Stipendi Il 90% è deluso

Metà delle famiglie dichiara di vivere con meno di 1.500 euro. Solo un sesto vede il futuro migliore


di RENATO MANNHEIMER


I dati sull’andamento dell’economia sono spesso contraddittori. A statistiche e proiezioni positive sui trend in corso si contrappongono frequentemente indicatori e conteggi che sembrano mostrare un quadro di segno contrario. Molto più univoco è l’atteggiamento dei cittadini. Che si caratterizza per una «negatività», spesso più accentuata di quanto non si rilevi in altri Paesi europei. E che si connota anche per una più marcata differenziazione tra la percezione soggettiva dell’andamento dell’economia e il trend misurato dagli indicatori statistici ufficiali. Da noi, in altre parole, il differenziale tra il dato «percepito» e quello «reale» risulta assai più elevato che altrove. Naturalmente è difficile stabilire quale misura sia più vicina a quella «vera», se sia più «giusto» il valore percepito o quello indicato dalle statistiche ufficiali. Ma resta il fatto che il dato «percepito» riveste una straordinaria importanza sul piano sociale e politico (e, per certi versi, su quello economico). Per questo, riportiamo qui alcuni esempi della percezione soggettiva di un campione rappresentativo di capifamiglia italiani. A partire dal reddito. Poco meno di una famiglia su quattro dichiara che, nel complesso, entrano grosso modo ogni mese 1000 euro. Un reddito così limitato si trova in misura assai più frequente (33%) nei nuclei ove il capofamiglia ha più di 65 anni. Si tratta in buona parte di famiglie costituite da una sola persona, magari pensionata: ben il 40% dei nuclei con un solo componente dichiara di guadagnare di meno di 1000 euro, a fronte di «solo» l’8% di famiglie con più di quattro membri. Ma il sottogruppo in cui si trova più frequentemente un reddito sotto i 1000 euro è rappresentato dai possessori di titoli di studio bassi (licenza elementare o meno). Il livello di istruzione è, come si sa, un dato correlato inversamente con l’età: ma esso risulta più rilevante di quest’ultima nel comportare i livelli più bassi di reddito.

Un altro 26% dei capifamiglia italiani afferma che l’introito mensile complessivo del proprio nucleo è tra 1000 e 1500 euro. Il profilo di questa categoria è simile a quello dei più «poveri», con un reddito sotto i 1000 euro: anziani, pensionati, con basso titolo di studio.

Nel complesso, dunque, in circa la metà delle famiglie italiane entrano mensilmente, secondo le dichiarazioni dei capifamiglia, al massimo 1500 euro. È naturalmente una percezione, in qualche misura imprecisa, ma, come si è detto, molto rilevante sul piano sociale. Specie perché, secondo gli intervistati, si tratta di un reddito insufficiente. Sembrerebbe un dato scontato. È ovvio che tutti vogliano guadagnare di più. Ma la «ragionevolezza» delle aspettative, il divario relativamente modesto tra il reddito «reale» percepito e il guadagno mensile «sognato», fanno ritenere che l’insoddisfazione si basi in larga misura su un disagio reale, forse sorto relativamente di recente. Più del 42% (con un’accentuazione tra i 30-40 anni, nell’età in cui si cerca di «fare carriera») vorrebbe un aumento di non più del 50% rispetto al proprio reddito attuale. Un altro 33%, con frequenza maggiore tra i redditi più bassi, vorrebbe guadagnare il doppio di quanto percepisce attualmente. Solo il 14% sogna di arricchirsi veramente, di incassare più del doppio di quanto percepisce adesso. E c’è, infine, un «eroico» o semplicemente «fortunato» 12% che afferma di disporre già ora di quanto serve per soddisfare tutte le proprie esigenze. Va da sé che questa percentuale sale al crescere del reddito: nelle famiglie che incassano ogni mese più di 2500 euro, quasi un terzo è completamente appagato da quanto già percepisce. Ma questo genere di soddisfazione si intensifica anche al crescere dell’età: anziani, pensionati, vedovi si «accontentano» in misura maggiore di quello che hanno. Secondo la maggioranza della popolazione, tuttavia, il reddito percepito è insufficiente. Ciò che comporta, secondo i capifamiglia intervistati, una contrazione rispetto al passato della possibilità di mettere via dei risparmi. L’80% dichiara di risparmiare meno rispetto al passato. Meno di dieci mesi fa, nel maggio 2003, lo affermava «solo» il 62%. È anche diminuita la misura della cifra risparmiata, sia in valore assoluto, sia in percentuale rispetto al proprio reddito. Nel complesso, dichiara di risparmiare qualcosa grosso modo un terzo degli italiani: i restanti affermano di non riuscire a mettere da parte nulla.

Questi andamenti dipendono anche dal «sentiment» sull’economia in generale. Che continua a essere assai negativo. Con sensibili variazioni per età (più si è anziani, più si è pessimisti) e per collocazione politica (gli elettori del centrodestra sono tradizionalmente più ottimisti di quelli dell’opposizione). Non sorprende, dunque, che solo un sesto degli italiani preveda un miglioramento dell’economia in generale nei prossimi mesi e che meno ancora ritengano che la propria situazione economica personale migliorerà di qui all’anno prossimo.
Non a caso, il Presidente Ciampi continua a insistere sulla necessità di imprimere una vera e propria iniezione di fiducia nel futuro. È anche attraverso quest’ultima che, forse, potremo trarre benefici dalla ripresa economica già in corso altrove, ma non (ancora) «percepita» da noi.