Sergio Frau
Cartagine (Tunisi) - Professore, ma come mai voi, qui a Cartagine, scannavate e bruciavate i vostri bambini? Risposta: "Bè, che dire allora dei comunisti? Loro, in Russia, li mangiavano anche...".
L'abbiamo sbancata via - Cartagine, Regina di Mare - per seppellirne anche il ricordo. Poi, al solito, cenere e sale per maledirla. E sopra quei suoi resti maciullati la nostra città nuova di zecca, una crosta di pietre bella di tutto: teatri, anfiteatri, stadi, terme, i nuovi templi per i nostri nuovi dei... E statue maestose, e mosaici a perdita d'occhio, e dolce vita da padroni...
Cartagine i Romani, l'hanno conquistata nel 146 avanti Cristo. I ricchi di Tunisi una quarantina di anni fa, più o meno. Figurarsi che oggi - giocando con quartier e Chartage - quelli che abitano i ghetti della capitale tunisina, invidiosi, la chiamano la "Chartachic".
Il suo Museo, dall'alto benedice tutto questo ben di dio immobiliare: vero miracolo della speculazione mediterranea che s'irradia da qui e brilla forte fino a Sidi Bou Said, la Positano di Tunisia. Tutt'intorno al Museo, digradando giù fino al bagnasciuga, ville e villone si ritmano ai parchi archeologici. Molta roba antica - romana e punica - deve essere rimasta sotto i prati all'inglese di questi giardini allegri, vista mare. Buttano fuori, sulla strada, tinte forti di bouganville amaranto, arancio, rosa intenso. I gelsomini, meno vistosi, si fanno notare spruzzando profumo dappertutto. I muri sono tutti bianchi e il mare - turchino quanto basta - fa sognare le mille rotte che da qui partivano: Mozia, Malta, Nora, Tharros, Malaga, Cadice, Tartesso, l'Africa, forse l'Inghilterra... Roba da sovrapprezzo, ogni metro quadrato.
Si esce dal Museo. Si scende giù. Si percorre tutta Via dei Sufeti. S'imbocca a destra Via Plutarco. Si costeggia l'antico porticciolo tondo, che - tutto box e hangar e argani com'era - riusciva a stivare 200 grandi navi almeno. Si gira, poi, per Via Annibale... E, arrivati al Tophet Salammbò (fascinoso e macabro, con la sua selva di stele a ricordo di neonati morti) sotto un sole che stacca la pelle, quella domanda sul sacrificio dei neonati si fa inevitabile: hanno trovato ossa e ceneri di lattanti un po' in tutta questa zona. E' qui che le guide turistiche riescono sempre a strappare brividini alle comitive con il loro resoconto dei poppanti sgozzati in nome di dio, uno via l'altro, e poi gettati alle fiamme.
Il professore conosce fin troppo bene il dio di qui - Baàl Ammon, e Tanit, sua compagna ("viso di Baàl"), e anche l'affollata assemblea di divinità minori che circondava la sacra coppia - per non riderci su. Anche sul Moloch della disinformazione storica, infatti, Mohamed H. Fantar è preparato assai: "La grigliata di bambini? C'è una premessa da fare: tutto quello che ci è arrivato di scritto sui Fenici è firmato da nemici dei Fenici. I Greci loro concorrenti nel Mediterraneo; gli Ebrei loro rivali in Terra di Canaan (Libano, Siria, Palestina e attuale Israele, ndr); i Romani che per un secolo e mezzo almeno hanno vissuto con l'incubo di Cartagine. Cercare obiettività in quei testi è pura utopia. Bisogna scavarvi dentro, invece, al di sotto dello strato avvelenato".
Due millenni e mezzo almeno di cattiva fama. La caccia grossa tra quei veleni antifenici (sparsi nella Bibbia, nell'Odissea, nelle pagine latine prima, medievali poi), mica l'ha spaventato. Ci ha messo 40 anni di studi, scavi, ricerche e ora però - che di anni ne ha 64 ed è considerato uno dei numeri uno del periodo fenicio-punico visto che ne sa pressocché tutto - il professor Fantar, docente di Storia delle Religioni, riesce persino a scherzarne con smagato sarcasmo. "La Storia, si sa, la scrivono i vincitori. Noi siamo ancora tra gli sconfitti...".
