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    Predefinito 7 luglio (14 febbraio) - SS. Cirillo e Metodio, patroni d'Europa

    Oggi, 14 febbraio, mentre i più festeggiano la mielosa ricorrenza di S. Valentino, pochi si ricordano che, in questo giorno, la Chiesa celebra anche la memoria dei santi fratelli Cirillo e Metodio, patroni d'Europa.
    In loro onore, apro questo thread.

    Augustinus

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    dal sito SANTI E BEATI e sempre da questo SITO:

    San Cirillo Monaco, apostolo degli Slavi

    14 febbraio - Festa

    Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia), inizio sec. IX - Roma, 14 febbraio 869

    San Metodio Vescovo, apostolo degli Slavi

    14 febbraio - Festa

    Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia), inizio sec. IX - Velehrad, Cecoslovacchia, 6 aprile 885

    Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all’inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia. Crearono l’alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti. Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere. Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico. Cirillo morì a Roma il 14 febbraio 869. Giovanni Paolo II con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d'Europa. (Mess. Rom.)

    Patronato: Europa, Ecumenisti

    Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco

    Martirologio Romano: Memoria dei santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo. Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava. Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore. Metodio, invece, ordinato da papa Adriano II vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche.

    Martirologio tradizionale (7 luglio): I santi Vescovi e Confessori Cirillo e Metodio fratelli, il cui natale rispettivamente si commemora il quattordici Febbraio e il sei Aprile.

    (14 febbraio): Nello stesso luogo (a Roma) la deposizione di san Cirillo, Vescovo e Confessore, il quale, insieme con san Metodio, pure Vescovo e suo fratello, il cui natalizio ricorre il sei Aprile, convertì alla fede di Cristo molti popoli Slavi e i loro Re. La festa però di questi Santi si celebra il sette Luglio.

    (6 aprile): A Wyszchrad, nella Moravia, il natale di san Metodio, Vescovo e Confessore, il quale, insieme con san Cirillo, egli pure Vescovo e suo fratello, il cui natalizio si commemora il quattordici Febbraio, convertì alla fede di Cristo molti popoli Slavi ed i loro Re. La festa di questi Santi però si celebra il sette Luglio.

    I due fratelli Michele e Costantino, che assunsero come monaci il nuovo nome rispettivamente di Metodio e Cirillo, svolsero la loro opera missionaria nel IX secolo nell'Europa centrale, e sono ricordati a ragione come gli "apostoli degli Slavi". E’ loro grande merito di essersi adattati ai popoli da evangelizzare con metodi missionari che, pur avendo ottenuto la piena approvazione del papa, suscitarono tra greci e latini opposizioni, alle quali soltanto la tenace ostinazione di Metodio poté tener testa.
    L'aver creato un nuovo alfabeto, che in seguito prese il nome di cirillico appunto da S. Cirillo, offrendo al mondo slavo con la traduzione della Bibbia, del Messale e del rituale liturgico, unità linguistica e culturale, è un merito che nessuno contesta loro. Questo grosso regalo che i due fratelli fecero alle popolazioni slave (la stessa lingua russa è scritta con le lettere "inventate" da Cirillo) è stato ricambiato con intramontabile amore e devozione popolari. Ma in vita i due santi missionari non ebbero affatto "vita facile", ma dovettero anzi lottare contro i malumori che si coalizzano attorno ai grandi innovatori.
    I due fratelli erano nati a Tessalonica da un impiegato imperiale e conoscevano lo slavo parlato in Macedonia. Costantino, il più giovane dei due, nato verso l'827, completò i suoi studi a Costantinopoli sotto Fozio, venne ordinato sacerdote e iniziò la carriera di insegnante. Michele intraprese invece la carriera politica, ma quando venne nominato governatore di una provincia bizantina di lingua slava rinunciò all'ambito incarico per farsi monaco col nome di Metodio. Nell'860 i due fratelli ebbero l'incarico dall'imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Ratislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono l'alfabeto "cirillico" e realizzarono la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, Cirillo e Metodio dovettero recarsi a Roma, dove però vennero accolti con molta soddisfazione da Adriano II, che consentì loro di celebrare i santi misteri in lingua slava dinanzi a lui stesso e ad una folta comunità cristiana.
    A Roma Costantino-Cirillo morì il 14 febbraio 869 e venne sepolto nella basilica di S. Clemente, presso il Colosseo, il martire di cui aveva portato egli stesso a Roma da Chersonea le reliquie. Metodio, ordinato sacerdote dal papa e nominato arcivescovo della Pannonia con sede a Sirmio, ritornò tra i suoi slavi. Quasi fino alla sua morte, avvenuta il 6 aprile 885, dovette lottare con alterne vicende per far accettare l'uso dello slavo, che venne usato nel suo rito funebre insieme al greco e al latino.

    Autore: Piero Bargellini

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    Sempre dallo stesso SITO altro profilo biografico:

    Santi CIRILLO e METODIO, patroni d’Europa

    Non pochi sono i casi di frateli venerati come santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà. Papa Giovanni Paolo II, il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica "Egregiae virtutis" volle porre due fratelli, Cirillo e Metodio, quali patroni d’Europa insieme con San Benedetto, in quanti evangelizzatori dei popoli slavi e dunque della parte orientale del vecchio continente. Trattasi di due santi mai canonizzati dai papi, dei quali soltanto nel 1880 il pontefice Leone XIII aveva esteso il culto alla Chiesa universale.
    Originari di Tessalonica, città greca a quel tempo facente parte dell'Impero Bizantino, Cirillo e Metodio evangelizzarono in particolar modo la Pannonia e la Moravia nel IX secolo. Poco notizie ci sono state però tramandate circa Cirillo e suo fratello Metodio. Sappiamo che Cirillo in realtà si chiamava Costantino ed adottò in seguito il nome Cirillo come monaco, verso il termine della sua vita. Ulteriori informazioni circa le loro attività sono pervenute sino a noi grazie a due “Vitæ”, redatte in paleoslavo, nota anche come “Leggende Pannoniche”. Si conservano inoltre le lettere che l’allora pontefice indirizzò a Metodio e la “Leggenda italica”, scritta in latino. Quest’ultima narra che a Velletri il vescovo Gauderico, devoto del papa San Clemente, le cui reliquie traslate in Italia proprio da Cirillo, volle redarre un resoconto sulla vita di quest'ultimo. A causa della innegabile scarsità di fonti storicamente attendibili, sono fiorite numerose leggende attorno alle figure di Cirillo e Metodio.
    Nativi di Salonicco (in slavo Solun), rampolli di una nobile famiglia greca, loro padre Leone era drungario della città, posizione che gli conseguiva un elevato status sociale. Secondo la “Vita Cyrilli”, quest’ultimo era il più giovane di sette fratelli e già in tenera età pare avesse espresso il desiderio di dedicarsi interamente al perseguimento della sapienza. In giovane età si trasferì a Costantinopoli, ove intraprese gli studi teologici e filosofici. La tradizione vuole che tra i suoi precettori vi fu il celebre patriarca Fozio ed Anastasio Bibliotecario riferisce dell'amicizia che intercorreva fra i due, così come di una disputa dottrinaria verificatasi tra loro. La curiosità tipica di Cirillo dimostrava il suo eclettismo: egli coltivò infatti nozioni di astronomia, geometria, retorica e musica, ma fu nel campo della linguistica che poté dar prova del suo genio. Oltre al greco, Cirillo parlava infatti correntemente anche il latino, l'arabo e l'ebraico. Da Costantinopoli, l'imperatore inviò i due fratelli in varie missioni, anche presso gli Arabi: fu durante la missione presso i Càsari che Cirillo rinvenne le reliquie del papa San Clemente, un Vangelo ed un salterio scritti in lettere russe, come narra la “Vita Methodii”. La missione più importante che venne affidata a Cirillo e Metodio fu quella presso le popolazioni slave della Pannonia e della Moravia.
    Il sovrano di Moravia, Rostislav, poi morto martire e venerato come santo, chiese all'imperatore bizantino di inviare missionari nelle sue terre, celando dietro motivazioni religiose anche il fattore politico della preoccupante presenza tedesca nel suo regno. Cirillo accettò volentieri l’invito e, giunto nella sua nuova terra di missione, incominciò a tradurre brani del Vangelo di Giovanni inventando un nuovo alfabeto, detto glagolitico (da “глаголь” che significa “parola”), oggi meglio noto come alfabeto cirillico. Probabilmente già da tempo si era cimentato nell’elaborazione di un alfabeto per la lingua slava. Non tardarono però a manifestarsi contrasti con il clero tedesco, primo evangelizzatore di quelle terre. Nel 867 Cirillo e Metodio si recarono a Roma per far ordinare sacerdoti i loro discepoli, ma forse la loro visita fu dettata da un’esplicita convocazione da parte del papa Adriano II insospettito dall’amicizia tra Cirillo e l’eretico Fozio. Ad ogni modo il pontefice riservò loro un'accoglienza positiva, ordinò prete Metodio ed approvò le loro traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici in lingua slava. Inoltre Cirillo gli fece dono delle reliquie di San Clemente, da lui ritrovate in Crimea. Durante la permanenza nella Città Eterna, Cirillo si ammalò e morì: era il 14 febbraio 869. Venne sepolto proprio presso la basilica di San Clemente.
    Metodio ritornò poi in Moravia, ma durante un successivo viaggio a Roma venne consacrato vescovo ed assegnato alla sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitroviča). Quando in Moravia a Rostislav successe il nipote Sventopelk, favorevole alla presenza tedesca nel regno, iniziò così la persecuzione dei discepoli di Cirillo e Metodio, visti come portatori di un'eresia. Lo stesso Metodio fu detenuto per due anni in Baviera ed infine morì presso Velehrad, nel sud della Moravia, il 6 aprile 885. I suoi discepoli vennero incarcerati o venduti come schiavi a Venezia. Una parte di essi riuscì a fuggire nei Balcani e non a caso in Bulgaria si venerano come Sette Apostoli della nazione proprio Cirillo, Metodio ed i loro discepoli Clemente, Nahum, Saba, Gorazd ed Angelario, comunemente festeggiati al 27 luglio. Il Martyrologium Romanum ed il calendario liturgico dedicano invece ai fratelli Cirillo e Metodio la festa del 14 febbraio, nell’anniversario della morte del primo.
    Se l’immane opera dei due fratelli di Tessalonica fu cancellata in Moravia, come detto trovò fortuna e proseguimento in terra bulgara, anche grazie al favore del sovrano San Boris Michele I, considerato “isapostolo”, che abbracciò il cristianesimo e ne fece la religione nazionale. La vastissima attività dei discepoli di Cirillo e Metodio in questo paese diede origine alla letteratura bulgara, ponendo così le basi della cultura scritta dei nuovi grandi stati russi. Il cirillico avvicinò moltissimo i bulgari e tutti i popoli slavi al mondo greco-bizantino: questo alfabeto si componeva di trentotto lettere, delle quali ben ventiquattro prese dall’alfabeto greco, mentre le altre appositamente ideate per la fonetica slava. Ciò comportò una grande facilità nel trapiantare in slavo l’enorme tradizione letteraria greca. La nuova lingua soppiantò ovunque il glagolitico e rese celebre sino ai giorni nostri il nome del suo ideatore.

    DALLA “VITA” IN LINGUA SLAVA DI COSTANTINO

    Costantino Cirillo, stanco dalle molte fatiche, cadde malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così: Quando mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1).
    Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente. Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
    Il giorno dopo vestì il santo abito monastico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo. Così vestito rimase cinquanta giorni.
    Giunta l'ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo: «Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spiriti incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma la terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
    Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa' crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità.
    Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina. E' tuo dono infatti l'averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere e a compiere quanto ti è gradito.
    Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all'ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
    Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».
    E così, all'età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
    Il papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma e i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al papa stesso; e così fu fatto.

    INNO (dalla Liturgia delle Ore)

    Risuoni nella Chiesa
    da oriente ad occidente
    l'ecumenica lode
    di Cirillo e Metodio.

    Maestri di Sapienza
    e padri nella fede
    splendono come fiaccole
    sul cammino dei popoli.

    Con la potenza inerme
    della croce di Cristo
    raccolsero le genti
    nella luce del Regno.

    Nella preghiera unanime
    delle lingue diverse
    si rinnovò il prodigio
    della Chiesa nascente.

    O Dio trino e unico,
    a te l'incenso e il canto,
    l'onore e la vittoria,
    a te l'eterna gloria. Amen.

    ORAZIONE

    O Dio, ricco di misericordia,
    che nella missione apostolica dei santi fratelli Cirillo e Metodio
    hai donato ai popoli slavi la luce del Vangelo,
    per la loro comune intercessione fa' che tutti gli uomini accolgano la tua parola
    e formino il tuo popolo santo concorde nel testimoniare la vera fede.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
    e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
    per tutti i secoli dei secoli. Amen.

    Autore: Fabio Arduino



    Jan Matejko (1838-1893), SS. Cirillo e Metodio, 1885

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    LEONE XIII

    LETTERA ENCICLICA

    GRANDE MUNUS


    A tutti i Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati,
    Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico
    che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    Il grande compito di diffondere il nome cristiano, affidato in modo particolare al Beato Pietro, Principe degli Apostoli, ed ai suoi successori, spinse i Pontefici Romani a mandare annunziatori del Santo Vangelo in tempi diversi ai vari popoli della terra, come era richiesto dalle circostanze e dalla volontà del misericordioso Iddio. Pertanto, come destinarono Agostino curatore di anime presso gli Inglesi, Patrizio presso gli Irlandesi, Bonifacio presso i Germani, Villebrordo presso i Frisii, i Batavi e i Belgi, ed altri sovente presso altri popoli, così concessero a Cirillo e a Metodio, uomini santissimi, di esercitare l’apostolico ministero presso i popoli Slavi, i quali, grazie alla loro premura e al loro impegno, conobbero la luce del Vangelo, e da una vita selvatica furono condotti ad una società umana e civile.

    Se gli Slavi, memori dei benefici, non cessarono mai di celebrare Cirillo e Metodio, Apostoli nobilissimi, con non minore studio la Chiesa Romana li ebbe sempre in grande culto, rendendo onore all’uno e all’altro in molte occasioni mentre vissero, e custodendo le ceneri di uno di essi quando morì.

    Fin dall’anno 1863 agli Slavi della Boemia, Moravia e Croazia, i quali solevano festeggiare ogni anno Cirillo e Metodio il 9 marzo, fu concesso dalla benignità di Pio IX, Nostro Predecessore di immortale memoria, di celebrare per l’avvenire quella festa il 5 luglio, e di onorare la memoria di Cirillo e Metodio con la sacra officiatura. Né passò molto tempo che, all’epoca del grande Concilio Vaticano, molti Vescovi supplicarono questa Sede Apostolica affinché il culto di quei Santi e la decretata solennità si estendessero a tutta la Chiesa. Ma poiché la proposta fino ad oggi non ha avuto seguito, ed essendosi in quelle contrade mutato lo stato della cosa pubblica, Ci parve giunta l’opportunità di soddisfare i popoli Slavi, della cui incolumità e salute siamo grandemente solleciti. Dunque, poiché non possiamo permettere che in alcuna cosa venga meno ad essi la Nostra paterna carità, vogliamo ampiamente estendere ed accrescere il culto religioso di quegli uomini santissimi, i quali, come una volta, spargendo il seme della fede cattolica tra le genti Slave, le richiamarono dalla morte alla salvezza, così ora col celeste loro patrocinio le difenderanno validamente. E perché più chiaramente emerga quali sono questi personaggi che proponiamo alla venerazione ed al culto dell’orbe cattolico, Ci piace narrare brevemente la storia delle loro gesta.

    Cirillo e Metodio, fratelli germani, nati a Tessalonica da nobilissima famiglia, in tenera età si trasferirono a Costantinopoli per imparare le umane discipline nella principale città dell’Oriente. Né stette nascosta la scintilla dell’ingegno, che già fin d’allora splendeva nei due giovanetti; infatti l’uno e l’altro impararono moltissimo e rapidamente, soprattutto Cirillo, il quale conseguì nelle scienze tale lode che in segno di onore singolare fu chiamato Filosofo. Non andò molto che Metodio si fece monaco. Cirillo fu poi ritenuto degno dall’imperatrice Teodora, su consiglio del Patriarca Ignazio, di istruire nella fede cristiana i Khazari, che abitavano oltre il Chersoneso, i quali avevano chiesto a Costantinopoli ministri idonei nelle cose sacre. Egli accettò tale incarico di buon grado. Pertanto, recatosi in Crimea tra i Tauri, studiò per qualche tempo, come alcuni affermano, la lingua di quel popolo, e nello stesso tempo gli avvenne, e fu ottimo auspicio, di trovare le ceneri di San Clemente I P. M., che non gli fu difficile riconoscere, sia per il ricordo degli anziani, sia per l’ancora con la quale quel fortissimo martire fu gettato in mare per ordine dell’imperatore Traiano e, come si sapeva, successivamente tumulato.

    Impadronitosi di questo tesoro così prezioso, penetrò nelle città e nelle case dei Khazari; i quali, istruiti dai suoi precetti e mossi dalla grazia di Dio, distrutte le tante superstizioni, furono da lui condotti a Gesù Cristo. Ottimamente costituita questa nuova comunità cristiana, egli diede una memorabile prova di temperanza e di carità, rifiutando tutti i doni offerti dagli indigeni, eccettuato l’affrancamento degli schiavi che professassero il cristianesimo. Poscia Cirillo ritornò rapidamente a Costantinopoli e si rinchiuse nel monastero di Policrone, nel quale Metodio si era già ritirato.

    Frattanto la fama delle cose da lui felicemente operate presso i Khazari era giunta a Ratislao, Principe della Moravia. Questi, mosso dall’esempio dei Khazari, chiese all’imperatore Michele III alcuni operai evangelici di Costantinopoli; né ebbe difficoltà ad ottenere quello che richiedeva. Pertanto la virtù nobilitata da tanti fatti e la manifesta volontà che Cirillo e Metodio avevano di giovare al prossimo fecero sì che essi venissero destinati alla missione nella Moravia. Mentre viaggiavano per la Bulgaria, già iniziata alla religione cristiana, in nessun luogo si lasciarono sfuggire l’opportunità di diffondere la religione. Incontrati ai confini del Principato da gran moltitudine di popolo, furono ricevuti in Moravia da moltissima disponibilità e con straordinaria gioia. Né tardarono un momento dall’intraprendere ad educare gli animi nelle dottrine cristiane ed a confortarli con la speranza dei beni celesti. Ciò fecero con tanta efficacia e con tanto operoso impegno, che in poco tempo il popolo Moravo abbracciò con tutto l’animo la religione di Gesù Cristo.

    A tale opera non poco giovò la conoscenza della lingua Slava, che Cirillo aveva imparato prima, e molto servirono i libri del nuovo e dell’antico Testamento che egli aveva tradotto nella lingua di quel popolo. Per la qual cosa tutta la nazione degli Slavi deve moltissimo a questo uomo, poiché da lui ricevette non solo il beneficio della fede cristiana, ma anche quello della civiltà: infatti Cirillo e Metodio trovarono per primi quelle lettere con le quali è rappresentata ed espressa la lingua Slava, della quale, non a torto, sono ritenuti i padri.

    Da così lontane e separate province la fama aveva recato a Roma il felice annunzio di quelle imprese. E avendo Nicolò I, Pontefice Massimo, ordinato ai due ottimi fratelli di venire a Roma, questi senza indugio obbedirono e, messisi in viaggio per Roma, portarono con sé le reliquie di San Clemente. A tale notizia, Adriano II, che era succeduto al defunto Nicolò, accompagnato dal Clero e dal popolo per testimoniare un grande onore, uscì incontro agli illustri ospiti. Il corpo di San Clemente, glorificato da improvvisi prodigi, con solenne pompa fu portato nella Basilica innalzata al tempo di Costantino sui ruderi della casa paterna del coraggiosissimo martire. Poi Cirillo e Metodio, presente il Clero, resero conto al Pontefice Massimo dell’Apostolica missione alla quale santamente e laboriosamente si erano dati. E poiché fu loro contestato che avevano operato contro il costume degli antichi e contro regole santissime, in quanto avevano usato la lingua Slava negli uffici sacri, addussero ragioni così forti e sicure che il Pontefice e tutto il Clero li lodarono ed approvarono.

