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    Predefinito Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Così Moloch divenne il dio mangiabambini


    Immagine dal sito https://upload.wikimedia.org/

    Sergio Frau

    Cartagine (Tunisi) - Professore, ma come mai voi, qui a Cartagine, scannavate e bruciavate i vostri bambini? Risposta: "Bè, che dire allora dei comunisti? Loro, in Russia, li mangiavano anche...".
    L'abbiamo sbancata via - Cartagine, Regina di Mare - per seppellirne anche il ricordo. Poi, al solito, cenere e sale per maledirla. E sopra quei suoi resti maciullati la nostra città nuova di zecca, una crosta di pietre bella di tutto: teatri, anfiteatri, stadi, terme, i nuovi templi per i nostri nuovi dei... E statue maestose, e mosaici a perdita d'occhio, e dolce vita da padroni...
    Cartagine i Romani, l'hanno conquistata nel 146 avanti Cristo. I ricchi di Tunisi una quarantina di anni fa, più o meno. Figurarsi che oggi - giocando con quartier e Chartage - quelli che abitano i ghetti della capitale tunisina, invidiosi, la chiamano la "Chartachic".
    Il suo Museo, dall'alto benedice tutto questo ben di dio immobiliare: vero miracolo della speculazione mediterranea che s'irradia da qui e brilla forte fino a Sidi Bou Said, la Positano di Tunisia. Tutt'intorno al Museo, digradando giù fino al bagnasciuga, ville e villone si ritmano ai parchi archeologici. Molta roba antica - romana e punica - deve essere rimasta sotto i prati all'inglese di questi giardini allegri, vista mare. Buttano fuori, sulla strada, tinte forti di bouganville amaranto, arancio, rosa intenso. I gelsomini, meno vistosi, si fanno notare spruzzando profumo dappertutto. I muri sono tutti bianchi e il mare - turchino quanto basta - fa sognare le mille rotte che da qui partivano: Mozia, Malta, Nora, Tharros, Malaga, Cadice, Tartesso, l'Africa, forse l'Inghilterra... Roba da sovrapprezzo, ogni metro quadrato.
    Si esce dal Museo. Si scende giù. Si percorre tutta Via dei Sufeti. S'imbocca a destra Via Plutarco. Si costeggia l'antico porticciolo tondo, che - tutto box e hangar e argani com'era - riusciva a stivare 200 grandi navi almeno. Si gira, poi, per Via Annibale... E, arrivati al Tophet Salammbò (fascinoso e macabro, con la sua selva di stele a ricordo di neonati morti) sotto un sole che stacca la pelle, quella domanda sul sacrificio dei neonati si fa inevitabile: hanno trovato ossa e ceneri di lattanti un po' in tutta questa zona. E' qui che le guide turistiche riescono sempre a strappare brividini alle comitive con il loro resoconto dei poppanti sgozzati in nome di dio, uno via l'altro, e poi gettati alle fiamme.
    Il professore conosce fin troppo bene il dio di qui - Baàl Ammon, e Tanit, sua compagna ("viso di Baàl"), e anche l'affollata assemblea di divinità minori che circondava la sacra coppia - per non riderci su. Anche sul Moloch della disinformazione storica, infatti, Mohamed H. Fantar è preparato assai: "La grigliata di bambini? C'è una premessa da fare: tutto quello che ci è arrivato di scritto sui Fenici è firmato da nemici dei Fenici. I Greci loro concorrenti nel Mediterraneo; gli Ebrei loro rivali in Terra di Canaan (Libano, Siria, Palestina e attuale Israele, ndr); i Romani che per un secolo e mezzo almeno hanno vissuto con l'incubo di Cartagine. Cercare obiettività in quei testi è pura utopia. Bisogna scavarvi dentro, invece, al di sotto dello strato avvelenato".
    Due millenni e mezzo almeno di cattiva fama. La caccia grossa tra quei veleni antifenici (sparsi nella Bibbia, nell'Odissea, nelle pagine latine prima, medievali poi), mica l'ha spaventato. Ci ha messo 40 anni di studi, scavi, ricerche e ora però - che di anni ne ha 64 ed è considerato uno dei numeri uno del periodo fenicio-punico visto che ne sa pressocché tutto - il professor Fantar, docente di Storia delle Religioni, riesce persino a scherzarne con smagato sarcasmo. "La Storia, si sa, la scrivono i vincitori. Noi siamo ancora tra gli sconfitti...".
    E sì, perché i suoi Fenici sono stati davvero un gran popolo, ma solo fino all'Ottocento. Al 1800 dopo Cristo, s'intende. Fin quando, cioè, non saltarono fuori Micene, Tirinto, Troia... La Grecia marchiata Schliemann, insomma. Fu in quegli anni - con la Germania, entusiasta, in cerca per sé stessa di nobili ascendenze greche, doriche, ariane - che decollò quell'inguacchio teorico che, mixando razzismo, archeologia e antisemitismo all'ingrosso, sconfisse davvero il mondo fenicio-punico.
    Si sbiancò la Storia. Persino i Faraoni, allora, divennero meno neri. Si misurarono con lena i crani, per stabilire anche così gerarchie tra le razze. Se ne deducevano primati di civiltà. E i Semiti - Ebrei o Fenici che fossero - finirono d'amblè nel secondo girone delle culture, visto che il primo ormai spettava scientificamente agli Ariani.
    Del resto però, professore, le fonti antiche parlano chiaro: eravate subdoli, intriganti, imbroglioni, sciupafemmine, lascivi... Bravi a navigare, certo. Per il resto, però...
    "Le rilegga oggi quelle fonti. Ora che le possiamo mixare con le nuove informazioni restituite dagli archivi di Ugarit, di Ebla. Dia retta: il Mediterraneo comincia ora a raccontarsi davvero. Prendiamo la Bibbia, ad esempio. Da quel libro - che un giorno verrà considerato un portentoso strumento di pace - furono estratte nel Medioevo prima, nell'Ottocento poi, le peggiori accuse contro quei Cananei della costa libano-siriano-palestinese che, una volta in mare, intorno al mille a.C. furono battezzati Fenici dai Greci, Punici dai Romani. Scavandoci dentro è possibile estrarne reperti di grande interesse dal punto di vista storico ".
    Tipo?
    "Uno per tutti: quel grand'uomo di Salomone, ad esempio. Simbolo ancora oggi di saggezza e pace. Uno che sapeva davvero fare i fatti suoi e convivere con gli altri".
    Non ci staremo allontanando troppo, professore?
    "Per capire una cosa bisogna vederla crescere. Guardi che le civiltà sono come l'acqua...".
    Prego?
    "Hai l'idrogeno, l'ossigeno. S'incontrano, reagiscono e, d'improvviso, hai una terza cosa, diversissima: l'acqua! Cartagine è l'acqua. Tiro, Canaan, l'Africa libico-berbera i suoi elementi primordiali: o li conosci, oppure questa magnifica distesa di pietre romane che ci circonda, qui a Cartagine, rimarrà per sempre muta. O al massimo ci parlerà solo in latino".
    Salomone, dunque...
    "Il suo Tempio di Gerusalemme, Salomone, lo fa costruire alle maestranze di Tiro, metropoli fenicia d'Oriente. Tratta direttamente con il loro re, Hiram, già amico di suo padre Davide. Patti chiari amicizia lunga: Salomone il suo Tempio lo vuole tale e quale quello che Tiro ha già. Si mettono d'accordo sul prezzo e il re Hiram spedisce a Gerusalemme uno squadrone di operai specializzati forniti di tutto, dal legname al bronzo al capocantiere..."
    E allora?
