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    Predefinito "Dear mr. B.".... aspettiamo ansiosamente Sue nuove circa le Sue juvenili fortune....

    In mezzo all'immane cumulo di bischerate assortite andato in onda nell'odierno banana-show di Atene, c'è un passaggio alquanto significativo:

    «.... vengono a dare del semplicista al presidente del Consiglio, che da zero ha messo in piedi una grande azienda che versa centinaia di miliardi nelle casse dell'erario, che dà lavoro a decine di migliaia di persone».


    Proprio da zero?

    Se lo sono chiesti (e da diverso tempo) anche nella redazione di The Economist....

    Al solito banana-strepiti, insulti e querele, annunciate ma mai presentate (hai visto mai che un magistratodi Sua Maesta prima di pronunciarsi abbia la poco igienica tentazione di "vedere le carte") e in Patria...... ecchèdiamine!.... un patriottico troncare e sopire, almeno fino al momento in cui lo stesso banana non trovi opportuno riproporre la favoletta....

    Emmott e la sua redazione possono aspettare...

    E Noi?







    Dear Mr.Silvio Berlusconi
    Presidenza del Consiglio dei Ministri
    Palazzo Chigi
    370 Piazza Colonna
    Rome 00187


    July 30th 2003


    Dear Mr Berlusconi,


    I am writing to you to pose questions that I believe the public has a right to hear the answers to. As this can no longer occur through the Italian courts, such questions should be posed and answered in public.


    On June 18th, the Italian parliament approved a bill to grant immunity from criminal trials to the holders of the five highest offices of state, including the president and prime minister. It is now a law. The law applies even if a trial started before the office-holder was elected. The new law’s most immediate effect is that the one remaining criminal trial in which you are involved —the SME case, in which you are accused of bribing judges—has been suspended until you are no longer prime minister. Even then, the trial will start again only if you were not elected to one of the other offices that benefits from the immunity. But the law is being challenged in the constitutional court.


    On April 28th 2001, we published a cover story entitled “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy” and a four-page investigation “An Italian story”. We sent you a letter on April 11th 2001, containing 51 questions, that stated: “The Economist intends to publish shortly a feature on your business career and on the various investigations into you and your companies that have been carried out by the Italian magistracy during the last seven years”. You did not reply.


    On May 2nd 2001, you filed a writ for defamation against The Economist in the Rome court. As you will know, this court has not yet ruled on your suit.


    In light of the above, we are writing to you by way of open letter and challenge you to answer our further set of questions in a similar open, public fashion. Our letter comprises six sections as follows:


    1. The SME affair

    2. Your spontaneous declarations

    3. The smearing of Romano Prodi

    4. Your gold medal claim

    5. Your other trials

    6. Your early business career



    We look forward to your reply

    Yours sincerely



    Bill Emmott

    Editor

    The Economist


  2. #2
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    Predefinito traduzione



    Lettera aperta a Silvio Berlusconi

    Jul 30th 2003
    Da Economist.com

    Caro Sig. Berlusconi,


    Io sto scrivendo a Lei per porre delle domande alle quali io credo che il pubblico abbia diritto di sentire le risposte.
    Come questo non sempre succede nei tribunali italiani, tali domande dovrebbero essere poste e dovrebbero avere delle risposte in pubblico.

    Il 18 Giugno, il parlamento italiano ha approvato un progetto di legge per accordare l'immunità penale ai possessori dei cinque uffici più alti di stato, incluso il presidente dello Stato e il presidente del Consiglio. Ora è una legge. La legge si applica anche se un processo era cominciato prima che il titolare della carica fosse eletto. L'effetto più immediato della nuova legge è che il processo su un fatto penale nel quale Lei è coinvolto — il caso di SME, nel quale Lei è accusato di corruzione di giudici — è stato sospeso finché Lei non sarà più il primo ministro. Il processo ricomincerà di nuovo, solamente se Lei non fosse più eletto ad uno degli altri uffici che beneficiano dall'immunità. Ma la legge è stata contestata alla corte costituzionale.

    Il 28 Aprile 2001, noi pubblicammo una storia di copertina intitolata “Perché Silvio Berlusconi è disadatto per condurre Italia” ed un'inchiesta giornalistica di quattro-pagine “Una storia italiana”. Noi gli spedimmo una lettera il 11 aprile 2001, contenente 51 domande che affermavano: “L'Economist intende pubblicare brevemente un servizio speciale sulla Sua carriera di affari e sulle varie inchieste su di Lei e le Sue società che sono state eseguite dalla magistratura italiana durante gli ultimi sette anni”. Lei non rispose.

    Lei presentò un documento per diffamazione contro L'Economist alla corte di Roma il 2 maggio 2001. Come Lei saprà, questa corte non si è ancora pronunciata sul suo documento.

    Alla luce di quanto sopra, noi stiamo scrivendo a Lei come lettera aperta e La sfidiamo a rispondere al nostro ulteriore elenco di domande nello stesso modo: in maniera aperta e pubblica. La nostra lettera comprende sei sezioni come segue:


    1. L'affare SME

    2. Le Sue dichiarazioni spontanee

    3. La denigrazione di Romano Prodi

    4. La Sua richiesta di medaglia d'oro

    5. Le Sue altre prove

    6. La Sua precedente carriera in affari


    Aspettiamo ansiosamente la Sua replica

    Distinti saluti


    Bill Emmott


    The Economist


  3. #3
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    Predefinito

    In Origine Postato da Montalbano
    Banca Rasini, c'è solo Banca Rasini, Banca Rasini, c'è solo Banca Rasini...



    NONSOLOBANCARASINI (magari!.....)

    Il documento quì sotto, disponibile online sul sito http://www.giannivattimo.it. tradotto in quattro lingue (francese, inglese, spagnolo e tedesco) è stato distribuito a tutti i Parlamentari europei nel pomeriggio del 2 luglio 2003, giorno della presentazione, da parte del signor b. , del programma della presidenza italiana dell'Unione Europea.....

    Chissà perchè il giorno dopo il tizio era nervoso.... nervoso.... così nervoso da dare inizio alla più grande, inaudita pagliacciata mai passata dalle austere sale di una istituzione parlamentare (transnazionale per giunta ) direttamente nelle case di circa 220 milioni di europei (i tele-lecca-lecca italiani, con tutta la loro "buona volonta ed applicazione" non fanno decisamente testo!)






    La vita e la carriera dell'imprenditore Silvio Berlusconi, nonostante le biografie autorizzate che il protagonista ha fatto pubblicare o propiziato nel corso degli anni con fini auto-agiografici, rimane costellata di buchi neri e di domande senza risposta. Piccolo riepilogo degli omissis più inquietanti.



    1) La Edilnord Sas è la società fondata nel 1963 da Silvio Berlusconi per costruire Milano 2. Soci accomandatari (quelli che vi operano), oltre al futuro Cavaliere, sono il commercialista Edoardo Piccitto e i costruttori Pietro Canali, Enrico Botta e Giovanni Botta. Soci accomandanti (quelli che finanziano l'operazione) il banchiere Carlo Rasini, titolare dell'omonima banca con sede in via dei Mercanti a Milano, e l'avvocato d'affari Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano: la "Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag", di cui nessuno conoscerà mai i reali proprietari. Si tratta comunque di gente molto ottimista, se ha affidato enormi capitali a Berlusconi, cioè a un giovanotto di 27 anni che, fino a quel momento, non ha dato alcuna prova imprenditoriale degna di nota.




    2) Sulla banca Rasini, dove il padre Luigi Berlusconi lavora per tutta la vita, da semplice impiegato a direttore generale, ecco la risposta di Michele Sindona (bancarottiere piduista legato a Cosa Nostra e riciclatore di denaro mafioso) al giornalista americano Nick Tosches, che nel 1985 gli domanda quali siano le banche usate dalla mafia: "In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in piazza Mercanti". Cioè la Rasini, dove - ripetiamo - Luigi Berlusconi, padre di Silvio, ha lavorato per tutta a vita, fino a diventarne il procuratore generale. Alla Rasini tengono i conti correnti noti mafiosi e narcotrafficanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi Monti, legati a Vittorio Mangano, il mafioso che lavora come fattore nella villa di Berlusconi fra il 1973 e il 1975.



    3) Il 29 ottobre 1968 nasce la Edilnord Centri Residenziali Sas (una sorta di Edilnord 2): stavolta, al posto di Berlusconi, come socio accomandatario c'è sua cugina Lidia Borsani, 31 anni. E i capitali li fornisce un'altra misteriosa finanziaria luganese, la "Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzentren Ag" (Aktien), fondata da misteriosi soci appena 10 giorni prima della nascita di Edilnord 2. Berlusconi da questo momento sparisce nel nulla, coperto da una selva di sigle e prestanome. Riemergerà solo nel 1975 per presiedere la Italcantieri, e nel 1979, come presidente della Fininvest. Intanto nascono decine di società intestate a parenti e figuranti, controllate da società di cui si ignorano i veri titolari. Come ha ricostruito Giuseppe Fiori nel libro "Il venditore" (Garzanti, 1994, Milano), Italcantieri nasce nel 1973, costituita da due fiduciarie ticinesi: "Cofigen Sa" di Lugano (legata al finanziere Tito Tettamanzi, vicino alla massoneria e all'Opus Dei) e "Eti A.G.Holding" di Chiasso (amministrata da un finanziere di estrema destra, Ercole Doninelli, proprietario di un'altra società, la Fi.Mo, più volte inquisita per riciclaggio, addirittura con i narcos colombiani).



    4) Nel 1974 nasce la "Immobiliare San Martino", amministrata da Marcello Dell'Utri e capitalizzata da due fiduciarie del parabancario Bnl: la Servizio Italia (diretta dal piduista Gianfranco Graziadei) e la Saf (Società Azionaria Finanziaria, rappresentata da un prestanome cecoslovacco, Frederick Pollack, nato nientemeno che nel 1887). A vario titolo e con vari sistemi e prestanome, "figlieranno" una miriade di società legate a Berlusconi e ai suoi cari: a cominciare dalle 34 "Holding Italiana" che controllano il gruppo Fininvest. Secondo il dirigente della Banca d'Italia Francesco Giuffrida e il sottufficiale della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro, consulenti tecnici della Procura di Palermo al processo contro Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, queste finanziarie hanno ricevuto fra il 1978 e il 1985 almeno 113 miliardi (pari a 502 miliardi di lire e 250 milioni di euro di oggi), in parte addirittura in contanti e in assegni "mascherati", dei quali tuttoggi "si ignora la provenienza". La Procura di Palermo sostiene che sono i capitali mafiosi "investiti" nel Biscione dalle cosche legate al boss Stefano Bontate. La difesa afferma che si tratta di autofinanziamenti, anche se non spiega da dove provenga tutta quella liquidità. Lo stesso consulente tecnico di Berlusconi, il professor Paolo Jovenitti, ammette l'"anomalia" e l'incomprensibilità di alcune operazioni dell'epoca.



    5) Nel 1973 Silvio Berlusconi acquista da Annamaria Casati Stampa di Soncino, ereditiera minorenne della nota famiglia nobiliare lombarda rimasta orfana nel 1970, la settecentesca Villa San Martino ad Arcore, con quadri d'autore, parco di un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreni. La Casati è assistita da un pro-tutore, l'avvocato Cesare Previti, che è pure un amico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome (il padre Umberto) e dirigente di una società del gruppo (la Immobiliare Idra). Grazie alla fortunata coincidenza, la favolosa villa con annessi e connessi viene pagata circa 500 milioni dell'epoca: un prezzo irrisorio. E, per giunta, non in denaro frusciante, ma in azioni di alcune società immobiliari non quotate in borse, così che, quando la ragazza si trasferisce in Brasile e tenta di monetizzare i titoli, si ritrova con una carrettate di carta. A quel punto, Previti e Berlusconi offrono di ricomprare le azioni, ma alla metà del prezzo inizialmente pattuito. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro "Gli affari del presidente", che raccontava l'imbarazzante transazione.



    6) Nel 1973 Berlusconi, tramite Marcello Dell'Utri, ingaggia come fattore (ma recentemente Dell'Utri l'ha promosso "amministratore della villa") il noto criminale palermitano, pluriarrestato e pluricondannato Vittorio Mangano. Il quale lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d'Angerio principe di Sant'Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell'Utri e lo stesso Mangano. Mangano verrà condannato persino per narcotraffico (al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino) e, nel 1998, all'ergastolo per omicidio e mafia.



    7) Il 26 gennaio 1978 Silvio Berlusconi si affilia alla loggia Propaganda 2 (P2), presentato al gran maestro venerabile Licio Gelli dall'amico giornalista Roberto Gervaso. Paga regolare quota di iscrizione (100 mila lire) e viene registrato con la tessera 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625. La partecipazione al pio sodalizio gli procaccerà vantaggi di ogni genere: dai finanziamenti della "Servizio Italia" di Graziadei ai crediti facili e ingiustificati del Monte dei Paschi di Siena (di cui è provveditore il piduista Giovanni Cresti) alla collaborazione con il "Corriere della Sera" diretto dal piduista Franco Di Bella e controllato dalla Rizzoli dei piduisti Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din e Umberto Ortolani.



    8) Il 24 ottobre 1979 Silvio Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nella sede dell'Edilnord Cantieri Residenziali. Si spaccia per un "un semplice consulente esterno" addetto "alla progettazione di Milano 2". In realtà è il proprietario unico della società, intestata a Umberto Previti. Ma i militari abboccano e chiudono in tutta fretta l'ispezione, sebbene abbiano riscontrato più di un'anomalia nei rapporti con i misteriosi soci svizzeri. Faranno carriera tutti e tre. Si chiamano Massimo Maria Berruti, Salvatore Gallo e Alberto Corrado. Berruti, il capopattuglia, lascerà le Fiamme Gialle pochi mesi dopo per andare a lavorare per la Fininvest come avvocato d'affari (società estere, contratti dei calciatori del Milan, e così via). Arrestato nel 1985 nello scandalo Icomec (e poi assolto), tornerà in carcere nel 1994 insieme a Corrado per i depistaggi nell'inchiesta sulle mazzette alla Guardia di Finanza, poi verrà eletto deputato per Forza Italia e condannato in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento. Gallo risulterà iscritto alla loggia P2.



    9) Il 30 maggio 1983 la Guardia di Finanza di Milano, che sta controllando i telefoni di Berlusconi nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di droga, redige un rapporto investigativo in cui si legge: "E' stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane (Lombardia e Lazio). Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni in Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo aventi sede a Vaduz e comunque all'estero. Operativamente le società in questione avrebbero conferito ampio mandato ai professionisti della zona". Per otto anni l'indagine, seguita inizialmente dal pm Giorgio Della Lucia (poi passato all'Ufficio istruzione, da anni imputato per corruzione in atti giudiziari insieme al finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex socio di Marcello Dell'Utri) langue, praticamente dimenticata. Alla fine, nel 1991, il gip milanese Anna Cappelli archivierà tutto.



    10) Il terzo, seccante incontro ravvicinato fra il Cavaliere e la Legge risale al 16 ottobre 1984. Tre pretori, di Torino, Roma e Pescara, hanno la pretesa di applicare le norme che regolano l'emittenza televisiva e che il Cavaliere ha deciso di aggirare, trasmettendo in contemporanea gli stessi programmi su tutto il territorio nazionale. I tre magistrati fanno presente che è vietato, non si può e bloccano le attrezzature che consentono l'operazione fuorilegge. Il Cavaliere oscura le sue tv, per attribuire il black out ai giudici, poi scatena il popolo dei teledipendenti con lo slogan "Vietato vietare", opportunamente rilanciato dallo show del giornalista piduista Maurizio Costanzo. Lo slogan viene subito tradotto in legge dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il quale abbandona una visita di Stato a Londra per precipitarsi in Italia e varare un decreto legge ad personam ("decreto Berlusconi") che riaccende immediatamente le tv illegali del suo compare. Lo scandalo è talmente enorme che, persino nel pentapartito, qualcuno non ci sta. E il decreto viene bocciato dall'aula come incostituzionale. Due dei tre pretori reiterano il sequestro penale delle attrezzature utilizzabili oltre l'ambito locale. Così Craxi partorisce un secondo decreto Berlusconi, agitando davanti ai riottosi partiti alleati lo spauracchio della crisi di governo e delle elezioni anticipate, in caso di mancata conversione in legge. Provvederà poi lo stesso Caf a legalizzare il monopolio illegale Fininvest sulla televisione commerciale con la legge Mammì, detta anche "legge-Polaroid" per l'alta fedeltà con cui fotografa lo status quo .


  4. #4
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    Da leggere con attenzione!

    Economist 30-7-2003
    Gli esordi della sua carriera imprenditoriale

    Milano 2

    Il suo più grande successo imprenditoriale degli anni settanta é Milano 2, la vasta urbanizzazione di uffici e appartamenti a Segrate, nell’interland milanese. Nel 1970, aveva appena avviato i lavori, a capo del suo piccolo ma impegnato team. Alla fine del decennio, il progetto era compiuto.

    Tuttavia, Lei non compariva affatto nei documenti societari del principale costruttore, una società in accomandita semplice dal nome Edilnord Centro Residenziale di Lidia Borsani (Edilnord). Gli amministratori delegati che si avvicendarono furono Sua cugina (Lidia Borsani), la madre (Sua zia), e un dipendente dell’azienda. Umberto Previti, il padre del Suo amico Cesare Previti, all’epoca un poco noto avvocato di Roma, divenne il liquidatore della Edilnord nel gennaio del 1978, quando la società fu posta in liquidazione volontaria.

    Lei non compariva nemmeno nelle registrazioni relative alla Società Generale Attrezzature di Walter Donati (SOGEAT), l’azienda che costruì la parte commerciale di Milano 2. Anche la SOGEAT era una società in accomandita semplice. L'amministratore delegato era Walter Donati, un commercialista milanese che divenne amministratore di molte società collegate alla Fininvest.
    Ciononostante, tra il 1973 e il 1977, Lei, congiuntamente a suo padre, Luigi Berlusconi, garantì alla Edilnord affidamenti per almeno 6,9 miliardi di lire, dalla Banca Popolare di Novara (BPN), una banca italiana. Lo stesso fece per la SOGEAT, sempre tramite la BNP, per un importo di almeno 4,7 miliardi tra il 1976 e 1977. Inoltre, nel 1978, Lei garantì personalmente affidamenti a SOGEAT per 3 miliardi di lire.

    Società registrate in Svizzera con amministratori prestanome controllavano sia la SOGEAT che l’Edilnord, e le azioni delle società svizzere erano al portatore. Un documento interno di una banca che Le concedeva prestiti, datato dicembre 1976, dimostra che la stessa La riteneva il proprietario effettivo di tali società. Questo non sorprende affatto, altrimenti la banca avrebbe avuto scarse garanzie sui prestiti concessi.