    Allora ambedue, dopo aver fatto, secondo la formula cattolica, la professione di fede e aver giurato che si sarebbero mantenuti fedeli al Beato Pietro e ai Romani Pontefici, furono creati e consacrati Vescovi dallo stesso Adriano, e molti loro discepoli furono iniziati a vari gradi dei sacri Ordini.

    Era però divinamente stabilito che Cirillo finisse in Roma il corso della sua vita il 14 febbraio 869, maturo più nella virtù che negli anni. Furono fatti pubblici funerali, e con magnifico apparato, quello stesso che si usa per i Romani Pontefici; fu posto con ogni onore in quel sepolcro che Adriano aveva preparato per se stesso. Il sacro corpo del defunto, poiché il popolo romano non permise che si trasportasse a Costantinopoli, benché ne facesse accorata domanda la madre, fu portato alla Chiesa di San Clemente e sepolto vicino alle ceneri di questi, che Cirillo aveva per tanti anni custodite con venerazione. E mentre si portava la sua salma per la città, tra il canto solenne dei salmi, con una pompa piuttosto di trionfo che di funerale, parve che il popolo romano volesse tributare all’uomo santissimo un saggio degli onori celesti.

    Ciò fatto, Metodio, per ordine e sotto gli auspici del Pontefice Massimo, ritornò Vescovo in Moravia, ad esercitarvi i consueti uffici del ministero apostolico. In quella provincia, divenuto con tutto l’animo un esemplare del gregge, si diede tutto agl’interessi cattolici con uno zelo che cresceva di giorno in giorno; resistette fortemente a faziosi innovatori, perché con insane opinioni non guastassero il nome cattolico; istruì nella religione il principe Suentopolco che era succeduto a Ratislao; ammonì il medesimo, che non curava il proprio dovere, lo riprese e infine lo punì con l’interdetto da ogni cosa sacra. Per tali motivi si attirò l’odio dell’empio e impurissimo tiranno, dal quale fu cacciato in esilio. Ma richiamato dopo poco tempo, con opportune esortazioni ottenne che il Principe desse segno di ravvedimento e comprendesse il bisogno di riacquistare con un nuovo tenore di vita l’antico comportamento. È poi meraviglioso che la vigilante carità di Metodio, superati i confini della Moravia, come già ai tempi di Cirillo era arrivata ai Croati e ai Serbi, così ora abbracciava gli Ungari, il cui Principe, di nome Cocelo, egli istruì nella religione cattolica e mantenne nella carica; i Bulgari, i quali unitamente al loro re Bogoris confermò nella fede cristiana; i Dalmati, con i quali divideva e ai quali comunicava i celesti carismi, e i Carinzi, per i quali molto operò al fine di condurli alla conoscenza ed al culto dell’unico vero Dio.

    Ma ciò gli procurò dei guai. Infatti, alcuni della nuova comunità cristiana, portando invidia ai fatti preclari e alla virtù di Metodio, intervennero presso Giovanni VIII, successore di Adriano, accusando lui, innocente, di sospetta fede e di violata tradizione dei maggiori, i quali nelle sacre funzioni avevano solitamente usato soltanto la lingua latina o la greca, e nessun’altra. Allora il Pontefice, assai preoccupato dell’integrità della fede e dell’antica disciplina, comandò a Metodio di recarsi a Roma per difendersi e liberarsi delle accuse. Questi, sempre pronto a obbedire e confortato dalla testimonianza della propria coscienza, nell’anno 880, presentatosi dinanzi a Giovanni, ad alcuni Vescovi ed al Clero urbano, facilmente provò che egli aveva sempre professato ed insegnato quella fede che, in presenza di Adriano e con la sua approvazione, aveva dichiarato e confermato con giuramento presso il sepolcro del Principe degli Apostoli. Quanto alla lingua Slava, usata nelle sacre funzioni, lo aveva fatto per giuste ragioni, con il consenso dello stesso Pontefice Adriano, non contraddicendovi le Sacre Scritture. Con tale discorso egli si liberò da ogni sospetto, tanto che il Pontefice subito lo abbracciò, e di buon grado gli conferì la potestà arcivescovile e approvò la sua missione nella Slavonia.

    Inoltre, scelti alcuni Vescovi che dovevano dipendere da Metodio, e della cui opera egli si sarebbe giovato nell’amministrazione delle cose sacre, il Pontefice, munitolo di lettere commendatizie, lo rimandò in Moravia con pieni poteri. Tutte queste cose il Sommo Pontefice volle poi confermare con lettere mandate a Metodio, quando di nuovo egli dovette subire l’invidia dei malevoli.

    Pertanto, sicuro nell’animo, unito con strettissimo vincolo di carità e di fede al Sommo Pontefice e alla Chiesa Romana, Metodio perseverò con sempre maggior impegno ad espletare la missione assegnatagli; né il positivo frutto della sua opera si fece a lungo desiderare. Infatti, avendo dapprima egli stesso condotto alla fede cattolica Borzivoio, Principe dei Boemi, e poscia Ludmilla, sua moglie, con l’aiuto di un sacerdote, in breve ottenne che fra quella gente il nome cristiano si divulgasse assai e per ogni dove.

    Nello stesso tempo si adoperò per introdurre la luce del Vangelo nella Polonia, dove entrò e dove fondò la sede episcopale di Leopoli, dopo avere attraversato la Galizia. Successivamente, come alcuni raccontano, recatosi nella Moscovia propriamente detta, fondò il trono pontificale di Kiev. Con questi allori non certo caduchi, tornò ai suoi in Moravia. Sentendo avvicinarsi la morte, scelse il proprio successore, e dopo avere esortato alla virtù il Clero e il popolo con le ultime raccomandazioni, placidamente uscì da quella vita che per lui era stata la via verso il cielo.

    Come Roma pianse Cirillo, così la Moravia pianse la morte di Metodio; celebrò con dolore la sua perdita e onorò in tutti i modi i suoi funerali.

    Di questi fatti, Venerabili Fratelli, torna a Noi graditissimo il ricordo; Ci commuoviamo non poco quando osserviamo splendidamente iniziata fin da tempi remoti l’unione delle genti Slave con la Chiesa Romana.

    Effettivamente questi due propagatori del nome cristiano, dei quali abbiamo parlato, se ne andarono da Costantinopoli presso popoli pagani, tuttavia fu necessario che la loro missione fosse intieramente comandata da questa Sede Apostolica, centro dell’unità cattolica, o regolarmente e santamente approvata, come fu fatto più volte. Infatti qui, nella città di Roma, essi resero ragione dell’opera intrapresa e risposero alle accuse; qui, presso i sepolcri di Pietro e Paolo effettuarono il giuramento della fede cattolica e ricevettero la consacrazione episcopale, insieme con il potere di costituire la sacra gerarchia, conservando la diversità degli Ordini.

    Infine, qui fu autorizzato l’uso della lingua Slava nei santissimi riti, e quest’anno si compie il decimo secolo dacché Giovanni VIII, Pontefice Massimo, scrisse a Suentopolco, Principe della Moravia, queste parole: "Approviamo giustamente che le lodi dovute a Dio risuonino nella lingua slava, e comandiamo che nella medesima lingua si narrino gli elogi e le opere di Gesù Cristo Signor Nostro. Né alcunché si oppone alla sana fede o alla dottrina, sia che si cantino le messe nella stessa lingua slava, si che si leggano il santo Vangelo o le lezioni divine del Nuovo e Antico Testamento, bene tradotte ed interpretate, e si salmeggi nelle altre ore della ufficiatura". Dopo molte vicende, Benedetto XIV sanzionò tale consuetudine con lettera apostolica del 25 agosto 1754. I Pontefici Romani, poi, tutte le volte che furono richiesti di aiuto dai Principi che comandavano sui popoli convertiti al cristianesimo per opera di Cirillo e Metodio, non permisero mai che si avesse a desiderare la loro benignità nel soccorrere, la loro umanità nell’istruire, la loro benevolenza nel consigliare, la loro buona volontà in tutte le cose che potevano. Fra gli altri, Ratislao, Suentopolco, Cocelo, santa Ludmilla, Bogoris sperimentarono, secondo le circostanze e il tempo, l’insigne carità dei Nostri Predecessori.

    Né con la morte di Cirillo e di Metodio cessò o si indebolì la paterna sollecitudine dei Romani Pontefici per i popoli Slavi, ma sempre rifulse nel tutelare presso di loro la santità della religione e nel conservare la prosperità pubblica. Infatti Nicolò I mandò da Roma, presso i Bulgari, sacerdoti che istruissero il popolo, e i Vescovi di Populonia e di Porto perché ordinassero quella nuova comunità di cristiani. Del pari, a proposito delle frequenti controversie dei Bulgari intorno al diritto sacro diede amorevolissime risposte, nelle quali anche coloro che per nulla sono favorevoli alla Chiesa Romana, lodano ed ammirano la somma prudenza. E dopo la luttuosa calamità dello scisma, è merito di Innocenzo III l’avere riconciliato con la Chiesa Cattolica i Bulgari; e poi di Gregorio IX, di Innocenzo IV, di Nicolò IV, di Eugenio IV di averli mantenuti nella compiuta riconciliazione. Similmente verso i popoli della Bosnia e dell’Erzegovina, ingannati dal contagio di prave opinioni, in modo insigne risplendette la carità dei Nostri Predecessori, cioè di Innocenzo III e di Innocenzo IV, i quali si adoperarono per sradicare l’errore dagli animi; di Gregorio IX, Clemente VI e Pio II, che si adoperarono per fermare stabilmente in quelle regioni i gradi della sacra gerarchia.

    Né si deve credere che Innocenzo III, Nicolò IV, Benedetto XI e Clemente V abbiano rivolto piccola od ultima parte delle loro cure ai Serbi, dai quali tennero provvidissimamente lontane le frodi, escogitate astutamente per contaminarne la religione. Anche i Dalmati e i Liburni, per la costanza nella fede e per l’adempimento dei loro doveri, si meritarono singolare favore e grandi lodi da Giovanni X, Gregorio VII, Gregorio IX e Urbano IV. Infine, nella stessa Chiesa di Srijem, distrutta nel sesto secolo da invasioni barbariche e successivamente ricostruita con amorosa pietà da Santo Stefano I, re dell’Ungheria, sono molti i monumenti della benevolenza di Gregorio IX e di Clemente XIV.

    Pertanto Ci pare doveroso rendere grazie a Dio che Ci ha offerto l’occasione opportuna di far cosa gradita alla gente Slava e di esserle utile certamente con non minore premura di quella che mostrarono in ogni tempo i Nostri Predecessori. A questo Noi miriamo, questo desideriamo unicamente: di adoperarci in ogni modo affinché tutte le genti Slave vengano istruite dal maggior numero di Vescovi e di Sacerdoti; affinché si confermino nella professione della vera fede, nell’obbedienza alla vera Chiesa di Gesù Cristo e ogni giorno di più sentano per esperienza quanta ricchezza di beni ridondino dalle istituzioni della Chiesa Cattolica sulla società domestica e su tutti gli ordini della cosa pubblica.

    Quelle Chiese certamente esigono gran parte delle Nostre cure; né vi è cosa che più desideriamo quanto il provvedere alla loro comodità e alla loro prosperità, a unirle tutte a Noi con quel perpetuo legame di concordia che è il massimo e migliore vincolo di salute. Resta che Iddio, ricco di tutte le misericordie, arrida ai Nostri propositi e assecondi quanto abbiamo intrapreso. Frattanto Noi poniamo quali intercessori presso di Lui Cirillo e Metodio, maestri della Slavonia, dei quali, come vogliamo amplificarne il culto, così confidiamo non Ci mancherà il patrocinio celeste.

    Pertanto ordiniamo che il 5 luglio, giorno stabilito da Pio IX di felice memoria, sia inserita nel Calendario Romano e della Chiesa universale e si faccia ogni anno la festa dei santi Cirillo e Metodio con Officio e Messa propria, di rito doppio minore, come venne approvato dalla Sacra Congregazione dei Riti.

    A Voi tutti poi, Venerabili Fratelli, ordiniamo che curiate la pubblicazione di questa Nostra Lettera e comandiate che le cose in essa prescritte siano osservate da tutti i sacri ministri che celebrano l’Ufficio divino della Chiesa Romana, ciascuno nelle proprie chiese, province, città, diocesi e case dei Regolari. Infine vogliamo che per Vostra esortazione e Vostro consiglio, in tutto il mondo si preghino Cirillo e Metodio, perché con quel favore di cui godono presso Dio, in tutto l’Oriente tutelino gli interessi cristiani, implorando costanza per i cattolici e il proposito di riconciliarsi con la vera Chiesa per i dissidenti.

    Queste cose, come furono sopra scritte, così comandiamo siano stabili e ferme, nonostante le Costituzioni apostoliche emanate dal Pontefice San Pio V, Nostro Predecessore, e da altri sulla riforma del Breviario e del Messale romano, e nonostante gli statuti e le consuetudini, anche immemorabili, e ogni altra cosa contraria.

    Auspice dei doni celesti e pegno della Nostra particolare benevolenza, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, e a tutto il Clero e al popolo affidato ad ognuno di Voi, impartiamo con tutto l’affetto nel Signore la Benedizione Apostolica.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 settembre 1880, anno terzo del Nostro Pontificato.

    LEONE PP. XIII


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    GIOVANNI PAOLO II

    EPISTOLA ENCICLICA

    SLAVORUM APOSTOLI

    AI VESCOVI, AI SACERDOTI,
    ALLE FAMIGLIE RELIGIOSE,
    A TUTTI I FEDELI CRISTIANI
    NEL RICORDO DELL'OPERA
    EVANGELIZZATRICE DEI
    SANTI CIRILLO E METODIO
    DOPO UNDICI SECOLI


    CAPITOLO I

    INTRODUZIONE


    1. GLI APOSTOLI DEGLI SLAVI, i santi Cirillo e Metodio, rimangono nella memoria della Chiesa insieme alla grande opera di evangelizzazione che hanno realizzato. Si può anzi affermare che il loro ricordo si è fatto particolarmente vivo ed attuale ai nostri giorni.

    Considerando la venerazione piena di gratitudine, della quale i santi Fratelli di Salonicco (l'antica Tessalonica) godono da secoli, specialmente tra le Nazioni slave, e memore dell'inestimabile contributo da loro dato all'opera, dell'annuncio del Vangelo fra quelle genti e, al tempo stesso, alla causa della riconciliazione, dell'amichevole convivenza, dello sviluppo umano e del rispetto dell'intrinseca dignità di ogni Nazione, con la Lettera Apostolica Egregiae virtutis in data 31 dicembre 1980 proclamai i santi Cirillo e Metodio compatroni d'Europa. Ripresi in tal modo la linea tracciata dai miei Predecessori e, segnatamente, da Leone XIII, il quale oltre cento anni fa, il 30 settembre 1880, estese a tutta la Chiesa il culto dei due Santi con l'Epistola enciclica Grande munus, e da Paolo VI, che, con la Lettera Apostolica Pacis nuntius del 24 ottobre 1964, proclamò san Benedetto patrono d'Europa.

    2. Il Documento di cinque anni fa mirava a ravvivare la consapevolezza di questi atti solenni della Chiesa ed intendeva richiamare l'attenzione dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, ai quali stanno a cuore il bene, la concordia e l'unità dell'Europa, all'attualità sempre viva delle eminenti figure di Benedetto, di Cirillo e di Metodio, come concreti modelli e sostegni spirituali per i cristiani della nostra età e, specialmente, per le Nazioni del continente europeo, le quali, già da tempo, soprattutto grazie alla preghiera e all'opera di questi Santi, si sono radicate consapevolmente ed originalmente nella Chiesa e nella tradizione cristiana.

    La pubblicazione della citata mia Lettera Apostolica nel 1980, dettata dalla ferma speranza di un graduale superamento in Europa e nel mondo di tutto ciò che divide le Chiese, le Nazioni, i popoli si collegava a tre circostanze, che costituirono l'oggetto della mia preghiera e riflessione. La prima fu l'XI centenario della Lettera pontificia Industriae tuae, con la quale Giovanni VIII nell'anno 880 approvò l'uso della lingua slava nella liturgia tradotta dai due santi Fratelli. La seconda era rappresentata dal primo centenario della citata Epistola enciclica Grande munus. La terza fu l'inizio, proprio nell'anno 1980, del felice e promettente dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse nell'isola di Patmos.

    3. Nel presente documento desidero fare riferimento in particolare all'Epistola, con la quale papa Leone XIII volle ricordare alla Chiesa e al mondo i meriti apostolici dei entrambi i Fratelli: non solo di Metodio, il quale, secondo la tradizione, concluse la sua vita nell'anno 885 a Velehrad nella Grande Moravia, ma anche di Cirillo che la morte separò dal fratello già nell'869 a Roma, la città che ne accolse e ne custodisce tuttora con commossa venerazione le reliquie nell'antica Basilica di san Clemente.

    Ricordando la santa vita ed i meriti apostolici dei due Fratelli di Salonicco, papa Leone XIII fissò la loro festa liturgica al 7 luglio. Dopo il Concilio Vaticano II, a seguito della riforma liturgica, la festa fu trasferita al 14 febbraio, data che dal punto di vista storico segna la nascita al Cielo di san Cirillo.

    Ad oltre un secolo dalla pubblicazione dell'Epistola leoniana le nuove circostanze, in cui viene a cadere l'undicesima ricorrenza centenaria della beata morte di san Metodio, inducono a dare rinnovata espressione alla memoria che la Chiesa conserva di questo importante anniversario. Ed a ciò si sente particolarmente obbligato il primo papa chiamato alla sede di san Pietro dalla Polonia e, dunque, dal mezzo delle Nazioni slave.

    Gli eventi dell'ultimo secolo e, specialmente, degli ultimi decenni hanno contribuito a ravvivare nella Chiesa, col ricordo religioso, l'interesse storico-culturale per i due santi Fratelli, i cui speciali carismi sono divenuti ancor meglio intelligibili alla luce delle situazioni e delle esperienze proprie della nostra epoca. A ciò hanno concorso molti avvenimenti che appartengono, quali autentici segni dei tempi, alla storia del XX secolo e, prima di tutto, quel grande evento che si è verificato nella vita della Chiesa mediante il Concilio Vaticano II. Alla luce del magistero e dell'indirizzo pastorale di quel Concilio, noi possiamo riguardare in un modo nuovo - più maturo e profondo - queste due sante Figure, dalle quali ci separano ormai undici secoli, e leggere, altresì, nella loro vita e attività apostolica i contenuti che la sapiente Provvidenza divina vi inscrisse, affinché si svelassero in una nuova pienezza nella nostra epoca e portassero nuovi frutti.

    CAPITOLO II

    CENNI BIOGRAFICI


    4. Seguendo l'esempio offerto dall'Epistola Grande munus , desidero ricordare la vita di san Metodio, senza per questo trascurare la vicenda, che tanto strettamente le è unita, del fratello san Cirillo. Ciò farò a grandi linee, lasciando alla ricerca storica le precisazioni e le discussioni intorno ai singoli punti.

    La città, che vide nascere i due santi Fratelli, è l'attuale Salonicco, che nel secolo IX costituiva un importante centro di vita commerciale e politica dell'Impero bizantino cd occupava un posto di notevole rilievo nella vita intellettuale e sociale di quella regione dei Balcani. Essendo situata al confine dei territori slavi, essa aveva certamente anche un nome slavo: Solun.

    Metodio era il fratello maggiore e verosimilmente il suo nome di battesimo era Michele. Egli nacque tra gli anni 815 e 820. Minore d'età, Costantino, in seguito meglio conosciuto col nome religioso di Cirillo, venne al mondo nell'anno 827 o 828. Il padre era un alto funzionario dell'amministrazione imperiale. Le condizioni sociali della famiglia schiudevano ai due Fratelli una carriera simile, che del resto Metodio intraprese, raggiungendo la carica di arconte, ossia di preposto in una delle province di frontiera, nella quale vivevano molti Slavi. Tuttavia, già verso l'anno 840 egli la interruppe per ritirarsi in uno dei monasteri ai piedi del monte Olimpo in Bitinia, noto allora col nome di Sacra Montagna.