    "Proprio da lì parte nell'800 avanti Cristo, Didone, mitica fondatrice di Cartagine. Sbarca qui portandosi dietro i suoi dei, tutto un Pantheon antico, un'assemblea di divinità, tra cui eccellono Baàl e Tanit. Più o meno lo stesso impianto soprannaturale che Abramo poteva pregare da ragazzo nella sua Ur. Ma tra Ebrei e Canaan il clima è mutato dai tempi di Salomone e Hiram: gli dei fenici sono stati ormai maledetti per far spazio al nuovo dio unico di Israele. Ci penseranno le trascrizione delle tradizioni orali ebraiche e poi l'Alessandria dei Tolomei, con la sua la traduzione in greco della Bibbia, a diffondere ovunque quell'antico odio verso il mondo fenicio".
    Il professor Fantar, naviga con destrezza tra miti biblici e miti greci. Punto di partenza per lui fu proprio una passionaccia infantile per il mondo di Omero & C. Per studiarlo bene, però, si recò alla Scuola Biblica di Strasburgo dove poi, finì per lasciarsi sedurre dalla religione antagonista al dio degli Ebrei che incantò la Tunisia prima di Roma. Il discorso del professore prosegue, ora, all'interno del Museo. Gran bella roba. Anche qualcosa di stupefacente: quei due sarcofagi in pietra che benedicono con la mano alzata chi li guarda, sembrano roba cristiana o bizantina, ma due secoli prima di Cristo, sei prima di Bisanzio. Poi un mare di splendida paccottiglia per cui le donne di Sardegna, Spagna, Grecia, andavano in visibilio: avori intarsiati, ciondoli d'oro leggeri, amuleti scacciaguai, specchi decorati, vetri come bolle di sapone, azzurri, rosa, pallidi d'oro. È comunque, questo Museo, il fratello povero del Bardo. E sì, Roma ha vinto su Cartagine e continua a farlo: questo è il Museo degli sconfitti; l'altro, il Bardo, nel cuore di Tunisi, quello, degli occupanti, trionfanti dei loro tesori facili facili, delle maestranze a pochi soldi.
    Dice il professore, guardando giù dalla spianata del Museo, verso il mare: "Il vero capolavoro che ci resta di Cartagine, però, è questa sua posizione. Per fondare Qart hadasht, ovvero la Città nuova, Tiro si deve essere sbancata. Fu una decisione di Stato piazzarla proprio qui, a far da imbarcadero e terminale ai traffici di Spagna e d'Africa. Guardi, guardi giù: un triangolone di 100 ettari circondato dal mare da ogni parte tranne l'istmo che la attraccava al continente. Per proteggerla bastava che chiudessero lì, con uno sbarramento di soli quattro chilometri e mezzo. Il suo porto, laggiù, aveva persino un uscita segreta: si smurava il recinto e le navi minacciate fuggivano in mare. Divenne una leggenda Cartagine".
    Professore, ma come la mettiamo con i Greci? Anche loro non hanno mai avuto una buona parola per voi.
    "Non certo Erodoto: lui dimostra continuamente un grande rispetto nei confronti dei primati fenici. Alfabeto, miti, navigazione... Gratti la sua Grecia e spesso trovi i Fenici".
    In che senso?
    "Cadmo, fondatore di Tebe, è un fenicio. Europa, Agenore, Fenix li possiamo seguire prima in Fenicia, poi in giro per la Grecia a creare città. Se insegui le radici di molte saghe greche le trovi che vanno a ingarbugliarsi - spesso a coincidere - con quelle fenicie. Anche qui - idrogeno più ossigeno - e, sorpresa, nasce il Pantheon greco. Tanto è vero che poi, quando gli scrittori greci del quinto o quarto secolo avanti Cristo si trovano a dover parlare delle divinità di Cartagine o di Tiro, non si fanno scrupolo a ribattezzare e riconoscere nelle divinità di qui, i loro dei: Baal, il dio padre, viene tradotto con Cronos; Eshmun con Asclepio (dio protettore della salute); Tanit, poi, si fa un po' Iside (ché tanto la dea egizia è famosa ovunque), un po' Afrodite, un po' Hera, moglie di Zeus".
    E Atena? Era davvero nera ?
    "Nera nera non si sa. Certo è che in Grecia sbarca nell'ottavo secolo bell'e fatta: fenicia e già santa. Secondo Erodoto e mille preghiere che la definiscono sempre Tritonia, dal Lago Tritonio dovrebbe nascere. E il Lago Tritonio è Tunisia: era all'interno del golfo di Gabès. Ed è sempre Erodoto ad ambientare qui quei tornei tutti femminili in onore di Atena. Dia retta: i Greci che sparlano dei Fenici sono roba recente. Roba da ultimo secolo prima di Cristo, come Diodoro il Siculo, ad esempio".
    E che fa?
    "È lui che si diverte a costruire quel Moloch mangiabambini che incanterà, poi, il Flaubert grandguignolesco di Salammbò. Lo fa, in una Sicilia ancora spaventata da Cartagine. Oggi, però, siamo in grado di smontargli il mostro, pezzo per pezzo".
    Come?
    "Indagando su quel che ha usato per costruirlo. Diodoro, infatti, racconta il sacrificio dei bambini e descrive per bene la statua di quello che anche lui chiama Cronos, sempre traducendo "alla greca" Baàl. Ma quello che ne nasce è un mostro tutto suo, non certo dei Cartaginesi: è un'invenzione realizzata montando insieme spezzoni di Talos, il mitico guardiano di bronzo che proteggeva Creta ai tempi di Minosse, e del terribile Toro di Falaris di Agrigento. Null'altro".
    Ma di Moloch non ne parla anche la Bibbia?
    "Basta rileggersi il secondo libro dei Re lì dove è scritto: Egli profanò il Tophet, nella valle di Ben Hinnom in modo che nessuno facesse più passare attraverso il fuoco suo figlio o sua figlia in onore di Moloch. Non si parla mai di sgozzamento dei bambini, si parla di incinerazione, pratica condannata dalla nuova religione degli Ebrei. Ed è così anche in Geremia".
    Ma allora tutte quelle stele nel Tophet Salammbò?
    "I Tophet non sono mica necropoli. Sono aree sacre a cielo aperto. Migliaia di iscrizioni parlano chiaro: in nessuna si fa cenno a sacrifici infantili. Io, ormai, sono convinto che - nel do ut des che si instaurava con il dio - quei genitori privati di figli talmente piccoli da non poter essere considerati corpi da necropoli come gli adulti ne restituivano le ceneri nei tophet, chiedendo la grazia di averne presto un altro. Polibio e Tito Livio sembrano darmi ragione: non ne parlano affatto e, certo, avessero avuto prove serie contro Cartagine le avrebbero usate".
    Che previsioni fa, professore: quanti secoli ci vorranno ancora perché voi non siate più considerati i Belzebù del mondo antico?
    "Difficile dirlo, dipende dagli studi, dagli scavi, dalla pulizia mentale. Bisogna riprogrammare i cervelli, riuscire ad analizzare gli antichi ma con la mentalità degli antichi. Giusto lei, poi... Ha appena scritto di Astarte come dea puttana, dei suoi Templi come sacri bordelli".
    Calunnie?
    "No. Vero. Ma solo se si considera con gli occhi di oggi. Del tutto sbagliato, se invece, facendo uno sforzo, arriviamo a ragionare come gli antichi. Per loro il peccato non era certo il sesso. Quello è un concetto nuovo, nato con i libri sacri, per cancellare quegli atti d'amore fisico che per millenni furono davvero magici. Sarà dura... Del resto, per rendersi conto di quanto sia ancora lunga la strada da fare, basta pensare che persino il nome Belzebù viene proprio da Baàl Zebub - il dio dei Filistei che proteggeva dalle mosche le carni dei sacrifici - mentre Mlk, che significava un rito sacro, divenne il mostro Moloch".
    Un sogno grande, d'archeologo?
    "Trovare una biblioteca non incenerita: sono migliaia e migliaia i sigilli di papiri che ci sono saltati fuori dagli scavi. Le fonti ci raccontano di sterminate collezioni di testi. Finora però nulla. Strano destino per una civiltà che ha regalato l'alfabeto al mondo".

