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Bush, troppi morti per un 'errore'
di Massimo Fini
Se non riguardasse una tragedia sarebbe esilarante questo balletto angloamericano sulle «armi di distribuzione di massa», con le inchieste ordinate da Blair e Bush (ma, per quest’ultimo, con risultati che, s’intende, arriveranno dopo le elezioni), le accuse ai servizi segreti di aver fornito informazioni sbagliate o distorte, i comici semipentimenti di Colin Powell, la «colomba» che un anno fa aveva presentato su queste armi un rapporto all’Onu che aveva definito «basato su fatti e su una intelligence solida» e che invece era stato costruito con i piedi, tanto che una dozzina di pagine, parto degli inglesi, erano risultate fotocopiate da una tesi di laurea.
Il balletto è grottesco perché gli americani sapevano benissimo che quelle armi Saddam non le aveva.
E’ vero che, a metà degli anni ’80, gliele avevano date loro in funzione antikhomeinista, ma dopo la prima guerra del Golfo l’Iraq era stato sottoposto a una strettissima sorveglianza, c’erano due vaste «no flying zone» a nord e a sud del Paese dove gli aerei iracheni non potevano volare ma quelli americani sì e potenti satelliti spia sorvolavano notte e giorno tutto il territorio, per cui se quelle armi Saddam le avesse conservate, invece di esaurirle, col beneplacito Usa, sulla pelle degli iraniani e dei curdi, non avrebbero potuto sfuggire.
Inoltre erano stati inviati appositamente degli ispettori Onu, in buona parte americani, che, dopo mesi, non avevano trovato nulla.
E’ evidente quindi che le «armi di distruzione di massa» erano state un pretesto per attaccare l’Iraq che, indebolito e controllato com’era, non poteva costituire una minaccia per nessuno, per tutt’altre ragioni.
Ma adesso c’è la necessità di giustificare il proprio operato davanti alle rispettive opinioni pubbliche e al mondo. E allora si dice: «Beh, sì, forse ci siamo sbagliati».
Ci siamo sbagliati? Ma questo errore è costato la vita a 15mila civili iracheni, secondo le stime più prudenziali, a 55mila secondo Medact, un’associazione di medici inglesi che opera sul campo, a 520 americani e a un centinaio di soldati alleati, fra cui diciassette italiani.
E non siamo che all’inizio. Si può passar oltre impunemente dicendo, quasi con noncuranza, «ci siamo sbagliati», come se si trattasse di un errore di grammatica?