    Il fratello Cirillo seguì con particolare profitto gli studi a Bisanzio, dove ricevette gli ordini sacri, dopo avere decisamente rifiutato una brillante affermazione politica. Per le eccezionali doti e conoscenze culturali e religiose egli si vide affidare ancor giovane delicate mansioni ecclesiastiche, come quella di bibliotecario dell'archivio annesso alla grande Chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli e, nel contempo, l'incarico prestigioso di segretario del Patriarca di quella stessa città. Ben presto, però, mostrò di volersi esimere da tali uffici, per dedicarsi agli studi e alla vita contemplativa, fuori da ogni mira ambiziosa. Così si rifugiò nascostamente in un monastero sulle coste del Mar Nero. Ritrovato, dopo sei mesi, venne convinto ad accettare l'insegnamento delle discipline filosofiche presso la Scuola superiore di Costantinopoli, guadagnandosi per l'eccellenza del sapere l'epiteto di Filosofo, con cui è tuttora conosciuto. Più tardi fu inviato dall'imperatore e dal Patriarca in missione presso i Saraceni. Portato a termine tale incarico, si ritirò dalla vita pubblica per raggiungere il fratello maggiore Metodio e condividere con lui la vita monastica. Ma nuovamente, insieme con lui, fu incluso in una delegazione bizantina inviata presso i Khazari, in qualità di esperto religioso e culturale. Durante la permanenza in Crimea presso Cherson, essi credettero di individuare la chiesa in cui anticamente era stato sepolto san Clemente, papa romano e martire, già esiliato in quelle lontane regioni, e ne recuperarono e portarono con sé le reliquie, che accompagnarono poi i due santi Fratelli nel successivo viaggio missionario verso Occidente, fino al momento in cui essi poterono deporle solennemente a Roma, consegnandole al papa Adriano II.

    5. L'evento, che doveva decidere di tutto il corso ulteriore della loro vita, fu la richiesta rivolta dal principe Rastislav della Grande Moravia all'imperatore Michele III, di inviare ai suoi popoli «un Vescovo e maestro... che fosse in grado di spiegare loro la vera fede Cristiana nella loro lingua».

    Furono scelti i santi Cirillo e Metodio, i quali prontamente accettarono, poi si misero in viaggio e giunsero nella Grande Moravia - uno Stato comprendente allora diverse popolazioni slave dell'Europa centrale, al crocevia dei reciproci influssi tra Oriente e Occidente - probabilmente già nell'anno 863, intraprendendo tra quei popoli quella missione, alla quale dedicarono entrambi tutto il resto della vita, trascorso tra viaggi, privazioni, sofferenze, ostilità e persecuzioni, che per Metodio giunsero sino ad una crudele prigionia. Tutto essi sopportarono con forte fede ed invincibile speranza in Dio. Si erano, infatti, ben preparati al compito loro affidato: recavano con sé i testi della Sacra Scrittura indispensabili alla celebrazione della sacra liturgia, preparati e tradotti da loro in lingua paleoslava e scritti in un nuovo alfabeto, elaborato da Costantino Filosofo e perfettamente adatto ai suoni di tale lingua. L'attività missionaria dei due Fratelli fu accompagnata da un successo notevole, ma anche dalle comprensibili difficoltà che la precedente, iniziale cristianizzazione, condotta dalle Chiese latine limitrofe, poneva ai nuovi missionari.

    Dopo circa tre anni, nel viaggio verso Roma, essi si soffermarono in Pannonia, dove il principe slavo Kocel fuggito dall'importante centro civile e religioso di Nitra offrì loro un'ospitale accoglienza. Da qui, dopo alcuni mesi, ripresero il cammino alla volta di Roma insieme con i loro discepoli, per i quali desideravano ottenere gli ordini sacri. Il loro itinerario passava per Venezia, dove vennero sottoposte a pubblica discussione le premesse innovatrici della missione che stavano svolgendo. A Roma il papa Adriano II, succeduto nel frattempo a Nicola I, li accolse molto benevolmente. Egli approvò i libri liturgici slavi, che ordinò di deporre solennemente sull'altare nella chiesa di Santa Maria ad Praesepe, oggi detta Santa Maria Maggiore, e raccomandò di ordinare Sacerdoti i loro discepoli. Questa fase delle loro fatiche si concluse in modo quanto mai favorevole. Metodio dovette, però, riprendere la tappa successiva da solo, perché il suo fratello minore, gravemente ammalato, fece appena in tempo ad emettere i voti religiosi e a rivestire l'abito monastico, poiché morì poco dopo, il 14 febbraio 869, a Roma .

    6. San Metodio rimase fedele alle parole, che Cirillo gli aveva detto sul letto di morte: «Ecco, fratello, condividevamo la stessa sorte, premendo l'aratro sullo stesso solco; io ora cado sul campo al concludersi della mia giornata. Tu ami molto - lo so - la tua Montagna; tuttavia, per la Montagna non abbandonare la tua azione di insegnamento. Dove in verità puoi meglio salvarti?».

    Consacrato vescovo per il territorio dell'antica diocesi di Pannonia, nominato legato pontificio «ad gentes» (per le genti slave), egli assunse il titolo ecclesiastico della ristabilita sede vescovile di Sirmio. L'attività apostolica di Metodio, però, fu interrotta in seguito a complicazioni politico-religiose, che culminarono con la sua carcerazione per due anni, sotto l'accusa di aver invaso una giurisdizione episcopale altrui. Venne liberato solo dietro personale intervento del papa Giovanni VIII. Anche il nuovo sovrano della Grande Moravia, il principe Svatopluk, alla fine si mostrò contrario all'opera di Metodio, opponendosi alla liturgia slava ed insinuando a Roma dubbi sull'ortodossia del nuovo arcivescovo. Nell'anno 880 Metodio fu convocato ad limina Apostolorum, per presentare ancora una volta tutta la questione personalmente a Giovanni VIII. Nell'Urbe, assolto da tutte le accuse, egli ottenne dal papa la pubblicazione della bolla Industriae tuae, che, almeno nella sostanza, restituiva le prerogative riconosciute alla liturgia in lingua slava dal predecessore Adriano II.

    Analogo riconoscimento di perfetta legittimità ed ortodossia Metodio ebbe anche da parte dell'imperatore bizantino e del patriarca Fozio, in quel tempo in piena comunione con Roma, quando nell'anno 881 o 882 si recò a Costantinopoli. Egli dedicò gli ultimi anni della vita soprattutto ad ulteriori traduzioni della Sacra Scrittura e dei libri liturgici, delle opere dei Padri della Chiesa ed anche della raccolta delle leggi ecclesiastiche e civili bizantine, detta Nomocanone. Preoccupato per la sopravvivenza dell'opera che aveva iniziato, designò come proprio successore il discepolo Gorazd. Morì il 6 aprile 885 al servizio della Chiesa instaurata tra i popoli slavi.

    7. L'azione lungimirante, la dottrina profonda ed ortodossa, l'equilibrio, la lealtà, lo zelo apostolico, la magnanimità intrepida gli guadagnarono il riconoscimento e la fiducia di Pontefici Romani, di Patriarchi Costantinopolitani, di Imperatori bizantini e di diversi Prìncipi dei nuovi popoli slavi. Perciò, Metodio divenne la guida e il legittimo pastore della Chiesa. che in quell'epoca si radicava in mezzo a quelle Nazioni, ed è unanimamente venerato, insieme col fratello Costantino, quale annunciatore del Vangelo e maestro «da parte di Dio e del santo apostolo Pietro» e come fondamento della piena unità tra le Chiese di recente fondazione e le Chiese più antiche.

    Per questo, «uomini e donne, umili e potenti, ricchi e poveri, liberi e servi, vedove ed orfani, stranieri e gente del luogo, sani e malati»l ' costituivano la folla che tra le lacrime ed i canti accompagnava al luogo della sepoltura il buon maestro e pastore, che si era fatto «tutto a tutti per salvare tutti».

    A dire il vero, L'opera dei santi Fratelli, dopo la morte di Metodio, subì una grave crisi, e la persecuzione contro i suoi discepoli si acuì talmente, che questi furono costretti ad abbandonare il proprio campo missionario. Ciononostante, la loro seminagione evangelica non cessò di produrre frutti e il loro atteggiamento pastorale, preoccupato di portare la verità rivelata a popoli nuovi - rispettandone l'originalità culturale -, rimane un modello vivo per la Chiesa e per i missionari di tutti i tempi.

    CAPITOLO III

    ARALDI DEL VANGELO


    8. Bizantini di cultura, i fratelli Cirillo e Metodio seppero farsi apostoli degli Slavi nel pieno senso della parola. La separazione dalla patria che Dio talvolta esige dagli uomini eletti, accettata per la fede nella sua promessa, è sempre una misteriosa e fertile condizione per lo sviluppo e la crescita del Popolo di Dio sulla terra. Il Signore disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione».

    Durante la visione notturna che san Paolo ebbe a Troade nell'Asia Minore, un Macedone, dunque un abitante del continente europeo, si presentò davanti a lui e lo implorò di recarsi in viaggio nel suo paese per annunziarvi la Parola di Dio: «Passa in Macedonia e aiutaci».

    La divina Provvidenza, che per i due santi Fratelli si espresse con la voce e l'autorità dell'imperatore di Bisanzio e del Patriarca della Chiesa di Costantinopoli, indirizzò loro un'esortazione simile, allorché chiese ad essi di recarsi in missione tra gli Slavi. Tale incarico significava per loro abbandonare non solo un posto di onore, ma anche la vita contemplativa; significava uscire dall'àmbito dell'impero bizantino ed intraprendere un lungo pellegrinaggio al servizio del Vangelo, tra popoli che, sotto molti aspetti, restavano lontani da un sistema di convivenza civile basato sull'avanzata organizzazione dello Stato e la raffinata cultura di Bisanzio permeata di princìpi cristiani. Analoga domanda rivolse a tre riprese a Metodio il Pontefice Romano, quando lo inviò come vescovo tra gli Slavi della Grande Moravia, nelle regioni ecclesiastiche dell'antica diocesi di Pannonia.

    9. La Vita slava di Metodio presenta con queste parole la richiesta, rivolta dal principe Rastislav all'imperatore Michele III per il tramite dei suoi inviati: «Sono giunti da noi numerosi maestri cristiani dall'Italia, dalla Grecia e dalla Germania, che ci istruiscono in diversi modi. Ma noi Slavi... non abbiamo nessuno che ci indirizzi verso la verità e ci istruisca in modo comprensibile». È allora che Costantino e Metodio furono invitati a partire. La loro risposta profondamente cristiana all'invito, in questa circostanza e in tutte le occasioni simili, è mirabilmente espressa dalle parole indirizzate da Costantino all'imperatore: «Per quanto stanco e fisicamente provato, io andrò con gioia in quel paese»; «con gioia io parto per la fede cristiana».

    La verità è la forza del loro mandato missionario nascevano dal profondo del mistero della Redenzione, e la loro opera evangelizzatrice tra i popoli slavi doveva costituire un importante anello nella missione affidata dal Salvatore fino alla fine dei tempi alla Chiesa universale. Essa fu adempimento - nel tempo e nelle circostanze concrete - delle parole di Cristo, il quale nella potenza della sua Croce e della sua Risurrezione ordinò agli apostoli: «Predicate il Vangelo a ogni creatura»; «andando ammaestrate tutte le nazioni». Così facendo, gli evangelizzatori e maestri dei popoli slavi si lasciarono guidare dall'ideale apostolico di san Paolo: «Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».

    Accanto ad un grande rispetto per le persone e alla sollecitudine disinteressata per il loro vero bene, i due santi Fratelli ebbero adeguate risorse di energia, di prudenza, di zelo e di carità, indispensabili per portare ai futuri credenti la luce, e per indicare loro, al tempo stesso, il bene, offrendo un concreto aiuto per raggiungerlo. A tale scopo desiderarono diventare simili sotto ogni aspetto a coloro ai quali recavano il Vangelo; vollero diventare parte di quei popoli e condividerne in tutto la sorte.

    10. Proprio per tale motivo trovarono naturale prendere una chiara posizione in tutti i conflitti, che allora turbavano le società slave in via di organizzazione, assumendone come proprie le difficoltà e i problemi, inevitabili per dei popoli che difendevano la propria identità sotto la pressione militare e culturale del nuovo Impero romano-germanico, e tentavano di respingere quelle forme di vita che avvertivano come estranee. Era anche l'inizio di più ampie divergenze, destinate malauguratamente ad accentuarsi, tra la cristianità orientale e quella occidentale, ed i due santi missionari vi si trovarono personalmente coinvolti; ma seppero mantenere sempre un'ineccepibile ortodossia ed una coerente attenzione sia al deposito della tradizione che alle novità di vita, proprie dei popoli evangelizzati. Spesso le situazioni di contrasto si imposero in tutta la loro ambigua e dolorosa complessità; non per questo Costantino e Metodio tentarono di sottrarsi alla prova: l'incomprensione, l'aperta malafede e perfino, per san Metodio, le catene, accettate per amore di Cristo, non fecero deflettere né l'uno né l'altro dal tenace proposito di giovare e di servire al bene delle genti slave e all'unità della Chiesa universale. Fu questo il prezzo che dovettero pagare per la diffusione del Vangelo, per l'impresa missionaria, per la coraggiosa ricerca di nuove forme di vita e di vie efficaci per far giungere la Buona Novella alle Nazioni slave che si stavano formando.

    Nella prospettiva dell'evangelizzazione - come indicano le loro biografie - i due santi Fratelli si volsero al difficile compito di tradurre i testi della Sacra Scrittura, noti loro in greco, nella lingua di quella stirpe slava che si era stabilita fino ai confini della loro regione e della loro città natale. Avvalendosi della loro padronanza nella lingua greca e della propria cultura per quest'opera ardua e singolare, si prefissero di comprendere e di penetrare la lingua, le usanze e le tradizioni proprie delle genti slave, interpretandone fedelmente le aspirazioni ed i valori umani che in esse sussistevano e si esprimevano.

    11. Per tradurre le verità evangeliche in una lingua nuova, essi dovettero preoccuparsi di conoscere bene il mondo interiore di coloro, ai quali avevano intenzione di annunciare la Parola di Dio con immagini e concetti che suonassero loro familiari. Innestare correttamente le nozioni della Bibbia e i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze storiche e di pensieri molto diversi, apparve loro una condizione indispensabile per la riuscita dell'attività missionaria. Si trattava di un nuovo metodo di catechesi. Per difenderne la legittimità e dimostrarne la bontà, san Metodio non esitò, prima insieme col fratello e poi da solo, ad accogliere docilmente gli inviti a Roma, ricevuti sia nell'867 dal papa Nicola I, sia nell'anno 879 del papa Giovanni VIII, i quali vollero confrontare la dottrina che essi insegnavano nella Grande Moravia con quella lasciata, insieme col trofeo glorioso delle loro reliquie, dai santi apostoli Pietro e Paolo alla prima Cattedra episcopale della Chiesa.

    In precedenza, Costantino ed i suoi collaboratori si erano preoccupati di creare un nuovo alfabeto, perché le verità da annunciare e da spiegare potessero essere scritte nella lingua slava e risultassero in tal modo pienamente comprensibili ed assimilabili dai loro destinatari. Fu uno sforzo veramente degno dello spirito missionario quello di apprendere la lingua e la mentalità dei popoli nuovi, ai quali portare la fede, come fu esemplare la determinazione nell'assimilarle e nell'assumere in proprio tutte le esigenze ed attese dei popoli slavi. La scelta generosa di identificarsi con la stessa loro vita e tradizione, dopo averle purificate ed illuminate con la rivelazione, rende Cirillo e Metodio veri modelli per tutti i missionari, che nelle varie epoche hanno accolto l'invito di san Paolo di farsi tutto a tutti per riscattare tutti e, in particolare, per i missionari che, dall'antichità ai tempi moderni - dall'Europa all'Asia ed oggi in tutti i continenti - hanno lavorato per tradurre nelle lingue vive dei vari popoli la Bibbia ed i testi liturgici, al fine di fare in esse risonare l'unica Parola di Dio, resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie di ciascuna civiltà.

    La perfetta comunione nell'amore preserva la Chiesa da qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica. Tale comunione deve elevare e sublimare ogni legittimo sentimento puramente naturale del cuore umano.

    CAPITOLO IV

    IMPIANTARONO LA CHIESA Dl DIO


    12. Ma la caratteristica, che desidero in maniera speciale sottolineare nella condotta tenuta dagli apostoli degli Slavi, Cirillo e Metodio, è il loro modo pacifico di edificare la Chiesa, guidati dalla loro visione della Chiesa una, santa ed universale.

    Anche se i cristiani slavi, più degli altri, sentono volentieri i santi Fratelli come «Slavi di cuore», questi tuttavia restano uomini di cultura ellenica e di formazione bizantina, uomini cioè in tutto appartenenti alla tradizione dell'Oriente cristiano, sia civile che ecclesiastico.

    Già ai loro tempi le differenze tra Costantinopoli e Roma avevano cominciato a profilarsi come pretesti di disunione, anche se la deplorevole scissione tra le due parti della stessa cristianità era ancora lontana. Gli evangelizzatori e maestri degli Slavi si avviarono alla volta della Grande Moravia, compresi di tutta la ricchezza della tradizione e dell'esperienza religiosa che caratterizzava il cristianesimo orientale e che trovava un peculiare riflesso nell'insegnamento teologico e nella celebrazione della sacra liturgia.

    Per quanto ormai da tempo tutti gli uffici sacri si celebrassero in greco in tutte le Chiese comprese nei confini dell'impero bizantino, le tradizioni proprie di molte Chiese nazionali d'Oriente - quali la Georgiana e la Siriaca -, che nel servizio divino usavano la lingua del loro popolo, erano ben note alla cultura superiore di Costantinopoli e, specialmente, a Costantino Filosofo grazie agli studi e ai ripetuti contatti che aveva avuto con cristiani di quelle Chiese sia nella capitale che nel corso dei suoi viaggi.

    Entrambi i Fratelli, consapevoli dell'antichità e della legittimità di queste sacre tradizioni, non ebbero dunque timore di usare la lingua slava per la liturgia, facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua. Ciò fecero con coscienza aliena da ogni spirito di superiorità o di dominio, per amore di giustizia e con evidente zelo apostolico verso popoli che si stavano sviluppando.

    Il cristianesimo occidentale, dopo le migrazioni dei popoli nuovi, aveva amalgamato i gruppi etnici sopraggiunti con le popolazioni latine residenti, estendendo a tutti, nell'intento di unirli, la lingua, la liturgia e la cultura latina, trasmesse dalla Chiesa di Roma. Dall'uniformità così raggiunta derivava a società relativamente giovani ed in piena espansione un sentimento di forza e di compattezza, che contribuiva sia ad una loro più stretta unione, sia ad una loro più energica affermazione in Europa. Si può capire come in tale situazione ogni diversità venisse talvolta intesa come minaccia ad un'unità ancora in fieri, e come potesse diventare grande la tentazione di eliminarla, ricorrendo anche a forme di coercizione.

    13. Appare a questo punto singolare ed ammirevole come i santi Fratelli, operando in situazioni tanto complesse e precarie, non tendessero ad imporre ai popoli assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più progredita, in cui essi erano cresciuti e che necessariamente restavano per loro familiari e cari. Mossi dall'ideale di unire in Cristo i nuovi credenti, essi adattarono alla lingua slava i testi ricchi e raffinati della liturgia bizantina, ed adeguarono alla mentalità ed alle consuetudini dei nuovi popoli le elaborazioni sottili e complesse del diritto greco-romano. Seguendo il medesimo programma di concordia e di pace, rispettarono in ogni momento gli obblighi della loro missione, tenendo conto delle tradizionali prerogative e dei diritti ecclesiastici fissati dai canoni conciliari, cosicché credettero loro dovere - essi sudditi dell'impero d'Oriente e fedeli soggetti al Patriarcato di Costantinopoli - di rendere conto al Romano Pontefice del loro operato missionario e di sottoporre al suo giudizio, per ottenerne l'approvazione, la dottrina che professavano ed insegnavano, i libri liturgici composti in lingua slava e i metodi adottati nell'evangelizzazione di quei popoli.