    Così Moloch divenne il dio mangiabambini - la Repubblica.it
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 15:43

  2. #2
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    In Origine Postato da Tomás de Torquemada
    Il professore conosce fin troppo bene il dio di qui - Baàl Ammon, e Tanit, sua compagna ("viso di Baàl"), e anche l'affollata assemblea di divinità minori che circondava la sacra coppia - per non riderci su. Anche sul Moloch della disinformazione storica, infatti, Mohamed H. Fantar è preparato assai: "La grigliata di bambini? C'è una premessa da fare: tutto quello che ci è arrivato di scritto sui Fenici è firmato da nemici dei Fenici. I Greci loro concorrenti nel Mediterraneo; gli Ebrei loro rivali in Terra di Canaan (Libano, Siria, Palestina e attuale Israele, ndr); i Romani che per un secolo e mezzo almeno hanno vissuto con l'incubo di Cartagine. Cercare obiettività in quei testi è pura utopia. Bisogna scavarvi dentro, invece, al di sotto dello strato avvelenato".
    Dunque la sinistra fama di Moloch sarebbe, almeno in parte, un’esagerazione.
    Ho letto in rete che, dopo aver analizzato le informazioni frammentarie (e spesso distorte) presenti in testi ebraici e greci, si ritiene che Moloch fosse non un dio, ma semplicemente il nome di un rituale fenicio i cui dettagli ci sono sconosciuti. E una riconsiderazione globale della questione tende oggi ad escludere che i Fenici praticassero sacrifici umani se non in contesti eccezionali, in cui la gravità della situazione richiedeva interventi religiosi di maggiore incisività, come del resto succedeva in tutto il mondo antico. È inoltre possibile che ad essere bruciati fossero bambini già morti per altre cause.