    Negli anni settanta, in Italia vigevano leggi rigorose in materia valutaria; le condanne detentive per le violazioni erano severe. Tra il 1968 e il 1975, le società svizzere dietro Edilnord e SOGEAT furono scrupolose nel richiedere alla Banca d’Italia il permesso di portare in Italia un importo complessivo di 4 miliardi di lire, per poter aumentare il capitale azionario delle società. La Banca d’Italia acconsentì, a condizione che tutti i profitti netti realizzati dalla Edilnord o dalla SOGEAT fossero rimessi alle capogruppo svizzere.

    Le società svizzere dietro Edilnord, Suo fratello Paolo e Lei, tutti avevate conti correnti presso la Banca Rasini, una banca poco nota con una sola succursale (a Milano), dove Suo padre, all’epoca già in pensione, aveva lavorato per gran parte della propria vita.

    La fondazione della Fininvest

    Attualmente, la holding al vertice del suo impero imprenditoriale familiare è la Fininvest. L’antenata di quest’ultima era una società di nome Finanziaria di Investimento Fininvest Srl (Fininvest Srl), registrata a Roma nel marzo del 1975. Il Signor G. Foscale, suo cugino, era l’unico amministratore. Nel 1975, sia Umberto Previti che il figlio Cesare furono nominati membri del collegio sindacale della Fininvest Srl.

    G. Foscale diede mandato a due società fiduciarie di figurare quali titolari registrate delle azioni: si trattava di SAF e di Servizio Italia, entrambe di proprietà della Banca Nazionale del Lavoro (BNL), allora controllata dallo stato. La persona che affida mandato a una fiduciaria può essere o il proprietario effettivo, oppure qualcuno che agisce per conto dello stesso. Utilizzando una fiduciaria, che figura pubblicamente come azionista iscritto nel libro dei soci, il proprietario effettivo rimane anonimo. Questa era una pratica diffusa in Italia negli anni settanta.

    Prima delle norme del 1991 contro il riciclaggio di denaro, l'effettivo proprietario di azioni registrate a nome di una fiduciaria poteva venderle e ricevere il pagamento direttamente dall’acquirente per mezzo delle cosiddette transazioni in “franco valuta” (cioè, il denaro non transitava dalla fiduciaria). La fiduciaria si limitava così a trasferire le azioni su ordine del proprietario effettivo, senza però gestire il denaro. Nel caso di una transazione in franco valuta, la fiduciaria si doveva accontentare della parola del beneficiario, con riguardo all’avvenuta vendita delle azioni.

    Nel maggio del 1975, gli/il azionisti/a della Fininvest Srl decise/ro di iniettare nella società 2 miliardi di lire sotto forma di capitale azionario. Nel luglio 1975, Fininvest Srl acquistò l’80% di Italcantieri, e il resto nel novembre del 1976. I lavori di costruzione di Milano 2 vennero subappaltati a questa ditta milanese, fondata nel 1973 da due società registrate in Svizzera, con amministratori prestanome e azioni al portatore. L’unico amministratore della Italcantieri dal 1973 fino al luglio 1975 era stato Luigi Foscale, padre di Giancarlo Foscale e Suo zio. Lei divenne membro del consiglio di amministrazione dell’Italcantieri nel 1975, non appena la Fininvest Srl l’acquisì.

    Nel 1979, gli ispettori della Banca d’Italia effettuarono un controllo alla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde (Cariplo). Trovarono prove che lasciavano intravedere che Edilnord, Italcantieri e SOGEAT potevano essere di Sua proprietà.

    Nell’ottobre 1979, la Banca d’Italia chiese alla Guardia di Finanza di condurre delle indagini. Quest’ultima constatò che, tra il 1974 e il 1978, la Edilnord aveva realizzato profitti per 2,44 miliardi di lire, che avrebbe dovuto rimettere all’azionista svizzero (cioè, il suo alter ego), come concordato con la Banca d’Italia. Nello stesso periodo, la SOGEAT aveva realizzato 3,3 miliardi, che neppure furono rimessi in Svizzera. L’infrazione ammontava complessivamente a 5,74 miliardi di lire.

    Di conseguenza, il 13 novembre 1979, un team di ufficiali della Guardia di Finanza fece visita a un’altra delle Sue società. Berruti, allora capitano della Guardia di Finanza, era a capo della squadra. Il giorno precedente, Lei aveva detto a Berruti di essere soltanto un consulente esterno della Edilnord e della SOGEAT. Berruti si dimise dalla Guardia di Finanza lo stesso mese. Nonostante le fondate prove di violazioni della legge valutaria (le Sue garanzie personali presso la BNP e altre banche, il non rimpatrio dei profitti netti), non fu intrapresa alcuna azione legale contro di Lei.

    Lei, in veste di presidente, e suo fratello Paolo foste nominati membri del consiglio di amministrazione della Fininvest Srl nel novembre del 1975.

    La fusione tra Fininvest Roma e Fininvest Srl*

    Un’altra antenata diretta della Fininvest era la Fininvest Roma Srl (Fininvest Roma), costituita a Roma nel giugno 1978. Era una scatola vuota con un capitale versato di 20 milioni di lire. Umberto Previti fu l’unico amministratore fino al 1979.

    Il 29 gennaio 1979, la Fininvest Roma e la Fininvest Srl decisero una fusione, basata però sui rispettivi stati patrimoniali al 27 dicembre 1978.

    Per diciotto mesi, prima della fusione, Lei aveva tentato di aumentare il capitale azionario della Fininvest Srl rispetto a quello originariamente versato (2 miliardi). Rappresentava infatti una base scarna per un uomo dalle sue ambizioni, quindi era necessario incrementarlo. All’epoca, si doveva richiedere l’autorizzazione ministeriale per aumentare il capitale oltre i 2 miliardi di lire. Alla metà del 1977, la Fininvest Srl non era ancora riuscita a ottenerla. Di regola le autorità richiedevano informazioni, ad esempio particolari relativi al proprietario effettivo della società.

    Lei trovò una soluzione. Come presidente della Fininvest Srl, propose che gli azionisti facessero prestiti senza interessi in conto dell’aumento approvato di capitale. Dato che l’aumento approvato era di 18 miliardi di lire, la società avrebbe potuto ricevere 18 miliardi sottoforma di prestito dai soci. La Sua proposta fu approvata il 2 dicembre 1977.

    Documenti non ufficiali della SAF (una delle società fiduciarie della BNL) mostrano che tra il febbraio 1977 e l’agosto 1978, la Fininvest Srl ottenne prestiti dai soci per un valore di 16,94 miliardi di lire in conto dell’aumento di capitale. Il prestito fu ricevuto in 25 tranches, talvolta in giorni successivi. L’ovvia deduzione è che il denaro fu percepito in contanti o in forma equivalente, come ad esempio assegni bancari. Giovanni del Santo, un “intermediario “ e amministratore di varie società collegate alla Fininvest, ne diede notizia alla SAF. Il consulente tecnico di Dell’Utri ha confermato la precisione della distinta, ma aggiunse che parte dei fondi poteva essere pervenuta sotto forma di assegni ordinari di conto corrente.

    Nel novembre del 1978 la Fininvest Srl decise di rimborsare i 16,94 miliardi ricevuti in prestito dai soci e un’obbligazione convertibile di 500 milioni di lire emessa nel novembre del 1976. Quanto avvenne in seguito è complesso e, per una migliore comprensione, consigliamo di osservare le fasi 2-4 della tabella 1.



    Suo cugino, G. Foscale, riferì alle fiduciarie della BNL la decisione di restituire i prestiti dei soci. Le fiduciarie dovevano fungere da beneficiarie iniziali dei tre assegni non sbarrati per un importo di 16,94 miliardi di lire, da trarre sul conto della Fininvest Srl presso la Banca Popolare di Abbiategrasso (BPA). Egli chiese alla SAF di girare gli assegni a favore del Signor L. Foscale (cioè a favore di suo padre).

    Alla fine di novembre, Dal Santo, che fungeva da intermediario, ritirò i tre assegni girati dalle fiduciarie, e li consegnò a L. Foscale, che agiva in Suo nome. Fu inoltre ottenuto un assegno trasferibile che non riportava il nome del beneficiario, per l’importo di 500 milioni di lire. Quindi, complessivamente gli assegni erano quattro.

    Il 7 dicembre 1978, L. Foscale incassò l’assegno trasferibile e uno dei tre assegni bancari, per un totale di 1,01 miliardi di lire. In tal modo, aveva 1,01 miliardi di lire in contanti e 16,43 miliardi di lire in forma equivalente (cioè, i due assegni bancari restanti). Complessivamente 17,44 miliardi. Pertanto, 17,44 miliardi di lire avevano lasciato i forzieri della Fininvest Srl.

    Quello stesso giorno, vennero depositati sul conto bancario della Fininvest Srl, presso la BPA, 17,5 miliardi di lire da una fonte sconosciuta. E nello stesso giorno, nella stessa succursale, la Fininvest Roma pagò 17,5 miliardi di lire ad un beneficiario che gli inquirenti non furono in grado di identificare dalle registrazioni bancarie (vedere le fasi 1 e 8 della tavola 1). Dato che l’ispezione dei registri della BPA da parte degli inquirenti di Palermo escludeva l’introduzione di fondi da parte di un terzo, il denaro doveva essere girato in cerchio. (Gli inquirenti dedussero questo, poiché il totale dei movimenti riportati nel registro giornaliero della BPA per il 7 dicembre 1978 ammontava a 78 miliardi di lire. I movimenti di circa 17,5 miliardi sui quattro conti bancari incidevano per 70 dei 78 miliardi di lire. Se un terzo avesse introdotto fondi, sarebbero risultati movimenti di almeno 95,5 miliardi di lire (cioè, 78 + 17,5))

    Dato che 17,5 miliardi erano entrati e 17,44 erano usciti dal conto della Finivest Srl presso la BPA, i prestiti degli azionisti e l’obbligazione convertibile per un totale complessivo di 17,44 miliardi non potevano essere stati rimborsati. Quindi la Fininvest Srl aveva ancora 17,44 miliardi di debiti in sospeso, anche dopo il rimescolamento degli assegni bancari (fasi 2 – 4).

    In altre parole, i 17,44 miliardi dovevano sparire dalla situazione patrimoniale. La fusione, effettuata da U. Previti, basata sugli stati patrimoniali redatti il 27 dicembre 1978, era la risposta.

    U. Previti affermò che nello stato patrimoniale della Fininvest Roma del 27 dicembre 1978 vi era un credito produttivo di interessi di 17,69 miliardi di lire da incassare dalla Fininvest Srl (cioè, il pagamento effettuato da Fininvest Roma alla fase 8 della tavola 1). Quando Previti accorpò le due società, fuse letteralmente i relativi stati patrimoniali. Il credito di 17,69 miliardi di lire nella situazione patrimoniale della Fininvest Roma praticamente si compensò a fronte delle passività di 17,44 miliardi nello stato patrimoniale della Fininvest. Due dei saldi contabili uguali e contrari effettivamente risultati dal flusso circolare di fondi erano stati eliminati.

    Le società Holding Italiana

    Queste operazioni erano parte di una serie di transazioni ancora più vasta che comprendeva 19 società chiamate Holding Italiana 1… e così via, in sequenza, fino a 19. Le fasi 6 e 7 mostrano come queste società fossero coinvolte nel flusso circolare di fondi.

    Le società Holding Italiana sono diventate sinonimo della ricchezza della Sua famiglia, proprietaria della Fininvest; tuttavia Lei non figurava nei documenti di queste società fino al 1990, e, anche allora, non compariva in tutti.

    Agendo per Suo conto e/o per conto di qualcun’altro, il 4 dicembre del 1978 Lei acquisì il 10% di 23 società holding e diede mandato alla Par.Ma.Fid, una fiduciaria poco nota, affinché fungesse da azionista iscritto nel libro dei soci. Successivamente, il 5 dicembre 1978, Lei acquisì il restante 90%, e affidò il mandato alla SAF.

    Il 5 dicembre 1978, le holding avevano un capitale azionario complessivo di 420 milioni di lire. Siccome ce n’erano 23, il capitale complessivo poteva raggiungere 46 miliardi di lire senza l’autorizzazione ministeriale (cioè, 2 miliardi per società).

    Lei nominò L. Foscale, suo zio, come unico amministratore e mandatario per la firma sui conti bancari delle holding presso la BPA. Dal Santo fu nominato nei collegi sindacali.
    Sembra che Lei già sapesse la faccenda delle azioni. Il 7 dicembre 1978 Lei scrisse alla SAF, dichiarando che sarebbe stato versato “presso le casse sociali” di 19 delle holding un totale di 17,98 miliardi di lire in conto capitale.

    Il 7 dicembre 1978, le 19 holding ricevettero l’importo di 17,98 miliardi sui loro conti presso la BPA. La fonte di quasi tutto il contante devono essere stati i 17,44 miliardi (attualmente € 46.8 milioni) nella disponibilità di L. Foscale quello stesso giorno.

    L’afflusso di 17,98 miliardi di lire fu giustificato nei libri contabili delle 19 società come capitale azionario. Le società iniettarono questo importo sotto forma di capitale azionario nella Fininvest Roma, diventando così collettivamente proprietarie della stessa. Questa transazione portò il capitale della Fininvest Roma esattamente a 18 miliardi di lire, tutti versati.

    In effetti, l’obbligazione convertibile di 500 milioni di lire e il prestito degli azionisti di 16,94 miliardi - ricevuti dalla Fininvest Srl, secondo le informazioni di Dal Santo, in 25 tranches dal febbraio 1977 all’agosto 1978, erano stati riciclati nel dicembre del 1978 come capitale azionario fresco per le 19 holding. Il denaro era inoltre apparso tutto in una volta.
    Tuttavia, gli unici fondi nuovi erano i 540 milioni presenti sui conti della Fininvest Roma e della Fininvest Srl (vedere la tavola 1).

    Il 26 dicembre 1978, la Fininvest Roma aveva dunque un capitale interamente versato di 18 miliardi di lire, detenuto dalle 19 holding. La fusione con la Fininvest Srl non era ancora avvenuta. A quella data, la Fininvest Srl aveva un capitale versato di 2 miliardi di lire. Con la fusione, il/i suo/i azionista/i deve/devono aver scambiato le sue/loro partecipazioni nella Fininvest Srl, per le quali era stato dato mandato alla SAF, con il 10% delle quote azionarie nelle holding. Questo può spiegare perché Lei diede mandato alla Par.Ma.Fid per il 10% delle partecipazioni nelle holding.

    È ragionevole supporre che chi/coloro che fornì/fornirono i prestiti alla Fininvest Srl tra il febbraio 1977 e l’agosto 1978 possedeva/possedevano il restante 90% delle holding.

    1979 e 1980



    Nel 1979, 45,4 miliardi di lire (circa € 104 milioni in moneta attuale) fluirono nelle holding (vedere tabella 2).
    La quasi totalità dell’importo era costituita da denaro che era stato fatto girare in cerchio attraverso le società dai Lei controllate. La maggior transazione di 27,68 miliardi è spiegata nel paragrafo sull’eredità ricevuta da Anna Maria Casati Stampa di Soncino.

    Nel 1979, le holding iniettarono 32 miliardi di lire nella Fininvest Roma sotto forma di capitale azionario. In tal modo, al 31 dicembre 1979, il suo capitale versato era apparentemente aumentando a 52 miliardi. Tuttavia, anche quel denaro era direttamente uscito dalla Fininvest Roma, ritornando in effetti da dove era venuto. Pertanto, 32 dei 52 miliardi di capitale versato della Fininvest Roma erano fittizi.
    Nel 1980, fluirono 20,05 miliardi di lire nelle holding, in contanti o equivalenti, compresi 19,2 miliardi alla fine del dicembre 1980, (vedere tabella 2). Questo denaro era per la Fininvest.

    Il 22 dicembre 1980, Lei scrisse alle società fiduciarie dicendo che sarebbero stati versati 19,2 miliardi di lire come prestiti senza interessi dagli azionisti, di cui il 90% sarebbe passato per la SAF e il 10% per la Par.Ma.Fid. Secondo i libri contabili delle holding, i fondi entrarono in quattro tranches di 4,8 miliardi l’una, l’ultima settimana di dicembre.

    Tuttavia gli inquirenti di Palermo trovarono solamente traccia di una transazione nelle registrazioni di Banca Rasini, la banca poco nota con una sola succursale, di cui si servivano le holding. Questi riscontrarono che 4,3 miliardi di lire (cioè, la quota del 90% della SAF di 4,8 miliardi) erano stati registrati in un conto di transito presso Banca Rasini, come lo era stato il pagamento per lo stesso importo alla Fininvest. L’incasso era avvenuto in contanti (o equivalenti), come anche il pagamento. L’incasso doveva essere per forza avvenuto in contanti. Se Lei avesse messo a disposizione 4,3 miliardi di lire dal suo conto personale presso Banca Rasini, sarebbe effettivamente risultato un prelievo per quell’importo effettuato in quel giorno. Ma non risultò.

    Le transazioni furono registrate su un conto di transito. A quell’epoca, alcune banche utilizzavano conti di transito per registrare transazioni di breve durata (cioè, con scadenza massima di una settimana). Registrare una transazione su un conto di transito significava che la stessa era per qualcuno che non era cliente della banca. C’era quindi una grave irregolarità – in quanto Lei era cliente di Banca Rasini.

    Banca Rasini

    Banca Rasini fungeva da banca per Lei, Suo fratello, Dell’Utri e il proprio fratello, i Suoi alter ego svizzeri (quelli dietro Edilnord e Italcantieri), e anche per la Par.Ma.Fid. Era anche molto vicina alle società Holding Italiana.

    Armando Minna, un commercialista milanese, e sua moglie avevano fondato le 23 Holding Italiana nel giugno del 1978. Minna, membro del collegio sindacale di Banca Rasini, aprì conti correnti per le holding presso la stessa banca. Lei acquisì le quote delle 23 holding nel dicembre del 1978, mediante transazioni in franco valuta con i coniugi Minna. Minna venne nominato membro del collegio sindacale delle holding.

    Nei documenti interni della banca, ognuna delle Holding Italiana era classificata come “parrucchiere e salone di bellezza”. Gli ispettori della Banca d’Italia usavano queste classificazioni come uno dei criteri per decidere quali conti ispezionare. La classificazione potrebbe essere stata un errore, ma è indubbio che 23 “parrucchieri” erano molto meno soggette a ispezioni rispetto a 23 holding finanziarie.