    Avendo intrapreso la loro missione per mandato di Costantinopoli, essi cercarono poi, in un certo senso, che fosse confermata volgendosi alla Sede Apostolica di Roma, centro visibile dell'unità della Chiesa. Essi così edificarono la Chiesa mossi dal senso della sua universalità come Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Questo risulta nella forma più trasparente ed esplicita da tutto il loro comportamento. Si può dire che l'invocazione di Gesù nella preghiera sacerdotale - ut unum sint - rappresenti la loro divisa missionaria secondo le parole del Salmista: «Lodate il Signore, tutte le genti, e lodatelo, popoli tutti». Per noi uomini di oggi il loro apostolato possiede anche l'eloquenza di un appello ecumenico: è un invito a riedificare, nella pace della riconciliazione, l'unità che è stata gravemente incrinata dopo i tempi dei santi Cirillo e Metodio e, in primissimo luogo, l'unità tra Oriente ed Occidente.

    La convinzione dei santi Fratelli di Salonicco, secondo cui ogni Chiesa locale è chiamata ad arricchire con i propri doni il «pleroma» cattolico, era in perfetta armonia con la loro intuizione evangelica che le diverse condizioni di vita delle singole Chiese cristiane non possono mai giustificare dissonanze, discordie, lacerazioni nella professione dell'unica fede e nella pratica della carità.

    14. Si sa che, secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, «per movimento ecumenico" si intendono le attività e le iniziative che. a seconda delle varie necessità della Chiesa e l'opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani». Pertanto, non sembra per nulla anacronistico vedere nei santi Cirillo e Metodio gli autentici precursori dell'ecumenismo, per aver voluto efficacemente eliminare o diminuire ogni divisione vera o anche solo apparente tra le singole Comunità, appartenenti alla stessa Chiesa. Infatti, la divisione, che purtroppo avvenne nella storia della Chiesa e sfortunatamente ancora perdura, «non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura».

    La fervente sollecitudine dimostrata da entrambi i Fratelli e, specialmente, da Metodio, in ragione della sua responsabilità episcopale, nel conservare l'unità della fede e dell'amore tra le Chiese, delle quali erano membri, e cioè la Chiesa di Costantinopoli e la Chiesa Romana, da una parte, e le Chiese nascenti nelle terre slave, dall'altra, fu e resterà sempre il loro grande merito. Questo è tanto maggiore, se si tiene presente che la loro missione si svolge negli anni 863-885, dunque negli anni critici, in cui emersero e cominciarono ad approfondirsi il fatale dissidio e l'aspra controversia tra le Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. La divisione si accentuò per la questione dell'appartenenza canonica della Bulgaria, che proprio allora aveva accettato ufficialmente il cristianesimo.

    In questo periodo burrascoso, segnato anche da conflitti armati tra popoli cristiani confinanti, i santi Fratelli di Salonicco conservarono una fedeltà ferma e piena di vigilanza alla retta dottrina e alla tradizione della Chiesa perfettamente unita e, in particolare, alle «istituzioni divine» e alle «istituzioni ecclesiastiche», sulle quali. secondo i canoni degli antichi Concili, poggiavano la sua struttura e la sua organizzazione. Questa fedeltà permise loro di portare a termine i grandi compiti missionari e di rimanere in piena unità spirituale e canonica con la Chiesa Romana, con la Chiesa di Costantinopoli e con le nuove Chiese, da essi fondate fra i popoli slavi.

    15. Metodio specialmente non esitava a far fronte alle incomprensioni, ai contrasti e, persino, alle diffamazioni e persecuzioni fisiche, pur di non mancare alla sua esemplare fedeltà ecclesiale, pur di tener fede ai propri doveri di cristiano e di vescovo e di agli impegni assunti nei riguardi della Chiesa di Bisanzio, che l'aveva generato ed inviato come missionario insieme a Cirillo; nei riguardi della Chiesa di Roma, grazie alla quale adempiva il suo incarico di arcivescovo pro fide nel «territorio di san Pietro»; come pure nei riguardi di quella Chiesa nascente nelle terre slave, che egli accettò come propria e che seppe difendere - convinto del giusto diritto - davanti alle autorità ecclesiastiche e civili, tutelando particolarmente la liturgia in lingua paleoslava e i fondamentali diritti propri delle Chiese nelle diverse Nazioni.

    Facendo così, egli ricorreva sempre, come Costantino Filosofo, al dialogo con coloro che erano contrari alle sue idee o alle sue iniziative pastorali e mettevano in dubbio la loro legittimità. In questo modo rimarrà per sempre maestro per tutti coloro che, in qualsiasi tempo, cercano di attenuare i dissidi rispettando la pienezza multiforme della Chiesa, la quale, conformemente alla volontà del suo fondatore Gesù Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica ed apostolica: tale consegna trovò piena risonanza nel Simbolo dei 150 padri del II Concilio ecumenico di Costantinopoli, che costituisce l'intangibile professione di fede di tutti i cristiani.

    CAPITOLO V

    SENSO CATTOLICO DELLA CHIESA


    16. Non è soltanto il contenuto evangelico della dottrina annunciata dai santi Cirillo e Metodio, che merita una particolare accentuazione. Molto espressivo ed istruttivo per la Chiesa d'oggi e anche il metodo catechetico e pastorale, che essi applicarono nella loro attività apostolica tra popoli che non avevano ancora sentito celebrare i divini Misteri nella loro lingua natìa, né avevano ancora udito annunciare la parola di Dio in modo pienamente conforme alla propria mentalità e nel rispetto delle concrete condizioni di vita, loro proprie.

    Sappiamo che il Concilio Vaticano II, vent'anni fa, ebbe come compitò precipuo quello di risvegliare l'autocoscienza della Chiesa e, mediante il suo rinnovamento interiore, di imprimerle un nuovo impulso missionario in ordine all'annuncio dell'eterno messaggio di salvezza, di pace e di reciproca concordia tra i popoli e le Nazioni, al di là di tutte le frontiere che ancora dividono il nostro pianeta, destinato, per volontà di Dio creatore e redentore, ad essere dimora comune per l'intera umanità. Le minacce, che ai nostri tempi si accumulano sopra di esso, non possono far dimenticare la profetica intuizione di papa Giovanni XXIII, che convocò il Concilio nell'intento e nella convinzione che esso sarebbe stato in grado di preparare e di avviare un periodo di primavera e di rinascita nella vita della Chiesa.

    E, in tema di universalità, lo stesso Concilio, tra l'altro, così si è espresso:

    «A formare il nuovo Popolo di Dio sono chiamati tutti gli uomini. Perciò, questo Popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo ed a tutti i secoli, affinché si adempia il proposito della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una, e volle alla fine radunare insieme i suoi figli che erano dispersi (cfr. Cv 1 1, 52)... La Chiesa, cioè il Popolo di Dio, inaugurando questo Regno, nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie le capacità e le risorse e le consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e le eleva... Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è un dono dello stesso Signore... In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti ed a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti s'accrescono comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per la pienezza nell'unità».

    17. Possiamo tranquillamente affermare che una tale visione, tradizionale ed insieme estremamente attuale, della cattolicità della Chiesa - sentita come una sinfonia delle varie liturgie in tutte le lingue del mondo, unite in un'unica liturgia, o come un coro armonioso che, sostenuto dalle voci di sterminate moltitudini di uomini, si leva secondo innumerevoli modulazioni, timbri ed intrecci per la lode di Dio da ogni punto del nostro globo, in ogni momento della storia -, corrisponde in modo particolare alla visione teologica e pastorale, che ispirò l'opera apostolica e missionaria di Costantino Filosofo e di Metodio e ne sostenne la missione tra le Nazioni slave.

    A Venezia, davanti ai rappresentanti della cultura ecclesiastica, che essendo attaccati ad un concetto piuttosto angusto della realtà ecclesiale, erano contrari a questa visione, san Cirillo la difese con coraggio, indicando il fatto che molti popoli avevano già introdotto in passato e possedevano una liturgia scritta e celebrata nella propria lingua, come «gli Armeni, i Persiani, gli Abasgi, i Georgiani, i Sugdi, i Goti, gli Avari, i Tirsi, i Khazari, gli Arabi, i Copti, i Siriani e molti altri».

    Ricordando che Dio fa sorgere il suo sole e fa cadere la pioggia su tutti gli uomini senza eccezione, egli diceva: «Non respiriamo forse tutti l'aria nel medesimo modo? E voi non vi vergognate di stabilire tre sole lingue (l'ebraico, il greco e il latino) decidendo che tutti gli altri popoli e stirpi restino ciechi e sordi! Ditemi: sostenete questo, perché considerate Dio tanto debole da non essere in grado di concederlo, oppure tanto invidioso da non volerlo?». Alle argomentazioni storiche e dialettiche, che gli venivano opposte, il Santo rispondeva facendo ricorso al fondamento ispirato della Sacra Scrittura: «Ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore per la gloria di Dio Padre» «ogni terra ti adori, levi a te canti; inneggi, Altissimo, al tuo nome» «lodate il Signore, tutte le genti, e lodatelo, popoli tutti».

    18. La Chiesa è cattolica anche perché sa presentare in ogni contesto umano la verità rivelata, da essa custodita intatta nel suo contenuto divino, in modo tale da farla incontrare con i pensieri elevati e le giuste attese di ogni uomo e di ogni popolo. Del resto, l'intero patrimonio di bene, che ogni generazione trasmette ai posteri insieme con l'inestimabile dono della vita, costituisce come una variopinta ed immensa quantità di tessere che compongono il vivo mosaico del Pantocrátor, il quale si manifesterà nel suo totale splendore solo al momento della parusia.

    Il Vangelo non porta all'impoverimento o allo spegnimento di ciò che ogni uomo, popolo e Nazione, ogni cultura durante la storia riconoscono ed attuano come bene, verità e bellezza. Piuttosto, esso spinge ad assimilare e a sviluppare tutti questi valori: a viverli con magnanimità e gioia ed a completarli con la misteriosa ed esaltante luce della Rivelazione.

    La dimensione concreta della cattolicità, inscritta da Cristo Signore nella costituzione stessa della Chiesa, non è qualcosa di statico, astorico e piattamente uniforme, ma sorge e si sviluppa, in un certo senso, quotidianamente come una novità dall'unanime fede di tutti coloro che credono nel Dio uno e trino, rivelato da Gesù Cristo e predicato dalla Chiesa con la forza dello Spirito Santo. Questa dimensione scaturisce del tutto spontaneamente dal reciproco rispetto - proprio della carità fraterna per ogni uomo e ogni Nazione, grande o piccola, e dal riconoscimento leale degli attributi e dei diritti dei fratelli nella fede.

    19. La cattolicità della Chiesa si manifesta, altresì, nell'attiva corresponsabilità e nella generosa collaborazione di tutti in favore del bene comune. La Chiesa attua dappertutto la propria universalità accogliendo, unendo ed esaltando nel modo che le è proprio, con premura materna, ogni autentico valore umano. Al tempo stesso, essa si adopera in ogni latitudine e longitudine geografica ed in ogni situazione storica per guadagnare a Dio ciascun uomo e tutti gli uomini, per unirli tra loro e con lui nella sua verità e nel suo amore.

    Ogni uomo, ogni Nazione, ogni cultura e civiltà hanno un proprio ruolo da svolgere e un proprio posto nel misterioso piano di Dio e nell' universale storia della salvezza. Era questo il pensiero dei due santi Fratelli: il Dio «misericordioso e benevolo, attendendo che tutti gli uomini si pentano, perché tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità, non tollera che il genere umano soccomba alla debolezza e perisca cadendo nella tentazione del Nemico, ma in tutti gli anni e tempi non cessa di elargirci una grazia molteplice, dall'origine fino ad oggi allo stesso modo: prima, per il tramite dei patriarchi e dei padri e, dopo di loro, per il tramite dei profeti; ed ancora per il tramite degli apostoli e dei martiri, degli uomini giusti e dei dottori, che egli sceglie in mezzo a questa vita tempestosa».

    20. Il messaggio evangelico, che i santi Cirillo e Metodio hanno tradotto per i popoli slavi, attingendo sapientemente dal tesoro della Chiesa «cose antiche e nuove», è stato trasmesso mediante l'annuncio e la catechesi in conformità alle verità eterne e adattandolo, nello stesso tempo, alla concreta situazione storica. Grazie agli sforzi missionari di entrambi i Santi, i popoli slavi poterono per la prima volta prender coscienza della propria vocazione a partecipare all'eterno disegno della Santissima Trinità, nell'universale piano di salvezza del mondo. Con ciò riconoscevano pure il proprio ruolo a vantaggio dell'intera storia dell'umanità creata da Dio Padre, redenta dal Figlio Salvatore e illuminata dallo Spirito Santo. Grazie a questo annuncio, approvato a suo tempo dalle autorità della Chiesa, i Vescovi di Roma e i Patriarchi di Costantinopoli, gli Slavi poterono sentirsi, insieme con le altre Nazioni della terra, discendenti ed eredi della promessa, fatta da Dio ad Abramo. In questo modo, grazie all'organizzazione ecclesiastica creata da san Metodio ed alla consapevolezza della propria identità cristiana, essi presero il posto a loro destinato nella Chiesa, ormai sorta anche in quella parte d'Europa. Per questo, i loro odierni discendenti conservano un grato ed imperituro ricordo di colui che è diventato l'anello che li unisce alla catena dei grandi araldi della divina Rivelazione dell'Antico e del Nuovo Testamento: «Dopo tutti costoro Dio misericordioso, al nostro tempo, suscitò in favore del nostro popolo - di cui nessuno si era mai preoccupato - per la buona impresa il nostro maestro, il beato Metodio, le cui virtù e lotte noi paragoniamo senza arrossire, ad una ad una, a quelle di tali uomini graditi a Dio».

    CAPITOLO VI

    IL VANGELO E LA CULTURA


    21. I Fratelli di Salonicco erano eredi non solo della fede, ma anche della cultura della Grecia antica, continuata da Bisanzio. E si sa quale importanza questa eredità abbia per l'intera cultura europea e, direttamente o indirettamente, per quella universale. Nell'opera di evangelizzazione, che essi compirono - come pionieri in territorio abitato da popoli slavi -, è contenuto al tempo stesso un modello di ciò che oggi porta il nome di «inculturazione» - l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone - ed insieme l'introduzione di esse nella vita della Chiesa.

    Incarnando il Vangelo nella peculiare cultura dei popoli che evangelizzavano, i santi Cirillo e Metodio ebbero particolari meriti per la formazione e lo sviluppo di quella stessa cultura o, meglio, di molte culture. Infatti, tutte le culture delle Nazioni slave debbono il proprio «inizio» o il proprio sviluppo all'opera dei Fratelli di Salonicco. Questi, infatti, con la creazione, originale e geniale, di un alfabeto per la lingua slava, diedero un contributo fondamentale alla cultura e alla letteratura di tutte le Nazioni slave.

    La traduzione poi dei Libri sacri, eseguita da Cirillo e Metodio unitamente ai loro discepoli. conferì capacità e dignità culturale alla lingua liturgica paleoslava, che divenne per lunghi secoli non solo la lingua ecclesiastica, ma anche quella ufficiale e letteraria, e persino la lingua comune delle classi più colte della maggior parte delle Nazioni slave e, in particolare, di tutti gli Slavi di rito orientale. Essa veniva usata anche nella Chiesa di Santa Croce in Cracovia, presso la quale si erano stabiliti i Benedettini slavi. Qui furono pubblicati i primi libri liturgici, stampati in questa lingua. Fino ad oggi è questa la lingua usata nella liturgia bizantina delle Chiese Orientali slave di rito costantinopolitano sia cattoliche che ortodosse nell'Europa Orientale e Sud-Orientale, nonché in diversi Paesi dell'Europa Occidentale, ed è anche usata nella liturgia romana dei cattolici di Croazia.

    22. Nello sviluppo storico degli Slavi di rito orientale tale lingua ebbe un ruolo pari a quello della lingua latina in Occidente. Essa, inoltre, si è conservata più a lungo in parte fino al secolo XIX - ed ha esercitato un influsso molto più diretto sulla formazione delle lingue native letterarie, grazie agli stretti rapporti di parentela con esse.

    Questi meriti per la cultura di tutti i popoli e di tutte le Nazioni slave rendono l'opera di evangelizzazione svolta dai santi Cirillo e Metodio, in un certo senso, costantemente presente nella storia e nella vita di questi popoli e di queste Nazioni.

    CAPITOLO VII

    SIGNIFICATO E IRRADIAZIONE DEL MILLENNIO CRISTIANO NEL MONDO SLAVO


    23. L'attività apostolico-missionaria dei santi Cirillo e Metodio, che cade nella seconda metà del IX secolo, può considerarsi la prima efficace evengelizzazione degli Slavi .

    Essa interessò in diverso grado i singoli territori, concentrandosi principalmente su quelli dello stato della Grande Moravia di allora. Prima di tutto, abbracciò le regioni della metropolia, il cui pastore era Metodio, cioè la Moravia, la Slovacchia e la Pannonia, cioè una parte dell'odierna Ungheria. Nell'ambito del più vasto influsso esercitato da questa attività apostolica, specialmente da parte dei missionari preparati da Metodio, si trovarono gli altri gruppi di Slavi occidentali, anzitutto quelli di Boemia. Il primo principe storico della Boemia della dinastia dei Premyslidi, Bozyvoj (Borivoi ), fu battezzato probabilmente secondo il rito slavo. Più tardi questo influsso raggiunse le tribù serbolusaziane, nonché i territori della Polonia meridionale. Tuttavia, dal momento della caduta della Grande Moravia (circa 905-906), a questo rito subentrò il rito latino, e la Boemia fu attribuita ecclesiasticamente al Vescovo di Ratisbona ed alla metropolia di Salisburgo. Merita, però, attenzione il fatto che ancora verso la metà del X secolo, ai tempi di san Venceslao, esisteva una forte compenetrazione degli elementi di entrambi i riti con un'avanzata simbiosi di tutte e due le lingue usate nella liturgia: la lingua slava e la lingua latina. Del resto, non era possibile la cristianizzazione del popolo senza servirsi della lingua natìa. E solamente su una tale base potè svilupparsi la terminologia cristiana nella Boemia, e da qui, successivamente, svilupparsi e consolidarsi la terminologia ecclesiastica in Polonia. La notizia sul principe dei Vislani nella Vita di Metodio è il più antico cenno storico riguardante una delle tribù polacche. Mancano i dati sufficienti per poter collegare con questa notizia l'istituzione nelle terre polacche di un'organizzazione ecclesiastica in rito slavo.

    24. Il battesimo della Polonia nel 966, nella persona del primo sovrano storico Mieszko, che sposò la principessa boema Dubravka, avvenne principalmente per mezzo della Chiesa boema, e per questa via il cristianesimo giunse in Polonia da Roma nella forma latina. Resta, comunque, il fatto che i primordi del cristianesimo in Polonia si collegano in qualche modo con l'opera dei Fratelli partiti dalla lontana Salonicco.

    Tra gli Slavi della penisola Balcanica le sollecitudini dei santi Fratelli fruttificarono in modo ancor più visibile. Grazie al loro apostolato si consolidò il cristianesimo già da tempo radicato in Croazia.

    Principalmente per il tramite dei discepoli, espulsi dall'originario terreno di azione, la missione cirillo-metodiana si affermò e sviluppò meravigliosamente in Bulgaria. Qui, grazie a san Clemente da Ocrida, sorsero dinamici centri di vita monastica, e qui trovò sviluppo particolare l'alfabeto cirillico. Da qui pure il cristianesimo passò in altri territori, fino a raggiungere, attraverso la vicina Romania, l'antica Rus' di Kiev ed estendersi quindi da Mosca verso Oriente. Tra alcuni anni, precisamente nell'anno 1988, ricorrerà il millenario del battesimo di san Vladimiro il Grande, principe di Kiev.

