Leggo e trascrivo dal Corriere della Sera.
Meditate gente, meditate....
Martedi' 16 Marzo 2004
Trent'anni dopo: libertà per Zorzi, prigione per Sofri
Lei, caro Mieli, ha scritto che, per avviare un autentico processo di pacificazione della memoria, i «rossi» dovrebbero darsi cura di perdonare i «neri» e viceversa. In linea di massima sono d'accordo con questa sua proposta. Ma vedo che ai «neri» ci pensa lo Stato come nel caso di Delfo Zorzi e altri accusati per la strage di Piazza Fontana; mentre i «rossi», ad esempio Adriano Sofri, restano in galera per un delitto del quale sono chiaramente innocenti. Tutto ciò mentre dell'eccidio di trentacinque anni fa i ragazzi sedicenni di un liceo scientifico milanese (l'ho appreso da un articolo sul Corriere di Annachiara Sacchi) non hanno più la benché minima nozione. Le sembra giusto?
Enrica Magrini - Milano ,
Cara signora Magrini, no, non mi sembra giusto. Ma avevo messo nel conto che sarebbe potuta andare a finire così e - vorrei dirlo nella maniera più chiara possibile - non credo alla tesi secondo cui, per il fatto che non conosciamo chi ha compiuto quella carneficina, ci sono dei «colpevoli di Stato». Quando la settimana scorsa la Corte d'appello di Milano ha mandato assolti i tre imputati «neri» per la strage del 12 dicembre 1969 - Giancarlo Rognoni, Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi - immediata è stata la riproposizione del tema di cui alla sua lettera e che può esser riassunto nello slogan «ingiustizia è fatta». Vediamo insieme qualche brano dello svolgimento di questo tema. «Mi pare una terribile beffa» (Daria Bonfietti, parlamentare Ds nonché presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage di Ustica); «E' un copione già visto in altri procedimenti come quello contro Andreotti sull'omicidio Pecorelli, quello per la strage alla questura di Milano o anche in occasione del primo processo per Piazza Fontana» (Gerardo D'Ambrosio, ex procuratore capo di Milano); «Provo molta rabbia nel vedere quei tre imputati liberi» (Erminia Passera, Associazione familiari delle vittime).
E ancora: «La mia è una rabbia resa più dolorosa dalla stanchezza... come il giorno della sentenza che scarcerava Priebke, come il giorno della sentenza che condannava Sofri; Giuseppe Pinelli è stato assassinato e non è stato individuato nessun responsabile; il commissario Calabresi è stato assassinato, in carcere ci sono gli uomini sbagliati e l'assassino è ancora in giro» (Alessandro Portelli, il manifesto ); «E' una sentenza inaccettabile, assurda perché vuole cancellare anche la memoria storica radicata nelle coscienze democratiche» (Mauro Decortes, portavoce del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa); «Quanto alla verità storica che non riguarda le singole persone imputate, essa è già scritta: la strage fu di Stato e fu l'inizio della strategia della tensione» (Giovanni Russo Spena, Rifondazione comunista).
Sono parole e argomentazioni - lo dico con il massimo rispetto nei confronti di chi le ha pronunciate - che avrei preferito non leggere. Anch'io, dentro di me, conservo l'intima convinzione che le stragi degli anni Settanta discendessero da un ordito nero e che Adriano Sofri sia innocente del delitto Calabresi. Ma non capisco come sia possibile riproporre in pubblico tali convinzioni con espressioni letteralmente identiche a quelle che furono usate vent'anni fa quando, per lo stesso fatto di sangue e due volte di seguito, furono assolti Franco Freda e Giovanni Ventura. Farà pure una differenza che colpevoli siano stati gli uni (Freda, Ventura), gli altri (Zorzi, Maggi, Rognoni) o dei terzi ancora? E poi: con che faccia presentiamo come frutto di una macchinazione sia la sentenza di condanna di «uno dei nostri» (in senso lato, ovviamente) che quella di assoluzione di qualche «nemico» di trent'anni fa da parte di giudici di uno stesso tribunale?
Ma allora cosa vogliamo far credere che succeda nel Palazzo di giustizia di Milano dove operano quei magistrati che, sia detto per inciso, molti di noi da oltre un decennio - prima o seconda Repubblica - non esitano a elevare al rango di benemeriti quando si occupano di qualche uomo di governo?
Comprendo l'angoscia per il delitto che resta impunito ma mi domando: mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere «ingiustizia è fatta» nel caso di assoluzione di Adriano Sofri, sol perché in questo modo l'uccisione di Luigi Calabresi sarebbe rimasta senza colpevole? C'è qualcosa che non va, qualcosa di grave. Spero di sbagliarmi ma questa non è la giusta via per una pacificazione della memoria. E, malauguratamente, neanche per la restituzione della libertà a Sofri.