    Incisione di Athanasius Kircher (Oedipus Aegyptiacus, 1652) rappresentante
    il dio Moloch, a forma di forno
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 15:44

  3. #3
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    IL RITO DEL SACRIFICIO UMANO: LE RECENTI INTERPRETAZIONI

    È un tratto tipico della religione fenicia, su cui si è ampiamente discusso: il sacrificio umano, più in particolare il sacrificio dei fanciulli.

    Nei documenti antichi, ci sono testimonianze del ricorso dei Fenici e dei Cartaginesi a questa pratica, giudicata barbara e bollata d´infamia. Così, quando in numerosi scavi sono venuti alla luce santuari a cielo aperto con migliaia di urne in terracotta contenenti ceneri e ossa di bambini in tenera età, si è pensato che fossero i resti di quegli antichi rituali.

    Vaste aree consacrate, collocate al di fuori delle mura cittadine, contenenti non solo urne cinerarie ma anche altri ex voto, soprattutto stele in pietra, con figure ed iscrizioni votive, sono state ritrovate a Cartagine e in altri centri del nord Africa, a Mozia in Sicilia, a Tharros, Sulcis, Monte Si-rai, Nora e Bitia in Sardegna.
    In questi "santuari pubblici", le urne contengono ossa di fanciulli e di piccoli animali, agnelli o uccelli, in alcuni casi anche mescolate. Ci sono anche deposizioni di feti e resti di più fanciulli nello stesso vaso.

    Recentemente, tuttavia, vi è stata da parte degli studiosi una riconsiderazione della questione, anche in seguito ad analisi effettuate sui resti ossei. Queste necropoli infantili sembrano ormai ormai senza dubbio da interpretare come aree destinate ad accogliere i resti di bambini precocemente defunti, per malattie o altre cause naturali, e per questo "offerti" a Tanit e Baal Hammon, preposti alla sorte dei fanciulli in modo positivo: un modo per cercare di assicurare ai sopravvissuti la benevola protezione delle divinità.

    Da OLTRE MAGAZINE - Oltre Magazine


    Il Tophet Salammbô
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 15:45

  4. #4
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali


    I bambini arsi vivi

    di Tiziana Loria



    Peter P. Rubens, Saturno (1636)
    Madrid, Museo del Prado
    Immagine dal sito https://upload.wikimedia.org/
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 15:46

  5. #5
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Il Tophet e il rito del sacrificio umano


    Il Tophet di Cartagine
    Immagine dal sito https://upload.wikimedia.org/

    Il rito del sacrificio umano "MoIk" come offerta sacra è tipico di una mentalità sociale che non ha riscontro in quella greco-romana.
    Se per i Fenici, da segni certi, appariva inevitabile che una divinità avesse in mira l'eccidio di una città o dello Stato, non si doveva indugiare ad offrirle vite umane, scaricando così tutto il suo furore, la maledizione e l'ira sul capo di pochi e tenendola lontana dalla comunità.
    Con l'idea che nessun altro sacrificio più di questo rallegrasse e calmasse quella divinità, i Cartaginesi si votarono ai sacrifici umani, e per accrescere il valore de] sacrificio, non risparmiarono anche ciò che di più caro e prezioso che possedevano: la vita dei propri figli.

    Di conseguenza, nei momenti di necessità, per scongiurare un grave pericolo si ricorreva all'offerta di "primizie" (tra le quali sarebbero stati compresi i figli primogeniti) al dio Baal che assicurava la prosperità ed esaudiva i desideri, e alla dea Tanit che proteggeva la città e garantiva la sua eternità.

    Il sacrificio, ai loro dèi, non solo di animali ma anche di vittime umane e soprattutto di bambini, portava alla divinizzazione dei fanciulli sacrificati.
    Si stabiliva, in tal modo, un canale diretto di "comunicazione" con le autorità celesti.

    In generale valeva per il terribile rituale il principio del "Molchomor", la sostituzione dei fanciulli con una bestia viva: ma non sempre.

    Ogni tanto, in cambio della benevolenza, gli dèi esigevano carne e sangue umano.
    Largamente diffusi erano, comunque, i sacrifici di agnelli, uccelli, pecore.
    Il medesimo sacrificio "Molk" (dono, offerta) prevedeva casi di sostituzione con vittime animali.

    Il quadro della terribile cerimonia del sacrificio umano era reso più tetro dal fatto che, ai parenti delle vittime. era severamente vietato esternare il proprio dolore dinanzi all'altare.
    Lacrime e gemiti avrebbero infatti sminuito il valore del rito.

    Diodoro Siculo, lo storico di Agira, ricorda il sacrificio di 200 bambini presi dalle più illustri famiglie di Cartagine.
    Si era proceduto alla sostituzione dei fanciulli delle migliori famiglie con bambini comprati o adottati da famiglie miserabili; e da qui, per redimersi dell'orrore compiuto, il governo di Cartagine decretò il sacrificio di 200 bambini appartenenti tutti alle famiglie nobili.