E sì, perché i suoi Fenici sono stati davvero un gran popolo, ma solo fino all'Ottocento. Al 1800 dopo Cristo, s'intende. Fin quando, cioè, non saltarono fuori Micene, Tirinto, Troia... La Grecia marchiata Schliemann, insomma. Fu in quegli anni - con la Germania, entusiasta, in cerca per sé stessa di nobili ascendenze greche, doriche, ariane - che decollò quell'inguacchio teorico che, mixando razzismo, archeologia e antisemitismo all'ingrosso, sconfisse davvero il mondo fenicio-punico.
Si sbiancò la Storia. Persino i Faraoni, allora, divennero meno neri. Si misurarono con lena i crani, per stabilire anche così gerarchie tra le razze. Se ne deducevano primati di civiltà. E i Semiti - Ebrei o Fenici che fossero - finirono d'amblè nel secondo girone delle culture, visto che il primo ormai spettava scientificamente agli Ariani.
Del resto però, professore, le fonti antiche parlano chiaro: eravate subdoli, intriganti, imbroglioni, sciupafemmine, lascivi... Bravi a navigare, certo. Per il resto, però...
"Le rilegga oggi quelle fonti. Ora che le possiamo mixare con le nuove informazioni restituite dagli archivi di Ugarit, di Ebla. Dia retta: il Mediterraneo comincia ora a raccontarsi davvero. Prendiamo la Bibbia, ad esempio. Da quel libro - che un giorno verrà considerato un portentoso strumento di pace - furono estratte nel Medioevo prima, nell'Ottocento poi, le peggiori accuse contro quei Cananei della costa libano-siriano-palestinese che, una volta in mare, intorno al mille a.C. furono battezzati Fenici dai Greci, Punici dai Romani. Scavandoci dentro è possibile estrarne reperti di grande interesse dal punto di vista storico ".
Tipo?
"Uno per tutti: quel grand'uomo di Salomone, ad esempio. Simbolo ancora oggi di saggezza e pace. Uno che sapeva davvero fare i fatti suoi e convivere con gli altri".
Non ci staremo allontanando troppo, professore?
"Per capire una cosa bisogna vederla crescere. Guardi che le civiltà sono come l'acqua...".
Prego?
"Hai l'idrogeno, l'ossigeno. S'incontrano, reagiscono e, d'improvviso, hai una terza cosa, diversissima: l'acqua! Cartagine è l'acqua. Tiro, Canaan, l'Africa libico-berbera i suoi elementi primordiali: o li conosci, oppure questa magnifica distesa di pietre romane che ci circonda, qui a Cartagine, rimarrà per sempre muta. O al massimo ci parlerà solo in latino".
Salomone, dunque...
"Il suo Tempio di Gerusalemme, Salomone, lo fa costruire alle maestranze di Tiro, metropoli fenicia d'Oriente. Tratta direttamente con il loro re, Hiram, già amico di suo padre Davide. Patti chiari amicizia lunga: Salomone il suo Tempio lo vuole tale e quale quello che Tiro ha già. Si mettono d'accordo sul prezzo e il re Hiram spedisce a Gerusalemme uno squadrone di operai specializzati forniti di tutto, dal legname al bronzo al capocantiere..."
E allora?
"Proprio da lì parte nell'800 avanti Cristo, Didone, mitica fondatrice di Cartagine. Sbarca qui portandosi dietro i suoi dei, tutto un Pantheon antico, un'assemblea di divinità, tra cui eccellono Baàl e Tanit. Più o meno lo stesso impianto soprannaturale che Abramo poteva pregare da ragazzo nella sua Ur. Ma tra Ebrei e Canaan il clima è mutato dai tempi di Salomone e Hiram: gli dei fenici sono stati ormai maledetti per far spazio al nuovo dio unico di Israele. Ci penseranno le trascrizione delle tradizioni orali ebraiche e poi l'Alessandria dei Tolomei, con la sua la traduzione in greco della Bibbia, a diffondere ovunque quell'antico odio verso il mondo fenicio".
