Allarme terrorismo, la cellula di Cremona
Bombe in metrò e al duomo nel nome di Al Qaeda
Arrestati 4 islamici. L’accusa: progettavano attentati alla metropolitana milanese e alla cattedrale di Cremona
MILANO - Un attentato alla metropolitana di Milano e uno al duomo di Cremona. Obiettivo: centinaia di morti. Per la prima volta un gruppo di estremisti islamici viene accusato di aver progettato stragi sul territorio nazionale «quale forma di ritorsione per le scelte di politica estera dell’Italia». Quattro nordafricani, i vertici della moschea di Cremona dal ’98, vengono raggiunti da un’ordinanza di custodia della magistratura di Brescia con l’accusa di associazione finalizzata al terrorismo internazionale e all’eversione dell’ordine democratico e di aver realizzato documenti falsi, raccolto fondi e reclutato militanti per la «guerra santa».
L’ORDINANZA - In carcere sono finiti il tunisino Faycal Boughanemi, 38 anni, e il marocchino Khalid Khamlich, 39 anni, mentre l’ordinanza è stata notificata in cella all’ex imam di Cremona, il tunisino Mourad Trabelsi, 35 anni. Ricercato il marocchino Ahmed El Bouhali, 41 anni,
La moschea di Cremona (Rastelli)
anche lui ex imam di Cremona, sparito nel 2001 e dato per morto nei combattimenti in Afghanistan. Un altro ex imam, il marocchino Mohamed Rafik, 39 anni, indagato per questa indagine, era stato già arrestato ad ottobre su richiesta delle autorità marocchine perché sospettato di essere coinvolto negli attentati che nel maggio precedente avevano provocato 24 morti a Casablanca. Trabelsi aveva preceduto Rafik in carcere ad aprile dello stesso anno per aver costituito una cellula italiana di Al Qaeda.
Le intercettazioni della Digos tratteggiano il panorama di una «formazione costituita - scrive il gip di Brescia Roberto Spanò - per provocare, in Italia o all’estero, attentati di grandi proporzioni o di fiancheggiare guerriglieri impegnati in azioni belliche». Un rischio da prevenire con gli arresti, sostiene il gip che considera il gruppo un «focolaio eversivo annidato nella moschea cremonese». Le intercettazioni e i pedinamenti arrivano fino al 7 gennaio scorso quando, alle 12.27, Khamlich parla con uno sconosciuto di «una nuova bomba che ha effetti devastanti sulle persone». Si devono però a un testimone le rivelazioni più sconcertanti. È un tunisino detenuto a Milano per droga a parlare del coinvolgimento di Boughanemi e di altri connazionali nei due attentati progettati per essere eseguiti tra il 3 e il 4 dicembre 2002, alla fine del Ramadan. Discorsi sentiti nella moschea e nei quali si parlava anche del temibile esplosivo «C4». A Milano bisognava colpire le «fermate della Stazione Centrale e del Duomo» della Mm, «particolarmente affollate», sicuri di uccidere «almeno 250 persone». A Cremona l’obiettivo doveva essere il Duomo. Erano destinati a partecipare agli attacchi lo stesso Boughanemi e un tale Said Tmimi.
CONTATTI - Per i magistrati l’inchiesta prova l’esistenza di collegamenti diretti tra gli indagati e Al Qaeda come dimostra il fatto che Rafik aveva i numeri di telefono di Abu Qatadah Al Falastini, «esponente di vertice» dell’organizzazione di Bin Laden e accusato di attentati in Giordania contro israeliani e americani. Un «profondo legame» e una «comune matrice ideologica deviata» sono stati coltivati, secondo il gip Spanò, dagli indagati all’interno della moschea di Cremona, «divenuta epicentro di un’offensiva integralista» in Occidente e «strategica base logistica per attentati da compiere in altri paesi». Una cellula che nei «momenti di sonno» si preoccupava del «reclutamento, indottrinamento e addestramento degli adepti» e nei «momenti di veglia» si dedicava al «finanziamento, fiancheggiamento ed esecuzione diretta di azioni violente». Per il gip quelli tratteggiati dai pm sono «scenari inquietanti» tanto quanto i manuali o le videocassette che, sequestrati nella moschea, spiegano come fabbricare e usare le armi.
Giuseppe Guastella