    All’epoca, Giuseppe Azzaretto, un siciliano, nominato nel 1973, era l’amministratore delegato di Banca Rasini. Era uno dei maggiori azionisti della banca, con una quota del 29,3%. Tre società registrate nel Liechtenstein detenevano un altro 32,7%, ed erano rappresentate da Herbert Batliner, che gestisce una delle principali fiduciarie del Liechtenstein.

    Indubbiamente, Batliner rappresenta molte persone che hanno validi motivi per mantenere la riservatezza. Ma alcune, no. Nel 1971, un processo negli Usa si concluse con la condanna di due cittadini americani per evasione fiscale negli anni sessanta, realizzata attraverso una società paravento registrata nel Liechtenstein, che Batliner aveva gestito nel loro interesse. Un altro processo americano nel 1998 rivelò che la società di Batliner aveva agito per conto della convivente di un trafficante di droga latino americano. Nel 1989, quest’ultimo aveva trasferito 8 milioni di dollari su un conto svizzero. Il conto era intestato a una società registrata nel Liechtenstein, rappresentata da Batliner che aveva ricevuto il mandato dalla convivente del trafficante. Il processo ebbe origine poiché il governo statunitense intendeva sequestrare i fondi, in quanto ritenuti proventi da narcotraffico e riciclaggio di denaro.

    L’eredità di Anna Maria Casati Stampa di Soncino

    Nel novembre del 1979, Lei abitava in una residenza del 1600, Villa San Martino, da oltre 5 anni. Quel meraviglioso edificio si trova nel comune di Arcore, a nord-est di Milano. Ma Lei non era il legittimo proprietario; era Anna Maria Casati Stampa di Soncino. Nel settembre del 1970, l’allora diciannovenne Signorina Casati Stampa ereditò l’ingente fortuna della famiglia in tragiche circostanze, dopo che, il 30 agosto 1970 a Roma, il padre, Conte Camillo Casati Stampa di Soncino, sparò alla seconda moglie e all’amante di questa, e poi si suicidò puntandosi la rivoltella al capo.

    Siccome la Casati Stampa non aveva ancora 21 anni, il tribunale nominò Giorgio Bergamasco, senatore e amico del defunto conte, come suo tutore. Cesare Previti, residente a Roma, aveva agito per conto della matrigna della Casati Stampa e conquistò la fiducia di quest’ultima, divenendo così suo avvocato. Il suo ruolo consisteva nell’amministrare le sue proprietà, mentre Bergamasco doveva firmare tutti i documenti legali a nome della Casati Stampa. Quindi Bergamasco aveva il controllo giuridico del suo patrimonio, mentre Previti il controllo concreto.

    Nel 1970, traumatizzata, la Casati Stampa lasciò l’Italia; vi ritornò poi per un breve periodo nel 1972 e, da allora, vive all’estero. Quando compì il ventunesimo anno d’età, diede a Bergamasco la delega per la gestione del suo patrimonio. La Casati Stampa non vuole rilasciare commenti.

    Il patrimonio di famiglia, prevalentemente in Lombardia, comprendeva ampi lotti di terreno. Oltre a Villa San Martino e il relativo parco, la famiglia possedeva 250 ettari di terra a Cusago. L’11 novembre 1979, una società di nome Immobiliare Coriasco Spa (Coriasco) acquistò il terreno della Casati Stampa a Cusago.

    In forza di un mandato rilasciato da L. Foscale, la SAF era il titolare ufficiale delle azioni della Coriasco, quindi il proprietario effettivo era anonimo. Tuttavia, nei rendiconti finanziari della Fininvest Srl per il 1976, la Coriasco appariva come una società totalmente controllata. L’unico amministratore della Coriasco era Giuseppe Scabini, che divenne in seguito il cassiere della Fininvest.
    La Coriasco non versò denaro per il terreno della Casati Stampa. Questa ricevette infatti 800.000 azioni, valutate 1,7 miliardi di lire, di una società di nome Cantieri Riuniti Milanesi (CRM), una piccola immobiliare, di cui uno degli amministratori era Dell’Utri. Queste azioni costituivano una quota di partecipazione del 40% nella CRM. Circa nello stesso periodo, 400.000 azioni CRM vennero consegnate a una fiduciaria di nome Unione Fiduciaria, consociata di una banca italiana. Non è noto chi fosse il proprietario effettivo di queste azioni.

    La Casati Stampa non era soddisfatta di aver ricevuto azioni di una società di cui non sapeva nulla in cambio del suo terreno. Chiese che le azioni venissero tramutate in contanti. Per una migliore comprensione di quanto avvenne in seguito, rinviamo i lettori alla tabella 3.



    In sostanza, Lei fece in modo che una delle Sue società scatole, la Palina, con a capo un settantacinquenne colpito da ictus, comprasse le 800.000 azioni della CRM dalla Casati Stampa, e le altre 400.000 dalla Unione Fiduciaria. La Palina pagò 1,7 miliardi di lire alla Casati Stampa e 860 milioni all’Unione Fiduciaria. Gli inquirenti di Palermo non riuscirono a scoprire da dove venisse quel denaro, poiché alla BPA non ve n’era traccia. Comunque, trovarono una fattura dell’Unione Fiduciaria e un documento per il trapasso delle azioni timbrato e firmato da Bergamasco, che lascia decisamente intendere che erano stati pagati 2,56 miliardi di lire.

    Il 19 dicembre 1979, la Palina cedette le 1.200.000 azioni della CRM alla Milano 3 Srl, un’altra scatola vuota, che pagò a Palina 27,68 miliardi di lire (cioè, oltre dieci volte il prezzo pagato dalla Palina alcune settimane prima). La Palina era una società ritagliata ad hoc, costituita nell’ottobre del 1979 e messa in liquidazione nel maggio del 1980. Non figurava nulla nelle sue registrazioni contabili sulle operazioni relative alle azioni della CRM, o sulla cessione delle stesse alla Milano 3 Srl.

    La transazione fu una finzione poiché la Milano 3 Srl aveva indirettamente ottenuto il denaro per pagare la Palina dalla Palina stessa. Come mostra la tavola 3, il 19 dicembre 1979 la Palina aveva inviato 27,68 miliardi di lire alle fiduciarie, che a loro volta li avevano trasferiti sui conti delle holding presso la BPA. Da lì, i fondi transitarono sul conto della Fininvest Roma sempre presso la BPA e poi, attraverso il conto della Milano 3 Srl, raggiunsero un beneficiario ignoto.

    Dato che i controlli delle registrazioni della BPA condotti dagli inquirenti di Palermo escludevano l’introduzione di fondi da parte di un terzo, i fondi dovevano essere girati in cerchio. Ciò in quanto lo stesso giorno furono depositati 27,68 miliardi sul conto corrente della Palina (dalla Milano 3Srl).

    Sembra che Lei sapesse cosa stava accadendo. Il 13 dicembre 1979, Lei scrisse alle fiduciarie per informarle che l’imminente pagamento di 25,68 miliardi di lire doveva essere considerato come prestito da parte degli azionisti a favore di alcune tra le società Holding Italiana. Di fatto, Lei pagò 27,68 miliardi di lire (le Holding Italiana 18 e 19, non citate nella sua lettera, ricevettero 2 miliardi).

    La Milano 3 Srl era stata registrata nel novembre 1979, come consociata della Fininvest Roma. Dal Santo era l’unico amministratore. Gli investigatori anti-mafia e i consulenti tecnici dei magistrati di Palermo non sono riusciti ad avere accesso ai libri e ai documenti contabili della società. Comunque, la Milano 3 Srl deve essere stata la fonte da cui provenivano i 27,68 miliardi ricevuti dalla Palina il 19 dicembre. Deve inoltre avere contabilizzato questo denaro come investimento nella CRM. Tale investimento fu “finanziato” con i 27,68 miliardi di lire che aveva ricevuto dalla Fininvest Roma nello stesso giorno.

    La CRM si fuse (letteralmente) nella Milano 3 Srl nel luglio del 1980. La Milano 3 Srl, la società sopravvissuta, convertì il proprio nome in Cantieri Riuniti Milanesi. Si ripeté la stessa manovra, cioè l’eliminazione dei due saldi contabili uguali e contrari che erano risultati dal flusso circolare di fondi. Quando furono accorpati i due stati patrimoniali, i saldi relativi alla transazione Palina scomparvero dai libri contabili della Milano 3 Srl. L’investimento in azioni CRM si era semplicemente compensato a fronte del finanziamento ricevuto.

    Doveva essere proprio così. La Fininvest non avrebbe potuto spendere 27,68 miliardi per l’acquisto di 1.200.000 azioni della CRM che Lei già possedeva (tramite la Palina), dato che esattamente lo stesso importo era entrato e uscito dal conto bancario della Palina il 19 dicembre 1979. Inoltre le azioni della CRM avevano poco valore, visto che quest’ultima non possedeva nemmeno il terreno di Cusago, che apparteneva infatti alla Coriasco.

    Il consulente tecnico di Dell’Utri ha riferito al tribunale di Palermo che, se la transazione avesse avuto luogo dopo l’introduzione delle norme anti-riciclaggio nel 1991, “si sarebbe dovuto renderla nota” considerato l’ammontare delle cifre in questione.

    Convogliando i fondi della transazione Palina attraverso la Fininvest Roma, si gonfiarono le attività e le passività della società di 27,68 miliardi di lire. In seguito a tale operazione, il capitale azionario delle Fininvest Roma era aumentato di 15 miliardi, considerati come totalmente versati. Tale capitale era però fasullo, come lo erano i valori contabili relativi all’operazione stessa. In altre parole, i movimenti bancari artefatti, resi possibili dalla Palina per completare il cerchio, conferirono fallace credibilità a falsi valori contabili.

    L’Immobiliare Coriasco

    Anche la Coriasco (la società che aveva acquisito il terreno di Cusago) pose in essere nel 1979 un’emissione di azioni, che non si rivelò essere quel che sembrava.

    Come sopra menzionato, nel 1976 la Fininvest Srl possedeva il 100% delle 200.000 azioni della Coriasco del valore di 1.000 lire l’una (cioè, la Coriasco possedeva un capitale azionario complessivo di 200 milioni), ma la SAF era l’azionista iscritto nel libro dei soci in virtù del mandato da parte di L. Foscale.

    Secondo documenti ufficiali della SAF, alla metà di Marzo 1979, L. Foscale scrisse alla stessa società, affermando che il 22 marzo 1979 vi sarebbe stato un aumento di 2 miliardi nel capitale azionario della Coriasco (sarebbero cioè state emesse 2 milioni di azioni).

    L. Foscale dichiarò che la transazione sarebbe avvenuta in franco valuta (il denaro avrebbe quindi bypassato le fiduciarie). Il 20 marzo 1979 invece, secondo documenti non ufficiali della SAF, Dal Santo telefonò per dire che avrebbe conferito mandato alla società per sottoscrivere il menzionato aumento di capitale di 2 miliardi. Inoltre, sempre secondo documenti ufficiosi della SAF, il 21 marzo 1979 Dal Santo presentò alla SAF il mandato da firmare e rese disponibili 2 miliardi in contanti. La SAF versò il denaro presso la Cariplo e la Banca Popolare di Novara e ricevette due assegni bancari non sbarrati per un totale di 2 miliardi di lire.

    Poi girò questi assegni alla Coriasco, che in questo modo sembrava aver ottenuto un incremento di capitale di 2 miliardi, attraverso due assegni bancari. Ma non era così; in realtà, il denaro per le azioni era in contanti. In altre parole, Dal Santo aveva riciclato 2 miliardi di lire attraverso la SAF, favorito dalla stessa fiduciaria.

    Chiunque avesse esaminato i documenti ufficiali relativi alla emissione di azioni (vale a dire, la lettera di Fiscale), avrebbe dedotto che il denaro aveva bypassato la fiduciaria, in quanto non vi sarebbero state ragioni evidenti per supporre che l’operazione non fosse stata eseguita come dichiarato nella lettera di Foscale.

    Secondo i bilanci della Fininvest relativi al 1979, la sua partecipazione nella Coriasco ammontava ormai solamente al 9,09% (cioè, le 200.000 azioni che deteneva nel dicembre del 1976). Pertanto non è chiaro chi avesse fornito i 2 miliardi di lire in contanti nel marzo del 1979. Il consulente tecnico di Dell’Utri ha riferito al tribunale di Palermo che la Coriasco era “assolutamente marginale e irrilevante”.

    Dopo aver ottenuto la licenza edilizia, un’altra società, la Cantieri Riuniti Milanesi (non la stessa società coinvolta nella operazione Palina), sviluppò un vasto progetto di costruzioni su un terreno che la Coriasco aveva acquisito nel 1979.

    Nel 1980, l’Immobiliare Idra, con a capo Dal Santo, divenne la legittima proprietaria di Villa San Martino (e del parco, della collezione di libri, dei quadri ecc.), pagando 500 milioni di lire alla Casati Stampa (attualmente circa €960,000). In un dato momento, l’Immobiliare Idra deve essere appartenuta alla Fininvest, poiché più avanti la Fininvest la cedette a Lei.

    Giovanni Dal Santo

    Personaggi importanti durante la fase iniziale della Sua carriera – C. Previti, G. Foscale, Scabini, Dell’Utri e Berruti – ottennero in seguito posizioni di rilievo con il Suo aiuto e, come Lei, nel 1990 furono accusati di illeciti penali. Ma la figura più enigmatica è Dal Santo.

    Nato in Sicilia nel 1920, Dal Santo lavorava a Milano come contabile. Fu amministratore unico di una serie di società in momenti cruciali della loro esistenza; ad esempio, di Milano 3 Srl quando acquistò la CRM dalla Palina, e di Immobiliare Idra quando comprò Villa San Martino. Era anche “l’intermediario” tra L. Foscale e le fiduciarie della BNL. Fu lui che fornì le informazioni emerse dai documenti ufficiosi della SAF (cioè, che il prestito da parte degli azionisti di 16,9 miliardi di lire a favore della Fininvest era stato ricevuto in 25 tranches tra il febbraio 1977 e l’agosto 1978). Fu anche membro del collegio sindacale delle società Holding Italiana. Sicuramente Lei lo conosceva.

    Dal Santo riciclò 2 miliardi di lire (attualmente circa €5,1) attraverso la SAF e la Coriasco nel marzo del 1979. Dal giorno della sua acquisizione da parte della Finivest Srl nel 1976 fino al gennaio 1978, l’unico amministratore della ISTIFI fu Dal Santo. Questa società divenne poi il polmone finanziario del gruppo.

    Era certamente un uomo di fiducia.

    Le nostre domande

    Ha spiegazioni alternative per le transazioni citate?

    Chi versò 4 miliardi di lire alla Edilnord e alla SOGEAT sotto forma di capitale sociale tra il 1967 e il 1975?

    Chi immise 16,94 miliardi nella Fininvest Srl sotto forma di prestito dagli azionisti nel 1977-78, e da dove proveniva il denaro?

    Perché questo denaro fu iniettato in 25 tranches su un periodo di 20 mesi?

    Per conto di chi Dal Santo era un uomo di fiducia?

    Pensa che la Casati Stampa abbia ricevuto un trattamento equo per Villa San Martino e i terreni di Cusago?

    Chi era il proprietario effettivo delle 400.000 azioni della CRM registrate a nome dell’Unione Fiduciaria, che di conseguenza ricevette gli 860 milioni versati dalla Palina?

    Chi mise 2 miliardi nella Coriasco nel marzo del 1979 e da dove venivano i contanti?

    Perché condusse un tal numero di transazioni azionarie in franco valuta?

    Perché si è avvalso del diritto di non rispondere quando i pubblici ministeri volevano interrogarla a Palazzo Chigi su queste e altre vicende il 26 novembre 2002?

    La sua appartenenza alla P2

    Nell’ottobre del 1990 la corte di appello di Venezia constatò che Lei aveva giurato il falso nella deposizione del 1988, in una causa per diffamazione che Lei aveva intentato contro i giornalisti Giovanni Ruggeri e Mario Guarino e che perse. Questi erano coautori di “Inchiesta sul Signor TV”, un libro basato su un’approfondita ricerca circa gli esordi della Sua carriera imprenditoriale, pubblicato per la prima volta nel 1987.

    Lei fu dichiarato colpevole, ma la pena per falsa testimonianza venne commutata grazie a un’amnistia generale. Tra le altre cose, nel processo per diffamazione, Lei affermò che era entrato nella loggia P2 poco prima che fosse scoperta nel 1981 e che non aveva pagato la quota associativa. Il tribunale di Venezia decise che queste dichiarazioni non erano vere. Lei era stato iniziato alla loggia P2 all’inizio del 1978 e aveva pagato la quota di 100.000 lire.

    Dopo che Berruti l’aveva interrogata sulla Edilnord e sulla SOGEAT nel novembre del 1979, il mese successivo Salvatore Gallo, un alto ufficiale della Guardia di Finanza di Roma, scrisse all’Ufficio Italiano dei Cambi. Raccomandava che non si intraprendessero ulteriori azioni. Gallo aveva ricevuto l’iniziazione nella loggia della P2 nel 1980.

    La BNL aveva più top manager iscritti alla P2 di qualunque altra banca italiana. Almeno 6 alti dirigenti avevano ricevuto l’iniziazione nella loggia, tra cui Gianfranco Graziadei, direttore generale di una delle fiduciarie della BNL.

    Negli anni settanta le sue società furono generosamente sostenute dalle banche italiane, tra cui il Monte dei Paschi di Siena, il cui direttore generale, Giovanni Cresti, era membro della P2. In seguito il collegio sindacale del Monte dei Paschi di Siena concluse che: “il profilo di rischio relativo [al Suo gruppo] era nel complesso eccezionale. Gli ispettori che hanno esaminato il registro dei prestiti hanno svolto un’analisi accurata in base alla quale si può concludere che vi sono stati notevoli favoritismi verso [il Suo gruppo].”

    Le nostre domande

    Perché mentì sulla data in cui Lei fu iniziato nella loggia P2?

    Si servì della Sua appartenenza alla P2 per ottenere cose che non avrebbe ottenuto altrimenti?

    ---------------------------------------------
    *abbiamo redatto questo sottoparagrafo in base ai rapporti sulle Sue società stilati da un inquirente dell’Anti-Mafia e dal consulente tecnico dei magistrati di Palermo proveniente dalla Banca d’Italia. La loro inchiesta partì da un’accusa di un pentito che affermava che erano stati usati 20 miliardi della Mafia per dar vita agli investimenti televisivi della Fininvest. I due inquirenti impiegarono diciotto mesi a raccogliere i documenti contabili delle società all’apice della gerarchia della Fininvest tra il 1975 e il 1985 (così come le società collegate alle stesse, ecc), delle fiduciarie in rapporto con Lei, e dei conti bancari appartenenti a Lei e alle società esaminate. Entrambi hanno testimoniato in merito a quanto avevano trovato nel processo del suo amico intimo, Marcello Dell’Utri, che nel 1996 fu accusato di complicità con la Mafia.