Il professor Fantar, naviga con destrezza tra miti biblici e miti greci. Punto di partenza per lui fu proprio una passionaccia infantile per il mondo di Omero & C. Per studiarlo bene, però, si recò alla Scuola Biblica di Strasburgo dove poi, finì per lasciarsi sedurre dalla religione antagonista al dio degli Ebrei che incantò la Tunisia prima di Roma. Il discorso del professore prosegue, ora, all'interno del Museo. Gran bella roba. Anche qualcosa di stupefacente: quei due sarcofagi in pietra che benedicono con la mano alzata chi li guarda, sembrano roba cristiana o bizantina, ma due secoli prima di Cristo, sei prima di Bisanzio. Poi un mare di splendida paccottiglia per cui le donne di Sardegna, Spagna, Grecia, andavano in visibilio: avori intarsiati, ciondoli d'oro leggeri, amuleti scacciaguai, specchi decorati, vetri come bolle di sapone, azzurri, rosa, pallidi d'oro. È comunque, questo Museo, il fratello povero del Bardo. E sì, Roma ha vinto su Cartagine e continua a farlo: questo è il Museo degli sconfitti; l'altro, il Bardo, nel cuore di Tunisi, quello, degli occupanti, trionfanti dei loro tesori facili facili, delle maestranze a pochi soldi.
Dice il professore, guardando giù dalla spianata del Museo, verso il mare: "Il vero capolavoro che ci resta di Cartagine, però, è questa sua posizione. Per fondare Qart hadasht, ovvero la Città nuova, Tiro si deve essere sbancata. Fu una decisione di Stato piazzarla proprio qui, a far da imbarcadero e terminale ai traffici di Spagna e d'Africa. Guardi, guardi giù: un triangolone di 100 ettari circondato dal mare da ogni parte tranne l'istmo che la attraccava al continente. Per proteggerla bastava che chiudessero lì, con uno sbarramento di soli quattro chilometri e mezzo. Il suo porto, laggiù, aveva persino un uscita segreta: si smurava il recinto e le navi minacciate fuggivano in mare. Divenne una leggenda Cartagine".
Professore, ma come la mettiamo con i Greci? Anche loro non hanno mai avuto una buona parola per voi.
"Non certo Erodoto: lui dimostra continuamente un grande rispetto nei confronti dei primati fenici. Alfabeto, miti, navigazione... Gratti la sua Grecia e spesso trovi i Fenici".
In che senso?
"Cadmo, fondatore di Tebe, è un fenicio. Europa, Agenore, Fenix li possiamo seguire prima in Fenicia, poi in giro per la Grecia a creare città. Se insegui le radici di molte saghe greche le trovi che vanno a ingarbugliarsi - spesso a coincidere - con quelle fenicie. Anche qui - idrogeno più ossigeno - e, sorpresa, nasce il Pantheon greco. Tanto è vero che poi, quando gli scrittori greci del quinto o quarto secolo avanti Cristo si trovano a dover parlare delle divinità di Cartagine o di Tiro, non si fanno scrupolo a ribattezzare e riconoscere nelle divinità di qui, i loro dei: Baal, il dio padre, viene tradotto con Cronos; Eshmun con Asclepio (dio protettore della salute); Tanit, poi, si fa un po' Iside (ché tanto la dea egizia è famosa ovunque), un po' Afrodite, un po' Hera, moglie di Zeus".
E Atena? Era davvero nera ?