    Silvio Italico, nel libro IV della sua epopea riferisce, con ricchezza di particolari il caso del figlio di Annibale.
    Il governo di Cartagine decise di sacrificarlo.
    La moglie del condottiero, Imilce, spagnola, si oppose all'atroce decisione e ottenne dal Consiglio una sospensione del sacrificio per informare il marito; Annibale rifiuto' di immolare il figlio e, al suo posto, giurò di sacrificare migliaia di nemici.

    G. H. Hertzberga precisa il rituale del sacrificio.
    Dal numero rilevante di bambini ad esso destinati al sacrificio, veniva scelta a sorte la vittima che, di norma, veniva segretamente cambiata con quella di altra gente.

    Il bambino, posto sulle braccia di un idolo cavo di bronzo, rotolava all' interno dove ardeva un fuoco.

    Gustave Flaubert, nel suo romanzo storico "Salambò" così scrive : "i fanciulli salivano lentamente le scale.

    Nessuno di essi si muoveva, perchè erano legati ai polsi e alle caviglie e il velo nero che li avvolgeva impediva loro di vedere e alla folla di riconoscerli''.

    James B. Frévier narra : "E' notte! Alcuni suonatori di flauto e tamburo fanno un frastuono assordante. Il padre e la madre sono presenti. Consegnano il figlio al sacerdote che cammina lungo la fossa del sacrificio, sgozza il bambino in modo misterioso, poi depone la piccola vittima sulle mani protese della statua divina dalla quale essa rotola sul rogo".

    Sabatino Moscati, il noto semitista, avanza la teoria che il sacrificio dei bambini sia una pura fantasia; e sostiene che il "tophet" (area sacra) sia il luogo sacro di sepoltura di bambini nati morti o deceduti subito dopo la nascita, bruciati e quindi sepolti in urne.

    La questione del sacrificio rimane aperta comunque, anche se il ritrovamento nei "tophet" di resti di piccoli animali (associati o meno a vittime infantili) fa ritenere credibile il terribile rituale della religione cartaginese.

    Per ultimo, un disegno riprodotto sulla "stele obelisco" (un uomo che indossa una veste trasparente e che porta un bambino in braccio), viene raffigurato come una scena di "sacerdote col fanciullo".

    A Selinunte sono state messe in luce tre aree sacre.
    La più considerevole è costituita da un complesso formato da dodici ambienti collegati tra loro (due dei quali costituivano la parte centrale), nei quali sono stati trovati sei e tredici vasi, spesso anfore, che contenevano ossa di animali, miste a materiale combusto.

    Le anfore sono del tipo a "siluro", tipicamente puniche; altre sono a corpo globulare con orlo a cordone.

    Il Tophet e il rito del sacrificio umano
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 15:48

  6. #6
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Sacrifici umani in Grecia e Roma antiche


    Jean F. Perrier, Il sacrificio di Ifigenia (1632-33)
    Digione, Museo delle belle arti
    Immagine dal sito https://it.wikipedia.org/

    I sacrifici umani nella Grecia e nella Roma antiche

    Il sacrificio è una pratica rituale propria di molte civiltà, antiche e moderne. Secondo il nostro punto di vista e la nostra sensibilità culturale, tendiamo a considerare i sacrifici umani come un qualcosa di aberrante e mostruoso ma al contempo affascinante, da relegare, tuttavia, a civiltà arcaiche o arretrate e non civilizzate. Il ricorso, nell’orbita di determinati contesti e circostanze, all’uccisione di vittime umane, non suscitava nessun tipo di scandalo o giudizio moralistico, era assolutamente normale e faceva parte della prassi religiosa antica, sia romana sia soprattutto greca.


    Riti e sacrifici legati alla guerra

    Nel 226 (o 228) a.C. Roma si trovava in una situazione di crisi, essendo minacciata dall’invasione di popolazioni galliche; dietro consultazione dei Libri sibillini vennero seppellite vive una coppia di Galli ed una di Greci nel Foro Boario (o forse nel Foro romano). Si scelsero i Galli perché erano i nemici del momento, ma la decisione di sacrificare persone greche non trova una spiegazione sicura; probabilmente il rito era di origine etrusca, e gli Etruschi avrebbero sacrificato sia nemici del nord (Galli cisalpini) sia del sud (Greci campani), oppure si scelsero queste rappresentanze perché Galli e Greci erano i nemici tradizionali della Roma repubblicana, e dunque le vittime sarebbero state identificate col nemico.

    Lo stesso sacrificio fu ripetuto dopo la battaglia di Canne, nel 216, ancora con vittime greche e galliche, ma questa volta al fine di espiare la condotta impudica di alcune Vestali, che furono senza dubbio coinvolte nel supplizio.

    La devotio è un’istituzione di cui Livio (8, 6, 9 ssg.) parla a proposito del console Decio Mure, coinvolto in una guerra latina nella seconda metà del IV sec. a.C., e del suo omonimo nipote, coinvolto invece in una battaglia contro i Galli: ai due consoli un dio rivela che risulterà vittorioso colui che consacrerà agli Dei Mani e alla Terra se stesso e l’esercito nemico.

    Il pontefice massimo ordina a Decio Mure di indossare la toga praetexta, coprirsi il capo (secondo il costume dei sacrificanti romani), poggiare il piede su una lancia e recitare una formula dettatagli dal pontefice stesso, che comprende un’invocazione ad una serie di divinità quali Giano (che apre in genere le invocazioni rivolte a più divinità), la triade Giove-Marte-Quirino, Bellona, i Lari, i Mani, la Tellus, e che si conclude con le parole votive legiones auxiliaque hostium mecum diis Manibus Tellurique devoveo.