    25. Giustamente, dunque, i santi Cirillo e Metodio furono presto riconosciuti dalla famiglia dei popoli Slavi come padri tanto del loro cristianesimo, quanto della loro cultura. In molti dei territori già nominati, benché ci fossero stati diversi missionari, la maggioranza della popolazione slava conservava, ancora nel secolo IX, consuetudini e credenze pagane. Solamente sul terreno coltivato dai nostri Santi, o almeno da loro preparato per la coltivazione, il cristianesimo entrò in modo definitivo nella storia degli Slavi durante il secolo successivo.

    La loro opera costituisce un contributo eminente per il formarsi delle comuni radici cristiane dell'Europa, quelle radici che per la loro solidità e vitalità configurano uno dei più solidi punti di riferimento, da cui non può prescindere ogni serio tentativo di ricomporre in modo nuovo ed attuale l'unità del continente.

    Dopo undici secoli di cristianesimo tra gli Slavi, vediamo chiaro che il retaggio dei Fratelli di Salonicco è e resta per loro più profondo e più forte di qualunque divisione. Entrambe le tradizioni cristiane- l'orientale che deriva da Costantinopoli e l'occidentale che deriva da Roma - sono sorte nel seno dell'unica Chiesa, anche se sulla trama di diverse culture e di un diverso approccio verso gli stessi problemi. Una tale diversità, quando ne sia ben compresa l'origine e siano ben considerati il suo valore e il suo significato, può soltanto arricchire sia la cultura dell'Europa, sia la sua tradizione religiosa, e diventare, altresì, una base adeguata per il suo auspicato rinnovamento spirituale.

    26. Fin dal IX secolo, quando nell'Europa cristiana si stava delineando un nuovo assetto, i santi Cirillo e Metodio ci propongono un messaggio che si rivela attualissimo per la nostra epoca, la quale, proprio in ragione dei tanti e complessi problemi di ordine religioso e culturale, civile e internazionale, cerca una vitale unità nella reale comunione di varie componenti. Dei due evangelizzatori si può dire che caratteristico fu il loro amore alla comunione della Chiesa universale sia in Oriente che in Occidente e, in essa, alla Chiesa particolare che stava nascendo nelle nazioni slave. Da essi anche per i cristiani e gli uomini del nostro tempo deriva l'invito a costruire insieme la comunione.

    Ma è sul terreno specifico dell'attività missionaria che vale ancor più l'esempio di Cirillo e Metodio. Tale attività, infatti, è compito essenziale della Chiesa, ed è oggi urgente nella forma già accennata dell'«inculturazione». I due Fratelli non solo svolsero la loro missione nel pieno rispetto della cultura già esistente presso i popoli slavi. ma insieme con la religione eminentemente e incessantemente la promossero ed accrebbero. Analogamente, oggi le Chiese di antica data possono e debbono aiutare le Chiese ed i popoli giovani a maturare nella propria identità ed a progredire in essa.

    27. Cirillo e Metodio sono come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale tra la tradizione orientale e la tradizione occidentale, che confluiscono entrambe nell'unica grande Tradizione della Chiesa universale. Essi sono per noi i campioni ed insieme i patroni nello sforzo ecumenico delle Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente, per ritrovare mediante il dialogo e la preghiera l'unità visibile nella comunione perfetta e totale, «l'unità che - come dissi in occasione della mia visita a Bari non è assorbimento e neppure fusione». L'unità è l'incontro nella verità e nell'amore, che ci sono donati dallo Spirito. Cirillo e Metodio, nella loro personalità e nella loro opera, sono figure che risvegliano in tutti i cristiani una grande «nostalgia per l'unione» e per l'unità tra le due Chiese sorelle dell'Oriente e dell'Occidente. Per la piena cattolicità, ogni Nazione, ogni cultura ha un proprio ruolo da svolgere nell'universale piano di salvezza. Ogni tradizione particolare, ogni Chiesa locale deve rimanere aperta ed attenta alle altre Chiese e tradizioni e, nel contempo, alla comunione universale e cattolica; se rimanesse chiusa in sé, correrebbe il pericolo di impoverirsi anch'essa.

    Attuando il proprio carisma, Cirillo e Metodio recarono un contributo decisivo alla costruzione dell'Europa non solo nella comunione religiosa cristiana, ma anche ai fini della sua unione civile e culturale. Nemmeno oggi esiste un'altra via per superare le tensioni e riparare le rotture e gli antagonismi sia nell'Europa che nel mondo, i quali minacciano di provocare una spaventosa distruzione di vite e di valori. Essere cristiani nel nostro tempo significa essere artefici di comunione nella Chiesa e nella società. A questo fine valgono l'animo aperto ai fratelli, la mutua comprensione, la prontezza nella cooperazione mediante lo scambio generoso dei beni culturali e spirituali.

    In effetti, una delle aspirazioni fondamentali dell'umanità di oggi è quella di ritrovare l'unità e la comunione per una vita veramente degna dell'uomo a livello planetario. La Chiesa, consapevole di essere segno e sacramento universale di salvezza e di unità del genere umano, si dichiara pronta ad assolvere questo suo dovere «che le condizioni del tempo rendono più urgente, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano conseguire anche la piena unità in Cristo».

    CAPITOLO VIII

    CONCLUSIONE


    28. Conviene, pertanto, che tutta la Chiesa celebri con solennità e con gioia gli undici secoli trascorsi dalla conclusione dell'opera apostolica del primo arcivescovo ordinato a Roma per i popoli slavi, Metodio, e di suo fratello Cirillo, ricordando l'ingresso di questi popoli sulla scena della storia della salvezza e nel novero delle Nazioni europee che, già durante i secoli precedenti, avevano accolto il messaggio evangelico. Tutti possono comprendere con quale profonda esultanza intende partecipare a questa celebrazione il primo figlio della stirpe slava chiamato, dopo quasi due millenni, ad occupare la sede episcopale che fu di San. Pietro in questa città di Roma.

    29. «Nelle tue mani consegno il mio spirito»: noi salutiamo l'XI centenario della morte di san Metodio con le stesse parole, che furono da lui pronunciate - secondo quanto riferisce la sua Vita in lingua paleoslava prima di morire, mentre stava per riunirsi ai suoi padri nella fede, nella speranza e nella carità: ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli, ai dottori, ai martiri. Con la testimonianza della parola e della vita, sostenute dal carisma, dello Spirito, egli dette l'esempio di una vocazione feconda sia per il secolo in cui visse, sia per i secoli successivi e, in modo particolare, per i nostri tempi.

    Il suo beato «transito» nella primavera dell'anno 885 dall'incarnazione di Cristo (e secondo il computo bizantino del tempo, nell'anno 6393 dalla creazione del mondo) avvenne in un periodo in cui inquietanti nubi si addensavano sopra Costantinopoli e ostili tensioni minacciavano sempre di più la quiete e la vita delle Nazioni, e persino i sacri vincoli della fratellanza cristiana e della comunione tra le Chiese dell'Oriente e dell'Occidente.

    Nella sua Cattedrale, colma di fedeli di stirpi diverse, i discepoli di san Metodio resero solenne omaggio al defunto pastore per il messaggio di salvezza, di pace e di riconciliazione che aveva portato ed al quale aveva dedicato la sua vita: «Celebrarono un ufficio sacro in latino greco e slavo», adorando Dio e venerando il primo arcivescovo della Chiesa, da lui fondata tra gli Slavi, ai quali aveva annunciato il Vangelo insieme al fratello nella loro propria lingua. Questa Chiesa si rafforzò ancora di più, quando per esplicito consenso del Papa ricevette una gerarchia autoctona. radicata nella successione apostolica e collegata in unità di fede e di amore sia con la Chiesa di Roma, sia con quella di Costantinopoli, dalla quale la missione slava aveva preso inizio.

    Mentre si compiono undici secoli dalla sua morte, desidero ritrovarmi almeno spiritualmente a Velehrad, dove - come sembra - la Provvidenza permise a Metodio di concludere la sua vita apostolica:

    - desidero anche fermarmi nella Basilica di San Clemente a Roma, nel luogo ove fu sepolto san Cirillo;

    - e presso le Tombe di entrambi questi Fratelli, apostoli degli Slavi, desidero raccomandare alla Santissima Trinità la loro eredità spirituale con una speciale preghiera.

    30. «Nelle tue mani consegno...».

    O Dio grande, uno nella Trinità, io ti affido il retaggio della fede delle Nazioni slave: conserva e benedici questa tua opera!

    Ricorda, o Padre onnipotente, il momento nel quale, secondo la tua volontà, giunse per questi popoli e per queste Nazioni la «pienezza dei tempi» e i santi missionari di Salonicco adempirono fedelmente il comando che il tuo Figlio Gesù Cristo aveva rivolto ai suoi apostoli; seguendo le loro orme e quelle dei loro successori, essi recarono nelle terre abitate dagli Slavi la luce del Vangelo, la Buona Novella della salvezza, e davanti a loro, testimoniarono:

    - che tu sei Creatore dell'uomo, che ci sei Padre ed in te noi uomini siamo tutti fratelli;

    - che per mezzo del Figlio, tua Parola eterna, hai donato l'esistenza a tutte le cose ed hai chiamato gli uomini a partecipare alla tua vita senza fine;

    - che hai tanto amato il mondo da fargli dono del tuo Figlio unigenito, il quale, per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo;

    - che, infine, hai inviato lo Spirito della potenza e della consolazione, perché ogni uomo, redento da Cristo, potesse in lui ricevere la dignità di figlio e diventare coerede delle indefettibili promesse, da te fatte all'umanità!

    Il tuo piano creatore, o Padre, culminato nella Redenzione, tocca l'uomo vivente e abbraccia l'intera sua vita e la storia di tutti i popoli.

    Esaudisci, o Padre, ciò che da te implora oggi tutta la Chiesa e fa' che gli uomini e le Nazioni, che, grazie alla missione apostolica dei santi Fratelli di Salonicco, conobbero ed accolsero te, Dio vero, e mediante il Battesimo entrarono nella santa comunità dei tuoi figli, possano continuare ancora, senza ostacoli, ad accogliere con entusiasmo e fiducia questo programma evangelico ed a realizzare tutte le proprie possibilità umane sul fondamento dei loro insegnamenti!

    - Possano essi seguire, in conformità alla propria coscienza, la voce della tua chiamata lungo le vie loro indicate per la prima volta undici secoli or sono!

    - La loro appartenenza al Regno del tuo Figlio non possa esser considerata da nessuno in contrasto col bene della patria terrena!

    - Possano rendere a te la lode dovuta nella vita privata e in quella pubblica!

    - Possano vivere nella verità, nella carità, nella giustizia e nel godimento della pace messianica, che abbraccia i cuori umani, le comunità, la terra e l'intero cosmo!

    - Consci della loro dignità di uomini e di figli di Dio, possano avere la forza di superare ogni odio e di vincere il male col bene!

    Ma anche a tutta l'Europa, o Trinità Santissima, concedi che per intercessione dei due santi Fratelli senta sempre maggiormente l'esigenza dell'unità religioso-cristiana e della fraterna comunione di tutti i suoi popoli, così che, superata l'incomprensione e la sfiducia reciproca e vinti i conflitti ideologici nella comune coscienza della verità, possa essere per il mondo intero un esempio di giusta e pacifica convivenza, nel mutuo rispetto e nell'inviolata libertà.

    31. A te, dunque, Dio Padre onnipotente, Dio Figlio che hai redento il mondo, Dio Spirito che sei sostegno e maestro di ogni santità, desidero affidare l'intera Chiesa di ieri, di oggi e di domani, la Chiesa che è in Europa e che è diffusa su tutta la terra. Nelle tue mani io consegno questa singolare ricchezza, composta da tanti diversi doni, antichi e nuovi, immessi nel tesoro comune da tanti figli diversi.

    Tutta la Chiesa ringrazia te, che chiamasti le Nazioni slave alla comunione della fede, per il retaggio e il contributo da esse apportato al patrimonio universale. Ti ringrazia per questo, in modo particolare, il papa di origine slava. Tale contributo non cessi mai di arricchire la Chiesa, il continente europeo e il mondo intero! Non venga meno nell'Europa e nel mondo d'oggi! Non manchi nella coscienza dei nostri contemporanei! Noi desideriamo accogliere integralmente tutto ciò che di originale e di valido le Nazioni slave hanno recato e recano al patrimonio spirituale della Chiesa e dell'umanità. La Chiesa tutta consapevole della comune ricchezza, professa la sua solidarietà spirituale con loro e ribadisce la propria responsabilità verso il Vangelo, per l'opera di salvezza che è chiamata ad attuare anche oggi in tutto il mondo, fino ai confini della terra. È indispensabile risalire al passato per comprendere, alla sua luce, la realtà attuale e presagire il domani. La missione della Chiesa è, infatti, sempre orientata e protesa con indefettibile speranza verso il futuro.

    32. Il Futuro! Per quanto possa umanamente apparire gravido di minacce e di incertezze, lo deponiamo con fiducia nelle tue mani, Padre celeste, invocando l'intercessione della Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa, quella dei tuoi apostoli Pietro e Paolo e dei santi Benedetto, Cirillo e Metodio, di Agostino e Bonifacio e di tutti gli altri evangelizzatori dell'Europa, i quali, forti nella fede, nella speranza e nella carità, annunciarono ai nostri padri la tua salvezza e la tua pace, e con le fatiche della semina spirituale dettero inizio alla costruzione della civiltà dell'amore, al nuovo ordine basato sulla tua santa legge e sull'aiuto della tua grazia, che alla fine dei tempi vivificherà tutto e tutti nella Gerusalemme celeste. Amen .

    A voi, Fratelli e Sorelle carissimi, la mia Benedizione Apostolica .

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 2 giugno, Solennità della Santissima Trinità, dell'anno 1985, settimo del mio Pontificato.

    GIOVANNI PAOLO II

  4. #4
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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA APOSTOLICA

    EGREGIAE VIRTUTIS


    1. Alle illustri figure dei santi Cirillo e Metodio si rivolgono di nuovo i pensieri ed i cuori in quest'anno in cui ricorrono due centenari particolarmente significativi. Si compiono infatti cent'anni dalla pubblicazione della lettera enciclica «Grande Munus» del 30 settembre 1880, con la quale il grande pontefice Leone XIII ricordava a tutta la Chiesa le figure e l'attività apostolica di questi due santi e, al tempo stesso, ne introduceva la festività liturgica nel calendario della Chiesa cattolica (Leonis XIII «Acta», vol. II, pp. 125-137). Ricorre inoltre l'XI centenario della lettera «Industriae Tuae» (cfr. «Magna Moraviae Fontes Historici», t. III, Brno 1969, pp. 197-208), inviata dal mio predecessore Giovanni VIII al principe Svatopluk nel giugno dell'anno 880, nella quale veniva lodato e raccomandato l'uso della lingua slava nella liturgia, affinché «in quella lingua fossero proclamate le lodi e le opere di Cristo nostro Signore» (cfr. «Magna Moraviae Fontes Historici», t. III, Brno 1969, p. 207).

    Cirillo e Metodio, fratelli, greci, nativi di Tessalonica, la città dove visse e operò san Paolo, fin dall'inizio della loro vocazione, entrarono in stretti rapporti culturali e spirituali con la Chiesa patriarcale di Costantinopoli, allora fiorente per cultura e attività missionaria alla cui alta scuola essi si formarono (cfr. «Costantinus et Methodius Thessalonicenses, Fontes»). Entrambi avevano scelto lo stato religioso unendo i doveri della vocazione religiosa con il servizio missionario, di cui diedero una prima testimonianza recandosi ad evangelizzare i Cazari della Crimea.

    La loro preminente opera evangelizzatrice fu, tuttavia, la missione nella Grande Moravia tra i popoli, che abitavano allora la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio; essa fu intrapresa su richiesta del principe di Moravia Roscislaw, presentata all'imperatore e alla Chiesa di Costantinopoli. Per corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico in mezzo ai popoli slavi tradussero nella loro lingua i libri sacri a scopo liturgico e catechetico, gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei medesimi popoli. Giustamente perciò essi sono considerati non solo gli apostoli degli slavi ma anche i padri della cultura tra tutti questi popoli e tutte queste nazioni, per i quali i primi scritti della lingua slava non cessano di essere il punto fondamentale di riferimento nella storia della loro letteratura.

    Cirillo e Metodio svolsero il loro servizio missionario in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano stati mandati, sia con la sede romana di Pietro, dalla quale furono confermati, manifestando in questo modo l'unità della Chiesa, che durante il periodo della loro vita e della loro attività non era colpita dalla sventura della divisione tra l'oriente e l'occidente, nonostante le gravi tensioni, che, in quel tempo, segnarono le relazioni fra Roma e Costantinopoli.

    A Roma Cirillo e Metodio furono accolti con onore dal Papa e dalla Chiesa romana e trovarono approvazione e appoggio per tutta la loro opera apostolica ed anche per la loro innovazione di celebrare la liturgia nella lingua slava, osteggiata in alcuni ambienti occidentali. A Roma concluse la sua vita Cirillo (14 febbraio 869) e fu sepolto nella Chiesa di san Clemente, mentre Metodio fu dal Papa ordinato arcivescovo dell'antica sede di Sirmio e fu inviato in Moravia per continuarvi la sua provvidenziale opera apostolica, proseguita con zelo e coraggio insieme ai suoi discepoli e in mezzo al suo popolo sino al termine della sua vita (6 aprile 885).

    2. Cento anni fa il papa Leone XIII con l'enciclica «Grande Munus» ricordò a tutta la Chiesa gli straordinari meriti dei santi Cirillo e Metodio per la loro opera di evangelizzazione degli slavi. Dato però che in quest'anno la Chiesa ricorda solennemente il 1500° anniversario della nascita di san Benedetto, proclamato nel 1964 dal mio venerato predecessore, Paolo VI, patrono d'Europa, è parso che questa protezione nei riguardi di tutta l'Europa sarà meglio messa in risalto, se alla grande opera del santo patriarca d'occidente aggiungeremo i particolari meriti dei due santi fratelli, Cirillo e Metodio. A favore di questo ci sono molteplici ragioni di natura storica, sia di quella passata come di quella contemporanea, che hanno la loro garanzia sia teologica che ecclesiale, come pure culturale nella storia del nostro continente europeo. E perciò prima ancora che si chiuda quest'anno dedicato al particolare ricordo di san Benedetto, desidero che per il centenario della enciclica leoniana, si valorizzino tutte queste ragioni, mediante la presente proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa.

    3. L'Europa, infatti, nel suo insieme geografico è per così dire frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane, alle quali si aggiungono anche due diverse, ma al tempo stesso profondamente complementari, forme di cultura. San Benedetto, il quale con il suo influsso ha abbracciato non solo l'Europa, prima di tutto occidentale e centrale, ma mediante i centri benedettini è arrivato anche negli altri continenti, si trova al centro stesso di quella corrente che parte da Roma, dalla sede dei successori di san Pietro. I santi fratelli da Tessalonica mettono in risalto prima il contributo dell'antica cultura greca e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente europeo.

    Poiché oggi, dopo secoli di divisione della Chiesa tra oriente e occidente, tra Roma e Costantinopoli a partire dal Concilio Vaticano II sono stati intrapresi passi decisivi nella direzione della piena comunione, pare che la proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, corrisponda pienamente ai segni del nostro tempo. Specialmente se ciò avviene nell'anno nel quale le due Chiese, cattolica ed ortodossa, sono entrate nella tappa di un decisivo dialogo, che si è iniziato nell'isola di Patmos, legata alla tradizione di san Giovanni apostolo ed evangelista. Pertanto questo atto intende anche rendere memorabile tale data.

    Questa proclamazione vuole in pari tempo essere una testimonianza, per gli uomini del nostro tempo, della preminenza dell'annuncio del Vangelo, affidato da Gesù Cristo alle Chiese, per il quale hanno faticato i due fratelli apostoli degli slavi. Tale annuncio è stato via e strumento di reciproca conoscenza e di unione fra i diversi popoli dell'Europa nascente, ed ha assicurato all'Europa di oggi un comune patrimonio spirituale e culturale.

    4. Auspico, quindi, che per opera della misericordia della santissima Trinità, per l'intercessione della Madre di Dio e di tutti i santi, sparisca ciò che divide le Chiese come pure i popoli e le nazioni; e le diversità di tradizioni e di cultura dimostrino invece il reciproco completamento di una comune ricchezza.