    Eccetto un breve periodo alla fine degli anni settanta, il siciliano Dell’Utri collaborò con Lei dalla metà degli anni sessanta al 1994. Deputato italiano, fu cofondatore di Forza Italia e assunse un ruolo direttivo nella Sua campagna elettorale per le elezioni del 1994.

  5. #5
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    Qualcosa di interessante si potrebbe trovare anche nel rapporto della Banca d' Italia sulle radici della nascita del gruppo.

    Cercatevelo.
    "La guerra è la vicenda in cui innumerevoli persone, che non si conoscono affatto, si massacrano per la gloria e per il profitto di alcune persone che si conoscono e non si massacrano affatto." (Paul Valèry, poeta francese).

  6. #6
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    Per non parlare del rapporto KPMG...

    Comunque ad oggi, che io sappia, la sesta parte dell'articolo dell'economist rimane la miglior fonte per chi volesse chiarimenti sull'imprenditore che si e' fatto da se...

    Sfortunatamente i punti 4-5-6 furono menzionati ma NON pubblicati nell'edizione cartacea dell'economist... Sono disponibili solo sul web...

    E' noto che il fatto di non aver pubblicato la sesta parte fece tirare un sospiro di sollievo al nanetto.... Il che' la dice lunga sull'interesse della stessa....

    Quando ho tempo metto gli schemini (servono)....

  7. #7
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    Ho postato la versione dell'articolo in italiano (SOPRA). Alternativamente http://www.borsari.it/Dossier%20Economist.pdf

    Trovate qui la versione in inglese http://www.berluscastop.it/__artic/econ_eng.htm

    Leggete bene la parte 6, sopra, quella che il berlusco temeva fosse pubblicata sulla versione cartacea...

  8. #8
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    Ed ancora...

    The Economist - 26 aprile 2001
    UNA STORIA ITALIANA



    E' previsto che, con le elezioni del mese prossimo, Silvio Berlusconi, diventi di nuovo primo ministro. E tuttavia egli è ancora coinvolto in una serie di battaglie legali. Le sue società hanno usato denaro proveniente da fonti non rintracciabili e deve affrontare accuse che lo vogliono collegato alla mafia.

    Il 20 aprile, in una disadorna aula giudiziaria milanese, tre giudici si sono incontrati per ascoltare le testimonianze di un importante processo. Il procedimento trattava di un caso di presunta corruzione di giudici. Sulla porta, c'era, scritta a mano, la lista degli accusati. In cima c'era il nome di Silvio Berlusconi.

    Il caso illustra in modo evidente come Berlusconi non si sia lasciato alle spalle i suoi problemi legali. Poco prima che diventasse primo ministro, nel maggio del 1994, il suo impero finanziario, FININVEST, fu oggetto delle indagini di Mani Pulite. Quest'operazione, inaugurata dai magistrati di Milano nel 1992, aveva messo a nudo una profonda corruzione nella politica, nella burocrazia e nel mondo degli affari italiani.

    Quando Berlusconi fondò il suo partito politico - Forza Italia - si sapeva poco di come egli gestisse i propri affari. Si presentava agli italiani come un uomo che si era fatto da sé, che aveva costruito un potente impero televisivo infrangendo il monopolio del sistema di trasmissione statale, la RAI. Affermava di rappresentare una rottura con il passato corrotto dell'Italia.

    A partire dal 1994, i magistrati hanno indagato su molte presunte accuse contro Berlusconi, compresi riciclaggio di denaro sporco, collusione con la Mafia, evasione fiscale, concorso in omicidio, corruzione di politici, giudici e guardie di finanza. Berlusconi vigorosamente respinge tutte le accuse, sostiene che giudici di sinistra dominano la magistratura e che le indagini di Mani Pulite erano politicamente motivate. Non c'è da sorprendersi che i suoi più intimi accoliti ribadiscano le sue affermazioni. "Berlusconi è perseguitato fin dal 1993; c'è qualcosa di marcio nel sistema giudiziario", dice Fedele Confalonieri, un suo vecchio amico, e presidente di Mediaset.

    Nel 1996, un alto magistrato inglese, Simon Brown, aveva un'opinione alquanto diversa. Il caso riguardava un fallito tentativo di Berlusconi di impedire che magistrati italiani si impossessassero di documenti sequestrati dall'Ufficio Frodi Inglese. I magistrati avevano bisogno di alcuni di questi documenti come prova di un caso di finanziamento politico illegale, mentre Berlusconi sosteneva che il presunto reato fosse di natura politica.

    Il Giudice Brown sostenne che si trattava di uso improprio di parole:

    descrivere la campagna dei giudici come motivata da "fini politici", ovvero descrivere Berlusconi come perseguitato politico... i magistrati si mostrano equanimi nel trattare allo stesso modo i politici di tutte le parti. E', indubbiamente ironico il fatto che alcuni di coloro che chiedono di resistere lo facciano asserendo un'offesa di natura politica che mal si concilia con il fatto che in quel momento fosse lo stesso Berlusconi al governo... semplicemente mi è difficile considerare ‘prigionieri politici' dei finanziatori politici corrotti.

    Ma Berlusconi ha una seconda linea di difesa: "l'Italia non è un paese normale. Anche un caso anomalo come Berlusconi va compreso nel contesto del paese. Non ha fatto niente di più grave di un qualsiasi uomo d'affari italiano" - afferma Confalonieri.

    Certo molte persone, e non solo a destra, fanno eco a questa difesa. Berlusconi, dicono, ha fatto solo quello che tutti gli uomini d'affari dovevano fare per andare avanti: pagare tutti quelli, politici e giudici inclusi, che potevano aiutare. Il problema di Berlusconi, dicono, è semplicemente di essere stato più intelligente e di divenire più ricco dei suoi rivali. Inoltre, aggiungono, che cosa facevano i magistrati prima di Mani Pulite, quando erano visibilmente inerti nel perseguire le persone importanti?

    Altri sono in disaccordo. "E' andato aldilà di qualsiasi modo accettabile di fare affari in Italia", commenta un importante banchiere italiano.


    La macchina della giustizia



    Tre cose sono importanti se vogliamo pienamente comprendere i nodi legali di Berlusconi. Per prima cosa nel sistema processuale italiano, in presenza di una notizia di reato, i magistrati hanno il dovere legale di indagare. In secondo luogo, una volta che le denuncie sono pervenute, il sistema giudiziario si muove con molta lentezza; un processo può durare anni, come pure il processo di appello. In terzo luogo, in Italia gli accusati non sono considerati colpevoli prima della sentenza definitiva nelle corti di appello.

    Berlusconi, fino ad oggi, non ha mai avuto condanne definitive, ma soltanto tre dei nove procedimenti penali contro di lui sono arrivati alla corte d'appello. Nel solo caso in cui si conosce il verdetto, relativamente a donazioni politiche illegittime, la corte non lo ha considerato innocente. Ha semplicemente confermato la sentenza del giudice di primo grado che, a causa del tempo trascorso dalla commissione del reato, aveva applicato delle prescrizioni che, ai sensi del codice penale italiano, estinguono la pena.

    Tutti i problemi legali di Berlusconi sono legati alla sua carriera nel mondo degli affari, cominciata negli anni 60. Quando entrò in politica, rinunciò alla conduzione di tutte le sue società Fininvest; tranne che alla squadra del Milan. Comunque, egli resta l'azionista di controllo, e uno o entrambi i suoi figli adulti fanno parte dei consigli di amministrazione di ognuna delle principali società del suo impero.

    La struttura di quell'impero anche oggi non è trasparente e, nel passato, è stata ancora più confusa.

    Ventidue delle holding possedute dalla famiglia Berlusconi controllano circa il 96% della Fininvest. Il principale attivo di Fininvest è di gran lunga un pacchetto azionario di Mediaset: il cui valore è di 13.100 miliardi lire (6 miliardi di dollari).

    La TV è soltanto una parte dell'impero mediatico di Berlusconi. Ha un pacchetto azionario di controllo della Mondadori, la più grande casa editrice italiana. Il reparto libri della Mondadori ha quasi il 30% del mercato interno. Il settore delle riviste, con circa 50 testate, il 38%. La famiglia Berlusconi possiede anche uno dei principali quotidiani nazionali italiani, "Il Giornale".

    La Fininvest possiede anche il 36% del pacchetto azionario della società di assicurazioni Mediolanum, fondata nel 1982 da Ennio Doris con l'appoggio finanziario di Berlusconi. Mediolanum entrò in Borsa nel 1996. E la Fininvest è proprietaria di un nugolo di società in perdita, come ad esempio il portale Internet Jumpy e Pagine Utili.


    La scia dei soldi

    L'imprenditore Silvio Berlusconi si è svezzato nel settore immobiliare: a Milano e dintorni. Alla fine dei anni '60, ebbe l'idea di sviluppare Milano 2, una città giardino con 3.500 appartamenti. Fu costruita nei dintorni orientali di Milano sotto la rotta dei velivoli che decollavano dal vicino aeroporto di Linate. Il quartiere divenne ancora più apprezzato dopo che i velivoli furono misteriosamente dirottati su altre zone residenziali.

    Ma non fu l'unico mistero. Aziende svizzere, con assetti proprietari impenetrabili, hanno iniettato 4.1 miliardi di lire (equivalenti a 33.5 miliardi di lire di oggi) nel capitale delle aziende italiane responsabili di Milano 2. Quindi, sulla carta, il progetto non apparteneva a Berlusconi, ma a terzi anonimi.

    Funzionari alla Banca d'Italia sospettavano, tuttavia, che dietro alle compagnie svizzere ci fosse lo stesso Berlusconi. All'epoca detenere capitale all'estero senza divulgarlo alle autorità era reato. Una squadra dalla Guardia di Finanza, sotto la direzione di Massimo Berruti, indagò nel 1979 ma concluse, nonostante prove che dimostravano come Berlusconi avesse garantito personalmente prestiti bancari per le aziende italiane, che lui non era il beneficiario finale delle aziende svizzere. Il rapporto ufficiale fu firmato dal capo di Berruti. Anche lui membro, come Berlusconi, dell'associazione massonica P2. Immediatamente dopo la conclusione dell'indagine, Berruti ha lasciato la Guardia di Finanza e ha iniziato a lavorare come avvocato per Berlusconi. Oggi è parlamentare di Forza Italia.

    Milano 2 fu l'origine dell'impero televisivo del Sig. Berlusconi, che, nel 1978, lanciò una rete locale di televisione via cavo, Telemilano. Questo progetto si ingrandì: e di molto. L'ambizione di Berlusconi era sfidare il monopolio RAI sulle pubblicità sulle reti televisive nazionali, per le quali esisteva una enorme domanda inepressa. Telemilano divenne Canale 5 nel 1980.

    C'era solo un ostacolo: la legge prevedeva che la sola Rai potesse operare su tutto il territorio nazionale. Anche se le TV private erano largamente non regolate, una decisione giudiziaria del 1980 aveva permesso alle reti televisive private di operare solo su base locale.

    Ma Berlusconi non tardò a trovare il modo di aggirare la decisione della corte. Acquistò programmi, in particolare film e telenovelas americani, e li offrì a prezzi stracciati a piccole reti regionali. Berlusconi raccoglieva le entrate da spazi pubblicitari pre-registrati che lui stesso inseriva. Ciascun canale del circuito Canale 5 accettò quindi di trasmettere gli stessi programmi negli stessi identici orari. Fu così che ci si assicurò un audience a livello nazionale.

    Come ha fatto Berlusconi a finanziare il suo impero televisivo nascente? Una parte della risposta sta nel debito bancario. Le banche del settore pubblico hanno dato una mano consistente, fornendo alla società prestiti più ingenti rispetto a quelli che il merito di credito della Fininvest avrebbe comportato. Ma la parte restante della risposta non appare per niente chiara. Nel 1978, alla nascita del suo gruppo televisivo, Berlusconi creò 22 società holding che controllano la Fininvest. Dal 1978 al 1985, 93.9 miliardi di lire (387 miliardi di lire di oggi) confluirono nelle 22 aziende, apparentemente dal Sig. Berlusconi.

    Nel 1997, un finanziere con legami con la mafia ha accusato Berlusconi davanti a magistrati siciliani di aver usato 20 miliardi di soldi mafiosi per costruire i suoi interessi televisivi. I magistrati chiesero che la Banca d'Italia collaborasse nelle indagini della divisione anti-Mafia. Due funzionari passarono 18 mesi a controllare e ricontrollare le carte contabili e azionarie delle 22 compagnie. The Economist possiede una copia dei loro rapporti, oltre 700 pagine. Le due conclusioni principali sono sconcertanti.

    La prima è la mancanza di trasparenza da parte di Berlusconi rispetto alle due società fiduciarie registrate per esercitare i diritti proprietari delle sue azioni nelle 22 società. Le società fiduciarie erano sussidiarie della Banca Nazionale del Lavoro (BNL), una banca molto grande. Berlusconi metteva soldi nelle società holding attraverso due banche italiane poco conosciute, anziché tramite la BNL stessa. Quindi, le società fiduciarie della BNL non avevano un quadro chiaro su quale fosse l'origine di questi fondi. Nel 1994, i dirigenti della BNL erano talmente preoccupati per questo motivo che hanno eseguito due ispezioni diverse in relazione ai legami tra le Banca e le 22 società.

    Queste ispezioni rivelarono altre anomalie, come, per esempio, alcune vendite di azioni che furono registrate esclusivamente sulla parola di Berlusconi, senza prova documentaria. Per esempio, quando vendette azioni in una delle società holding ad una sussidiaria Fininvest per 165 miliardi di lire, i fondi aggirarono completamente le società fiduciarie. E quindi non avevano idea come, o se, l'acquirente avesse pagato le azioni.

    La seconda conclusione è che l'origine ultima del denaro versato nelle 22 società non può essere rintracciato, per tre motivi. Primo, 29.7 miliardi di lire erano stati pagati in contanti, o equivalenti. Secondo, gli investigatori non avevano trovato documenti di sostegno negli archivi delle società fiduciarie, delle banche o delle compagnie holding per 20.6 miliardi di lire. Terzo, Berlusconi era stato molto abile nel far fare ai fondi tanti giri.

    Ma perché Berlusconi lo fece? Gli investigatori erano perplessi. Una società, Palina, evidentemente una parte terza, aveva mandato 27.7 miliardi di lire alle società fiduciarie, che a loro volta avevano trasferito la somma alle società holding. Da lì, i fondi raggiungevano la Fininvest e poi, tramite una sussidiaria Fininvest, di nuovo alla Palina. Tutte queste transazioni si verificarono nello stesso giorno e presso la stessa banca. Dietro alla Palina, gli investigatori scoprirono, si nascondeva lo stesso Berlusconi. Aveva usato un uomo di 75 anni, vittima di infarto, come prestanome. Subito dopo il completamento dell'operazione, la Palina fu liquidata. I suoi bilanci sono rimasti vuoti.

    Dunque, la vera fonte dei 93.9 miliardi di lire che confluirono nelle 22 società nel periodo 1978-85 rimane un mistero che solo Berlusconi può risolvere. Gli abbiamo spedito domande scritte su questo argomento, ma si è rifiutato di rispondere. Una lettura attenta dei rapporti suggerisce che la possibilità di riciclaggio nelle 22 società non può essere esclusa. Banca Rasini, una delle banche poco note usate dal Sig. Berlusconi, e un tempo datrice di lavoro di suo padre, è spuntata in processi di riciclaggio negli anni '80. Ma gli investigatori antimafia non hanno trovato prove per sostenere le accuse che avevano dato avvio al loro lavoro. Speravano chiaramente di produrre un secondo rapporto, ma l'indagine era già scaduta per prescrizione.

    Un amico che ha bisogno

    Con l'acquisto dei suoi due principali concorrenti - Italia 1 nel 1983, e Retequattro nel 1984 - il dott. Berlusconi si assicurò quello che, in buona sostanza, era un vero e proprio monopolio nel settore delle tivù private.

    Per aggirare la legge e poter trasmettere su tutto il territorio italiano, aveva però bisogno di un piccolo aiuto da parte dei suoi amici politici. Nessuno lo aiutò più di Bettino Craxi, che divenne capo del Partito Socialista nel 1976 e Presidente del Consiglio nel 1983. Il dott. Berlusconi, attraverso le sue due reti principali, offriva un'arma politica molto potente.

    Nell'ottobre del 1984, in diverse città italiane funzionari pubblici sigillarono le sue tivù per aver trasmesso illegalmente. Questo avrebbe potuto comportare un disastro per il gruppo Fininvest, all'epoca fortemente indebitato. Nel giro di pochi giorni, Craxi - morto l'anno scorso in Tunisia, dopo essere stato condannato in contumacia per reati di corruzione - firmava un decreto che permetteva alle tivù di Berlusconi di continuare a trasmettere. Il decreto, dopo alcune scaramucce parlamentari, diventava legge.

    Il decreto di Craxi non fece niente per vietare la concentrazione di proprietà nel settore televisivo. E non lo fece nemmeno la c.d. "legge Mammì" (dal nome di Oscar Mammì, allora Ministro delle Telecomunicazioni), varata nel 1990. La legge fu, infatti, "tagliata su misura" sugli interessi del dott. Berlusconi e sulle sue tre reti nazionali, proclamando che nessun singolo gruppo poteva essere proprietario di più di 3 delle 12 reti che avrebbero ottenuto le licenze dallo Stato. Il governo di coalizione all'epoca, che dipendeva fortemente dal Partito Socialista di Craxi, aveva insistito per il varo di questa misura controversa, nonostante le dimissioni, in segno di protesta, di cinque ministri. In effetti, la legge ha sancito il duopolio tra la Mediaset e la Rai.

    Nel 1991 e 1992, il dott. Berlusconi versò un totale di 23 miliardi di lire nei conti correnti offshore di Craxi attraverso una parte ‘clandestina' del suo impero Fininvest, la società All Iberian. In seguito a diversi indizi scoperti durante le indagini sui conti bancari di Craxi, gli inquirenti trovano una rete occulta e consistente di compagnie Fininvest, costituite in giurisdizioni come le Isole Vergini Britanniche e le Channel Islands. Queste società non furono contabilizzate come società collegate nei bilanci della Fininvest. Secondo gli inquirenti, nel 1993 il dott. Berlusconi firmò una lettera ai revisori contabili dichiarando il falso, e cioè che queste società non facevano parte del gruppo Fininvest.

