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  1. #1
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    Predefinito Circa l'obbligatorietà dell'abito ecclesiastico

    Qualcuno mi ha posto, mediante pvt, l'interrogativo circa la persistenza dell'obbligatorietà dell'abito ecclesiastico per i presbiteri.
    Onde fugare qualsivoglia dubbio da parte di chicchessia, in questo thread, voglio ribadire che esso è ancora pienamente obbligatorio e vincolante.

    Augustinus

  2. #2
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    Predefinito CONGREGAZIONE PER IL CLERO - DIRETTORIO PER IL MINISTERO E LA VITA DEI PRESBITERI

    Nel nominato documento del 1994, agli artt. 64-66, si legge:

    (...)

    64. Rispetto delle norme liturgiche

    Tra i vari aspetti del problema, oggi maggiormente avvertiti, merita di essere posto in evidenza quello del convinto rispetto delle norme liturgiche.

    La liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo (205), «il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù » (206). Essa costituisce un ambito dove il sacerdote deve avere particolare consapevolezza di essere ministro e di ubbidire fedelmente alla Chiesa. «Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo »(207), un sacerdote, pertanto, in tale materia, non aggiungerà, toglierà o muterà alcunché di sua iniziativa (208).

    Questo vale in particolar modo per la celebrazione dei sacramenti, che sono per eccellenza atti di Cristo e della Chiesa, e che il sacerdote amministra in persona di Cristo e a nome della Chiesa per il bene dei fedeli (209). Questi hanno un vero diritto a partecipare alle celebrazioni liturgiche così come le vuole la Chiesa e non secondo i gusti personali del singolo ministro e neppure secondo particolarismi rituali non approvati, espressioni di singoli gruppi che tendono a chiudersi all'universalità del Popolo di Dio.

    65. Unità nei piani pastorali

    E' necessario che i sacerdoti, nell'esercizio del loro ministero, non solo partecipino responsabilmente alla definizione dei piani pastorali che il Vescovo - con la collaborazione del Consiglio Presbiterale (210) - determina, ma anche armonizzino con essi le realizzazioni pratiche nella propria comunità.

    La sapiente creatività, lo spirito di iniziativa propri della maturità dei presbiteri, non solo non verranno mortificati ma potranno essere adeguatamente valorizzati a tutto vantaggio della fecondità pastorale. Intraprendere strade separate in questo campo può significare infatti indebolimento della stessa opera di evangelizzazione.

    66. Obbligo dell'abito ecclesiastico

    In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero - uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri - sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l'abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico (211). Il presbitero dev'essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo (212), la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.

    Per questa ragione, il chierico deve portare « un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali »(213). Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.

    Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità.(214)

    Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell'abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa (215).

    ********
    (...)

    (205) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 7.

    (206) Ibid., 10.

    (207) C.I.C., cann. 838.

    (208) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 22.

    (209) Cf. C.I.C., can. 846, § 1.

    (210) Cf. S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Omnis Christifideles (25 gennaio 1973), 9.

    (211) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Card. Vicario di Roma (8 settembre 1982): «L'Osservatore Romano», 18-19 ottobre 1982.

    (212) Cf. PAOLO VI, Allocuzioni al clero (17 febbraio 1969; 17 febbraio 1972; 10 febbraio 1978): AAS 61 (1969), 190; 64 (1972), 223; 70 (1978), 191; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (7 aprile 1979), 7: AAS 71, 403-405; Allocuzioni al clero (9 novembre 1978; 19 aprile 1979): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I (1978), 116; II (1979), 929.

    (213) C.I.C., can 284.

    (214) Cf. PAOLO VI, Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, 1, 25, 2d: AAS 58 (1966), 770; S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Lettera circolare a tutti i Rappresentanti Pontifici Per venire incontro (27 gennaio 1976); S. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare The document (6 gennaio 1980): «L'Osservatore Romano» suppl., 12 aprile 1980.

    (215) Cf. PAOLO VI, Catechesi nell'Udienza generale del 17 settembre 1969, Allocuzione al clero (1 marzo 1973): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176.