    Che la consapevolezza di questa spirituale ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l'umanità e al futuro dell'uomo su tutta la terra.

    Pertanto, con sicura cognizione e mia matura deliberazione, nella pienezza della potestà apostolica, in forza di questa lettera ed in perpetuo costituisco e dichiaro celesti compatroni di tutta l'Europa presso Dio i santi Cirillo e Metodio, concedendo inoltre tutti gli onori ed i privilegi liturgici che competono, secondo il diritto, ai patroni principali dei luoghi.

    Pace agli uomini di buona volontà!

    Dato a Roma, presso san Pietro, sotto l'«anello del pescatore», il giorno 31 del mese di dicembre dell'anno 1980, terzo di Pontificato.

    GIOVANNI PAOLO II


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    Predefinito ANGELUS di GIOVANNI PAOLO II - Domenica, 16 febbraio 2003

    Carissimi Fratelli e Sorelle!

    1. Venerdì scorso, 14 febbraio, abbiamo celebrato la festa dei santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi e compatroni d'Europa. Nati a Salonicco nella prima metà del secolo IX e formatisi nella cultura bizantina, i due fratelli assunsero coraggiosamente il compito di evangelizzare le popolazioni slave della Grande Moravia, nel cuore dell'Europa.

    Caratteristica del loro apostolato fu di mantenersi sempre fedeli sia al Romano Pontefice che al Patriarca di Costantinopoli, rispettando le tradizioni e la lingua delle genti slave. Li animava un profondo senso della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, mentre l'invocazione di Gesù "ut unum sint" (Gv 17,11) costituiva la loro divisa missionaria. Possano il loro esempio e la loro intercessione aiutare i cristiani di Oriente e di Occidente a ricostruire la piena unità tra di loro (cfr Ep. Enc. Slavorum apostoli, 13: AAS 77 [1985], 794-795).

    2. L'eredità dei santi Cirillo e Metodio è preziosa anche sotto il profilo culturale. La loro opera contribuì, infatti, al consolidarsi delle comuni radici cristiane dell'Europa, radici che con la loro linfa hanno impregnato la storia e le istituzioni europee.

    Proprio per questo è stato chiesto che nel futuro Trattato costituzionale dell'Unione Europea non si manchi di far spazio a questo patrimonio comune dell'Oriente e dell'Occidente. Un simile riferimento non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche (cfr Lumen gentium, 36; Gaudium et spes, 36, 76), ma, al contrario, aiuterà a preservare il Continente dal duplice rischio del laicismo ideologico, da una parte, e dell'integralismo settario, dall'altra.

    3. Uniti sui valori e memori del proprio passato, i popoli europei potranno svolgere appieno il loro ruolo nella promozione della giustizia e della pace nel mondo intero. Preghiamo, a tal fine, Maria Santissima e i santi Patroni dell'Europa.


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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA APOSTOLICA

    EUNTES IN MUNDUM

    PER IL MILLENNIO DEL "BATTESIMO"
    DELLA RUS' DI KIEV


    I

    UNITI NELLA GRAZIA SACRAMENTALE


    1. Andate in tutto il mondo, ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. Mc 16,15; Mt 28,29).

    Dalla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo in Roma, la Chiesa cattolica desidera esprimere a Dio Uno e Trino la propria profonda gratitudine, perché queste parole del Salvatore hanno trovato mille anni fa il loro compimento sulle rive del Dniepr, a Kiev, capitale della Rus', i cui abitanti - sulle orme della principessa Olga e del principe Vladimiro - furono «innestati» in Cristo mediante il sacramento del Battesimo.

    Seguendo il mio predecessore Pio XII di venerata memoria, il quale volle celebrare solennemente il 950° anniversario del Battesimo della Rus' (cfr. Pii XII «Epistula ad Cardinalem Eugenium Tisserant, Sacrae Congregationis pro Ecclesia Orientali Secretarium», die 12 maii 1939: AAS 31 [1939] 258-259), desiderò con questa lettera esprimere lode e gratitudine all'ineffabile Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, per aver chiamato alla fede e alla grazia i figli e le figlie di molti popoli e nazioni, che hanno accolto il retaggio cristiano del Battesimo amministrato a Kiev. Essi appartengono prima di tutto alle nazioni russa, ucraina e bielorussa nelle regioni orientali del continente europeo. Mediante il servizio della Chiesa che ebbe inizio nel Battesimo a Kiev, questo retaggio è giunto oltre gli Urali a molti popoli dell'Asia settentrionale, fino alle coste del Pacifico ed anche più lontano. Davvero, fino ai confini della terra è corsa la loro voce (cfr. Rm 10,18).

    Rendendo grazie allo Spirito della Pentecoste per tale estensione di un retaggio cristiano risalente all'anno del Signore 988, vogliamo prima di tutto concentrare la nostra attenzione sul mistero salvifico dello stesso Battesimo. E questo - come insegna Cristo Signore - il sacramento della rinascita «da acqua e da Spirito» Santo (Gv 3,5), che introduce l'uomo, fatto figlio adottivo di Dio, nel regno eterno. E san Paolo parla dell'«immersione nella morte» del redentore per «risorgere» insieme a lui ad una nuova vita in Dio (cfr. Rm 6,4). Così dunque i popoli slavi orientali che abitavano nel grande principato della Rus' di Kiev, scendendo nell'acqua del santo Battesimo, si affidarono - quando venne per loro la pienezza del tempo (Gal 4,4) - al piano salvifico di Dio. Giunse così ad essi la notizia delle «grandi opere di Dio» e, come una volta a Gerusalemme, venne anche per loro la Pentecoste (cfr. At 2,37-39): immergendosi nell'acqua del Battesimo, essi sperimentarono «l'abluzione della rinascita» (cfr. Tt 3,5).

    Quanto è eloquente, nel rito bizantino, l'antica preghiera per la benedizione dell'acqua battesimale, che la teologia orientale si compiace di assimilare alle acque del Giordano, nelle quali entrò il Redentore dell'uomo, per ricevere il battesimo di penitenza, come facevano gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme (cfr. Mc 1,5): «Concedi ad essa... Ia benedizione del Giordano; rendila sorgente d'incorruzione, dono di santità, assoluzione di peccati.... Tu, Signore di tutte le cose, dimostrala acqua di redenzione, acqua di santificazione, purificazione del corpo e dello spirito, liberazione dai vincoli, remissione delle colpe, illuminazione delle anime, lavacro di rigenerazione, rinnovamento dello spirito, grazia di adozione, veste di incorruzione, fonte di vita... Mostrati, o Signore, anche in quest'acqua e trasforma chi in essa sta per essere battezzato, affinché deponga l'uomo vecchio... e rivesta l'uomo nuovo, che si rinnova ad immagine di colui che lo ha creato; affinché a lui completamente unito mediante il Battesimo con una morte simile alla sua, diventi partecipe della sua risurrezione e, avendo custodito il dono del tuo Santo Spirito..., possa ricevere il premio della celeste vocazione e sia annoverato tra i primogeniti ascritti nel cielo» (Preghiera di benedizione dell'acqua battesimale, la cui più antica testimonianza si trova nel Cod. Vat. Barberini greco 336, p. 201. Si veda, inoltre «Trebnik» [éd. synodale, Moscou 1906 2 partie, fol. 209v-220, cfr. fol 216] la benedizione solenne dell'acqua battesimale nel giorno dell'Epifania)

    Coloro che erano lontani si sono trovati immersi, mediante il Battesimo, in quel circuito di vita, nel quale la Santissima Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - fa dono di sè all'uomo e crea in lui un cuore nuovo, liberato dal peccato e capace di obbedienza filiale al disegno eterno dell'amore. Al tempo stesso quei popoli e i loro singoli componenti sono entrati nell'ambito della grande famiglia della Chiesa, nella quale possono partecipare alla sacra Eucaristia, ascoltare la Parola di Dio e renderle testimonianza, vivere nell'amore fraterno e condividere in reciproco scambio i beni spirituali. Ciò era simbolicamente espresso negli antichi riti del santo Battesimo, quando i neobattezzati, avvolti in bianche vesti, si recavano in processione dal battistero verso l'assemblea dei fedeli radunati nella cattedrale. Tale processione era insieme l'introito liturgico e il simbolo del loro ingresso nella comunità eucaristica della Chiesa, Corpo di Cristo (Cfr. il «Tipico della Grande Chiesa», ed. J. Mateos in "Orientalia Christiana Analecta" 116, Roma 1963, pp. 86-88. Non minore era lo splendore del rito del Battesimo a Roma, come si può vedere negli «Ordines Romani» dell'Alto Medio Evo).

    2. In questo spirito e con tali sentimenti desideriamo prendere parte alle celebrazioni e alla gioia per il millennio del Battesimo della Rus' di Kiev. Ricordiamo quell'avvenimento secondo il modo di pensare proprio della Chiesa di Cristo, cioè in spirito di fede. Fu, quello, un evento di enorme importanza. Le parole del Signore in Geremia: «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (Ger 31,3), hanno trovato piena attuazione in rapporto a quei nuovi popoli e alle loro terre. La Rus' di Kiev è entrata nel contesto della salvezza ed è diventata essa stessa tale contesto. Il suo Battesimo ha dato inizio ad una nuova ondata di santità. E' divenuto un momento significativo dell'impegno missionario della Chiesa, una nuova importante tappa nello sviluppo del cristianesimo: l'intera Chiesa cattolica volge il suo sguardo a tale evento e partecipa spiritualmente alla gioia degli eredi di quel Battesimo.

    Rendiamo grazie a Dio misericordioso, Dio unico nella Santissima Trinità, Dio vivo, Dio dei padri nostri; rendiamo grazie a Dio Padre di Gesù Cristo, e a Cristo stesso, che nel sacramento del santo Battesimo dona lo Spirito Santo allo spirito umano. Rendiamo grazie a Dio per il suo piano salvifico di amore, lo ringraziamo per l'obbedienza che gli è stata prestata da parte dei popoli, delle nazioni, delle terre e dei continenti. E' naturale che questa obbedienza abbia avuto condizionamenti storici, geografici, umani. E' compito degli studiosi esaminare ed approfondire tutti gli aspetti politici, sociali, culturali, economici dell'accettazione della fede cristiana. Sì, sappiamo e sottolineiamo che, quando si riceve Cristo mediante la fede e si fa esperienza della sua presenza nella comunità e nella vita individuale, si producono frutti in tutti i campi dell'umana esistenza. Infatti il legame vivificante con Cristo non è un'appendice alla vita, nè un suo ornamento superfluo, ma è la sua definitiva verità. Ogni uomo, per il fatto stesso di essere tale, è chiamato a partecipare ai frutti della redenzione di Cristo, alla sua stessa vita.

    Con somma venerazione ci chiniamo, dopo questi mille anni, davanti a questo mistero e ne meditiamo la profondità e la forza, prima in coloro che sono stati i «protagonisti» del Battesimo della Rus' e successivamente in ognuno e in tutti coloro che hanno seguito le loro orme, accogliendo nel Battesimo la potenza santificatrice del Paraclito.

    II

    QUANDO VENNE LA PIENEZZA DEL TEMPO ...


    3. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4).

    La pienezza del tempo viene da Dio, ma la preparano gli uomini e viene per gli uomini e mediante gli uomini. Ciò vale per la «pienezza del tempo» nella generale economia della salvezza, che ha, pure essa, il suo condizionamento umano e la sua storia concreta. Ma ciò vale anche per il momento dell'approdo dei singoli popoli al porto della fede salvifica: per la loro «pienezza del tempo». Anche il millennio del Battesimo e della conversione della Rus' ha una sua storia. Il processo di cristianizzazione dei singoli popoli e nazioni è un fenomeno complesso e richiede molto tempo. Nel territorio della Rus' esso fu preparato dai tentativi compiuti nel secolo IX dalla Chiesa di Costantinopoli (Cfr. la lettera enciclica con cui il Patriarca Fozio, nell'867, annunzia che la gente chiamata «Rhos» aveva accolto un vescovo. Ep. I, 13: PG 102, 736-737; cfr. anche «Les regestes des actes du patriarcat de Costantinople I», II [Les regestes de 715 à 1043] a cura di V. Grumel, Paris 1936, n. 481, pp. 88-89). Successivamente, nel corso del secolo X, la fede cristiana cominciò a penetrare nella regione grazie ai missionari, che venivano non solo da Bisanzio, ma anche dai territori dei vicini slavi occidentali - i quali celebravano la liturgia in lingua slava secondo il rito instaurato dai santi Cirillo e Metodio - e dalle terre dell'Occidente latino. Come attesta l'antica Cronaca cosiddetta di Nestor («Povest' Vremennykh Let»), nel 944 esisteva a Kiev una chiesa cristiana, dedicata al profeta Elia («Povest' Vremennykh Let», ed D.C. Likhacev, Mosca-Leningrado 1950, pp. 235ss). In questo ambiente, già preparato, la principessa Olga si fece liberamente e pubblicamente battezzare verso il 955, rimanendo poi sempre fedele alle promesse battesimali. A lei, nel corso della visita a Costantinopoli del 957, il patriarca Poliecto avrebbe rivolto un saluto in qualche modo profetico: «Benedetta sei tu tra le donne russe, perché amasti la luce e cacciasti via le tenebre. Perciò ti benediranno i figli russi fino all'ultima generazione» (Cfr. Filaret Gumilevskyj, «Vite dei Santi», t. luglio, Pietroburgo 1900, p.106 [in russo]. Olga, però, non ebbe la gioia di vedere cristiano il figlio Svjatoslav. La sua spirituale eredità fu raccolta dal nipote Vladimiro, il protagonista del Battesimo del 988, il quale accettò la fede cristiana e promosse la conversione, stabile e definitiva, del popolo della Rus'. Vladimiro ed i nuovi convertiti sentirono la bellezza della liturgia e della vita religiosa della Chiesa di Costantinopoli (Si veda, a riguardo, il racconto della Povest' Vremennykh Letm sopra citata). Fu così che la nuova Chiesa della Rus' attinse da Costantinopoli l'intero patrimonio dell'Oriente cristiano e tutte le ricchezze ad esso proprie nel campo della teologia, della liturgia, della spiritualità, della vita ecclesiale, dell'arte.

    Tuttavia, il carattere bizantino di questo retaggio fu sin dall'inizio trasferito in una nuova dimensione: la lingua e la cultura slave diventarono un nuovo contesto per ciò che finora trovava la propria espressione bizantina nella capitale dell'Impero d'Oriente ed anche in tutto il territorio che ad esso fu unito attraverso i secoli. Agli slavi orientali la parola di Dio e la grazia ad essa unita giunsero così in una forma a loro più vicina dal punto di vista culturale e geografico. Quegli slavi, accogliendo la parola con tutta l'obbedienza della fede, desideravano al tempo stesso esprimerla nelle proprie forme di pensiero e con la propria lingua. In questo modo si realizzò quella particolare «inculturazione slava» del Vangelo e del cristianesimo, che si ricollega alla grande opera dei santi Cirillo e Metodio, i quali, da Costantinopoli, portarono il cristianesimo, nella versione slava, nella Grande Moravia e, grazie ai loro discepoli, ai popoli della Penisola Balcanica.

    Fu così che san Vladimiro e gli abitanti della Rus' di Kiev ricevettero il Battesimo da Costantinopoli, dal più grande centro dell'Oriente cristiano, e, grazie a questo, la giovane Chiesa fece il proprio ingresso nell'ambito del ricchissimo patrimonio bizantino, della sua eredità di fede, di vita ecclesiale, di cultura. Tale patrimonio divenne subito accessibile alle vaste moltitudini degli slavi orientali e potè essere assimilato più facilmente, poiché la sua trasmissione sin dall'inizio fu favorita dall'opera dei due santi fratelli di Tessalonica. La Scrittura e i libri liturgici vennero dai centri culturali religiosi degli slavi, che avevano accolto la lingua liturgica da essi introdotta.

    Vladimiro, grazie alla sua saggezza e alla sua intuizione, mosso dalla sollecitudine per il bene della Chiesa e del popolo, accettò nella liturgia, in luogo del greco, la lingua paleoslava, «facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua». («Slavorum Apostoli», 12). Come ho scritto nella Epistola Enciclica «Slavorum Apostoli», (cfr. «Slavorum Apostoli», 11-13), i santi Cirillo e Metodio, anche se consapevoli della superiorità culturale e teologica della eredità greco-bizantina che portavano con sè, ebbero tuttavia il coraggio, per il bene dei popoli slavi, di servirsi di un'altra lingua ed anche di un'altra cultura per l'annuncio della fede.

    In tal modo la lingua paleoslava costituì nel Battesimo della Rus' un importante strumento, anzitutto per la evangelizzazione e, in seguito, per l'originale sviluppo del futuro patrimonio culturale di quei popoli, sviluppo divenuto in molti settori una ricchezza della vita e della cultura dell'intero genere umano.

    Bisogna, infatti, sottolineare con tutta fermezza, per fedeltà alla verità storica, che secondo la concezione dei due santi fratelli di Tessalonica, con la lingua slava si introdusse nella Rus' lo stile della Chiesa bizantina, che a quel tempo era ancora in piena comunione con Roma. E questa tradizione in seguito è stata sviluppata in modo originale e forse irripetibile, in base alla cultura indigena ed anche grazie ai contatti con i vicini popoli di Occidente.

    4. La pienezza del tempo per il Battesimo del popolo della Rus' venne, dunque, alla fine del primo millennio, quando la Chiesa era indivisa. Dobbiamo ringraziare insieme il Signore per questo fatto, che rappresenta oggi un auspicio ed una speranza. Dio ha voluto che la madre Chiesa, visibilmente unita, accogliesse nel suo grembo, già ricco di Nazioni e di popoli, ed in un momento di espansione missionaria sia in Occidente sia in Oriente, questa sua nuova figlia, nata sulle rive del Dniepr. C'era la Chiesa di Oriente e c'era la Chiesa d'Occidente, ognuna sviluppatasi secondo proprie tradizioni teologiche, disciplinari liturgiche, con differenze anche notevoli, ma esisteva la piena comunione tra l'Oriente e l'Occidente, tra Roma e Costantinopoli, con relazioni reciproche.

    Ed è stata la Chiesa indivisa di Oriente e di Occidente che ha ricevuto ed ha aiutato la Chiesa di Kiev. Già la principessa Olga aveva chiesto all'imperatore Ottone I, ed ottenuto nel 961, un Vescovo «qui ostenderet eis viam veritatis», il monaco Adalberto di Treviri, il quale si recò effettivamente a Kiev, dove tuttavia il permanente paganesimo gli impedì di svolgere la sua missione. (La notizia è data da alcune fonti tedesche: così «Lamperti Monachi Hersfeldensis opera», ed. O. Holter-Egger, 1894, p. 38). Il principe Vladimiro avvertì che c'era questa unità della Chiesa e dell'Europa, perciò intrattenne rapporti non solo con Costantinopoli, ma anche con l' Occidente e con Roma, il cui Vescovo era riconosciuto come colui che presiedeva la comunione di tutta la Chiesa. Secondo la «Cronaca di Nikon», vi sarebbero state legazioni tra Vladimiro ed i Papi del tempo: Giovanni XV (che gli avrebbe mandato in dono, proprio l'anno del Battesimo del 988, alcune reliquie di san Clemente papa, con chiaro riferimento alla missione dei santi Cirillo e Metodio, i quali da Cherson avevano portato a Roma quelle reliquie) e Silvestro II. (cfr. la «Nikonoskaja Letopis» ad 6494, in «Polnoe sobranie russkich letopisej», IX, Sti Petersburg 1862, p.57). Bruno di Querfurt, dallo stesso Silvestro II mandato a predicare col titolo di «archiepiscopus gentium», verso il 1007 visitò Vladimiro, chiamato «rex Russorum» (cfr. Petri Damiani «Vita beati Romualdi», c. XXVII: PL 144, 978 [edizione critica di G. Tabacco], in «Fonti per la storia d'Italia», 94, Roma, 1957, p. 58). Più tardi, anche il Papa san Gregorio VII diede il titolo regale ai principi di Kiev nella sua lettera del 17 aprile 1075, indirizzata a «Demetrio (Isjaslaw) regi Ruscorum et reginae uxori eius», i quali avevano mandato il figlio, Jaropolk, in pellegrinaggio ad «limina Apostolorum», ottenendo che il regno fosse posto sotto la protezione di san Pietro (cfr. Gregorii VII Registrum, II, 74, ed. E. Caspar, in «Epistulae selectae in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis» separatim editae, t. II, ristampa 1955, pp.236-237). Merita di essere sottolineato questo riconoscimento, da parte di un Pontefice romano, della sovranità acquistata dal principato di VIadimiro, il quale grazie al Battesimo del 988 aveva consolidato anche politicamente il suo Stato, favorendone lo sviluppo e facilitando l'integrazione dei popoli abitanti entro i suoi confini di quel tempo e quelli successivi. Questo gesto profetico di entrare nella Chiesa e di introdurre il proprio principato nell'orbita delle Nazioni cristiane, gli portò il lodevole titolo di santo e di Padre delle Nazioni, che da quel principato trassero la loro origine.

