E alla fine apostrofa i presenti: «Demose da fà»
Il Papa: «Volemose bene. Semo romani»
Il Pontefice risponde all'invito dei parroci della Capitale che gli avevano chiesto di parlare in dialetto
ROMA - «Tu m'hai provocato e io te magno» avrebbe detto Alberto Sordi, indimenticabile alfiere della romanità.
Il Papa riceve in udienza Alberto Sordi, l'attore scomparso, simbolo della romanità (Ap)
Che ora ha trovato un'insospettabile allievo, nientemeno che in Papa Giovanni Paolo II. «Volemose bene. Semo romani» così il pontefice ha risposto ad alcuni parroci della Capitale giunti in udienza che gli avevano scherzosamente fatto notare come i tanti pellegrini giunti a Roma vedevano il Papa salutarli nelle loro lingue mentre i romani non udivano mai il vescovo di Roma parlare nel dialetto locale. Giovanni Paolo II non si è fatto sfuggire l'occasione e ha dimostrato che in più di 25 anni di pontificato è riuscito ad apprendere i rudimenti della lingua cara al Belli e a Trilussa.
DISCORSO A BRACCIO - «Qui c'è il testo che avevo preparato, ma l'ho scavalcato! Lo troverete su L'Osservatore Romano». Il Papa sorprende tutti e invece del discorso ufficiale si lancia in un elogio a braccio del matrimonio e della castità del sacerdozio. Concludendo con un'esortazione ai parroci: «E ora demose da fà».