    Dopodiché Decio Mure, in costume sacrificale (il cinctus Gabinus, che lasciava scoperte le braccia appunto per consentire movimenti delicati come l’uccisione della vittima) monta a cavallo e si getta nella battaglia, dove la sua morte “ sacrificale ”, in virtù di questo voto, consente la vittoria dell’esercito romano.


    Riti di purificazione

    Un testo hittita riporta la descrizione di particolare rito di purificazione che si eseguiva dopo una sconfitta militare: si tagliavano in due un uomo, un capro, un cagnolino ed un piccolo maiale, si ponevano le metà dei corpi ad una distanza tale che le truppe potessero passare attraverso di essi, poi attraverso due fuochi, poi attraverso una porta, ed infine venivano bagnate con dell’acqua per essere purificate. Questo rito così singolare trova analogie presso numerose civiltà, dove veniva compiuto non solo dopo una disfatta militare, ma anche per evitare un pericolo, trovare scampo da malattie ed altre circostanze difficili. Erodoto (1) riferiva che il persiano Serse fece passare il proprio esercito tra le metà di un corpo umano, prima di marciare sull’Ellesponto.

    Secondo il mito, inoltre, l’esercito vittorioso di Peleo, a Iolco (in Tessaglia), passò attraverso le metà del corpo di Astidamia, la moglie del re vinto Acasto.

    È ben noto il rito del “capro espiatorio”, che secondo l’usanza ebraica documentata nell’Antico Testamento prevedeva, in occasione della festa autunnale dei “Tabernacoli” il sacrificio di un capro che assume su di sé tutte le iniquità e tutto il male di Israele accumulatosi durante un intero anno, e lo conduce lontano, nel deserto.

    In Grecia, ad Atene, un rito molto simile prevedeva il sacrificio di vittime umane vere e proprie: nel corso della celebrazione della festa Thargelia in onore di Artemide ed Apollo, che cadeva il 6 ed il 7 del penultimo mese dell’anno attico, due persone, cosiddette pharmakoí (phàrmakon significa “medicina”), scelte tra la classe più bassa e certamente non cittadini, venivano espulse dalla città dopo essere state nutrite a spese pubbliche per un certo periodo.

    Mentre per Atene non si ha nessuna notizia circa l’uccisione di tali “vittime”, i pharmakoí erano uccisi a Massilia (attuale Marsiglia), dove il rito si celebrava in concomitanza di epidemie, e la vittima era volontaria, forse attratta dalla possibilità di nutrirsi a spese non proprie, e ad Abdera, dove invece una persona appositamente comperata veniva lapidata (uccisa a distanza così da non dover toccare l’uomo impuro) a nome di tutta la collettività.

    Tutto ciò mostra molto chiaramente come uccisioni rituali non sacrificali e sacrifici umani veri e propri non fossero separati così nettamente come si potrebbe pensare.

    Nel mondo romano i giochi gladiatori sarebbero stati introdotti per sostituire uccisioni di persone importanti ai funerali. Plinio (2) scrive che esisteva ancora l’usanza di bere il sangue caldo dei gladiatori morti perché efficace contro l’epilessia.


    Alcuni sacrifici legati a Dioniso e Artemide

    Il mondo greco presenta una singolare discrepanza tra il numero di sacrifici umani raccontati dai miti (basti pensare ad Ifigenia, destinata ad essere sacrificata ad Artemide, e Meneceo, il figlio di Creonte che nella tragedia euripidea Le Fenicie si sacrifica, dietro predizione dell’oracolo, per salvare la città di Tebe) ed il numero di sacrifici umani davvero praticati.

    Il proverbiale “sofisma dei Tessali” consisteva in un’ecatombe umana che era continuamente rimandata di anno in anno.

    A Tenedo (in Turchia) l’epiteto di Dioniso era Anthroporraistes, vale a dire “sbranatore di uomini”, anche se le sue vittime erano una mucca ed il suo vitello, ma trattati come se fossero vittime umane anziché animali, tanto che il vitellino aveva i coturni del dio.

    Dioniso era anche venerato come Omadios, cioè “amante della carne cruda”, e [/i]Omestes[/i] “mangiatore di carne cruda”, e a quest’ultimo vennero sacrificati i tre nobili prigionieri persiani di Temistocle; secondo la versione mitica, inoltre, il dio stesso fu sbranato e divorato dai Titani.

    Nel Minos pseudo-platonico si racconta che il discendente di Atama, se metteva piede nel pritaneo, doveva essere sacrificato a Zeus Laphystios (“divoratore”).

    I riti che avevano luogo in Arcadia in onore di Zeus Liceo implicavano sacrifici, dal carattere cannibalesco, di bambini.

    A Sparta c’era il rito della flagellazione, per il quale dei fanciulli venivano violentemente frustati dinanzi il simulacro (xoanon) di Artemide Orthia; tale rito sarebbe stato mitigato da Licurgo proprio per sostituire la pratica originaria che prevedeva sacrifici umani.


    Note

    1 – Storie 7, 39 ssg.
    2 – 28, 4.


    Bibliografia

    A. Brelich, Presupposti del sacrificio umano, A. Alessandri (a cura di) Editori Riuniti University Press, 2011.

    Sacrifici umani nella Grecia e nella Roma antiche - archart.it
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-10-16 alle 16:06
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  7. #7
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Se analizzaimo la messa cristiana è anch'esso un rito sacrificale umano dove in ultima si arriva a mangiare il l'uomo-dio. Si arriva a separe il sangue dalla carne e mangiarlo in momenti e da persone diverse. Certo è il ricordo, ma è sopra l'altare che si opera, situazione ripresa da antichi riti, tutta la liturgia è una rivisitazione tragica dei riti pagani elaborando il ricordo, ma sostanzialmente mantiene l'essenza dell'uccisione di un essere umano che diverrà dio riscattando i peccati degli uomini, andando prima agli inferi e aprire certe porte per poi salire nell'alto dei cieli.........Storie e comportamenti antichi legati alle religioni dei primordi. Sostanzialmente poco è cambiato!