    Così Kiev, col Battesimo, divenne crocevia privilegiato di culture diverse, terreno di penetrazione religiosa anche dell'Occidente, come attesta il culto di alcuni santi venerati nella Chiesa latina, e, col decorrere del tempo, un importante centro di vita ecclesiale e di irradiazione missionaria con un vastissimo campo di influenza: verso Occidente fino ai monti Carpazi, dalle sponde meridionali del Dniepr sino a Novgorod e dalle rive settentrionali del Volga - come già detto - fino alle sponde dell'Oceano Pacifico ed oltre. In breve, attraverso il nuovo centro di vita ecclesiale, quale divenne Kiev dal momento in cui ricevette il Battesimo, il Vangelo e la grazia della fede raggiunsero quelle popolazioni e quelle terre che oggi sono legate al Patriarcato di Mosca, per quanto riguarda la Chiesa ortodossa, ed alla Chiesa cattolica ucraina, la cui piena comunione con la sede di Roma fu rinnovata a Brest.

    III

    FEDE E CULTURA


    5. Il Battesimo della Rus' di Kiev segna, dunque, l'inizio di un lungo processo storico, in cui si sviluppa e si espande l'originale profilo bizantino-slavo del cristianesimo nella vita sia della Chiesa sia della società e delle Nazioni, che trovano in esso, lungo i secoli ed anche oggi, il fondamento della propria identità spirituale.

    Nel corso successivo della storia, quando tempestose vicende colpirono ripetutamente e profondamente questa identità, proprio il Battesimo e la cultura cristiana - attinta dalla Chiesa universale e sviluppata in base alle innate ricchezze spirituali - divennero le forze che decisero della sua sopravvivenza.

    Vladimiro ricevette il Battesimo aprendosi, insieme col suo popolo, alla potenza salvifica di Cristo, conformemente alle parole di Pietro riferite dagli Atti degli Apostoli: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Accogliendo questo nome, che è «al di sopra di ogni altro nome» ed invitando i missionari della Chiesa ad iscrivere questo nome nel cuore degli slavi della Rus' di Kiev, perché «ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre» (Fil 9,11), egli vedeva in esso anche un elemento decisivo per quel progresso civile ed umano, che tanta importanza riveste per l'esistenza e per lo sviluppo di ogni Nazione e di ogni Stato. Egli, perciò, si ricollegò alla decisione della nonna, sant'Olga, e diede forma definitiva e stabile alla di lei opera.

    Il Battesimo di Vladimiro il Grande e, successivamente, del Paese da lui dipendente, ebbe una grande importanza per l'intero sviluppo spirituale di questa parte d'Europa e della Chiesa, come per tutta la cultura e la civiltà bizantino-slava.

    L'accoglimento del Vangelo non equivaleva soltanto all'introduzione di un nuovo e prezioso elemento nella struttura di quella determinata cultura; era, piuttosto, l'immissione di un seme destinato a germogliare e a svilupparsi sulla terra, nella quale era stato gettato, e a trasformarla nella misura del proprio sviluppo, rendendola capace di generare nuovi frutti. Tale è la dinamica del Regno dei cieli: esso è simile «a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,31-32).

    In tal modo il patrimonio spirituale della Chiesa bizantina, introdotto nella Rus' di Kiev mediante la lingua slava, divenuta lingua liturgica, si arricchi via via sulla base del locale patrimonio culturale grazie ai contatti con i paesi cristiani limitrofi, e venne adeguandosi progressivamente ai bisogni e alla mentalità dei popoli abitanti di quel grande principato.

    6. L'utilizzazione della lingua slava come strumento di trasmissione del messaggio di Cristo e di reciproca comprensione ebbe influssi positivi sulla stessa sua diffusione e sviluppo.

    Essa ne trasse la spinta per una trasformazione dall'interno e per un progressivo nobilitarsi, divenendo lingua letteraria, e perciò uno dei più importanti fattori capaci di decidere della cultura di una Nazione, della sua identità e della sua forza spirituale. Sul territorio della Rus' questo processo si è dimostrato quanto mai duraturo, ed ha portato frutti copiosissimi. Il cristianesimo in tal modo è venuto incontro alle aspirazioni degli uomini alla verità, al sapere e allo sviluppo autonomo sulla base dell'aspirazione evangelica e del dinamismo della rivelazione.

    Grazie all'eredità cirillo-metodiana lì è avvenuto l'incontro dell'Oriente con l'Occidente, l'incontro dei valori ereditati con quelli nuovi. Gli elementi del retaggio cristiano sono penetrati nella vita e nella cultura di quelle Nazioni. Essi hanno offerto ispirazione alla creatività letteraria, filosofica, teologica ed artistica, dando luogo ad una forma del tutto originale della cultura europea, anzi della cultura semplicemente umana. Anche oggi la dimensione universale dei problemi degli individui e delle società, presentata dalla letteratura e dall'arte di quelle Nazioni, suscita nel mondo un'incessante ammirazione. Essa nasce e cresce dalla concezione cristiana della vita e trova in questa un punto fermo di riferimento quanto al modo di pensare e di parlare riguardo all'uomo, ai suoi problemi e al suo destino.

    A questo comune patrimonio, a questo bene comune gli slavi orientali hanno portato durante i secoli il proprio contributo originale, specialmente riguardo alla vita spirituale e alla devozione loro proprie. A questo contributo la Chiesa di Roma riserva lo stesso rispetto ed amore che essa nutre per il ricco patrimonio di tutto l'Oriente cristiano. Gli slavi orientali hanno elaborato una storia, una spiritualità, tradizioni liturgiche ed usanze disciplinari loro proprie, in sintonia con la tradizione delle Chiese di Oriente, come pure alcune forme di riflessione teologica sulla verità rivelata che, mentre si diversificano da quelle in uso nell'Occidente, sono allo stesso tempo ad esse complementari.

    7. Tale realtà è attentamente considerata dal Concilio Vaticano II. Il decreto sull'ecumenismo, infatti, afferma tra l'altro: «Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d'Oriente hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la Chiesa d'Occidente ha preso molte cose nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico» («Unitatis Redintegratio», 14). E stimolanti spunti di riflessione sono pure offerti da quanto il Decreto conciliare afferma circa la ricchezza della liturgia e della tradizione spirituale della Chiesa di Oriente: «E' pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d'Oriente celebrino la sacra liturgia, specialmente quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità, fatti "partecipi della natura divinà" (2Pt 1,4). Perciò con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione si manifesta la loro comunione» («Unitatis Redintegratio», 15).

    Inoltre, le tradizioni teologiche dei cristiani d'Oriente sono «eccellentemente radicate nella Sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici Orientali e tendono ad una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana» («Unitatis Redintegratio», 17).

    La spiritualità degli slavi orientali, che è una particolare testimonianza della fecondita dell'incontro dello spirito umano con i misteri cristiani, non cessa di esercitare un influsso salutare sulla coscienza della Chiesa intera. Degna di particolare menzione è la loro caratteristica devozione per la passione di Cristo, la sensibilità per il mistero della sofferenza collegata con l'efficacia redentrice della croce. Forse all'affermarsi di tale spiritualità non fu estraneo il ricordo della morte innocente di Boris e di Gleb, figli di Vladimiro, uccisi dal loro fratello Svjatopolk (cfr. «Acta Sanctorum», sept. 2, Venetis 1756, pp.633-644).

    Questa spiritualità trova la sua più completa espressione nella lode resa al «dolcissimo» («sladcajsi») nostro Signore Gesù Cristo nel mistero della sofferenza e della «kenosi», che egli ha fatto sue nell'incarnazione e nella morte in croce (cfr. Fil 2,5-8). Allo stesso tempo, però, essa s'illumina, nella liturgia, della luce del Cristo risorto, anticipata in qualche misura dallo splendore della trasfigurazione sul monte Tabor, manifestata pienamente nella gloria del giorno della risurrezione («voskresienie»), rivelata al mondo dallo Spirito disceso sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco nella Pentecoste. Tale esperienza diventa incessantemente porzione di coloro che ricevono il Battesimo. Come non menzionare, in questo contesto, i cristiani che sono vissuti e vivono in tutte quelle regioni, i quali nella morte e risurrezione di Cristo hanno tante volte trovato, nel corso di questi mille anni, forza e sostegno per offrire la loro testimonianza di fedeltà al Vangelo non solo con la quotidiana coerenza della vita, ma anche con le sofferenze coraggiosamente affrontate non di rado fino alla prova suprema del sangue?

    Questa forma della «kenosi» di Cristo, nella concezione della Chiesa di Kiev, si è impressa profondamente nel cuore degli slavi orientali, è stata ed è per loro fonte di grande forza nelle molteplici contrarietà che sono insorte sul loro cammino.

    8. Nell'opera di consolidamento della Chiesa e di «inculturazione» del cristianesimo tra gli slavi orientali - come, del resto, in tutta la Chiesa di Oriente - è stato inestimabile l'influsso della vita monastica. Kiev si è distinta relativamente presto con la famosa «Pecerskaja Lavra» (Monastero delle Grotte), fondata dai santi Altonio (+ 1073) e Teodosio (+ 1074).

    Non a caso, dunque, il monaco, specialmente il cosiddetto «starec» (anziano), era considerato guida spirituale sia dai grandi scrittori russi che dai semplici contadini. I monasteri divennero centri di vita liturgica, spirituale, sociale e persino economica. I sovrani si rivolgevano ai monaci come a consiglieri, giudici, diplomatici e maestri.

    Le parole «culto» e «cultura» hanno la stessa radice. Anche tra gli slavi d'Oriente il culto cristiano ha suscitato uno straordinario sviluppo della cultura in tutte le sue forme.

    L'arte religiosa risulta pervasa da profonda spiritualità e da alta ispirazione mistica. Chi nel mondo non conosce oggi le famose e venerate icone delle Chiese orientali, le magnifiche Cattedrali di santa Sofia a Kiev e a Novgorod risalenti all'XI secolo, le chiese e i monasteri così caratteristici nel paesaggio di quelle terre? La letteratura di Kiev è in grandissima parte religiosa. I nuovi inni e canti ecclesiali sono quasi un'emanazione delle forme native della tradizione musicale. Nè deve essere dimenticato che le prime scuole nella Rus' sono sorte proprio nell'XI secolo. Tutto questo, sia pur menzionato in modo così breve, costituisce un'incancellabile testimonianza della straordinaria fioritura religiosa e culturale, generata dal Battesimo della Rus' di Kiev.

    Quanto pertinente appare, dunque, l'osservazione del Concilio Vaticano II: «La Chiesa... nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce ed accoglie tutta la dovizia di capacità e consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva» («Lumen Gentium», 13).

    IV

    VERSO LA PIENA COMUNIONE


    9. Il Battesimo della Rus' si compì - come ho già rilevato - in un tempo in cui erano ormai sviluppate le due forme del cristianesimo: l'orientale, collegata con Bisanzio e l'occidentale, collegata con Roma, mentre la Chiesa continuava a rimanere una e indivisa. Questa considerazione, in noi che celebriamo il millennio del Battesimo ricevuto dai popoli orientali slavi a Kiev, non può non accendere ancor maggiormente il desiderio della piena comunione in Cristo di queste Chiese sorelle e spingerci a intraprendere nuove ricerche e a fare nuovi passi per favorirla. Questo anniversario non è soltanto un ricordo storico e un'occasione per preparare elaborazioni scientifiche e per fare bilanci, ma è anche, e soprattutto, un incentivo per volgere la nostra sensibilità pastorale ed ecumenica dal passato verso l'avvenire, per rafforzare la nostra nostalgia dell'unità ed intensificare la nostra preghiera.

    Sì, ambedue le Chiese, la Cattolica e l'Ortodossa, oggi più che mai decise a ritrovare, nonostante le difficoltà nate da secolari malintesi, la comunione intorno alla mensa eucaristica, guardano con particolare attenzione e speranza, in questo millennio, a tutti i figli e le figlie spirituali di san Vladimiro.

    D'altra parte, il graduale ritorno all'armonia tra Roma e Costantinopoli, come pure fra le Chiese che rimangono in piena comunione con questi centri - e come non pensare ai molteplici incontri bilaterali così ricchi di suggestioni per la densità dello scambio dei rispettivi doni spirituali, nutriti da tradizioni cosi diverse e feconde? - non potrà che influire positivamente, in particolar modo oggi, sugli eredi ortodossi e cattolici del Battesimo di Kiev. E forse il ricordo di tale evento, che sta all'origine della loro vita nuova nello Spirito Santo, contribuirà ad affrettare, con l'aiuto di Dio, l'ora del «bacio di pace», scambiato reciprocamente come frutto di una decisione matura, nata nella libertà e nella buona volontà dallo spirito originario che animava la Chiesa indivisa, segnata dal genio cristiano dei santi Cirillo e Metodio. Quale vantaggio costituirebbe per l'intero Popolo di Dio, se gli eredi ortodossi e cattolici del Battesimo di Kiev, scossi dalla rinnovata coscienza della comunione iniziale, sapessero raccoglierne la sfida e ripetere ai cristiani del nostro tempo il messaggio ecumenico che ne promana, sollecitandoli ad accelerare il passo verso la meta della piena unità, voluta da Cristo! Ciò, oltretutto, eserciterebbe un benefico influsso anche in quel processo di distensione nel campo civile, che tante speranze suscita in quanti operano per la convivenza pacifica nel mondo.

    10. La dimensione universale e quella particolare costituiscono due sorgenti coessenziali nella vita della Chiesa: la comunione e la diversità, la tradizione e i tempi nuovi, le antiche terre cristiane e i nuovi popoli che approdano alla fede. La Chiesa è riuscita ad essere una e insieme differenziata. Accettando l'unità come primo principio (cfr. Gv 17,21s.), essa è stata pluriforme nelle singole parti del mondo. Ciò vale in modo peculiare per la Chiesa occidentale e per quella orientale prima della reciproca progressiva estraniazione. In rapporto a quel periodo, il Concilio Vaticano II osserva: «Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno seguito per molti secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale sotto la direzione della Sede romana di comune consenso accettata, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina» («Unitatis Redintegratio», 14).

    Ed anche quando la piena comunione fu infranta, ambedue le Chiese conservarono fondamentalmente integro il deposito della fede apostolica. L'universalità e la pluriformità non hanno cessato, malgrado la tensione esistente, di scambiarsi a vicenda doni inestimabili.

    Consapevole di tale realtà, il Concilio Vaticano II ha aperto, in materia di ecumenismo, una fase nuova, che sta arrecando frutti promettenti. Il decreto conciliare sull'ecumenismo, già citato più volte, è espressione della stima e dell'amore che la Chiesa cattolica nutre per la ricca eredità dell'oriente cristiano, del quale mette in rilievo l'originalità, la diversità e, nello stesso tempo, la legittimità. Esso dice tra l'altro: «Fin dai primi tempi le Chiese d'Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. E siccome una certa diversità di usi e consuetudini, sopra ricordata, non si oppone minimamente all'unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione, il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio, dichiara che le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone all'indole dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle anime» (Unitatis Redintegratio», 16).

    Dal decreto risulta chiaramente la caratteristica autonomia disciplinare, di cui godono le Chiese orientali: essa non è conseguenza di privilegi concessi dalla Chiesa di Roma, ma della legge stessa che tali Chiese possiedono sin dai tempi apostolici.

    11. Nell'ora del dialogo, che si sta sviluppando ed è in costante progresso, fra le Chiese e le comunità ecclesiali di fronte al solenne Millennio del Battesimo della Rus' - un fatto che ci rimanda con tanta nostalgia alla Chiesa indivisa, comprendente tutte le Chiese particolari sia dell'Oriente che dell'Occidente, ed alla fervida preghiera di Cristo nel cenacolo per l'unità di tutti i credenti (cfr. Gv 17,20) -, dobbiamo ricordare che la piena comunione è un dono e non sarà soltanto frutto degli sforzi e desideri puramente umani, benché questi siano indispensabili e condizionino tante cose.

    Il peccato è entrato nel mondo a causa dell'uomo, ma «la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza in tutti gli uomini» (cfr. Rm 5,12.15). L'assiduità «nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera» (At 2,42), è un dono di Dio, perché è un nuovo modo di esistere dell'uomo. E' un pieno «essere insieme» nella Santissima Trinità. La prima sorgente di tale comunione è la grazia del Battesimo: mediante il Battesimo noi entriamo nell'unità della Chiesa disseminata in tutto il mondo, nell'unità voluta e fondata da Cristo, la quale, malgrado le differenze e le difficoltà, è rimasta sostanzialmente in vigore nell'arco dei primi dieci secoli; entriamo in quell'unità, di cui ci parla oggi il Battesimo della Rus'. Che tutti i cristiani ritornino ad essa e diventino una comunità di uomini i quali, rimanendo in piena comunione con Cristo, offrono questa loro ricchezza a tutti i membri dell'intera umanità. Questo chiediamo allo Spirito Santo, datore dei doni innumerevoli, grazie ai quali le singole persone e le comunità umane entrano in comunione con Cristo. In lui, nello Spirito Santo, la vita della Chiesa raggiunge profondità e dimensioni inaspettate. Il sentire e vivere la presenza del Paraclito e dei suoi doni è peculiare caratteristica della tradizione orientale, la cui profonda dottrina pneumatologica costituisce una ricchezza preziosa per tutta la Chiesa.

    E' in questa luce che vediamo svilupparsi i multiformi, diversificati e fruttuosi contatti nei quali ha trovato espressione, in questo periodo post-conciliare, il nostro comune impegno di attiva obbedienza alla volontà di Dio percepita nel suo Spirito.

    La ricca esperienza della piena comunione, vissuta nel primo millennio, ma dimenticata durante tanti secoli da ambedue le parti, sia per noi e per i nostri sforzi ecumenici una luce, un incoraggiamento e un costante punto di riferimento.

    V

    L'UNITÀ DELLA CHIESA E L'UNITÀ DEL CONTINENTE EUROPEO


    12. Percorrendo la via dell'ecumenismo, la Chiesa cattolica fissa lo sguardo sulla missione dei santi fratelli di Tessalonica, come ho detto nella epistola enciclica «Slavorum Apostoli».

    Significativo nella loro missione è un particolare «profetismo ecumenico», benché tutti e due abbiano operato nel periodo in cui la cristianità era indivisa. La loro missione ebbe inizio in Oriente, ma i suoi sviluppi permisero di mettere in rilievo il legame e l'unità con Roma, con la Sede di Pietro. La loro intuizione apostolica della «koinonia», nella Chiesa è oggi intesa sempre più profondamente, in questa epoca di crescente nostalgia per l'unità di tutti i cristiani e per il dialogo ecumenico. Essi hanno presentito che le nuove Chiese dovevano - dinanzi alle differenze e alle discussioni sempre più accentuate - salvare e rafforzare la piena e visibile comunione dell'unica Chiesa di Cristo. Infatti queste nascevano sul terreno dell'originalità propria dei vari popoli e delle rispettive aree culturali, ma dovevano nello stesso tempo conservare fra loro l'unità essenziale, in conformità con la volontà del divino fondatore. Per questo la Chiesa, nata dalla missione dei santi Cirillo e Metodio, avrebbe portato come iscritto in se stessa uno speciale sigillo di quella vocazione ecumenica, che i due santi fratelli avevano così intensamente vissuto. Nello stesso spirito nasceva anche - come ho già detto - la Chiesa di Kiev.

