....i magistrati
PER CARLO GUARNIERI IL CASO FUCCI NON E’ UN CASO ISOLATO
Roma. Il professore Carlo Guarnieri, docente di “Sistemi giudiziari comparati” all’Università di Bologna, fa di tutto per non scandalizzarsi.
Resta impassibile persino di fronte alle parole pronunciate dal segretario dell’Associazione magistrati, Carlo Fucci.
“Sì, è vero, ha paragonato il progetto di riforma presentato dal governo a un tentativo di fascistizzazione della magistratura italiana. E’ anche vero che, travolto da tanta imprudenza, alla fine si è dimesso. Ma perché meravigliarsi? Se fosse un caso isolato potremmo anche ricondurlo a una visione raffazzonata della storia o, al massimo, all’incapacità di valutare l’impatto che un accostamento come quello avrebbe avuto sull’opinione pubblica. Mi preoccupa di più invece il fatto che un numero sempre maggiore di magistrati perda l’equilibrio del ragionamento o, se vogliamo, della serena valutazione delle cose. Si è scatenata, e la maggioranza di governo in questo ci ha anche messo del suo, una corsa alla radicalicalizzazione del confronto. Il linguaggio di tanti giudici moderati si è acuminato e incattivito. Lei, oggi starebbe tranquillo se avesse come pubblico ministero un magistrato come Carlo Fucci?”.
Secondo il professore Guarnieri, che all’anomalia giudiziaria italiana ha dedicato almeno tre libri, la magistratura “vive un
momento di grave smarrimento politico e sociale”. Da qui l’eccesso di conflittualità e la paura di qualsiasi cambiamento.
Il disorientamento nasce soprattutto dal fatto che “ormai si è affermata anche in Italia la cosiddetta società orizzontale, con una conseguente rivoluzione dei diritti”. “La nostra -annota Carlo Guarnieri – è una società che mette sempre più l’accento sui diritti dell’individuo e che, di conseguenza, tende a generare aspettative più elevate nei confronti della giustizia.
Il cittadino pretende che il sistema dia risposte chiare e, possibilmente, in tempi ragionevoli. Diventa così molto più difficile per i giudici respingere aprioristicamente una riforma che comunque tende ad ammodernare il vecchio ordinamento.
Molti di loro lo sanno ma, per paura di perdere quella tranquillità garantita dalla gestione ordinaria dei propri privilegi, si attaccano a qualsiasi pretesto. Preferiscono insomma rispondere non con un argomento ma con un atteggiamento; qual è appunto quello di una chiusura pregiudiziale al dialogo o di uno sciopero che, in sostanza, dice al governo di lasciare tutto com’è”.
Questo non significa, tuttavia, che il modello di ordinamento giudiziario proposto da Castelli sia il rimedio più efficace. Anzi. “Resiste, in quel disegno di legge – osserva il professore Guarnieri – la visione del concorsino: resta un concorsino quello al quale devi sottoporti per entrare in magistratura; restano concorsini quelli previsti per passare da una funzione all’altra; e restano concorsini soprattutto quelli necessari per gli avanzamenti di carriera.
Certo, abolire il principio dissennato dell’avanzamento automatico
– in base al quale tu raggiungi il grado e lo stipendio di presidente di sezione della Cassazione, rimanendo per cinquant’anni sostituto procuratore al tuo paesello è già un successo. Ma la valutazione non può essere affidata burocraticamente a un ulteriore esame, a un’altra gara di cultura libresca, destinata a essere impugnata chissà quante volte davanti ai Tribunali amministrativi, i famosi Tar.
Sarebbe più stimolante, e anche più rassicurante, che un parere sul magistrato che chiede il riconoscimento delle proprie capacità, e quindi una promozione, venga espresso dal suo diretto superiore e dall’ordine degli avvocati. Sugli avvocati insisterei particolarmente perché così verrebbe democraticamente chiamata a pronunciarsi la controparte. Sarebbe un gesto di signorilità istituzionale e di rispetto reciproco tra le parti processuali”.
Terremotini e non solo
Tutto questo, però, implica “una nuova cultura della formazione professionale e, soprattutto, del reclutamento”. “E’ necessario – annota Guarnieri – che il futuro giudice o pubblico ministero diventi padrone di un un metodo che gli consenta di acqusire quelle conoscenze di tipo extra giuridico che ormai sono indispensabili in qualsiasi processo. Un laureato in legge, prima di diventare arbitro della libertà altrui, dovrebbe dunque sottoporsi oltre che a un concorso, a un tirocinio degno di questo nome”.
Perché la retorica del giudice ragazzino del vincitore di concorso, cioè che dopo quindici mesi, esercita già le funzioni – “può solo creare danni”.
Il professore Guarneri che, per mestiere suo, mette a raffronto proprio i diversi ordinamenti, cita l’esempio di Germania e Olanda i cui sistemi giudiziari sono molto simili al nostro. “In quei due paesi il tirocinio, teorico e pratico, può durare, considerando l’Università, anche dodici anni. Un sostituto procuratore ragazzino con il potere di mandare un cittadino in galera lì non esiste.
Non solo. In Germania è previsto un ulteriore periodo di prova. Nei primi tre anni, se un giudice non si rivela all’altezza del compito, può essere tranquillamente invitato a tornarsene a casa”.
Ma i terremotini previsti dalla riforma Castelli non si fermano qui. C’è anche la rotazione degli incarichi direttivi. Un procuratore
ricordate, a Napoli, il caso Cordova? non può rimanere al suo posto per più di cinque anni. E ciò per evitare che si formino nel tempo posizioni di potere. Girano gli ambasciatori, i prefetti e i generali dell’esercito: perché non devono ruotare anche i vertici della magistratura?
Guarnieri però non si lascia facilmente affascinare. “Ruotano capi che non hanno più un vero potere di controllo e ai quali, di riflesso, non può essere attribuita alcuna responsabilità. La legislazione d’emergenza e le sempre più invadenti delibere del Consiglio superiore hanno concentrato ormai quasi tutto il potere nelle mani dei singoli sostituti, anche quelli di venticinque anni. Nelle procure comanda chi ha il primato della conoscenza, chi gestisce più notizie.
Riesce a immaginare a Palermo o a Milano un procuratore, appena nominato, che abbia la forza di contrastare sostituti come
Guido Lo Forte o Gherardo Colombo, che da trent’anni stanno, saldi e inamovibili, al loro posto?
su il Foglio di mercoledì 11 febbraio
saluti