    Gli inquirenti affermano di essersi trovati di fronte ad una frode internazionale di largo respiro, perpetrata sotto la direzione del dott. Berlusconi, per travasare cifre enormi dalla Fininvest nelle compagnie segrete off-shore. Secondo loro, la Fininvest adoperò varie tecniche fraudolente: le società offshore, affermano i procuratori, usarono questi fondi per diversi tipi di attività illegali, come, ad esempio, l'acquisto conto terzi di azioni in diverse società quotate del gruppo Fininvest, con l'evidente intenzione di gonfiare il prezzo delle azioni. Un'operazione chiaramente fittizia come testimonia il fatto che le azioni, intestate al portatore, rimanessero sempre nelle mani dello stesso fiduciario. Un vero compratore di azioni al portatore in un'azienda quotata non le avrebbe mai lasciate in custodia della stessa persona utilizzata dal venditore.

    Interessi offshore



    Un'altra parte cruciale nelle accuse degli inquirenti è che le società offshore fossero usate per accumulare partecipazioni occulte in reti televisive in Italia e Spagna. Gli inquirenti affermano l'esistenza di prove documentali che lo dimostrano.

    La legge Mammì prevedeva che il dott. Berlusconi dovesse vendere il 90% degli suoi interessi in Telepiù, una pay-tv da lui fondata nel 1990. Nonostante questa indicazione, il dott. Berlusconi, secondo gli inquirenti, mantenne il controllo di questa partecipazione fino al 1994 tramite le sue società offshore. Per farlo predispose contratti con collaboratori disposti a servirgli da prestanome. Ai sensi di tali contratti, mentre la proprietà legale delle azioni passava agli investitori, la proprietà beneficiaria rimaneva con le società offshore del dott. Berlusconi.

    I magistrati scoprirono un'altra operazione simile, diretta ad accumulare una partecipazione del 52% in Telecinco, una rete televisiva spagnola. Il tutto in frode alla legge giacchè la legislazione spagnola antitrust, infatti, non permetteva di possedere più del 25% in quel tipo di attività. E' per questo che Baltasar Garzon, un magistrato anti-corruzione spagnolo, vuole che sia tolta l'immunità di cui gode Berlusconi in qualità di parlamentare europeo. Ma è probabile che dovrà attendere. Per otto mesi, i ministri della giustizia e degli esteri spagnoli sono stati coinvolti in uno scontro serrato per decidere quale sia l'autorità competente a sottoporre una richiesta al parlamento europeo.

    Il dott. Berlusconi è attualmente indagato per aver falsificato i bilanci del gruppo Fininvest. La presunta falsificazione doveva nascondere tutte le presunte illegalità connesse. Il falso in bilancio è un reato molto serio in Italia, e comporta sentenze fino a cinque anni di prigione. I magistrati hanno chiesto recentemente che delle accuse altrettanto serie di falso in bilancio vengano formulate sui bilanci di gruppo della Fininvest .

    E' comunque verosimile che il dott. Berlusconi stia programmando una scappatoia. Il 17 marzo, davanti ad un gruppo di imprenditori italiani ha dichiarato che, se eletto, il suo governo avrebbe depenalizzato la maggior parte dei casi di falso in bilancio, rendendo così vano il lavoro dei magistrati.

    Ma nonostante i magistrati non abbiano potuto trovare la destinazione finale delle decine di miliardi di lire pagate da settori vari dell'impero segreto offshore del dott. Berlusconi, hanno scoperto dov'erano finiti alcuni pagamenti.

    Il dott. Berlusconi ha ottenuto il controllo del gruppo editoriale Mondadori nel 1991, dopo una feroce battaglia legale con Carlo De Benedetti, un ricco imprenditore italiano che ha passato un breve periodo in prigione durante il periodo di mani pulite.

    Il dott. Berlusconi è stato accusato di aver dato 400 milioni in tangenti ad un magistrato della Corte di Appello, di nome Vittorio Metta, per emettere una sentenza a lui favorevole nel giudizio conclusivo. Quando gli inquirenti hanno cominciato ad indagare sul caso, hanno scoperto che, nel 1992, il Dott. Metta aveva pagato 400 milioni di lire in contanti come parte del costo di un appartamento. Nel febbraio del 1991, un mese dopo la sentenza del Dott. Metta, una delle società segrete offshore versò 3 miliardi di lire sul conto svizzero dell'avvocato Cesare Previti, strettissimo collaboratore di Berlusconi e, in seguito, ministro della difesa nel governo da questi presieduto. Dal conto del Avv. Previti, gli inquirenti hanno seguito le tracce di un versamento di 425 milioni di lire sul conto svizzero di un altro avvocato, Attilio Pacifico, che a sua volta prelevò questa cifra in contanti nell'ottobre del 1991. Il Dott. Pacifico fu accusato di aver trasferito la tangente al Dott. Metta.

    Nonostante i magistrati non avessero trovato prove dirette del pagamento in contanti al Dott. Metta, essi ritenevano di avere basi indiziarie sufficientemente solide. Un esame dei conti in banca del Dott. Metta non aveva, infatti, rilevato prelievi in contanti di 400 milioni nel periodo rilevante; stesso risultato aveva dato la verifica sui conti, italiani e svizzeri, intestati al magistrato italiano in pensione che, sempre secondo il Metta, gli avevaconsegnato i 400 milioni di lire in contanti; e questo anche se tali conti contenevano alcuni milioni di dollari.

    Su queste basi gli inquirenti si convinsero del fatto che i 400 milioni di lire che il Dott. Metta aveva ricevuto in contanti provenissero dalla somma che il dott. Berlusconi aveva pagato all'Avv. Previti nel febbraio 1991. Ma, nello scorso mese di giugno, un magistrato ad un'udienza preliminare adottò un punto di vista diverso. Credette al Dott. Metta e, di conseguenza, quindi decise che il dott. Berlusconi e gli altri indagati, compresi l'avv. Previti e il Dott. Metta, fossero innocenti. Gli inquirenti hanno fatto appello contro questa decisone.


    Trattare con i giudici

    Berlusconi è sotto accusa anche per corruzione di magistrati. Tra i suoi co-imputati, che smentiscono le accuse, figurano Previti e Pacifico, e, di nuovo, il caso coinvolge De Benedetti come parte lesa.

    Nel 1985, De Benedetti firmò un contratto per comprare la SME, un conglomerato alimentare, dall'IRI, un grande gruppo di proprietà dello Stato. Berlusconi e un altro imprenditore costituirono allora una società per poter fare un'offerta di acquisto migliore. Dopo una sentenza che nel 1986 sancì che il contratto di De Benedetti non era valido, il suo affare con l'IRI sfumò. A quel punto De Benedetti trascinò il caso davanti alla giurisdizione suprema, dove perse di nuovo.

    Una delle accuse rivolte a Berlusconi, da lui smentita, è di aver promesso soldi a magistrati per decidere in suo favore in quell'occasione. Sia che queste accuse siano vere, sia che siano false, c'è un evidente movimento di denaro che, per il tramite di Previti, porta da Berlusconi a Renato Squillante, un giudice.

    In questo senso The Economist ha documenti che testimoniano di un bonifico per 434.404 dollari del 6 marzo 1991 da un conto svizzero intestato a Berlusconi a un conto svizzero intestato a Previti; il 7 marzo, un bonifico trasferiva la stessa identica cifra dal conto di Previti al conto svizzero della compagnia panamericana Rowena Finance. Prove giudiziarie dimostrano che il conto della Rowena Finance appartiene a Squillante.

    Nel 1994, Berlusconi ha tentato di nominare il suo sodale Previti come ministro della Giustizia, ma il Presidente della Repubblica si è rifiutato di approvare la nomina.

    Berlusconi non si è presentato alle 26 udienze finora fissate in questo procedimento - alcune delle quali sono state rimandate molto recentemente, per permettere ai suoi avvocati di candidarsi nelle prossime elezioni. Il Sig. Berlusconi ha chiesto che i magistrati vengano ricusati, in quanto "maldisposti" nei suoi confronti.

    Se viene giudicato colpevole del reato dalla corte di appello, potrebbe andare in prigione; l'accusa non cadrà in prescrizione se non nel 2008. A differenza del reato di falso in bilancio, sarà molto difficile per il suo governo, se riesce a vincere le elezioni, depenalizzare il reato di corruzione ai giudici. Questo processo potrebbe essere unico nella storia giuridica italiana. Nessun presidente del consiglio in carica dal dopoguerra è mai stato indagato in un processo criminale.


    Di casa con Cosa Nostra?

    I problemi tra Berlusconi e la magistratura non si sono limitati a Milano. In Sicilia, mafiosi pentiti - in particolare Salvatore Cancemi, le cui deposizioni hanno aiutato gli inquirenti a condannare alcuni boss mafiosi - hanno rivolto pesanti accuse al dott. Berlusconi ed al suo intimo amico, Marcello Dell'Utri. Nel 1996, Cancemi affermò che entrambi erano in diretto contatto con il boss mafioso che, nel 1992, ordinò l'attentato in cui fu ucciso il magistrato anti-mafia Paolo Borsellino.

    L'anno scorso, dopo un'indagine durata due anni, i magistrati hanno richiesto che l'investigazione venisse archiviata senza accuse. Non hanno trovato prove per corroborare le accuse di Cancemi. Nel 1996, un'altra indagine, anche questa basata su accuse fatte da Cancemi sui presunti rapporti tra Berlusconi e la Mafia è stata archiviata, in modo analogo, dopo due anni di lavoro.

    Un'inchiesta parallela si concluse con incriminazioni a Dell'Utri per associazione a delinquere, accuse che egli nega. Con l'eccezione di Berlusconi, quasi tutti i testimoni dell'accusa nel processo, cominciato nel 1997, sono stati ascoltati. Secondo Ennio Tinaglia, avvocato per la provincia di Palermo costituitasi parte civile nel procedimento, la Procura ha "presentato prove molto forti dei legami strettissimi tra Dell'Utri e la Mafia". La mera menzione della mafia fa sobbalzare i dirigenti Fininvest. "Nella graduatoria dei crimini solo la pedofilia è peggio della mafia. E' una cosa terribile, vergognosa" dice Fedele Confalonieri, uno degli ex-colleghi di. Dell'Utri.

    Ma chi è Dell'Utri? A parte un breve periodo alla fine degli anni settanta, Dell'Utri, di origine siciliana, ha lavorato con Berlusconi in Fininvest dal 1974 al 1994. Come amministratore delegato di Publitalia, la sezione pubblicità del gruppo, era responsabile della società che generava la cassa del gruppo Fininvest. Il Sig. Dell'Utri, parlamentare, fu un fondatore di Forza Italia e l'organizzatore della campagna elettorale di Berlusconi nel 1994.

    Gli inquirenti hanno richiesto che Dell'Utri risponda ad accuse di concorso in diffamazione nei confronti di altri magistrati. Ed è attualmente indagato perché accusato di aver tentato di corrompere un testimone per l'accusa nel suo processo. Nel 1996, un procedimento penale ha rivelato che tra il 1989 ed il 1993 Dell'Utri ricevette donazioni, spesso in contanti, per un valore complessivo di 4 miliardi di lire dal dott. Berlusconi.

    Se Berlusconi non è obbligato a testimoniare nei processi contro di lui, non può rifiutarsi di testimoniare nel processo contro Dell'Utri, neanche se sarà eletto Presidente del Consiglio. La procura lo interrogherà sulla sua amiciza di lunga data con Dell'Utri. E dovrà rispondere anche ad altre domande che sinora ha evitato, che comprendono il come e il perché dell'assunzione di Vittorio Mangano, un mafioso pluricondannato appartenente ad una potente gang di Palermo, per lavorare presso la villa di campagna di Berlusconi vicino a Milano per due anni negli anni '70.

    In cima alla lista degli inquirenti ci saranno le domande sulla documentazione dell'anti-Mafia relativa alle 22 società holding. E non dovrebbe essere tra le ultime domande poste quella relativa all'origine dei fondi di queste ventidue società. Così come quelle su una rete televisiva siciliana di cui Berlusconi fu coproprietario, insieme ad un'altra persona con legami mafiosi.

    Nonostante le sue affermazioni di essere il prototipo dell'uomo che si è fatto da solo, Berlusconi ha avuto bisogno di molto aiuto da fonti malsane. Benchè lui dica di voler sostituire il vecchio sistemo corrotto, il suo impero né è in gran parte un prodotto. L'elezione di Berlusconi come primo ministro perpetuerebbe, anziché cambiare, le vecchie brutte abitudini italiane.



    Versione originale inglese: http://www.economist.com/opinion/dis...tory_id=587107

  9. #9
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    In Origine Postato da ossoduro
    Qualcosa di interessante si potrebbe trovare anche nel rapporto della Banca d' Italia sulle radici della nascita del gruppo.

    Cercatevelo.
    Sono pigri, diamogli una mano...

    ESCLUSIVO / IL RAPPORTO SEGRETO DEI TECNICI DELLA BANCA D'ITALIA
    Così ha fatto i soldi Berlusconi

    Aumenti di capitale in contanti. Miliardi senza padrone. Partite di giro. Tra il 1977 e il 1985. Gli esperti di Bankitalia scavano per la prima volta alle radici della Fininvest. E scoprono addirittura che, per le banche, le holding del cavaliere erano semplici negozi da parrucchiere. Viaggio nei segreti dell'uomo più ricco d'Italia. Tra prestanome con ictus e microfilm bruciati
    di Francesco Bonazzi e Peter Gomez

    Eccola, la vera storia della nascita dell'impero Fininvest. riassunta in un rapporto di 120 pagine firmato dai tecnici della Banca d'Italia. Un documento per molti versi esplosivo, intitolato "Prima nota informativa sui flussi finanziari delle società denominate Holding Italiana dalla prima alla ventiduesima", arrivato nelle mani dei magistrati di Palermo nell'aprile del 1999. Ma che solo nella seconda metà del luglio di quest'anno è stato depositato agli atti del processo per concorso esterno in associazione mafiosa contro Marcello Dell'Utri. È la storia di un uomo riuscito, in quattro anni, a creare un moloch multimediale: Silvio Berlusconi. Facendo lo slalom tra prestanome, fiduciarie e tanti soldi in contanti. Con l'aggiunta di un tocco di genio della Popolare di Lodi, che nel 1991 scheda le Holding del Cavaliere, ovvero le società che controllano la Fininvest, alla voce "servizi di parrucchieri ed istituti di bellezza".

    La relazione commissionata dai pm di Palermo nell'ambito di un'inchiesta per riciclaggio, poi archiviata all'inizio di quest'anno, chiarisce molti interrogativi sull'origine delle fortune del Cavaliere, ma lascia spazio ancora a tante domande. Misteri che Silvio Berlusconi, lanciato verso la riconquista di Palazzo Chigi, avrà comunque modo di sciogliere definitivamente in autunno. Perché già all'inizio del processo contro Dell'Utri sia la difesa che l'accusa avevano chiesto la sua testimonianza.

    Non aprite quella porta. L'inchiesta inizia con un colpo di scena nel giugno del 1998, quando uomini della Direzione Investigativa Antimafia bussano alle porte della Lodi per tentare di ricostruire i movimenti sui conti delle Holding. La Popolare di Lodi è l'istituto che nel 1991 ha incorporato la Banca Rasini. Il crocevia dal quale sono passati buona parte dei primi soldi del Cavaliere e dove suo padre Luigi è stato per vent'anni l'uomo di fiducia della proprietà. Eppure, negli uffici della Lodi, quando gli ispettori chiedono notizie delle Holding, si sentono rispondere: "Quelle società non figurano tra i nostri clienti". Ma non è vero. Le Holding Italiana ci sono eccome. Solo che una mano burlona le ha censite come saloni di bellezza. I dipendenti in pensione della Rasini svelano agli investigatori che al quarto piano dell'agenzia milanese di Piazza dei Mercanti c'è un archivio dimenticato: i microfilm dei conti delle Holding stanno lì. A settembre del '98, gli investigatori si lamentano con l'ufficio legale della Lodi. E la banca fa marcia indietro: "Scusate, c'è stato un errore, abbiamo cambiato i computer e fatto qualche confusione nel censimento". I magistrati segnalano il comportamento della Popolare alla Banca d'Italia.

    Un SuperQuiz da 500 miliardi. Tra le pagine del rapporto si rincorrono miliardi a palate. Denaro che cade a pioggia, a volte in contanti a volte con assegni circolari, per pompare liquidità nelle casse del Biscione: almeno 200 miliardi transitati sui conti delle 22 Holding tra il 1977 e il 1985, seguendo giri tortuosi. Talmente tortuosi che di ben 114 miliardi (502 di oggi), i tecnici di Bankitalia non riescono a ricostruire l'esatta provenienza. La maggioranza delle operazioni viene eseguita formalmente da due fiduciarie della Bnl, la Saf e la Servizio Italia, che operano "franco valuta". Ovvero, lasciano che i vari aumenti di capitale che la Fininvest nel corso degli anni ha eseguito attraverso le Holding vengano portati a termine dai fiducianti (Berlusconi e famiglia), senza pretendere copie dei bonifici e degli assegni. Una pratica che lascia "perplessi" anche gli ispettori Bnl inviati nel 1994 a spulciare i conti delle fiduciarie.

    Formidabili quegli anni. Ma anche se mancano molte pezze contabili, un fatto è certo. Dal punto di vista finanziario, lo spartiacque tra il Berlusconi palazzinaro e il Berlusconi tycoon televisivo cade il 6 aprile del 1977. Quel giorno, la Fininvest srl aumenta il capitale da 2,5 a 10,5 miliardi. L'operazione, secondo gli esperti di Bankitalia, ha almeno due aspetti misteriosi: gli otto miliardi dell'aumento (44 miliardi al valore odierno) vengono versati in contanti e "al momento non si conosce la provenienza della somma". Il 2 dicembre, nelle casse della Fininvest srl arrivano altri 16,4 miliardi (90,8 di oggi) come "finanziamento soci". E pure in questo caso la documentazione bancaria acquisita non registra la provenienza dei fondi. Erano in contanti? E se invece erano assegni, da dove arrivava la provvista?

    Questo enorme sforzo finanziario accompagna l'esplosione pubblica di Berlusconi. Proprio nel 1977, Silvio viene nominato cavaliere, compra un primo 12 per cento del "Giornale" di Montanelli e comincia a credere davvero nelle tv. Il capitale di Telemilano, che per quattro anni si era limitata a trasmettere via cavo a Milano 2, sale a mezzo miliardo. E a fine anno, Silvio arriva settimo nella classifica dei contribuenti milanesi, con 304 milioni di reddito.