"Nera nera non si sa. Certo è che in Grecia sbarca nell'ottavo secolo bell'e fatta: fenicia e già santa. Secondo Erodoto e mille preghiere che la definiscono sempre Tritonia, dal Lago Tritonio dovrebbe nascere. E il Lago Tritonio è Tunisia: era all'interno del golfo di Gabès. Ed è sempre Erodoto ad ambientare qui quei tornei tutti femminili in onore di Atena. Dia retta: i Greci che sparlano dei Fenici sono roba recente. Roba da ultimo secolo prima di Cristo, come Diodoro il Siculo, ad esempio".
E che fa?
"È lui che si diverte a costruire quel Moloch mangiabambini che incanterà, poi, il Flaubert grandguignolesco di Salammbò. Lo fa, in una Sicilia ancora spaventata da Cartagine. Oggi, però, siamo in grado di smontargli il mostro, pezzo per pezzo".
Come?
"Indagando su quel che ha usato per costruirlo. Diodoro, infatti, racconta il sacrificio dei bambini e descrive per bene la statua di quello che anche lui chiama Cronos, sempre traducendo "alla greca" Baàl. Ma quello che ne nasce è un mostro tutto suo, non certo dei Cartaginesi: è un'invenzione realizzata montando insieme spezzoni di Talos, il mitico guardiano di bronzo che proteggeva Creta ai tempi di Minosse, e del terribile Toro di Falaris di Agrigento. Null'altro".
Ma di Moloch non ne parla anche la Bibbia?
"Basta rileggersi il secondo libro dei Re lì dove è scritto: Egli profanò il Tophet, nella valle di Ben Hinnom in modo che nessuno facesse più passare attraverso il fuoco suo figlio o sua figlia in onore di Moloch. Non si parla mai di sgozzamento dei bambini, si parla di incinerazione, pratica condannata dalla nuova religione degli Ebrei. Ed è così anche in Geremia".
Ma allora tutte quelle stele nel Tophet Salammbò?
"I Tophet non sono mica necropoli. Sono aree sacre a cielo aperto. Migliaia di iscrizioni parlano chiaro: in nessuna si fa cenno a sacrifici infantili. Io, ormai, sono convinto che - nel do ut des che si instaurava con il dio - quei genitori privati di figli talmente piccoli da non poter essere considerati corpi da necropoli come gli adulti ne restituivano le ceneri nei tophet, chiedendo la grazia di averne presto un altro. Polibio e Tito Livio sembrano darmi ragione: non ne parlano affatto e, certo, avessero avuto prove serie contro Cartagine le avrebbero usate".
Che previsioni fa, professore: quanti secoli ci vorranno ancora perché voi non siate più considerati i Belzebù del mondo antico?
"Difficile dirlo, dipende dagli studi, dagli scavi, dalla pulizia mentale. Bisogna riprogrammare i cervelli, riuscire ad analizzare gli antichi ma con la mentalità degli antichi. Giusto lei, poi... Ha appena scritto di Astarte come dea puttana, dei suoi Templi come sacri bordelli".
Calunnie?
"No. Vero. Ma solo se si considera con gli occhi di oggi. Del tutto sbagliato, se invece, facendo uno sforzo, arriviamo a ragionare come gli antichi. Per loro il peccato non era certo il sesso. Quello è un concetto nuovo, nato con i libri sacri, per cancellare quegli atti d'amore fisico che per millenni furono davvero magici. Sarà dura... Del resto, per rendersi conto di quanto sia ancora lunga la strada da fare, basta pensare che persino il nome Belzebù viene proprio da Baàl Zebub - il dio dei Filistei che proteggeva dalle mosche le carni dei sacrifici - mentre Mlk, che significava un rito sacro, divenne il mostro Moloch".
Un sogno grande, d'archeologo?
"Trovare una biblioteca non incenerita: sono migliaia e migliaia i sigilli di papiri che ci sono saltati fuori dagli scavi. Le fonti ci raccontano di sterminate collezioni di testi. Finora però nulla. Strano destino per una civiltà che ha regalato l'alfabeto al mondo".
Così Moloch divenne il dio mangiabambini - la Repubblica.it