  3. #3
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    Predefinito Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi

    CHIARIMENTI CIRCA IL VALORE VINCOLANTE DELL'ART.66 DEL DIRETTORIO PER IL MINISTERO E LA VITA DEI PRESBITERI

    (cf. Communicationes, 27 [1995] 192-194)

    1. Il « Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri », pubblicato dalla Congregazione per il Clero per incarico e con l'approvazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, è certamente pervaso, nella sua totalità, da un profondo spirito pastorale. Tuttavia ciò non toglie valore prescrittivo a molte delle sue norme le quali non hanno un carattere soltanto esortativo ma sono giuridicamente vincolanti.

    2. Questa obbligatorietà giuridica e disciplinare riguarda tanto le norme del Direttorio che semplicemente ricordano uguali norme disciplinari del CIC (per esempio l'art. 16, § 6) quanto quelle altre norme che determinano i modi di esecuzione delle leggi universali della Chiesa, esplicitano le loro ragioni dottrinali e ne inculcano o sollecitano la loro fedele osservanza (come per esempio gli artt. 62-64).

    3. Infatti, le norme di quest'ultimo tipo, che appartengono alla categoria dei Decreti generali esecutori ed « obbligano quanti sono tenuti alle leggi stesse » (CIC, can. 32), spesso sono emanate dalla Santa Sede in Direttori, come è previsto dal Codice di Diritto Canonico (can. 33, § 1).

    4. Per quanto si riferisce concretamente all'art. 66 del « Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri », esso contiene una norma generale complementare del can. 284 CIC, con le caratteristiche proprie dei Decreti generali esecutori (cfr. can. 31). Si tratta, perciò, di una norma a cui si è voluto chiaramente attribuire esigibilità giuridica, come si deduce anche dal tenore stesso del testo e dal luogo in cui è stato incluso: sotto il titolo « L'obbedienza ».

    5. Infatti, detto art. 66:

    a) ricorda, anche con rimandi a recenti insegnamenti del Magistero pontificio in materia, il fondamento dottrinale e le ragioni pastorali dell'uso dell'abito ecclesiastico da parte dei sacri ministri, come prescritto dal can. 284;
    b) determina più concretamente il modo di esecuzione di tale legge universale sull'uso dell'abito ecclesiastico, e cioè: « quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia ed il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi,. sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale;
    c) sollecita, con una categorica dichiarazione, l'osservanza e retta applicazione della disciplina sull'abito ecclesiastico-: « Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità ».

    6. È ovvio che alla luce di queste precisazioni approvate dalla stessa Suprema Autorità che ha promulgato il CIC, dovranno essere interpretati, in caso di eventuali dubbi, anche i Decreti generali emanati dalle Conferenze episcopali come normativa complementare della legge universale sancita al can. 284.

    7. In ossequio al prescritto del can. 32, queste disposizioni dell'art. 66 del « Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri » obbligano tutti quelli che sono tenuti alla norma universale del can. 284, vale a dire i Vescovi e i presbiteri, non invece i diaconi permanenti (cfr. can. 288). I Vescovi diocesani costituiscono, inoltre, l'autorità competente per sollecitare l'obbedienza alla predetta disciplina e per rimuovere le eventuali prassi contrarie all'uso dell'abito ecclesiastico (cfr. can. 392, § 2). Alle Conferenze episcopali corrisponde di facilitare ai singoli Vescovi diocesani l'adempimento di questo loro dovere.

    Roma, 22 ottobre 1994

    +Vincenzo Fagiolo, Presidente
    + Julián Herranz, Segretario

  4. #4
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    un argomento tornato all ribalta alcune settimane fa:


    http://www.politicaonline.net/forum/...63#post2011463

  5. #5
    Becero Reazionario
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    Tra il dire e il fare c´é di mezzo "e il"

  6. #6
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    Originally posted by codino
    Tra il dire e il fare c´é di mezzo "e il"
    E' proprio vero, caro codino

 

 

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