  8. #8
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Essere selezionati come i più puri e sani del villaggio, prelevati dalla propria casa, nutriti con il cibo migliore, trattati come divinità e, dopo mesi di preparazione, condotti in cima a una montagna, a 6000 metri di altitudine, e sacrificati agli dèi: soffocati, uccisi con un colpo alla testa o bruciati vivi. È questa la storia dei bambini dai 6 ai 15 anni vittime della Capacocha, una cerimonia sacrificale che segnava gli avvenimenti più importanti per il popolo Inca, legati per lo più alla vita dell'imperatore.

    I primi a raccontare di questo rituale furono i missionari spagnoli. E solo negli anni più recenti l'archeologia è intervenuta per integrare le informazioni redatte da quegli europei che tra i primi incontrarono – e si scontrarono – con l'incomprensibile "mondo nuovo" che da millenni viveva dall'altro lato dell'Oceano. I ritrovamenti di alcuni resti ottimamente conservati, come le mummie di Llullaillaco, stanno aiutando a far luce su una pagina della storia rimasta a lungo silenziosa.


    I SEGRETI DEI BAMBINI INCA SACRIFICATI SULLE ANDE





    L'ottimo stato di conservazione di tre mummie Inca scoperte vicino alla sommità del vulcano argentino Llullaillaco (nel 2013) ha consentito agli scienziati di "restituire un volto umano" all'antico rituale Capacocha che, circa 500 anni fa, si concluse con il loro sacrificio.

    I corpi della vergine tredicenne di Llullaillaco e dei suoi compagni più giovani, il ragazzo di Llullaillaco e la "ragazza fulmine" - soprannominata in questo modo perché il suo corpo è stato danneggiato da un fulmine - hanno rivelato che, nel momento della morte e nel corso delle cerimonie che per un anno li preparavano al trapasso, entravano in gioco alcune sostanze in grado di alterare il loro stato mentale. I risultati dello studio sono riportati su PNAS di luglio 2013.

    Sottoposti ad analisi biochimica, i capelli della vergine hanno fornito informazioni su cosa avesse mangiato e bevuto nei suoi ultimi due anni di vita. I risultati ottenuti hanno evidenziato un cambiamento nel modo di alimentarsi e nel consumo di coca e di alcool che sembrano coerenti con i resoconti storici, e cioè sul fatto che gli Inca selezionassero alcuni bambini perché prendessero parte a una cerimonia sacra della durata di un anno che sarebbe finita con il loro sacrificio.

    Nella visione religiosa Inca, sottolineano gli autori, la coca e l'alcool potevano indurre stati di alterazione che rientravano nella sfera del sacro. Queste sostanze, però, probabilmente avevano anche una funzione più pragmatica: disorientare e sedare le giovani vittime per rendere loro più accettabile l'ingrato destino che li attendeva.



  9. #9
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Citazione Originariamente Scritto da Silvia Visualizza Messaggio
    Essere selezionati come i più puri e sani del villaggio, prelevati dalla propria casa, nutriti con il cibo migliore, trattati come divinità e, dopo mesi di preparazione, condotti in cima a una montagna, a 6000 metri di altitudine, e sacrificati agli dèi: soffocati, uccisi con un colpo alla testa o bruciati vivi. È questa la storia dei bambini dai 6 ai 15 anni vittime della Capacocha, una cerimonia sacrificale che segnava gli avvenimenti più importanti per il popolo Inca, legati per lo più alla vita dell'imperatore.

    I primi a raccontare di questo rituale furono i missionari spagnoli. E solo negli anni più recenti l'archeologia è intervenuta per integrare le informazioni redatte da quegli europei che tra i primi incontrarono – e si scontrarono – con l'incomprensibile "mondo nuovo" che da millenni viveva dall'altro lato dell'Oceano. I ritrovamenti di alcuni resti ottimamente conservati, come le mummie di Llullaillaco, stanno aiutando a far luce su una pagina della storia rimasta a lungo silenziosa.


    I SEGRETI DEI BAMBINI INCA SACRIFICATI SULLE ANDE





    L'ottimo stato di conservazione di tre mummie Inca scoperte vicino alla sommità del vulcano argentino Llullaillaco (nel 2013) ha consentito agli scienziati di "restituire un volto umano" all'antico rituale Capacocha che, circa 500 anni fa, si concluse con il loro sacrificio.

    I corpi della vergine tredicenne di Llullaillaco e dei suoi compagni più giovani, il ragazzo di Llullaillaco e la "ragazza fulmine" - soprannominata in questo modo perché il suo corpo è stato danneggiato da un fulmine - hanno rivelato che, nel momento della morte e nel corso delle cerimonie che per un anno li preparavano al trapasso, entravano in gioco alcune sostanze in grado di alterare il loro stato mentale. I risultati dello studio sono riportati su PNAS di luglio 2013.

    Sottoposti ad analisi biochimica, i capelli della vergine hanno fornito informazioni su cosa avesse mangiato e bevuto nei suoi ultimi due anni di vita. I risultati ottenuti hanno evidenziato un cambiamento nel modo di alimentarsi e nel consumo di coca e di alcool che sembrano coerenti con i resoconti storici, e cioè sul fatto che gli Inca selezionassero alcuni bambini perché prendessero parte a una cerimonia sacra della durata di un anno che sarebbe finita con il loro sacrificio.

    Nella visione religiosa Inca, sottolineano gli autori, la coca e l'alcool potevano indurre stati di alterazione che rientravano nella sfera del sacro. Queste sostanze, però, probabilmente avevano anche una funzione più pragmatica: disorientare e sedare le giovani vittime per rendere loro più accettabile l'ingrato destino che li attendeva.