    Il miracolo di Sant'Ambrogio. Ma l'operazione che meglio riassume la raffinatezza finanziaria del cavaliere va in scena il 7 dicembre del 1978, festa di Sant'Ambrogio, quasi in contemporanea con il "Simon Boccanegra" diretto da Claudio Abbado che quell'anno apre la stagione della Scala. Mentre dal loggione piovono gli applausi per la regia di Strehler, sui conti delle Holding e delle fiduciarie del cavaliere nella filiale di Segrate della Popolare di Abbiategrasso sembrano piovere dal nulla 17,98 miliardi (88 di oggi). Il denaro si attorciglia lungo otto giroconti (vedi illustrazione a pag. 47). Ufficialmente, il valzer parte da Fininvest Srl e finisce nelle casse di Fininvest Roma, una scatola vuota amministrata da Umberto Previti, il padre di Cesare. Il malloppo corre all'impazzata entrando e uscendo dai conti Saf, dopo un giro contabile tra Silvio e lo zio Luigi Foscale. E già che c'è, passa pure tra le Holding 1-19 all'apparente scopo di finire nella controllata Fininvest Roma srl.

    Gli esperti di Bankitalia non sono riusciti a trovare il primo e l'ultimo anello della catena. Nel rapporto, le caselle "primo ordinante" e "ultimo beneficiario" vengono riempite con "XXXXXX soggetto da identificare". Come non bastasse, unico caso tra la documentazione esaminata, parte dei microfilm delle operazioni di dicembre vanno in fumo. Nella relazione si legge a pagina 16: "La banca dichiara di aver disponibili gli estratti conto delle Holding per il dicembre 1978 limitatamente a talune Holding, infatti per 13 di esse la pellicola microfilmata risulta essersi bruciata".

    L'intera operazione ha due effetti importanti. Capitalizza le Holding che, con le banche, possono garantire la solidità di Fininvest e chiarire che il vero proprietario è Silvio Berlusconi, sia pure al riparo delle fiduciarie. Ma agli occhi indiscreti, ergono una vera e propria barriera di riservatezza. Il tutto, proprio nel momento in cui l'impegno nel settore televisivo aumenta di peso con l'inizio delle trasmissioni di Telemilano 58, la "mamma" di Canale 5. Anche se quel 1978 era iniziato all'insegna della segretezza, con l'iscrizione del Cavaliere alla Loggia P2 di Licio Gelli.

    la Palina impazzita. Per far crescere le tv private servono sempre più capitali, difficili da reperire in un periodo di crisi immobiliare. Negli ultimi due mesi del '79, Silvio Berlusconi sembra però trovare la soluzione. Il 19 ottobre, tramite dei prestanome, Sua Emittenza fonda una srl di nome Palina. È una società che assomiglia a una siringa monouso: vivrà solo sette mesi, concludendo un'unica operazione. Il 14 dicembre del '79, la Palina fa girare sul proprio conto corrente, aperto nella sede milanese della Popolare di Abbiategrasso, la bellezza di 27,68 miliardi (117 di oggi). Si comincia con Palina che bonifica la somma alla Saf che, a sua volta, gira i 27 miliardi e rotti alle Holding Italiana 1-5 e 18-23. Scrivono gli esperti di Bankitalia: "L'accredito Palina veniva specificatamente autorizzato dal fiduciante Silvio Berlusconi, probabilmente in considerazione dell'atipicità dell'operazione". Fatto sta che le Holding a loro volta accreditano immediatamente la somma sui conti della Fininvest, che la storna a Milano 3 srl (altra società del gruppo). Quest'ultima, a sorpresa, restituisce il tutto a Palina. L'operazione viene giudicata "priva di qualsiasi giustificazione contabile e amministrativa". Ci sono dunque 27, 68 miliardi senza un padrone? O forse la mitica Palina quei soldi non li ha mai visti?

    Amilcare Ardigò, il commercialista presso la quale era domiciliata la Palina, dichiara alla Dia: "Non ho mai avuto notizia del transito di quei soldi". E spiega come la Palina non abbia mai avuto un solo documento contabile. Del resto, ad amministrarla era un settantacinquenne colpito da ictus, tale Enrico Porrà, che proprio Ardigò accompagnava in carrozzella alle assemblee. Per questo, ora il professionista si sorprende di fronte a quei 27 miliardi : "Non ho mai accompagnato in banca Porrà, un prestanome di Berlusconi, per il perfezionamento di operazioni relative a quella società".

    Passano dieci giorni e tra il 24 e il 31 dicembre dello stesso anno la Fininvest riceve altri 25 miliardi dalle Holding. Anche qui i funzionari di Banca D'Italia tentano di ricostruire l'origine della maxiprovvista, ma trovano traccia solo di un versamento da 4,3 miliardi effettuato da Berlusconi in persona. E gli altri venti? Un regalo natalizio a chiudere un '79 da incorniciare? Nell'aprile di quell'anno, Berlusconi inizia a costruire Milano 3, e a settembre eccolo che crea con 4 miliardi la Cofint, compagnia finanziaria televisiva. Il 3 ottobre nasce una delle sue figliole predilette, la concessionaria Publitalia 80, con una dote di 3 miliardi. Passano pochi giorni e il mitico Mike Bongiorno presenta "I sogni nel cassetto" dagli studi di Canale 5.

    Le banche ai piedi di Re Silvio. La girandola dei miliardi "franco valuta" continua nei primi anni Ottanta, anche se il più è fatto. Tra il marzo del 1981 e il maggio del 1984, le varie Holding ricevono oltre 12 miliardi, tutti rigorosamente di provenienza ignota. È vero però che il boom televisivo di Berlusconi è sotto gli occhi di tutti, tanto che a luglio del 1980 il cavaliere dichiara di aver investito già 40 miliardi nel nuovo business mediatico. Sono gli anni ruggenti dell'amico Bettino Craxi, che dall'agosto del 1983 diventa primo ministro e guida la nazione con piglio deciso. Come d'incanto, le pricipali banche italiane fanno la fila per prestare soldi all'amico di Bettino. Dalla Centrale Rischi di Banca d'Italia, si vede che fino al 1984 il gruppo Fininvest lavorava con la Popolare di Novara, la Bnl e il Monte dei Paschi di Siena. Ma dal 1985 al 1987, Berlusconi ottiene decine di miliardi anche da Cariplo, Comit, Banca di Roma e Credito Italiano. Nulla di sorprendente: la Fininvest è ormai un colosso. Quello che stupisce è invece il duro giudizio espresso da alcuni uffici fidi. Sintomatico il caso di Efibanca, la banca d'affari del gruppo Bnl, che tra il 1982 e il 1993 presta alle società di Berlusconi ben 295 miliardi. Nel rapporto dei funzionari di Banca d'Italia, si assegna grande rilevanza al primo finanziamento da 10 miliardi concesso nel 1982 alla Cofint. Il giudizio iniziale dell'ufficio fidi di Efibanca parla "di situazione consolidata alquanto provata", che al 31 dicembre 1980 "evidenzia mezzi propri per circa 16 miliardi, contro debiti per 31". Ma a giugno, i 10 miliardi vengono puntualmente concessi. Tre anni dopo, in una relazione preparata in occasione della modifica delle garanzie offerte al primo finanziamento Cofint, i responsabili dell'ufficio fidi di Efibanca parlano di "struttura patrimoniale indebolita" e notano come a fronte di debiti certificati da Arthur Andersen nel 1983 pari a 840 miliardi, vi siano "solo notizie di stampa secondo cui il fatturato del gruppo oscillerebbe tra i 1.000 e 1.200 miliardi, senza nessun riferimento al risultato reddituale conseguito". Con una relazione di questo tono, la bocciatura dei nuovi finanziamenti sembra scontata. E invece, in margine al documento, la Dia troverà "un appunto con sigla non appurata: "relazione non esatta nella sua impostazione"".

    MA QUANTI PREVITI. A Efibanca, insomma, Berlusconi ha più di un santo in paradiso. Tra i consulenti dell'istituto figurano pure l'avvocato Cesare Previti e la società Sirea (Società italiana revisione aziendale) amministrata, tra gli altri, dall'ingegner Giuseppe Previti. Cesare e Giuseppe sono figli del commercialista Umberto, amministratore unico della Fininvest sin dalla fondazione. Ma non basta. Efibanca rinuncia ben presto a chiedere ipoteche per i finanziamenti al gruppo Fininvest. Scelte sulle quali il collegio sindacale dell'istituto avrebbe potuto anche sollevare qualche dubbio. E invece va tutto bene. Del resto, anche tra i sindaci non mancavano i doppi incarichi. Antonio Berton, sindaco dal 1984 al 1994 di Bnl holding, nello stesso periodo era anche titolare della Fiduciaria Padana, un altro schermo societario utilizzato dal cavaliere per i suoi misteriosi aumenti di capitale. Sempre Berton viene nominato liquidatore della berlusconiana Cofint.

    Nello scorso autunno, pure la generosa Efibanca viene rilevata dalla solita Popolare di Lodi. Una storia a lieto fine. In attesa che un errore dei computer trasformi anche loro, i grigi ragionieri dell'ufficio fidi, in abili coiffeur.

    L'Espresso 03.08.2000

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    http://www.arcipelago.org/storie%20i...ragnatela4.htm

    Nascita dell'impero economico del Cavalier Silvio Berlusconi

    L'attività imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha inizio intorno ai primi anni ‘60, grazie ad una fideiussione della Banca Rasini di Milano, implicata nel riciclaggio di denaro sporco proveniente dai traffici illeciti di Cosa nostra siciliana: questo, secondo un rapporto della Criminalpol di quegli anni, successivamente confermato dalla testimonianza del faccendiere mafioso Michele Sindona!! Vittorio Mangano, assunto in seguito da Berlusconi in qualità di custode e stalliere della sua villa di Arcore, avrebbe fatto da tramite tra l’Istituto di credito e il capo della cupola di allora, Stefano Bontade.

    L’impero berlusconiano, comunque, ha preso avvio a Roma, in Salita San Nicola da Tolentino l/B, il 16 settembre 1974, con la costituzione della società immobiliare "San Martino s.p.a", con amministratore unico Marcello Dell'Utri.

    La romana Immobiliare San Martino, trasformatasi in seguito nella milanese "Milano 2 s.p.a.", ebbe un ruolo essenziale nella costruzione della omonima "città satellite".

    Le compravendite di terreni e immobili si articolano in atti notarili tra soggetti diversi, ma gli interessi sottostanti hanno una medesima matrice e regia: infatti, la società "Milano 2 s.p.a" è controllata dalla "Fininvest", e la Fininvest è una società costituita dalle società fiduciarie "Servizio Italia" e "Saf"(Società azionaria fiduciaria).

    "Servizio Italia" e "Saf" sono società fiduciarie, e dunque agiscono su mandato di terzi coperti dall’anonimato (la formula utilizzata nelle operazioni è " Per conto di società enti o persone da dichiarare").
    La neocostituita società Immobiliare San Martino rimase inattiva fino alla metà del 1977, quando elevò il proprio capitale sociale, dall’originario un milione, a mezzo miliardo, e trasferì la propria sede a Milano. Poco dopo, nel settembre 1977, mutò la propria denominazione in "Milano 2 spa".

    Il singolare schema operativo - costituzione, sensibile aumento di capitale, trasferimento della sede a Milano, e mutamento della ragione sociale - si ripeterà come una costante per tutte le società del gruppo Fininvest, promosse dal parabancario Bnl. Nel costituire la Immobiliare San Martino, dunque, le due fiduciarie si muovevano in nome e per conto di altri, così come Dell’Utri (attraverso Rapisarda in contatto col boss Ciancimino) si muoveva in nome e per conto di altri.

    La sua stessa uscita di scena (Dell’Utri il 13 settembre 1977 si dimette dall’incarico di amministratore unico) risultava analogamente ambigua, quasi che "il siciliano" avesse condotto in porto un’operazione e quindi avesse così concluso il proprio compito.

    Quando nel settembre 1977 Marcello Dell’Utri cessò dalla carica di amministratore unico, gli subentrò Giovanni Dal Santo, commercialista, nato a Caltanissetta, ma attivo a Milano, dove curava interessi vicini alla Banca Nazionale del Lavoro, (Bnl)Holding.
    Secondo l’avvocato Giovanni Maria De Mola, in un memoriale del costruttore Filippo Alberto Rapisarda (consegnato al giudice Della Lucia, del Tribunale di Milano), lo stesso Rapisarda sostiene di avere associato Dell’Utri nelle proprie attività edilizie, in seguito alla pressante "raccomandazione" in tal senso rivoltagli dal boss mafioso Stefano Bontade.
    L’atto costitutivo della società immobiliare San Martino venne sottoscritto dal banchiere piduista Gianfranco Graziadei, per conto della fiduciaria Servizio Italia spa, e da Federico Pollak (87 anni, dirigente della Bnl fin dalla fondazione) per la Saf, Società azionaria fiduciaria spa. Entrambe le fiduciarie sono società della Bnl Holding (il parabancario del grande Istituto di Credito), il cui centro di potere direzionale era assolutamente condizionato da Licio Gelli e dalla sua Loggia P2.

    Era presente alla costituzione della Immobiliare San Martino anche Marcello Dell’Utri, il quale venne nominato, come abbiamo visto in precedenza, amministratore unico della neocostituita società.

    Costui diventerà uno dei più stretti collaboratori di Berlusconi e amministratore delegato di Pubblitalia 80, la potente concessionaria di pubblicità delle reti televisive Fininvest.

    Questo Marcello Dell’Utri è un personaggio in odore di mafia, come rivela un rapporto della Criminalpol, datato 13 aprile 1981: "L’aver accertato attraverso la citata intercettazione telefonica il contatto tra Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare pericolosità criminale, e Dell’Utri Marcello ne consegue necessariamente che anche la Inim spa e la Raca spa, (società per le quali il Dell‘Utri svolge la propria attività), operanti in Milano, sono società commerciali gestite anch’esse dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare il denaro sporco, provento di illeciti."

    Il palermitano Marcello Dell’Utri, transitato per primo, nel 1974, in Salita San Nicola da Tolentino l/B, all’epoca gravitava nel giro degli amici di Vito Ciancimino, e il suo trasferimento dalla Sicilia a Milano non era certo il viaggio dell’emigrante in cerca di fortuna.

    Quando venne nominato, a Roma, amministratore unico della Immobiliare San Martino, Dell’Utri era già residente a Milano, in via Arcimboldi 2.

    Dunque, la sua altrimenti inspiegabile presenza a Roma per la costituzione della società, testimonia come egli si trovasse in Salita San Nicola da Tolentino I B in rappresentanza di precisi interessi.
    La costruzione del gruppo Fininvest richiese vari anni. La Fininvest sri era nata il 21 marzo 1975 al solito indirizzo di Salita San Nicola da Tolentino 1/B, per opera dei soliti, avvocato Gianfranco Graziadei e commendatore Federico Pollak.

    Secondo il solito schema, due mesi dopo la costituzione aumentò il capitale sociale dagli originari 200 milioni a 2 miliardi, dopodiché, nel novembre 1975 si trasformò da "srl" in "spa", e quindi trasferì la propria sede a Milano.

    Fu solo allora che Berlusconi apparve per la prima volta nel campo d’azione della piduista Bnl Holding, assumendo la presidenza del consiglio di amministrazione della Fininvest.
    E’ significativo che, quando assunse la presidenza della Fininvest, Berlusconi fosse affiancato da "controllori" della Bnl Holding, Umberto Previti, Cesare Previti, Giovanni Angela, componenti del collegio sindacale; solo l’anno dopo essi cedettero il posto a noti professionisti milanesi.

    La Fininvest assunse il controllo di "Milano 2 spa" (100 per cento) e di Italcantieri, nonché di altre società che vedremo in seguito.

    L’Italcantieri era la società "svizzera" che aveva in appalto la costruzione della "città satellite" a Segrate, cioè "Milano 2".

    Nacque così il "gruppo Fininvest" nella sua prima struttura.

    Fino a questo momento, capitale sociale e aumenti di capitale erano sempre stati sottoscritti da Servizio Italia e Saf. Anche in seguito, ogni ulteriore aumento di capitale della Fininvest sarà riservato esclusivamente ai vecchi soci, come era esplicitamente precisato nelle delibere assembleari.

    Del resto, negli anni cruciali, durante i quali il gruppo si è formato, il "signor uno per cento", Silvio Berlusconi, non possedeva certo di suo gli ingenti capitali che vi vennero investiti.
    Invero, le società di ‘matrice romana’, che gravitavano nell’orbita del parabancario Bnl e che confluirono nel gruppo Fininvest, furono molte altre, rispetto a quelle citate; con il loro trasferimento a Milano, tutto l’ambito delle attività si spostò definitivamente al nord.
    Fu proprio nell’agosto di quello stesso 1975 che Licio Gelli, il Venerabile maestro della Loggia P2, aveva elaborato il suo "Schema R" e in quello stesso autunno 1975 la Loggia segreta stava mettendo a punto il suo "Piano dì rinascita".

    La definitiva consacrazione di Berlusconi avvenne solo nel luglio 1979, quando fu nominato presidente del consiglio di amministrazione della nuova grande Fininvest, (fusione della Fininvest milanese con quella romana), forte di 52 miliardi di capitale sociale.

    L’interesse della Fininvest per il settore editoriale e tipografico si manifestò assai presto. Già nel 1977 la Fininvest acquisì una partecipazione del 50 per cento nell’impresa tipografica Sies di Umberto Seregni ed entrò nella proprietà del "Giornale nuovo", col 12 per cento. Due anni dopo aumenterà la sua partecipazione al 37 per cento.

    Un’attenzione ancora più precoce venne riservata alla televisione.

    Telemilano, dopo una lunga gestazione, nel 1978 si trasformò repentinamente da via cavo a via etere e, l’anno successivo, cominciò l’attività di emittente commerciale.
    Alla fine del 1979 la Fininvest srl annoverava due partecipate e ventidue società controllate, alcune delle quali a loro volta detenevano partecipazioni, o il pacchetto di controllo di altre.

    Il gruppo si articolava in nove settori:

    * progettazione e servizi,
    * costruzioni,
    * immobiliare,
    * trasporti,
    * editoriale e di comunicazioni (Tv),
    * finanziario,
    * spettacolo,
    * sport e tempo libero,
    * ristorazione.

    Era un assetto provvisorio, soggetto a mutamenti e trasformazioni, che si sono susseguite con grande rapidità.

    Vero è che la struttura del gruppo Fininvest andò evolvendosi fin dall’inizio verso un duplice obiettivo:

    * mantenere "coperta" la reale articolazione proprietaria, garantendo l’anonimato dei possessori del nascente impero,
    * eludere l’imposizione fiscale.