    Quasi all'inizio del mio pontificato, nell'anno 1980, ebbi la gioia di proclamare i santi Cirillo e Metodio patroni d'Europa, accanto a san Benedetto.

    L'Europa è cristiana nelle sue stesse radici. Le due forme della grande tradizione della Chiesa, l'occidentale e l'orientale, le due forme di cultura si integrano reciprocamente come i due «polmoni» di un solo organismo (cfr. «Redemptoris Mater», 24). Tale è l'eloquenza del passato; tale è l'eredità dei popoli che vivono nel nostro continente. Si potrebbe dire che le due correnti, l'orientale e l'occidentale, sono diventate simultaneamente le prime grandi forme dell'inculturazione della fede, nell'ambito delle quali l'unica e indivisa pienezza, affidata da Cristo alla Chiesa, ha trovato la sua espressione storica. Nelle diverse culture delle nazioni europee, sia in Oriente sia in Occidente, nella musica, nella letteratura, nelle arti figurative e nell'architettura, come anche nei modi di pensare, scorre una comune linfa attinta ad un'unica fonte.

    13. Al tempo stesso tale eredità diventa, in questo scorcio del XX secolo, una sfida particolarmente pressante all'unità dei cristiani. Una sincera aspirazione all'unità è presente oggi negli animi, quale presupposto di quella convivenza pacifica tra i popoli, in cui sta il bene di tutti. E' un'aspirazione che muove la coscienza dei cittadini, compenetra la politica e l'economia. I cristiani devono essere consapevoli delle sorgenti religiose e morali di tale sfida: Cristo «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14). Dio «ci ha riconciliati con sè mediante Cristo ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18). Questa realtà, quest'opera di Cristo ha oggi un suo particolare riflesso nella viva nostalgia dell'umanità per l'unità e la fraternità universale. Il desiderio dell'unità e della pace, del superamento delle diverse barriere e della composizione dei contrasti - così come il richiamo stesso del passato dell'Europa - diventa un segno stimolante dei nostri tempi.

    Non esiste vera pace, se non sulla base di un processo di unificazione nel quale ogni popolo possa scegliere, nella libertà e nella verità, le vie del proprio sviluppo. D'altra parte, un tale processo è impossibile, se manca un accordo circa l'unità originaria e fondamentale, che si manifesta in diverse forme non antagoniste ma complementari, le quali hanno bisogno l'una dell'altra e si cercano reciprocamente. Perciò, siamo profondamente convinti che la via verso la vera pace può essere raddrizzata in modo incomparabile nelle menti, nei cuori e nelle coscienze umane, mediante la presenza e il servizio di quel segno di pace che è - per sua natura - la Chiesa obbediente a Cristo e fedele alla sua vocazione.

    Esprimiamo piena fiducia in tutti gli sforzi umani, che mirano a togliere di mezzo le occasioni di tensioni e di conflitti mediante la via pacifica del dialogo paziente, degli accordi, della comprensione e del rispetto reciproci.

    E' vocazione dell'Europa, nata su fondamenti cristiani, una particolare sollecitudine per la pace nel mondo intero. In molte zone del mondo la pace manca, oppure è gravemente minacciata. E' necessaria, perciò, una costante e concorde cooperazione del continente europeo con tutte le nazioni in favore della pace e del bene, al quale ogni uomo e ogni comunità umana hanno un sacrosanto diritto.

    VI

    UNITI NELLA GIOIA DEL MILLENNIO CON MARIA MADRE DI GESÙ


    14. I misteri e gli avvenimenti brevemente ricordati nella presente lettera, visti e meditati alla luce delle indicazioni del Concilio Vaticano II e nella prospettiva storica del Millennio, diventano per noi una sorgente di gioia e di consolazione nello Spirito Santo.

    Tenendo conto dell'importanza del Battesimo della Rus' di Kiev nella storia dell'evangelizzazione e della cultura umana, ben si comprende come io abbia desiderato richiamare su di esso l'attenzione dell'intera Chiesa cattolica, invitando tutti i fedeli a comune preghiera. La Chiesa di Roma, costruita sul fondamento della fede apostolica di Pietro e di Paolo, si rallegra di questo Millennio e di tutti i frutti maturati nel corso delle generazioni: i frutti della fede e della vita, dell'unione e della testimonianza fino alla persecuzione e al martirio in conformità con l'annuncio di Cristo stesso. La nostra partecipazione spirituale alle solennità del Millennio si riferisce all'intero Popolo di Dio: fedeli e pastori, che vivono ed operano in quelle terre santificate mille anni or sono dal lavacro battesimale. Nella gioia di questa festa ci uniamo a tutti coloro che nel Battesimo, ricevuto dai loro antenati, riconoscono la sorgente della propria identità religiosa, culturale e nazionale; ci uniamo a tutti gli eredi di questo Battesimo, a prescindere dalla confessione religiosa, dalla nazionalità e dal luogo di abitazione; a tutti i fratelli e le sorelle ortodossi e cattolici. In particolare, ci uniamo a tutti i diletti figli e figlie delle nazioni russa, ucraina, bielorussa: a quelli che vivono nella loro patria, come anche a quelli che risiedono in America, in Europa occidentale e in altre parti del mondo.

    15. In maniera speciale questa è certo la festa della Chiesa ortodossa russa, avente il suo centro a Mosca e che noi chiamiamo con gioia «Chiesa sorella». Proprio essa ha assunto in gran parte l'eredità dell'antica Rus' cristiana, legandosi e rimanendo fedele alla Chiesa di Costantinopoli. Questa Chiesa, così come le altre Chiese ortodosse, ha veri sacramenti, segnatamente - in virtù della successione apostolica - l'Eucarestia e il Sacerdozio, grazie ai quali rimane unita alla Chiesa cattolica con legami strettissimi (cfr. «Unitatis Redintegratio», 15). E insieme con le Chiese menzionate essa intraprende intensi sforzi per «conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni, che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali» («Unitatis Redintegratio», 14).

    In questo solenne momento storico la comunità cattolica partecipa alla preghiera e alla meditazione sulle «grandi opere di Dio» (cfr. At 2,11) ed invia alla millenaria Chiesa sorella, mediante il Vescovo di Roma, il bacio di pace, come manifestazione dell'ardente desiderio di quella perfetta comunione che è voluta da Cristo ed è iscritta nella natura della Chiesa.

    Le celebrazioni millenarie di tutti gli eredi del Battesimo di Vladimiro e la nostra partecipazione, che nasce da un bisogno del cuore, alla loro gioia e al loro ringraziamento, porteranno a tutti - è nostra profonda convinzione - una luce nuova, capace di penetrare le tenebre del difficile, secolare passato: la luce stessa, che sempre di nuovo nasce e giunge a noi dal mistero pasquale, dal mattino della Pasqua e della Pentecoste.

    16. Una speciale espressione della nostra unione e partecipazione al Millennio del Battesimo della Rus', come anche dell'ardente desiderio di arrivare alla piena e perfetta comunione con le Chiese sorelle orientali, è costituita dalla proclamazione stessa dell'anno mariano, come è esplicitamente detto nell'enciclica «Redemptoris Mater»: «Anche se ancora sperimentiamo i dolorosi effetti della separazione, avvenuta più tardi..., possiamo dire che davanti alla Madre di Cristo ci sentiamo veri fratelli e sorelle nell'ambito di quel popolo messianico, chiamato ad essere un'unica famiglia di Dio sulla terra» («Redemptoris Mater», 50).

    Il Verbo incarnato, da lei dato alla luce, rimane per sempre nel suo cuore, come ben manifesta la famosa icona «Znamenie», la quale presenta la Vergine orante col Verbo di Dio inciso sul cuore. La preghiera di Maria attinge in modo singolare alla potenza stessa di Dio: essa è un aiuto e una forza di ordine superiore per la salvezza dei cristiani. «Perché, dunque, non guardare a lei tutti insieme come alla nostra Madre comune, che prega per l'unità della famiglia di Dio e che tutti "precede" alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell'unico Signore, il Figlio di Dio, concepito nel suo seno verginale per opera dello Spirito Santo?» («Redemptoris Mater», 30).

    Ai nostri fratelli e sorelle nella fede auguriamo che il patrimonio del Vangelo della croce, della Risurrezione e della Pentecoste non cessi di essere «via, verità e vita» (cfr. Gv 14,6) per tutte le generazioni future.

    Eleviamo per questo con tutto il cuore la nostra preghiera alla Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 gennaio - nella festa della conversione di san Paolo - dell'anno 1988, decimo di Pontificato.

    GIOVANNI PAOLO PP. II


  7. #7
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    Predefinito Dalla «Vita» in lingua slava di Costantino

    (Cap. 18; Denkschriften der kaiserl. Akademie der Wissenschaften, 19, Vienna 1870, p. 246)

    Costantino Cirillo, stanco dalla molte fatiche, cadde e malato e sopportò il proprio male per molti giorni. Fu allora ricreato da una visione di Dio, e cominciò a cantare così. Quanto mi dissero: «andremo alla casa del Signore», il mio spirito si è rallegrato e il mio cuore ha esultato (cfr. Sal 121, 1).
    Dopo aver indossato le sacre vesti, rimase per tutto il giorno ricolmo di gioia e diceva: «Da questo momento non sono più servo né dell'imperatore né di alcun uomo sulla terra, ma solo di Dio onnipotente. Non esistevo, ma ora esisto ed esisterò in eterno. Amen».
    Il giorno dopo vestì il santo abito messianico e aggiungendo luce a luce si impose il nome di Cirillo. Così vestito rimase cinquanta giorni.
    Giunta l'ora della fine e di passare al riposo eterno, levate le mani a Dio, pregava tra le lacrime, dicendo: «Signore, Dio mio, che hai creato tutti gli ordini angelici e gli spirito incorporei, che hai steso i cieli e resa ferma le terra e hai formato dal nulla tutte le cose che esistono, tu che ascolti sempre coloro che fanno la tua volontà e ti temono e osservano i tuoi precetti; ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto.
    Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fà crescere di numero la tua Chiesa e raccogli tutti nell'unità.
    Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina. E' tuo dono infatti l'averci scelti a predicare il Vangelo del tuo Cristo, a incitare i fratelli alle buone opere ed a compiere quanto ti è gradito.
    Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all'ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen».
    Avendo poi baciato tutti col bacio santo, disse: «Benedetto Dio, che non ci ha dato in pasto ai denti dei nostri invisibili avversari, ma spezzò la loro rete e ci ha salvati dalla loro voglia di mandarci in rovina».
    E così, all'età di quarantadue anni, si addormentò nel Signore.
    Il papa comandò che tutti i Greci che erano a Roma ed i Romani si riunissero portando ceri e cantando e che gli dedicassero onori funebri non diversi da quelli che avrebbero tributato al papa stesso; e così fu fatto.

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    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA AI PELLEGRINI DALLA REPUBBLICA SLOVACCA


    14 febbraio 2004

    Venerati Fratelli,

    illustri Signori,

    carissimi Fratelli e Sorelle!

    1. Con gioia vi accolgo e a tutti rivolgo il mio più cordiale benvenuto. Saluto e ringrazio anzitutto i Vescovi della Conferenza Episcopale Slovacca, che hanno promosso questo pellegrinaggio nazionale. Saluto, in particolare, i Signori Cardinali Ján Chryzostom Korec e Jozef Tomko come pure Mons. František Tondra, che ringrazio per le cortesi parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti. Esprimo al Signor Presidente della Repubblica viva gratitudine per la sua presenza e per le sue calorose parole di saluto.

    2. Per ben tre volte, durante il mio Pontificato, la divina Provvidenza mi ha concesso di visitare la Slovacchia: nel 1990, poco dopo la caduta del regime comunista, nel 1995 e lo scorso anno, in occasione del decimo anniversario della proclamazione della Repubblica e della istituzione della Conferenza Episcopale Slovacca.

    Oggi siete venuti voi a restituirmi soprattutto la visita che ho potuto realizzare cinque mesi fa e della quale conservo un profondo ricordo. Avete voluto far coincidere il vostro soggiorno a Roma con la festa dei santi Cirillo e Metodio, Patroni della Slovacchia e Compatroni d’Europa. Questo felice contesto liturgico permette di evidenziare gli antichi vincoli di comunione che legano al Vescovo di Roma la Chiesa che è nella vostra Terra. Al tempo stesso, la testimonianza di questi due grandi apostoli degli slavi costituisce un forte richiamo a riscoprire le radici dell’identità europea del vostro popolo, radici che voi condividete con le altre nazioni del Continente.

    3. Ho la gioia di accogliervi presso la tomba di san Pietro, sulla quale voi siete venuti a confermare la professione di quella fede che rappresenta il più ricco e solido patrimonio del vostro popolo.

    Questa fede vi invito a custodire integralmente, ed anzi ad alimentare mediante la preghiera, un’adeguata catechesi e una formazione continua. Essa non va nascosta, ma proclamata e testimoniata con coraggio e tensione ecumenica e missionaria. Questo insegnano i Fratelli Cirillo e Metodio, capostipiti di una scia di numerosi Santi e Sante germogliati lungo i secoli della vostra storia. Saldamente ancorati alla croce di Cristo, essi hanno messo in pratica quello che il divin Maestro aveva insegnato ai discepoli fin dagli inizi della sua predicazione: "Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo! (Mt 5,13.14).

    4. Essere "sale" e "luce" comporta per voi far risplendere la verità evangelica nelle scelte personali e comunitarie di ogni giorno. Significa mantenere inalterata l’eredità spirituale dei santi Cirillo e Metodio contrastando la diffusa tendenza di uniformarsi a modelli omologati e standardizzati. La Slovacchia e l’Europa del terzo millennio vanno arricchendosi di molteplici apporti culturali, ma sarebbe deleterio dimenticare che alla formazione del Continente ha contribuito in modo determinante il Cristianesimo. All’auspicata costruzione dell’unità europea voi, cari Slovacchi, offrite il vostro significativo apporto facendovi interpreti di quei valori umani e spirituali che hanno dato senso alla vostra storia. E’ indispensabile che questi ideali da voi vissuti con coerenza continuino ad orientare un’Europa libera e solidale, capace di armonizzare le sue diverse tradizioni culturali e religiose.

    Carissimi Fratelli e Sorelle, nel rinnovarvi l’espressione della mia gratitudine per la vostra visita, permettete che, nel congedarmi da voi, vi lasci come consegna lo stesso invito di Cristo a Simon Pietro: "Duc in altum - Prendi il largo" (Lc 5,4). E’ un’esortazione che sento risuonare costantemente nel mio animo. Questa mattina la rivolgo a voi.

    5. Popolo di Dio pellegrino in Slovacchia prendi il largo e avanza nell’oceano di questo nuovo millennio, mantenendo fisso lo sguardo su Cristo. Stella del tuo cammino sia Maria, la Vergine Madre del Redentore. Ti proteggano i tuoi venerati Patroni Cirillo e Metodio insieme con tanti eroi della fede, alcuni dei quali hanno pagato con il sangue la loro fedeltà al Vangelo.

    Con questi sentimenti, imparto di cuore a voi, ai vostri cari e all’intero Popolo slovacco una speciale Benedizione Apostolica.

  9. #9
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    GIOVANNI PAOLO II

    ANGELUS


    Domenica 15.02.2004

    1. Abbiamo celebrato ieri, 14 febbraio, la festa dei santi Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi e Patroni d’Europa insieme con san Benedetto Abate. Evangelizzando le regioni centro-orientali del Continente, essi hanno contribuito in modo determinante a far sì che l’Europa cristiana potesse respirare con due polmoni: quello dell’occidente e quello dell’oriente. In effetti, come è impossibile pensare alla civiltà europea senza l’opera e l’eredità benedettina, così non si può prescindere dall’azione evangelizzatrice e sociale dei due santi Fratelli di Salonicco.

    2. In questi mesi sono coinvolti nel processo di integrazione politica del Continente alcuni Paesi dell’est europeo dove operarono i santi Cirillo e Metodio. Sono Nazioni portatrici di una specifica ricchezza culturale e spirituale: in esse il Cristianesimo ha esercitato una straordinaria forza di coesione, nel rispetto delle loro peculiari caratteristiche.

    Esemplare fu, in proposito, il metodo di evangelizzazione dei santi Cirillo e Metodio, i quali, mossi dall’ideale di unire in Cristo i nuovi credenti, adattarono alla lingua slava i testi liturgici e alle consuetudini dei nuovi popoli il diritto greco-romano (cfr Enc. Slavorum Apostoli, 12-13).

    3. L’incontro tra il Vangelo e le culture ha fatto sì che l’Europa diventasse un "laboratorio" dove, nel corso dei secoli, si sono consolidati valori significativi e duraturi. Preghiamo perché, anche ai nostri giorni, il messaggio universale di Cristo, affidato alla Chiesa, sia luce di verità e sorgente di giustizia e di pace per i popoli del Continente e del mondo intero. Lo chiediamo per intercessione di Maria Vergine e dei Santi e delle Sante, che sono invocati come Patroni d’Europa.

  10. #10
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    Sts. Cyril and Methodius

    (Or CONSTANTINE and METHODIUS).

    These brothers, the Apostles of the Slavs, were born in Thessalonica, in 827 and 826 respectively. Though belonging to a senatorial family they renounced secular honours and became priests. They were living in a monastery on the Bosphorous, when the Khazars sent to Constantinople for a Christian teacher. Cyril was selected and was accompanied by his brother. They learned the Khazar language and converted many of the people. Soon after the Khazar mission there was a request from the Moravians for a preacher of the Gospel. German missionaries had already laboured among them, but without success. The Moravians wished a teacher who could instruct them and conduct Divine service in the Slavonic tongue. On account of their acquaintance with the language, Cyril and Methodius were chosen for their work. In preparation for it Cyril invented an alphabet and, with the help of Methodius, translated the Gospels and the necessary liturgical books into Slavonic. They went to Moravia in 863, and laboured for four and a half years. Despite their success, they were regarded by the Germans with distrust, first because they had come from Constantinople where schism was rife, and again because they held the Church services in the Slavonic language. On this account the brothers were summoned to Rome by Nicholas I, who died, however, before their arrival. His successor, Adrian II, received them kindly. Convinced of their orthodoxy, he commended their missionary activity, sanctioned the Slavonic Liturgy, and ordained Cyril and Methodius bishops. Cyril, however, was not to return to Moravia. He died in Rome, 4 Feb., 869.

    At the request of the Moravian princes, Rastislav and Svatopluk, and the Slav Prince Kocel of Pannonia, Adrian II formed an Archdiocese of Moravia and Pannonia, made it independent of the German Church, and appointed Methodius archbishop. In 870 King Louis and the German bishops summoned Methodius to a synod at Ratisbon. Here he was deposed and condemned to prison. After three years he was liberated at the command of Pope John VIII and reinstated as Archbishop of Moravia. He zealously endeavoured to spread the Faith among the Bohemians, and also among the Poles in Northern Moravia. Soon, however, he was summoned to Rome again in consequence of the allegations of the German priest Wiching, who impugned his orthodoxy, and objected to the use of Slavonic in the liturgy. But John VIII, after an inquiry, sanctioned the Slavonic Liturgy, decreeing, however, that in the Mass the Gospel should be read first in Latin and then in Slavonic. Wiching, in the meantime, had been nominated one of the suffragan bishops of Methodius. He continued to oppose his metropolitan, going so far as to produce spurious papal letters. The pope, however, assured Methodius that they were false. Methodius went to Constantinople about this time, and with the assistance of several priests, he completed the translation of the Holy Scriptures, with the exception of the Books of Machabees. He translated also the "Nomocanon", i.e. the Greek ecclesiastico-civil law. The enemies of Methodius did not cease to antagonize him. His health was worn out from the long struggle, and he died 6 April, 885, recommending as his successor Gorazd, a Moravian Slav who had been his disciple.

    Formerly the feast of Saints Cyril and Methodius was celebrated in Bohemia and Moravia on 9 March; but Pius IX changed the date to 5 July. Leo XIII, by his Encyclical "Grande Munus" of 30 September, 1880, extended the feast to the universal Church.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IV, 1908, New York

 

 
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