Un dibattito costantemente aperto in Italia è quello sulla scuola, argomento che divide (anche trasversalmente) le fazioni politiche appena qualcuno azzarda un, seppur timido, tentativo di riforma. Si discute molto, anche in maniera aspra, sul futuro dell'istruzione, ma qualsiasi progetto non mette in dubbio la centralità della scuola statale obbligatoria, una sorta di dogma radicato profondamente nell'opinone pubblica, e del quale bisogna tener conto per non perdere troppa popolarità in sede elettorale. Si discute quindi dell'istituzione del buono scuola, dei finanziamenti pubblici alle scuole parificate, senza però intaccare la superstizione principale, ossia l'esistenza stessa della scuola pubblica. I liberali però la pensano diversamente, e sebbene spesso accettino l'idea del buono come una sorta di second best, non possono che sostenere la necessità di una completa privatizzazione dell'istruzione, un bene che non rispetta i principi di non escludibilità e non rivalità e quindi in nessun modo definibile "pubblico". Molte pagine illuminanti sono state scritte in tal senso: veramente convincente nella difesa della libertà d'istruzione è stato di recente Alberto Mingardi, nel suo "Lettera a un amico no-global", nel quale esprime in modo semplice tutte le obiezioni al sistema di pianificazione scolastica e smonta i pregiudizi di quanti si oppongono alla privatizzazione.
Sulla questione scuola segnalo anche questo bell'articolo di Piero Ostellino apparso sul Corriere della Sera di sabato. Coraggioso e veritiero.
Una scuola liberale (davvero)
di Piero Ostellino
Al di là degli aspetti strettamente tecnici - sempre perfettibili - ciò che divide il centrodestra dal centrosinistra sull' istruzione è l' idea stessa che essi rispettivamente ne hanno e che è, poi, l' idea di società nella quale vivere. La riforma Moratti introduce elementi di flessibilità nel rigido sistema napoleonico. Che, invece, il centrosinistra continua a privilegiare. Il passaggio dal concetto napoleonico di istruzione come «prescrizione» - tutti fanno la stessa cosa nello stesso momento - a quello del centrodestra come «opportunità» (possibilità di scelta fra una relativa differenziazione di programmi e di orari) sconcerta le famiglie. E' il prezzo che si paga alla libertà. Si chiama responsabilità. Ma noi italiani, educati a essere eterodiretti, con la responsabilità abbiamo poca dimestichezza. Per il centrosinistra, al centro rimane la scuola, che incarna l' autorità dello Stato; per il centrodestra diventa la famiglia, che incarna l' autonomia dell' individuo. Dice Roberto Vecchioni, professore di liceo, uomo di sinistra: «L' istruzione perde uno dei suoi punti di forza: la costrizione (...) Quando si dà la possibilità alla famiglia di "decidere" si compie una scelta sbagliata». E' la differenza che corre fra una concezione dirigistica, e autoritaria, e una individualistica, e liberale, della società. Ugualmente legittime, ma anche profondamente antitetiche. Lo stesso discorso vale per la riforma dell' università. Per svolgere attività di ricerca e di didattica integrativa, il decreto governativo prevede che le università possano stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, scaduti i quali l' attività svolta è titolo preferenziale nei concorsi per il pubblico impiego, ovvero il ricercatore ritorna sul mercato. Anche ai docenti possono essere applicati contratti a tempo determinato, rinnovabili una sola volta e trasformabili in contratto a tempo indeterminato. Dice Carlo Secchi, rettore della Bocconi: «Rendere più flessibile la fase iniziale del lavoro è un bene. In tutto il mondo esiste un periodo di qualche anno in cui ci si mette alla prova e si è valutati dalla comunità scientifica di riferimento». Per il centrosinistra, al centro rimane «il posto» che incarna il concetto di sicurezza sociale; per il centrodestra, diventa «il lavoro» che incarna il concetto di competizione. L' esposizione al mercato, rispetto al rassicurante vitalizio dell' impiego pubblico, genera, negli interessati, insicurezza. E' umanamente comprensibile. Ma fa tutta la differenza fra una concezione socialistica e una liberistica del mondo del lavoro anche nel campo dell' istruzione. L' ideale liberale sarebbe la liberalizzazione e la privatizzazione dell' istruzione, secondo il modello anglosassone, già contrapposto a quello francese da Luigi Einaudi in una delle sue più famose «Prediche inutili». «Napoleone, genio amministrativo volto all' organizzazione di uno Stato accentrato ed ubbidiente alla sua volontà - scriveva cinquant' anni fa l' economista liberale - creò l' università di Francia, stupenda creazione la quale sotto un solo comando riuniva tutti gli ordini di scuole (...) Uno il credo, uno il programma, uno l' esercito insegnante». Se un difetto ha la riforma Moratti è di cercare di innestare elementi di pluralismo nel corpo sclerotizzato napoleonico, senza andare al cuore del problema: l' abolizione, auspicata dallo stesso Einaudi, del valore legale del diploma, responsabile primo dell' «aspettativa del posto».