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    Obama for president
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    Predefinito Decennale. Laici, Liberali, Libertari: Gli Ex Forzisti Che Non Ci Credono Più

    DECENNALE. LAICI, LIBERALI, LIBERTARI: GLI EX FORZISTI CHE NON CI CREDONO PIÙ
    Per i novantaquattrini Silvio non è più drago Il lento tramonto del berlusconismo di sinistra
    La disillusione di Maiolo, l’addio di Sgarbi, l’astio di Vertone, ma per Melograni il Cavaliere resta il male minore

    Come premessa mezzo antropologica mezzo politica bisognerebbe spiegare, curricula alla mano, che il berlusconiano di sinistra era berlusconiano della prima ora. Il berlusconiano di sinistra era laico liberale libertario. Il berlusconiano di sinistra era radicale di fatto, talvolta anche di nome. Il berlusconiano di sinistra era un po' futurista. Il berlusconiano di sinistra non era né ex né post, perché la qualifica non derivava da pregressa militanza a sinistra, che poteva esserci come no (qui non si parla di voltagabbana), quanto dalla vocazione al controcanto, al rilancio, allo sparigliamento. Il berlusconiano di sinistra era berlusconiano e di sinistra, senza con questo sentirsi l'incarnazione di un ossimoro, perché, in sostanza, riteneva che il Cavaliere fosse un innovatore e un riformatore molto più credibile di quelli offerti dalla sinistra de iure, e perché, spiega l'ex radicale Marco Taradash, «dalla canea giustizialista di Tangentopoli la sinistra usciva come la roccaforte dell'establishment, baracconi di Stato e sindacato isituzionalizzato», mentre Berlusconi si lanciava contro questo progetto conservatore e restauratore, dice Taradash, «come il drago che emergeva dalla fossa scavata da Borrelli».
    La fossa c'è ancora. Del drago, qualcuno ha perso le tracce. C'è chi dice che per fotografare il tramonto del berlusconismo di sinistra basti scorrere l'elenco dei non ricandidati da Forza Italia alle politiche del 2001 (che peraltro coincide in parte con la lista che Vittorio Sgarbi declina ultimamente per motivare la sua dipartita dal centrodestra: oltre a Taradash, lo scomparso Colletti, Vertone, Mathieu, Calderisi, Melograni, storie e percorsi diversi, stessa epurazione) e c'è chi invita a compulsare l'ultima annata di editoriali del Foglio, house organ e think tank di area. Per altri, invece, la prova della fine di un mondo sta in libreria, nella fresca autobiografia politica di Sandro Bondi come nel saggio manifesto di Ferdinando Adornato (la storia la scrivono i vincitori, anche nei partiti), dove, come già in casa Prodi, è tutto un fondere e un contaminare, e per ogni Einaudi speso c'è un don Sturzo che vigila, il riformismo è laico ma anche cattolico, il liberalismo è popolare ma anche socialista, e ogni idea di futuro è scortata dai numi del passato. Ma della sconfitta c'è anche chi parla in prima persona, per averla vissuta sulla propria pelle. Secondo Tiziana Maiolo, ex deputato azzurro, che politicamente si definisce «sessantottina e novantaquattrina», brutti tempi corrono: «Su Berlusconi conto ancora, perché sono una inguaribile ottimista, ma non ho il salame sugli occhi, la maggior parte delle speranze sono andate deluse. Non so nemmeno pensare cosa avrei fatto se fossi stata ancora in Parlamento davanti a una legge come quella sulla procreazione assistita, o quella sulla droga. E persino sulla giustizia c'è da essere insoddisfatti, perché sono mancate le riforme di fondo. Ma, soprattutto, con Berlusconi speravo in un rinnovamento del metodo politico, che invece è tornato quello della Prima Repubblica, tutto pasti rimpasti e rimpastini». La colpa dei berlusconiani di sinistra, dice Maiolo, oggi assessore ai servizi sociali del Comune di Milano, è di non essere stati capaci di fare gruppo, diventando facile preda delle correnti organizzate vecchio stile: «Io sono stata fatta