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Nell'attuale periodo storico, caratterizzato dalla presenza di guerre, di atti terroristici e di catastrofi ambientali e dalla minaccia di un futuro ancora più drammatico, stiamo assistendo agli albori di una nuova consapevolezza, quella che ho definito "la percezione di un destino comune degli esseri umani e degli animali" (Pagani, 2000). Anche in passato alcuni letterati,_ pensatori e appartenenti a movimenti sociali e politici avevano espresso in vari modi l'idea di una identificazione degli esseri umani con gli animali._ Si ha l'impressione però che ora questa consapevolezza, una volta limitata appunto ad alcuni gruppi di individui, si stia insinuando, seppure con estrema lentezza e a livelli diversi, in strati più vasti della popolazione nel nostro pianeta. Scrive G. Ciuffreda (2001) a proposito dell'animalismo inglese:__

La cosa interessante è che a battersi per i diritti degli animali sono stati i movimenti operai e socialisti, femministi e ambientalisti. Che avevano compreso come umani e non umani stiano bene o male solamente insieme. _

La frase in corsivo sintetizza con molta chiarezza il concetto di "destino comune". Questo concetto implica, tra le altre cose, l'idea che essenzialmente una stessa ideologia sia alla base, ad esempio, dello sfruttamento dei lavoratori, della violenza alle donne, dell'abuso dei bambini, della distruzione dell'ambiente, del maltrattamento degli animali. Si tratta di un'ideologia fondata sull'esercizio del potere, nel contesto di una società gerarchica, costituita appunto da individui che occupano ranghi diversi a seconda del potere che possiedono. In questo tipo di società il modello di vita dominante è di tipo competitivo, per cui il prossimo è considerato nella maggior parte dei casi un rivale, un concorrente, un nemico, da temere, da combattere, qualche volta da eliminare. Nella nostra società infatti il potere e la violenza vengono generalmente esercitati nei confronti dei più deboli, degli individui che occupano i ranghi più bassi della scala sociale. Una struttura gerarchica e un modello di vita competitivo caratterizzano ormai la quasi totalità delle società esistenti.
Ai ranghi più bassi della scala sociale appartengono, ad esempio, i poveri, i malati, le donne, i bambini e gli animali. Tra l'altro, proprio sulla base di questo quadro teorico di riferimento, per la homepage del sito web (http://wwwistc.ip.rm.cnr.it), che ho realizzato con Francesco Robustelli e Dario Salmaso e che illustra il nostro progetto di ricerca e formazione sull'educazione contro la violenza, abbiamo scelto l'immagine di una bambina cecena in un campo profughi che dorme accanto al suo gattino. Ci sembrava che questa immagine condensasse l'idea della violenza nei riguardi di vittime inermi, che nel rapporto affettivo che le unisce e le sostiene si contrappongono a un mondo distruttivo, sopra il quale esse si elevano.
Dagli inizi della sua storia il dibattito sui diritti degli animali è stato spesso ossessivamente contraddistinto da disquisizioni filosofiche astratte e intellettualistiche ("gli animali hanno un'anima?", "gli animali hanno la ragione?", "gli animali hanno il concetto di morte?"). All'astrattezza di questo dibattito si contrappone la famosa argomentazione di Bentham (1781) sugli animali: "Il problema non è se sono in grado di ragionare o se sono in grado di parlare, ma se sono in grado di soffrire". A questa fondamentale argomentazione possiamo aggiungerne un'altra. La violenza esercitata nei riguardi degli animali non è soltanto riprovevole per la sofferenza inflitta agli animali (tra l'altro, ci sono alcuni animali che hanno un sistema nervoso molto primitivo e che hanno quindi una ridotta capacità di sofferenza o nessuna capacità di sofferenza) ma anche perché è l'espressione e la giustificazione di un sistema di valori basato sull'esercizio del potere su chi è più debole da parte di chi è più forte. Se avalliamo la violenza agli animali, avalliamo questo sistema di valori e quindi avalliamo e incoraggiamo tutte le altre forme di violenza fondate sulla sopraffazione e sul disprezzo dell'altro. E' utile anche ricordare che da vari anni la ricerca psicologica ha dimostrato che nei bambini e negli adolescenti la violenza perpetrata nei confronti degli animali è spesso associata a disturbi psicologici ed in particolare ad atteggiamenti e comportamenti aggressivi nei confronti delle persone. Inoltre può preludere a, e in alcuni casi verificarsi in concomitanza con, gravi comportamenti antisociali. Infine la violenza nei riguardi degli animali può essere un indicatore di una situazione familiare ed ambientale problematica, caratterizzata, a seconda dei casi, da violenza fisica, violenza psicologica, abuso sessuale, o da queste forme di violenza associate in vario modo.
D'altra parte si sostiene spesso che, sviluppando negli individui, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, un atteggiamento empatico, di rispetto e di compassione nei riguardi degli animali, questo atteggiamento può generalizzarsi ed estendersi agli esseri umani. La ricerca psicologica, ancora agli inizi in questo campo, sembra confermare questa possibilità. Non è tuttavia ben chiaro il meccanismo attraverso cui avviene questo processo di generalizzazione. ten Bensel (1993) suggerisce che alla base di questo processo ci sia un qualche tipo di identificazione e di simpatia nei confronti dell'individuo vulnerabile, qualunque sia la sua specie di appartenenza. Ritorniamo così al significato della citazione di Ciuffreda, e cioè che umani e non umani stanno bene o male solamente insieme.
Qualche tempo fa, in un canale televisivo americano, ho assistito ad una breve intervista a Wayne Pacelle, un esponente della Humane Society of the United States, sul tema della clonazione degli animali d'affezione. In quell'occasione Pacelle ha detto qualcosa che condivido in pieno e che suonava più o meno così: "Perché clonare gli animali d'affezione quando ci sono tanti animali nei canili e nei rifugi?"
Ma lo stesso ragionamento è valido anche per i bambini. Perché tante tecniche sofisticate per avere un bambino quando ci sono milioni di bambini nel mondo soli, denutriti, abbandonati, malati? Ancora una volta assistiamo allo stesso atteggiamento di indifferenza nei riguardi della sofferenza dei più deboli, siano essi umani o animali. E ancora una volta è confermata l'idea che la lotta per i diritti e per la giustizia non va combattuta con un'ottica settoriale, ma sulla base di una concezione globale dei rapporti tra gli umani e tra gli umani e gli animali e la natura in genere.

Camilla Pagani

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bentham, J. 1781. An Introduction to the Principles of Morals and Legislation. Oxford: Clarendon Press.
Ciuffreda, G. 2000. Primo fu un cavallo. Carta, 14, II: 22-23.
Pagani C., 2000. Perception of a common fate in human-animal relations and ots relevance to our concern for animals. Anthrozoös, 13 (2): 66-73.
ten Bensel, R.W. 1984. Historic perspectives of human values for animals and vulnerable people. In Anderson R.K., Hart B.L. and Hart L.A. (eds.), The pet connection: Its influence in our health and quality of life, pp. 2-14. Minneapolis: Center to Study Human-Animal Relationships and Environments.