    Esemplare, in questo senso, fu la costituzione delle 22 Holding, Italiana Prima, Seconda, Terza, eccetera: "Un meccanismo", come ammetterà Giancarlo Foscale, amministratore delegato della capogruppo Fininvest, "che ci consente un risparmio sulle imposte valutabile intorno al 30-40 per cento".

    Infatti le 22 Holding sono "scatole vuote", con la sola funzione di incassare i dividendi quali azioniste della Fininvest.

    In sostanza, i padroni dell’impero, Berlusconi e i suoi occulti soci, detengono le obbligazioni delle holding e, attraverso queste, incassano gli utili di tutto il gruppo con due vantaggi: rimangono anonimi e pagano, invece della imposta progressiva sul reddito, il solo 10 per cento delle somme riscosse.

    Lo spericolato marchingegno offre anche altri vantaggi fiscali: alternando nel tempo guadagni e perdite, consente di sfruttare il cosiddetto "credito d’imposta" della legge Pandolfi.

    L’intricata struttura dell’impero berlusconiano si delinea come una ragnatela di società, fiduciarie, scatole vuote, prestanome, holding, con "incestuosi incroci azionari".

    Se risultava evidente l’intento di eludere la tassazione, sottraendo al fisco somme ingenti, l’arzigogolato assetto dell’impero Fininvest venne concepito e strutturato con l’iniziale e costante ricorso ai prestanome, proprio allo scopo di coprire con l’anonimato l’identità dei suoi reali possessori.

    Quanto alle fiduciarie, si tratta per l’appunto del più classico dei paraventi legali: "Un sottile schermo per coprire gli effettivi proprietari", confermava l’ex presidente della Bnl Nerio Nesi. "Quando si usano fiduciarie per l’intestazione di azioni, l’ipotesi più plausibile è che ci siano soci che non gradiscono apparire."

    Si è visto come le due fiduciarie Servizio Italia e Saf, fonte originaria del futuro gruppo Fininvest, facciano capo alla Banca Nazionale del Lavoro. Negli anni Sessanta la Bnl era il maggiore istituto di credito italiano di diritto pubblico, nono nella graduatoria mondiale. L’avvento del centrosinistra aprì il suo consiglio di amministrazione anche al PSI: vi entreranno Aldo Aniasi (1963), Antigono Donati (1966), Nerio Nesi (1978), Ruggero Ravenna (l980). Donati e Nesi ne assumeranno anche la presidenza.

    Nella seconda metà degli anni Settanta, il colosso creditizio registrò evidenti segnali di crisi, specie nell’importante settore del parabancario, in forte espansione. Infatti, le società operanti nel parabancario Bnl aumentarono al ritmo di una decina l’anno. Nel l979 erano una dozzina e, nel giro di un decennio, diverranno 82, di cui 24 controllate, tutte facenti capo alla Bnl Holding.
    L’amministratore delegato della Bnl Holding, Carlo Alhadeff, da tempo in contrasto con i vertici della Banca, il 31 marzo rassegnava le dimissioni e diffondeva un comunicato-stampa: "Questa mia decisione", spiega, "nasce dall’esigenza di tutelare la mia credibilità nei confronti dell’esterno e della stessa Bnl, alla quale attualmente non mi è più possibile garantire la bontà della gestione e la correttezza dei risultati della Bnl Holding e delle sue controllate" - si trattava di una chiara presa di distanze rispetto a quanto avveniva nelle varie società del parabancario Bnl.
    La capogruppo del parabancario Bnl risulta essere la Banca Nazionale del Lavoro Holding Italia spa.

    Il termine "Italia", come si vede, è ricorrente (Servizio Italia, Italcantieri, e tutta una sfilza di Holding Italiana), e gli stessi, ricorrenti numeri (Milano 2, Milano 3, Italia 1, Canale 5, Rete 4, ecc.) ricordano una qualche fantasiosità da ragionieri di banca.

    Con il termine parabancario si intendono tante cose: leasing, factoring, intermediazione finanziaria, fondi comuni, gestioni patrimoniali, partecipazioni, recupero crediti, amministrazione fiduciaria.

    Nel parabancario Bnl, le fiduciarie sono soltanto la Saf,(Società azionaria fiduciaria), e Servizio Italia; esse fanno capo al ristretto comitato esecutivo della Bnl Holding, presieduto dallo stesso presidente della banca e formato da alti dirigenti interni e dai vertici delle principali controllate.
    Servizio Italia era presente in tutte le vicende del bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona.

    Della Capitalfin di Nassau, l’esotico "paradiso fiscale", una delle "casseforti" sindoniane, presidente era Alberto Ferrari, ai tempi anche presidente della Bnl, segretario era Gianfranco Graziadei, che era anche direttore generale di Servizio Italia.

    Ferrari e Graziadei risulteranno entrambi affiliati alla Loggia segreta P2 .

    Gli editori piduisti Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din operavano attraverso Servizio Italia.

    I maneggi piduisti con la casa editrice Rizzoli e il "Corriere della Sera" si avvalevano di Servizio Italia.

    La miliardaria operazione speculativa con la Savoia Assicurazioni da parte della Loggia P2 era curata da Servizio Italia, così come i traffici di Gelli, con 217 mila azioni Italimmobiliare.

    Il Venerabile maestro della Loggia P2 scriveva all’affiliato Tassan Din, indirizzando non già al suo domicilio privato o presso la Rizzoli, bensì presso la sede di Servizio Italia.

    Nel luglio 1982, pochi giorni prima del suo arresto in relazione alla morte del banchiere piduista Roberto Calvi, il faccendiere Flavio Carboni disporrà l’intestazione fiduciaria delle sue società a Servizio Italia...

    E' dunque assodato che Servizio Italia, formalmente Bnl, è pienamente controllata dalla Loggia P2 e che, dietro il suo schermo, si celano anche società e interessi di ogni sorta.
    Quanto alla Saf, Società azionaria fiduciaria, negli anni in cui essa concorreva, con Servizio Italia, a creare le fondamenta del gruppo Fininvest, l’età media dei suoi dirigenti era prossima agli 80 anni.

    Il vicepresidente era Federico Pollak, nato nel 1887; il presidente del consiglio di amministrazione, Federico D’Amico, era del 1908; tra i consiglieri, Silvestro Amedeo Porciani era del 1892, il colonnello in pensione Anatolio Pellizzetti del 1907.

    Risultava dunque del tutto non plausibile l’attribuzione a un gruppo di funzionari ottuagenari degli ambiziosi e avveniristici progetti, che sottendono la nascita del gruppo Fininvest: progettazione, costruzione, commercializzazione di "città satellite" e annessi servizi, ma anche trasporti aerei privati, attività parabancarie, televisione commerciale...

    E' evidente che "la mente", il "centro propulsore" del grandioso programma "a tutto campo" era altrove, e precisamente nella Loggia massonica segreta Propaganda 2 e nel suo "Piano" per il controllo politico ed economico del Paese.
    Non a caso, la prima banca "infiltrata" dai piduisti, e quella penetrata più massicciamente e al più alto livello, era il più importante Istituto di Credito nazionale, e cioè la Banca nazionale del Lavoro, con ben nove affiliati alla Loggia segreta tra i massimi dirigenti - come avrà modo di confermare lo stesso Licio Gelli, tramite il proprio legale: "Numerose banche italiane hanno annoverato negli anni, che vanno dal 1975 al 1981, tra i loro massimi dirigenti, appartenenti alla Loggia P2; e meglio, la Banca Nazionale del Lavoro 4 membri del consiglio di amministrazione, il direttore generale, tre direttori centrali e un segretario del consiglio..." .

    Tra i piduisti insediati ai vertici della Bnl, e agli ordini del Venerabile maestro, sei controllavano tutta l’attività operativa della banca:

    * Mario Diana
    * (responsabile del Servizio titoli e Borsa, tessera P2 1644 col grado di "maestro"), Bruno Lipari
    * (direttore centrale delle filiali, tessera P2 1919 col grado di "maestro"), Gustavo De Bac
    * (direttore centrale per gli affari generali, tessera P2 1889 col grado di "apprendista"), Gianfranco Graziadei
    * (amministratore delegato, e direttore generale di Servizio Italia tessera P2 1912 col grado di "maestro"), Alberto Ferrari
    * (già direttore generale della Bnl, e infine responsabile del settore estero. tessera P2 1625 col grado di "maestro"), Raffaele Guido (responsabile relazioni esterne).

    Il sindoniano balletto di società che nascevano, si associavano, si fondevano e si trasformavano, aveva trovato nuovi e ancora più audaci imitatori.

    Qual'è l’identità di coloro che hanno sottoscritto i mandati fiduciari conferiti a Servizio Italia e Saf (società azionaria fiduciaria), le due società della Bnl Holding che pongono le basi del futuro gruppo Fininvest?

    Mistero!!


    Interrogativi e perplessità circa la reale proprietà della Fininvest emergono periodicamente sulla stampa e vengono puntualmente e laconicamente smentite da fonti berlusconiane. Così, quando Marco Borsa, ex direttore di "Italia Oggi" scrive: "La Fininvest è teoricamente di proprietà della famiglia Berlusconi, ma nessuno lo sa con precisione", gli replica Fedele Confalonieri, nella sua veste di amministratore delegato della Fininvest Comunicazioni: "La Fininvest appartiene alla famiglia Berlusconi in modo effettivo e totale" - un’affermazione tanto perentoria quanto accuratamente priva di riscontri.

    Risulta del resto evidente come non sia stato Berlusconi a creare la Fininvest, ma come sia stata la Fininvest delle fiduciarie e delle banche piduiste a imporre il piduista Berlusconi alla ribalta dell’imprenditoria nazionale.

    Già verso la metà degli anni 70 "L’Espresso" e "Panorama" si erano occupati della rapida ascesa di Berlusconi nel mondo degli affari e ne denunciavano traffici e chiacchierati compari.

    A causa della sua iscrizione alla Loggia P2, segreta e quindi illegale, Silvio Berlusconi venne anche processato per falsa testimonianza davanti al pretore di Verona prima, e condannato poi davanti alla corte di appello di Venezia, con la seguente motivazione:

    "…Ritiene il collegio che le dichiarazioni dell’imputato non corrispondano a verità". Una condanna per spergiuro!!!

    In sostanza, infatti, secondo Berlusconi, la sua non ben definita adesione alla P2 avvenne poco prima del 1981 e non si trattò di vera e propria iscrizione, perché non accompagnata da pagamenti di quote, appunto di iscrizione, peraltro mai richiestegli.

    Tali asserzioni sono state smentite anche dalle risultanze della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, presieduta dalla democristiana Tina Anselmi, non certo una comunista, nella cui relazione si legge: "...alcuni operatori (Genghini, Fabbri, Berlusconi) trovano appoggi e finanziamenti al di la’ di ogni merito creditizio...", e dalle stesse dichiarazioni rese dal prevenuto Berlusconi davanti al G.I. di Milano, e mai contestate, secondo cui la sua iscrizione alla P2 avvenne nei primi mesi del 1978.

    La vicenda Berlusconi-P2 si conclude il primo ottobre 1990 con l’estinzione del reato per amnistia.

    Berlusconi ha accettato l’amnistia allora, come di recente nel processo relativo al lodo Mondadori, ha accettato la prescrizione, in presenza di gravi indizi di colpevolezza elencati dalla Corte di Cassazione.

    Nel 1998 gli investigatori della DIA di Palermo sequestrarono i documenti contabili delle ventidue holding del gruppo Fininvest, nell’ambito dell’inchiesta su Marcello Dell’Utri, deputato di Forza Italia, sotto processo a Palermo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

    I magistrati di Palermo sospettavano che capitali di provenienza illecita fossero finiti, tramite Dell’Utri, nelle holding di Berlusconi.

    Furono il finanziere Rapisarda, socio di Dell’Utri, e diversi collaboratori di giustizia a parlare dei rapporti tra il gruppo Fininvest e la mafia.

    Denaro mafioso sarebbe stato utilizzato dalla Fininvest per acquistare pacchetti - film, e per finanziare l’avvio delle reti televisive di Berlusconi.

    Il gup di Palermo ha, però, archiviato l’indagine riguardante l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del Cavaliere.

    Attualmente, diversi parlamentari di Forza Italia risultano coinvolti in Sicilia in vicende giudiziarie.

    Il pieno controllo della maggiore banca pubblica italiana consentì alla Loggia P2 di procedere celermente nell’attuazione del suo "Piano di rinascita", del quale il gruppo Fininvest parrebbe costituire uno dei principali bracci operativi.

    Costituito attraverso la piduista Bnl, il gruppo venne poi consolidato con ingenti finanziamenti erogati da altre banche, infiltrate dai piduisti:

    18 miliardi per il primo aumento di capitale della Fininvest e 19 miliardi, che il gruppo aveva in deposito fiduciario presso la società Compagnia fiduciaria nazionale spa. Per un totale complessivo di 37 miliardi, e incidentalmente erano "30/40 miliardi" i capitali preventivati dal "Piano" piduista per assumere l’occulto controllo dei gangli vitali del Paese…

    Nell’ancora segreto programma piduista, messo a punto tra il 75 ed il 76, noto come "Piano di rinascita democratica," era anche prevista l’immediata costituzione di una TV via cavo, "che avrebbe poi dovuto essere impiantata a catena, in modo da controllare la pubblica opinione media, nel vivo del Paese".
    Berlusconi in un’intervista a "la Repubblica", datata 15 luglio 1977, dichiarava che avrebbe messo la sua televisione a disposizione di uomini politici della destra democristiana e anticomunista, riecheggiando la linea politica dell’ancora segretissimo "Piano" messo a punto dalla loggia massonica P2.
    Il 10 aprile 1978 Berlusconi iniziò una collaborazione come editorialista sul maggior quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", proprio quando la loggia P2 acquisiva, come dice la commissione parlamentare d’inchiesta, "il controllo finanziario e gestionale del gruppo Rizzoli".

    Interpellato su Licio Gelli, Berlusconi rispose: "...Anch’io, come 50 milioni di italiani, sono sempre in curiosa attesa di conoscere quali fatti o misfatti siano effettivamente addebitati a Licio Gelli".
    Gli saranno imputati reati quali concorso in bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, stragi…

    Il programma della Loggia P2, che il 29 ottobre il presidente Pertini definì "un’associazione a delinquere", era contenuto nel "Piano di Rinascita Democratica," rinvenuto nel 1982 nella borsa della figlia di Gelli all’aeroporto di Fiumicino. Questo piano venne illustrato da Gelli in un’intervista a Maurizio Costanzo, apparsa sul "Corriere della sera" il 5 ottobre 1980.

    Attraverso l’indebolimento dei sindacati, il controllo dei giornali e di politici dei partiti di governo e del MSI, e la distruzione del monopolio della RAI, si puntava a un mutamento della Repubblica in senso presidenziale, anche al fine di indebolire l’opposizione di sinistra e impedirne l’ingresso nel governo.

    6. L'on.Bettino Craxi e il Cavalier Silvio Berlusconi: intreccio di affari e favori.

    Nel frattempo stava emergendo, sempre "per caso", "un uomo della provvidenza", un altro politico che "si era fatto tutto da solo", che, guarda caso, era stato compagno di scuola di Berlusconi, un certo Bettino Craxi, che voleva "modernizzare" il PSI.

    Fu Vanni Nisticò, addetto stampa del PSI e iscritto alla P2, a presentare Craxi a Gelli nel novembre del 1976, in occasione dello scandalo Eni- Petronim, che coinvolgeva alcuni esponenti del PSI della corrente di Claudio Signorile.

    Secondo ciò che Craxi raccontò in commissione P2, Gelli gli disse che "aveva la forza di cambiare il Presidente della Repubblica".

    Nella requisitoria del pubblico ministero Libero Mancuso è scritto su Gelli: " Si manifesta concretamente con veri e propri finanziamenti: da quelli modesti versati a candidati socialisti toscani, in occasione della campagna elettorale del 1980…a quelli assai più consistenti che, secondo un documento acquisito agli atti della commissione P2, sarebbero stati versati il 28 ottobre presso l’Ubs di Lugano

    sul c/c 63369, denominato "protezione" corrispondente all’onorevole Martelli, per conto di Bettino Craxi."

    Nella storia del "conto protezione" è coinvolto anche il banchiere Roberto Calvi, che, quando verrà arrestato per il crack del banco Ambrosiano nel giugno 1981, sarà difeso dal quotidiano socialista "Avanti".

    Gelli, che amava il "decisionismo" craxiano, aveva le stesse idee politiche del leader socialista , di Francesco Cossiga, di Silvio Berlusconi e di tanti altri che avevano "a cuore le sorti del nostro paese", che necessitava della guida di un uomo forte, per "andare", ed essere inoltre difesa dal comunismo.

    Per questo doveva, quindi, instaurarsi una Repubblica Presidenziale; il Pubblico Ministero doveva essere sottoposto al controllo del potere esecutivo; i mass media rigorosamente controllati.

    "Fu Gelli a scrivere negli anni il progetto sulla responsabilità civile dei giudici, che i socialisti riusciranno a fare passare con un referendum nel 1988". (così scrive Michele Gambino).

    Già il 15 luglio 1977 Berlusconi, da poco diventato editore del "Giornale" di Indro Montanelli, dettava a Mario Pirani di Repubblica il proprio "manifesto" politico: "La vera alternativa è nella Dc, una Dc che si trasformi in modo da permettere al PSI di tornare al governo milanese" …. Pirani gli chiese come pensava di aiutare le forze politiche a lui vicine, e Berlusconi rispose: "Non certo pagando tangenti, ma mettendo a loro disposizione i mass media. In primo luogo Telemilano, che sto riorganizzando e che diventerà un tramite fra gli uomini politici, che dimostreranno di non aver divorziato dall’economia e dalla cultura, e l’opinione pubblica."

    Nel 1983, sull’onda del successo e a causa della débacle elettorale della DC, Bettino Craxi diventava Presidente del Consiglio.

    Anche Bettino Craxi, diventato segretario del PSI nel 1976, agitava il tema della Grande Riforma, della revisione costituzionale. Aveva cancellato dal simbolo del Partito Socialista la falce e il martello, sostituendoli col logo stilizzato del garofano rosso al centro del cerchio, puntando sul socialismo liberale, contrapposto al leninismo.

    Negli anni ‘70, approfittando della nomina alla commissione Esteri della Camera, Craxi viaggiò molto per allacciare rapporti importanti per la sua carriera, soprattutto con gli Stati Uniti.( Tutti i bravi politici italiani, dai democristiani ai socialisti di allora, ai D'Alema, agli ex comunisti pentiti di oggi, vanno in Usa a farsi accreditare. Il democristiano Piccoli ci andò col faccendiere piduista Pazienza).