fuori da Scajola. In Lombardia Forza Italia è in mano all'alleanza tra gli ex socialisti di Cicchitto e gli ex dc di Formigoni. Ci sono dei momenti che mi sembra di essere tornata a quindici anni fa, quando la politica a Milano erano Rognoni e Pillitteri». Colpa pure del Carroccio, dice Maiolo, se Forza Italia è invecchiata di colpo, anche se sulla natura della colpa non c'è accordo tra i forzisti antileghisti. Per l'ex ministro Raffaele Costa, che forse non è di sinistra ma certo è liberale minoritario, della Lega è nefasta l'influenza: «Scegliendo l'asse con Bossi, Forza Italia si è spostata all'estrema destra». Per Maiolo, della Lega è nefasto il mutamento: «La Lega rappresentava la casa politica del popolo delle partita Iva, è diventata il presidio morale su famiglia, bambini e droga». Della stessa idea è Saverio Vertone, anche lui novantaquattrino, non più forzista dal lontano 1997, convinto all'epoca della scesa in campo che il vento berlusconiano «esprimesse una maturazione rapida del ceto imprenditoriale del Nord. In altre parole avevo creduto che dietro Berlusconi premesse una classe dirigente sociale, assente in Italia fin dalla nascita dello Stato unitario, un moderno ceto imprenditoriale che si disponesse a integrare, nella sesta potenza industriale del mondo, la classe dirigente politica, fino a quel momento costretta a dirigere da sola il paese esercitando una pericolosa e difficile supplenza». Per Vertone, che oggi è deputato del gruppo misto insieme ai Comunisti italiani, non proprio l'ultimo grido della politica italiana, il berlusconismo si è fatto «informe mescolanza d'interessi aziendali, locali, corporativi, etnici, regressivamente clericali, declinati secondo un ammasso disordinato di aspirazioni, di culture e di ignoranze». Per parte sua Adornato, uno che col berlusconismo di sinistra rivendica di non avere nulla a che spartire, dice che la delusione di Vertone et alii è figlia solo dell'equivoco in cui è caduto «chi guardava alla vittoria di Berlusconi come al trionfo degli animal spirits o dell'arretratezza ideologica di quelli per i quali laicità è sinonimo di Porta Pia».
    Ma, con qualche eccezione, la fine del berlusconismo di sinistra non è storia di transumanze. Per uno Sgarbi che progetta il cambio di campo sotto le insegne di una civica della bellezza e dell'intelligenza, per un Pierluigi Diaco che, deluso dal premier, veltronianamente sogna il partito (riformista), i più restano dove sono, perché «con l'ultimo marito ci resti anche se non ti soddisfa» (dice Maiolo) e perché anche se il sogno è finito, «anche se intorno a Berlusconi c'è solo un comitato elettorale e quella che c'è ora è una partitocrazia senza partiti, dall'altra parte non si vedono novità» (dice l'ex azzurro Taradash, ora giornalista Mediaset). Secondo Piero Melograni, deputato berlusconiano nella scorsa legislatura, «il berlusconismo, che aveva scombinato tutte le categorie intellettuali, è in crisi tanto quanto lo è più in generale la società italiana, che di per sé non è né laica né liberale. Certamente il progetto politico di Berlusconi è fallito, ma d'altra parte mi pare che la cifra della sinistra resti la conservazione. E siccome sono convinto che la politica è la scelta tra due mali, Berlusconi mi sembra tuttora quello minore».

  2. #2
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    Predefinito

    Un bel quadretto della casbah descrivono ..... poi dicono che siamo noi dell' opposizione a giudicarli male.

    chi li conosce, li evita............ finchè non gli garantiscono potere, ovviamente.

    che gente.

    Bye
    "La guerra è la vicenda in cui innumerevoli persone, che non si conoscono affatto, si massacrano per la gloria e per il profitto di alcune persone che si conoscono e non si massacrano affatto." (Paul Valèry, poeta francese).

 

 

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