    Questi esseri erano preparati per l'eternità. Resto colpito per come la "mummia" sia in una posizione che sembra dorma, il mistero è che questa ragazza è arrivata fino a noi pressoché intatta( in una compostezza senza pari), certo che questo fatto inquieta e allo stesso tempo fa pensare sui misteri della vita e della morte! Forse i popoli e le civiltà che ci hanno preceduto avevano delle conoscenze o degli approcci mistico teologici totalmente diversi da quelli attuali: erano disponibili a farsi uccidere, a far uccidere i loro figli migliori per una credenza, questo da una parte ci fa star male dall'altro ci apre orizzonti, concezioni religiose a noi inavvicinabili.....loro che senza dubbio avevano una concezione sacra della vita, ma arrivavano all'estremo sacrificio convinti di trarne profitto come comunità, ma anche come individuo........Ma che profitto erano convinti di trarne?

  10. #10
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    Predefinito Re: Il sacrificio umano, aspetti antropologici e rituali

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    Questi esseri erano preparati per l'eternità. Resto colpito per come la "mummia" sia in una posizione che sembra dorma, il mistero è che questa ragazza è arrivata fino a noi pressoché intatta( in una compostezza senza pari), certo che questo fatto inquieta e allo stesso tempo fa pensare sui misteri della vita e della morte! Forse i popoli e le civiltà che ci hanno preceduto avevano delle conoscenze o degli approcci mistico teologici totalmente diversi da quelli attuali: erano disponibili a farsi uccidere, a far uccidere i loro figli migliori per una credenza, questo da una parte ci fa star male dall'altro ci apre orizzonti, concezioni religiose a noi inavvicinabili.....
    Caro sideros, riporto dal sito Fanpage...


    I resti esaminati dagli studiosi erano quelli delle mummie di Llullaillaco: una fanciulla di circa 13 anni soprannominata La doncella e due bambini, un maschietto e una femminuccia, di 4 o 5 anni. Rinvenuti nel 1999 sulla sommità del vulcano Llullaillaco, una delle cime più alte delle Ande, ad un'altitudine di oltre 6.700 metri, i corpi dei tre si erano preservati in condizioni pressoché perfette, complici le temperature bassissime di quel luogo spettacolare che fece loro da tomba: «sembrava dormissero» quando furono scoperti nel sepolcro. I tre bambini furono le vittime immolate all'altare delle divinità all'incirca 500 anni fa, all'epoca in cui era ancora fiorente e forte l'impero Inca, il più vasto di età precolombiana, che sarebbe andato incontro al suo collasso definitivo con l'arrivo degli spagnoli.

    In particolare i capelli de La doncella accuratamente intrecciati (ne sono stati individuati anche alcuni bianchi, forse frutto dello stress emotivo precedente la drammatica fine della giovane) sono stati in grado di fornire una gran quantità di informazioni agli studiosi. Le indagini biochimiche hanno confermato scientificamente quello che da tempo era noto agli esperti: durante i mesi che precedevano il sacrificio, le vittime designate assumevano quantità progressivamente crescenti di droga, attraverso la masticazione delle foglie di coca, e di alcol, probabilmente dalla Chicha, la bevanda derivata dalla fermentazione del mais. I risultati hanno evidenziato come la bambina avesse consumato tre volte più droga ed alcol rispetto agli altri due e come le dosi di alcol ingerito nelle ultime settimane di vita fossero altissime. In generale, nel corso dell'intero anno precedente la sua morte, aveva assunto sistematicamente queste sostanze: è assai probabile che i giovani scelti venissero obbligati a far ciò con l'obiettivo finale di una elevazione spirituale che li avrebbe avvicinati il più possibile all'ideale di vittima da immolare. Un vero e proprio percorso iniziatico testimoniato da altri mutamenti avvenuti nel medesimo arco di tempo e ravvisabili sempre grazie agli esami sui capelli: la fanciulla passò repentinamente da una dieta basata principalmente sulle patate a un'alimentazione che prevedeva abbondanti quantità di carne e granoturco; nello stesso periodo cambiò anche la pettinatura.

    Ma, dopo la preparazione, come vennero sacrificati i due bambini e l'adolescente? La combinazione dei dati ottenuti grazie alle analisi biochimiche con quelli radiologici e archeologici ha permesso agli studiosi di ricostruire il quadro del cruento sacrificio: i tre, ormai sedati e storditi, vennero fatti sedere in tre nicchie naturali sulla cima del vulcano e lì lasciati a morire. Gli esperti ipotizzano che le abbondanti quantità di alcol e droga, assieme al freddo intenso, abbiano fatto in modo che i giovani trapassassero abbastanza quietamente. Sulla fanciulla, in particolare, non è stato riscontrato alcun segno di violenza bensì le condizioni tipiche di un trattamento accuratissimo: i suoi vestiti erano ricchi e sontuosi, i capelli ben pettinati, sul suo corpo lo strato di grasso confermava l'alimentazione soddisfacente degli ultimi anni vissuti; accanto a lei, oggetti di vario tipo come statue e contenitori per acqua.

    I ricercatori ritengono che il trattamento differente riservato ai tre bambini, in termini di allucinogeni e alcolici somministrati, fosse non soltanto commisurato all'età, ma anche conseguenza di diversi status sociali e, soprattutto, della gerarchia dei ruoli rituali all'interno di un sacrificio crudele che sottostava a regole e cerimoniali rigidissimi: presumibilmente [i]La doncella[/i, nella sua triste fine, vestiva gli abiti di una privilegiata.


 

 
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