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Un antico mito trova la sua dimensione nei riti di inizio primavera
Così l’Uomo Selvaggio entrò nel Carnevale
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di Massimo Centini
Il rapporto Uomo Selvaggio-Carnevale ha radici lontane e si pone quasi come conditio sine qua non in numerose manifestazioni celebrate nell’arco alpino in occasione delle pratiche folkloristiche che precedono e annunciano la primavera. Va detto per chiarezza che il modello tipico dell’Uomo Selvaggio, così come descritto dall’iconografia ricorrente, solo in alcune occasioni è presente senza alterazioni formali di sorta. Infatti il suo modello tipico si armonizza senza eccessivi attriti in altre figure che ibrida con la sua presenza, senza peraltro alterarne il significato primitivo. Va inoltre constatato che nei carnevali tradizionali, l’Uomo Selvaggio rappresenta una sorta di sintesi delle altre figure generalmente chiamate a svolgere il ruolo di maschera del Carnevale uomo-albero, orso, Arlecchino, matto. Di ognuna di queste figure, l’Uomo Selvaggio esprime qualche peculiarità, simbolizzata nella sua immagine e nei suoi aspetti culturali. Nel Carnevale, l’Uomo Selvaggio è particolarmente presente nelle Alpi Orientali, in cui appare sotto le sembianze di maschera del Salvanèl, spesso amalgamata ad altre figure di più recente origine, così può capitare che, accanto al personaggio Selvaggio tipico, trovi posto Arlecchino, la Capra Barbana, o la Dama Selvaggia. Quasi sempre si tratta di maschere ombrose ed ambigue, come rilevato dal Toschi studiando la festa piemontese della "Capra, dello stagnino e della barba". L’Uomo Selvatico, chiamato nelle feste trentine anche Bilmo (la femmina Graostana), riveste sempre il ruolo, a metà tra il comico e il drammatico, di creatura temuta ma vinta, essere da scacciare dal nucleo civile, o addirittura da sopprimere. In Val di Fiemme, il Salvanèl veniva ucciso dopo un’articolata rappresentazione a cui partecipava tutta la popolazione. Il rito-spettacolo della battuta si pone sul modello dell’Uccisione del Carnevale, che in pratica costituisce la formula ricorrente in numerose tradizioni analoghe. Il soggetto in genere è caratterizzato da un travestimento in cui ricorrono gli elementi simbolici come pelli e foglie destinati a porre in rilievo le prerogative selvagge e l’appartenenza alla Natura. Le connessioni sono comunque moltissime e possono essere scorte in un ampio complesso di tradizioni che dal Charivari giungono alla danza delle corna di Abbats Brohley (Staffordshire), fino alle tante tradizioni note come le "Feste dei pazzi". Nelle valli tirolesi, le maschere del Wilder Mann e più raramente della Wilder-Frau sono inserite nelle tradizioni carnevalesche. La loro tipologia è andata evolvendosi nel tempo fino ad acquisire elementi formali diversi, da porre in relazione alle intrusioni culturali che hanno interessato le singole aree geografiche. Così accanto agli esponenti tipici del Carnevale nordico, può accadere di incontrare le maschere della Commedia dell’Arte che, pur mantenendo la loro autonomia, intrecciano un rapporto drammatico con l’uomo selvaggio. In occasione della festa di San Gregorio (12 marzo) si svolgono in Val Venosta i Gregorispiel a cui partecipa il Wilder Mann con una grande barba incolta che accentua il suo status di Selvaggio. Porta un cappello a larghe falde e coperto di muschio, ha un grande mantello e in una mano stringe un lungo tronco di pino. Il suo ingresso è accolto da un gruppo di fanciulle del luogo, che gli vanno incontro proponendo una tenzone costituita da versi a cui il Wilder-Mann risponde spesso con rime baciate. Dopo il contrasto, le donne cercano di legare il Selvaggio con nastri rossi, in questa operazione alcuni studiosi vedrebbero gli echi di una antica ritualità nordica e medievale evocare la lotta delle forze del bene su quelle del male e in particolare modo contro il demone Herlekin, demone maligno raffigurato in origine con un costume a fetucce colorate. A Termeno, in occasione del martedì grasso, la maschera locale, l’Egetmann (uomo del maggese, spaventapasseri, spirito della Natura) è accompagnato dall’orso, dal cacciatore e dal Wilder-Mann, coperto con un costume di foglie di edera; nel corso del rito inscena una fuga, presto arrestata dal cacciatore e appena può tenta di spaventare gli spettatori. Giunto nella piazza principale il Selvaggio viene ucciso dal cacciatore, che in questo modo celebra il rito antico della fine della brutta stagione e quindi della rinascita, secondo lo schema ricorrente dell’"Eterno ritorno". Nei paesi di cultura ladina, l’Om Salvarek, è presente in molte tradizioni legate al rito del Carnevale gli sono accanto, oltre la Donna Selvaggia, anche i suoi figli. Una singolare variazione giunge dal Carnevale di Moena, in Val di Fassa dove il personaggio centrale è rappresentato dalla maschera di Manitù, creata localmente negli Anni Trenta, ma il cui modello riflette il tipo classico dell’Om Salvarek. Senza dubbio si tratta di una singolare elaborazione moderna, in cui lo stereotipo più arcaico del Selvaggio si amalgama ad una figura esterna, ammantata di sacro che con il mito locale ha in comune uno stretto legame con il tema del "Signore del bosco", entità presente in molte culture che hanno mantenuto un solido legame con la Natura. Ricorre anche il richiamo alla figura demoniaca; ancora in Val di Fassa, il Salvan era associato allo Strion (stregone), alla Stria e al Diaol. I costumi riproponevano la tipologia dell’essere silvestre, ma con l’aggiunta di corna diaboliche, che avevano il ruolo di esasperare il legame del selvaggio con l’universo infernale. Emblematico è anche il caso dei Krampus friulani. Si tratta di maschere indicate come "diavoli" che, nell’itinerario ludico-trasgressivo del Carnevale, svolgono il ruolo di alterare gli equilibri sfruttando il loro aspetto "demoniaco", molto adatto per esasperare l’intrusione del male nello spazio del bene (secondo l’antropologia si potrebbe dire l’intrusione della Natura nella Cultura).Riferimenti analoghi possono essere individuati nella maschera del Malan del Carnevale di Val Gardena, in cui il modello tipico del Selvaggio si amalgama quasi indissolubilmente, a quello del diavolo.