualcosa che possa valere come termine di confronto anche per gli stessi autori. Ora vado di moda io, non so bene neanche perché. Ma non vedo da nessuna parte un progetto culturale forte da imporre al ciarpame editoriale, quale esso sia: dai vari Tiziano Scarpa e Aldo Nove, fino ad arrivare alla Melissa porcellona».


[Data pubblicazione: 10/02/2004]
http://www.lapadania.com/PadaniaOnLi...Desc=15173,1,1