    Gli Americani erano molto preoccupati per l’andamento oscillante del PSI e cercavano un punto di riferimento.

    Questo, dei rapporti con gli Americani, è un passaggio importante nella storia del craxismo.

    Quando Craxi si recò negli Usa, erano passati pochi anni dalle manovre golpiste di De Lorenzo, appoggiate dagli uomini dell’Ambasciata Americana. Dette manovre avevano lo scopo principale di ridurre le pretese del PSI e "ammortizzare" i costi del varo dei primi governi di centrosinistra.

    Da allora, gli Americani non hanno mai smesso di controllare da vicino la politica italiana, sempre con l’obiettivo di condurre l’Italia a scelte di centro-destra.

    Nel ‘69, in pieno autunno caldo, questo obiettivo è stato perseguito, come abbiamo già visto, per la prima volta, con l’uso delle bombe a Milano, in piazza Fontana.

    Fu l’inizio della strategia della tensione.

    Bettino Craxi si era recato in Cile, subito dopo l’assassinio di Salvator Allende da parte dei generali golpisti cileni, aiutati dagli Usa.

    Gli Usa mal tolleravano che il governo del Cile fosse in mano a un uomo di sinistra, e per giunta eletto democraticamente: gli interessi delle multinazionali statunitensi sarebbero stati troppo compromessi dalla politica in favore del popolo cileno, che Allende stava attuando.

    Craxi, che aveva conoscenze "ben informate sui fatti", sapeva che anche in Italia il massimo potere si può raggiungere solo col consenso degli americani e avviò una "normalizzazione" della politica italiana, "sganciandosi" dal PCI per avvicinarsi alla DC.

    Argomentava Craxi in comitato centrale: "La DC, disancorata da un rapporto con noi, scivola inesorabilmente a destra".

    Da segretario del PSI seguirà sempre questa linea moderata e anticomunista, negando di perseguirla.

    Con Craxi l’Italia fu la prima nazione europea ad installare disciplinatamente i missili americani e non mancò di appoggiare gli Usa nella loro politica di "confronto duro" con l’URSS.

    Le visite a New York erano caratterizzate dal trasferimento di un numero enorme di accompagnatori tra politici, amici e una folla di fotografi di regime, addetti stampa, ammiratori.

    Scriveva il giornale socialista l'"Avanti": "L’immagine italiana è cambiata: il made in Italy è di moda e non solo per la moda".

    Sembra la stessa cantilena di Berlusconi, Presidente del consiglio, che vuole attualmente elevare il rango dei diplomatici ad agenti di commercio.

    E ancora l'inquietante prete di nome Baget Bozzo: "Craxi è stato il primo dei condottieri, dando così forma a un italiano conquistatore di mercati, e cambiando l’immagine dell’Italia nel mondo. Craxi delegittima il mondo delle istituzioni: le delegittima in nome dell’Italia come comunità di destino".

    Circondato da abili creatori d’immagine, il periodo della presidenza Craxi fu in sostanza contrassegnato da una rivincita delle forze della finanza e dell’imprenditoria nei confronti del mondo del lavoro, in un periodo di favorevole congiuntura economica europea e mondiale, che favorì il rilancio della Borsa e la caduta dell’inflazione, ma non frenò l’abnorme espansione del debito pubblico.

    Atto emblematico della linea politica di Craxi, in favore della classe padronale, fu il decreto del 14 febbraio 1984, con cui il presidente della Repubblica decise la pre-determinazione e quindi il taglio degli scatti di scala mobile.

    Nel sindacato si sviluppò una fortissima opposizione spontanea.

    Il 24 marzo si svolse a Roma quella che il "Corriere della Sera" definì "la più importante manifestazione del dopoguerra".

    La conversione in legge del decreto incontrò l’ostruzionismo parlamentare.

    Fu in quel momento che lo scontro tra Bettino Craxi e Enrico Berlinguer, segretario del PCI, raggiunse l’apice.

    Craxi e il suo entourage avevano irriso alla "questione morale", indicata dal segretario del PCI come "il fulcro della politica italiana".

    Al congresso del PSI Craxi spregiò il Parlamento, di cui ironicamente elencò nella relazione l’inutile attività, volta a discutere "in materia di pollame, molluschi, prosciutto e scuole di chitarra."

    All'attività parlamentare si contrapponeva il " decisionismo" craxiano (oltre duecento decreti legge), irriso solo "dagli inconcludenti dalla fervida fantasia".

    Insieme alla "rivoluzione culturale" di stampo berlusconiano, l’era craxiana, dal Midas al caso Chiesa, segnò una vera e propria mutazione genetica del PSI, dei suoi uomini , sempre più arroganti.

    A questa mutazione si accompagnarono i tratti caratteristici dell’era craxiana:

    * l’emergere di una lunga serie di scandali che coinvolsero il PSI, e lo affiancarono alla Democrazia cristiana nella pratica quotidiana della tangente e dei rapporti con la criminalità organizzata;
    * la campagna, dai toni sempre più striduli, contro i magistrati colpevoli di fare il loro dovere e di non chiudere gli occhi davanti alle ruberie dei politici; una campagna che sfocerà nel referendum sulla responsabilità dei giudici e nella istituzione delle Superprocure e che aveva come suo obiettivo finale, guarda caso, proprio la sottomissione del pubblico ministero al controllo dell’esecutivo, secondo i dettami del "Piano di rinascita democratica" di Gelli ; la stessa idea tante volte espressa dallo stesso Cossiga, e ancora oggi da Berlusconi e dai suoi sodali;
    * il decisionismo del capo, che non ha bisogno di consultare nessuno;
    * il culto della personalità di Craxi;
    * l’assoluta spregiudicatezza dei rapporti politici;
    * la creazione di un vero e proprio "braccio finanziario" del PSI, gestito in una prima fase dagli stessi politici e, successivamente, da uomini di fiducia, che sfruttava fino in fondo le possibilità offerte dalla gestione della cosa pubblica: un metodo adottato da quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, come si vedrà con lo scandalo milanese, ma che il PSI perseguirà con particolare forza.

    Craxi, dunque, aveva costruito il Partito Socialista su un sistema esteso di clientelismo politico e di corruzione, mirato a finanziare il Partito e a portargli notevoli vantaggi personali.

    La sua scalata ai vertici del Partito socialista, come abbiamo già detto, aveva coinciso con la crescente importanza di Berlusconi.

    Fu Craxi ad aiutare in tutti i modi Berlusconi nella sua ascesa a magnate edilizio, e più tardi dei media, consapevole che chi possiede i mezzi di informazione, e soprattutto la televisione, costruisce il proprio consenso, influenzando l’opinione pubblica e creando un "senso comune" favorevole alla propria ideologia e ai propri interessi.

    Fedele al suo progetto, alla fine degli anni settanta, Berlusconi passò dall’edilizia al mercato emergente delle televisioni private, con l’inaugurazione di Telemilano 58 nel 1977.

    Il suo primo direttore, Stefano Lodi, fu un giornalista residente a Milano 2, ed era membro della commissione ministeriale che all’epoca studiava le ipotesi di regolamentazione dell’emittenza privata.

    Una sentenza della Corte Costituzionale del 1976 aveva allargato all’etere la libertà di trasmissione via cavo. Fino al quel momento la televisione era stata monopolio di Stato, ma una sentenza del 1974 aveva permesso le trasmissioni di reti private locali.

    Berlusconi trovò tuttavia un modo per aggirare la legge, e creare una televisione nazionale. Comperò molte piccole reti locali e, facendo sì che trasmettessero lo stesso programma a pochi secondi di distanza, riuscì ad ottenere un’audience a livello nazionale ed elevate quote di pubblicità, pur obbedendo in teoria alla lettera della legge.

    Numerose autorità giudiziarie si resero conto dell’inganno e cercarono di smantellare questo sistema.

    Quando la battaglia stava per giungere alla conclusione e la Fininvest rischiava l’oscuramento per ordine della magistratura, Craxi, allora Presidente del Consiglio, emanò un decreto speciale per escludere le televisioni di Berlusconi da un tale provvedimento.

    Berlusconi espresse la sua gratitudine in diversi modi.

    I pubblici ministeri di Milano hanno rintracciato almeno 6 milioni di dollari, che sarebbero passati dai conti bancari esteri della Fininvest a conti bancari in Tunisia, che la magistratura ritiene essere stati controllati da Craxi.

    Durante gli anni ottanta furono fatti diversi tentativi al fine di introdurre una legislazione antitrust contro la holding di Berlusconi, ma tali iniziative vennero sempre bloccate dai socialisti di Craxi.

    Il 20 ottobre 1984 Craxi ricevette a Palazzo Chigi Berlusconi, poche ore prima di firmare il decreto legge con cui riaccendeva le tv del "Biscione", chiuse dai pretori di Roma, Torino e Pescara.

    Lo chiamarono decreto-Berlusconi: non si sa perché!

    Nel marzo 1990 il Senato dibatteva la legge di regolamentazione del settore televisivo.

    Nello stesso tempo, con controverse vicende giudiziarie, Berlusconi era impegnato in una strenua lotta per il controllo della Mondadori.

    Lo stesso assalto berlusconiano al colosso Mondadori, prefigurando una imponente concentrazione di mass media, suscitava grave allarme, oltre che nell’opposizione comunista, anche nella sinistra democristiana (presente nel governo Andreotti con cinque ministri).

    Il disegno di legge in esame al Senato, firmato dal ministro repubblicano Oscar Mammì, era frutto di annose contese e di scontri, segrete pressioni, mediazioni e ripensamenti.

    Nella sostanza, esso era concepito in modo tale da garantire a Berlusconi il possesso di tutti e tre i suoi networks e l’egemonia nella raccolta pubblicitaria, anche se di fatto avrebbe sancito il divieto, per la Fininvest, di mantenere il controllo del "Giornale" di Montanelli e di acquisire quello del quotidiano "la Repubblica".

    La Corte Costituzionale minacciò di emettere la sentenza che avrebbe cancellato la legge-Berlusconi, con il conseguente black-out dei networks. Le vicende della Mondadori, i perduranti contrasti sulla legge Mammì, che dividevano anche il pentapartito, le pressioni della lobby berlusconiana sui parlamentari, le polemiche per l’anomalo ruolo assunto in materia dalla Corte Costituzionale, rendevano incandescente il clima politico e mantenevano il governo a un passo dalla crisi. Era davvero in gioco il futuro della democrazia repubblicana.

    "A questo si è arrivati", scriveva Scalfari su "la Repubblica" del 12 gennaio 1990 "per assenza di leggi, latitanza dell’autorità, intimidazione della giustizia, padrinaggi politici e arroganza del potere e del denaro. Gli obiettivi, chiarissimi ormai, sono due: impadronirsi di una grande impresa editoriale e mettere il bavaglio alla libera stampa. Questo non è capitalismo e libero mercato, ma guerra di bande per ridurre al silenzio chi non si piega ai loro voleri".

    E il venerabile maestro, Licio Gelli, ritornato in Italia a piede libero, seguiva il tutto con soddisfazione.

    Nel 1990 il Parlamento approvò la prima vera legge sulle televisioni:

    la versione finale sembrava fatta a pennello per gli interessi di Berlusconi. Stabiliva che nessuno poteva possedere più di tre televisioni nazionali, esattamente il numero che Berlusconi possedeva.

    Conteneva inoltre due misure che presentavano l’assunto di un sacrificio da parte sua: una lo obbligava a cedere la maggior parte della sua partecipazione in una pay-TV via satellite, mentre l’altra stabiliva che il proprietario di una rete televisiva nazionale non potesse possedere anche un quotidiano nazionale.

    Berlusconi aggirò la seconda disposizione "vendendo" al fratello Paolo il suo quotidiano, Il Giornale. Egli inoltre vendette la maggior parte della sua partecipazione alla TV via satellite a un gruppo di investitori, prestando il denaro ad alcuni di loro in modo da permettergli… l’acquisto.

    All’ascesa televisiva di Sua Emittenza contribuì anche il PCI.

    Il secondo "decreto Berlusconi", quello che serviva a sanare definitivamente il pericolo di oscuramento delle antenne del magnate di Arcore, venne convertito in legge alla Camera il 31 gennaio con i voti decisivi di 37 deputati missini. Il decreto arrivò al Senato il primo di febbraio, che era di venerdì e non venne approvato. Il lunedì si giocava tutto sul filo dei minuti: il testo passò in Commissione e arrivò in aula. Il presidente del Senato, Francesco Cossiga, contingentò il tempo degli interventi per evitare che l’ostruzionismo potesse affossare il decreto fortemente voluto da Bettino Craxi. La Sinistra indipendente, capeggiata da Giuseppe Fiori, inventò uno stratagemma procedurale e riuscì ad arrivare alle undici e mezza di sera. "Se quattro comunisti fossero intervenuti a parlare", ricorda Fiori, "sarebbe passata la mezzanotte e il decreto sarebbe decaduto".

    Il capogruppo del PCI Gerardo Chiaromonte gli spiegò, però, che l’ordine era di votare contro, ma di far passare il decreto.
    L’indicazione arrivava dal giovane responsabile del PCI per le comunicazioni, Walter Veltroni.

    Il fatto era che Bettino Craxi era riuscito a legare il passaggio del decreto in favore di Berlusconi a un riassetto della Rai che prevedeva, fra l’altro, il "passaggio" di Raitre sotto la sfera di influenza del PCI.

    La legge Mammì, dunque, era stata concepita principalmente per ratificare la posizione dominante nell’ambito dell’emittenza privata della Fininvest: "Ho visto con i miei occhi i lobbysti della Fininvest " - confermerà il giornalista Sandro Curzi - " lavorarsi i deputati, nell’estate ‘90, sempre all’opera su e giù per il Transatlantico di Montecitorio, quando la legge Mammì, dopo un tormentatissimo iter e dopo le dimissioni di cinque ministri, ottenne l’approvazione del Parlamento... Anzi, credo che se i magistrati guardassero un po’ meglio, troverebbero tante cose interessanti in quel dibattito parlamentare, quando, a colpi di "voti di fiducia", venivano approvati vari articoli della legge Mammì, una legge fatta apposta per Berlusconi ". E Giulio Cesare Rattazzi, segretario del "terzo polo" di emittenti locali, testimonia: "L’ingegner Mezzetti, un uomo della Fininvest, era in permanenza nelle stanze del ministero delle Poste".

    La compagnia di Berlusconi pagò i principali autori della legge Mammì.

    Questo è il vero scandalo, ma questo sembra, anche, essere un metodo costante di Berlusconi, il metodo della tangente, per piegare a proprio vantaggio economico le scelte politiche. Nel 1993 un funzionario del Governo ammise di aver ricevuto una tangente di dieci miliardi di lire (a quel tempo circa otto milioni di dollari) per conto del Ministro Mammì e del suo partito. Il consulente legale di Mammì, David Giacalone, ricevette a titolo personale circa 300.000 dollari. La Fininvest insiste che fu un "onorario di consulenza", i magistrati la considerano una tangente. De Benedetti, nel processo per il lodo Mondadori, accusa Berlusconi di avere comprato la decisione del tribunale di Roma per entrare in possesso della Mondadori. Le indagini sul lodo Mondadori sono state avviate dalla procura di Milano nel 1997. Al centro dell’inchiesta lo scontro avvenuto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta tra Carlo De Benedetti e Carlo Formenton, per il controllo della Mondadori.

    Dopo una dura battaglia economica, il tribunale di Milano assegnò con lodo arbitrale il controllo del capitale della società a De Benedetti, e Berlusconi perse la presidenza della Mondadori. La sentenza fu rovesciata dalla corte d’Appello di Roma, secondo la quale una parte dei patti stipulati nel 1988 tra i Formenton e la Cir di De Benedetti erano in contrasto con la disciplina delle società per azioni; di conseguenza l’intero accordo, compreso il lodo arbitrale, era da considerarsi nullo. Al termine dell’indagine avviata dal pubblico ministero milanese Ilda Boccassini, Berlusconi e i suoi collaboratori furono accusati di corruzione in atti giudiziari.

    Secondo la Procura milanese, 400 milioni provenienti dai fondi esteri occulti della Fininvest, erano finiti nel 1992 al giudice Metta, relatore della sentenza con la quale la corte d’Appello di Roma aveva dato ragione alla famiglia Formenton. Previti, Pacifico e Acampora erano stati accusati di aver svolto il ruolo di mediatori tra Berlusconi e il giudice Metta.

    A giugno i giudici della corte d’Appello di Milano avevano stabilito che nei confronti di Berlusconi era ipotizzabile il reato di corruzione semplice e non di corruzione in atti giudiziari e grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato era caduto in prescrizione: i fatti risalivano al 1991 e la prescrizione scatta dopo sette anni e mezzo. Rimanevano invece in piedi le accuse nei confronti degli altri imputati, che come Berlusconi un anno prima erano stati prosciolti dal gup Rosario Lupo.

    Ora, le tre reti nazionali di Berlusconi, Canale 5, Rete 4 e Italia 1, controllano più del 70% del fatturato nazionale della pubblicità e il 45% della audience.

    Dunque, mentre Forza Italia può farsi pubblicità praticamente gratis sulle reti di Berlusconi, i suoi rivali politici sono nella situazione perdente di doverlo pagare o di far a meno di qualsiasi pubblicità televisiva. Questo è l’unico paese al mondo in cui i partiti politici devono pagare il loro avversario politico….

    Le televisioni sono solo una parte dell’impero di Berlusconi.

    La sua casa editrice, la Mondadori, è di gran lunga la più importante del paese, con più del 30% del mercato dei libri, più del doppio dei suoi più prossimi concorrenti. Il suo gruppo di giornali e riviste include "Panorama", il settimanale più diffuso, e un insieme di riviste femminili e di altro tipo con una posizione più o meno equivalente a quella di S.I. Newhouse’s Condé Nast.

    Possiede inoltre due quotidiani, Il Giornale, il preferito dal pubblico conservatore, nonché il quarto per importanza nel paese, e Il Foglio, un quotidiano di circolazione minore che ha le funzioni di un Rottweiler ideologico per attaccare i nemici di Berlusconi.

    La sua compagnia di assicurazioni, Mediolanum, è l’equivalente italiano delle società di investimento Fidelity o Vanguard.

    La sua squadra campione di calcio, il Milan, gli ha regalato, in un paese dove il calcio è seguito con una devozione quasi religiosa, più visibilità e popolarità di ogni altra sua proprietà, ad eccezione delle televisioni.

 

 
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