TRANSALPINA. LE AMMINISTRATIVE FRANCESI SONO COME I MIDTERMS AMERICANI
E ora vota la Francia, un po' più che regionali
Sondaggi appesi a un filo, clima politico inquieto e nuovo sistema elettorale: tutte le incognite del 21 marzo
Parigi. Il 21 e 28 marzo prossimi i Francesi saranno chiamati alle urne. Non si tratta di un'elezione generale, come quelle che si sono appena concluse in Grecia e in Spagna con un cambiamento della maggioranza governante il paese. Questa è un'elezione regionale o, per essere più precisi, sono ventidue elezioni regionali. Eppure la posta in gioco è importante, perché queste elezioni possono essere paragonate a ciò che gli Americani chiamano le midterm elections: inserendosi infatti nel mezzo del mandato, sono allo stesso tempo le prime dopo la vittoria della destra nel 2002 e le ultime prima delle scadenze presidenziali e legislative del 2007.
A qualche giorno dal voto queste elezioni sono, sempre più, incerte. Come nel resto d' Europa, i cittadini si decidono sempre più tardi e, ad oggi, il 25% degli elettori che dichiarano di voler votare non sa ancora chi voterà. In più, il 33% degli elettori che hanno già deciso afferma che la propria scelta è comunque suscettibile a ripensamenti. Se si aggiunge che, secondo i sondaggi, molte competizioni rischiano di finire al fotofinish, si capisce quanto sia azzardato fare un pronostico.
Ma non è tutto: importanti e incerte, queste elezioni sono anche complesse: esse inaugurano infatti un nuovo metodo di scrutinio, a due turni, di cui ancora non si conoscono tutti gli effetti. Senza dubbio, è stata una campagna più «presidenziale»: al posto di una moltitudine di liste provinciali, c'è ora una sola lista regionale con in testa il candidato alla presidenza della regione. I risultati verranno poi ricalcolati col maggioritario: in luogo del proporzionale integrale, la lista arrivata prima si vedrà attribuire un ulteriore 25% dei seggi, che le dovrebbero consentire di raggiungere maggioranza assoluta.
Ma qual è la posta in gioco? Il Primo ministro ricorda che «la scommessa delle elezioni regionali sono le regioni». Non è falso: la Francia non è più il paese ultra-centralizzato di vent'anni fa, ora le regioni dispongono di poteri e mezzi reali; sono responsabili dello sviluppo economico, della politica dei trasporti, della costruzione dei licei e della messa in opera della formazione professionale. Ma, al di la dello stile inimitabile di Jean Pierre Raffarin - di cui il gusto per le tautologie non ha eguali se non la banalità delle formule - il messaggio subliminale è comunque chiaro: se la posta in gioco è regionale, non è nazionale... D'altronde la destra lo ripete ogni giorno all'unisono, e per i venti ministri candidati è il ritornello che intonano tutte le sere. Di fronte ad una tale premura, i Francesi hanno ben compreso che la posta è - evidentemente - anche nazionale.
Innanzitutto, c'è una questione che riguarda la democrazia: il tasso di partecipazione. Elezioni dopo elezioni, il tasso di partecipazione scende. Poco a poco, ci avviciniamo ad una democrazia all'americana, che non vede pronunciarsi che un elettore su due. Sono vent'anni che questa tendenza segna le elezioni regionali. Da qui la domanda: continuerà questa tendenza o la posta politica nazionale da una parte e gli attentati terroristici dall'altra provocheranno un soprassalto?
Poi c'è una questione che riguarda il governo e il suo partito, l'Ump. I sondaggi di popolarità sono sfavorevoli. Ma questo malcontento si tradurrà nel voto, visto che l'elettorato di destra è tradizionalmente più fedele al suo partito rispetto all'elettorato di sinistra? Dai risultati del secondo turno - e dunque dal numero di regioni conquistate o conservate dalla destra - non dipende indubbiamente l'avvenire del primo ministro: salvo sconvolgimenti, Raffarin sembra sicuro di mantenere il suo posto. E tuttavia, dai risultati dipendono due cose: l'ampiezza del rimpasto di governo che seguirà le elezioni - che sarà tanto più importante quanto saranno negativi i risultati; e, soprattutto, i margini di manovra del Governo per condurre le riforme, e in particolare quella del sistema sanitario - che saranno tanto più ampi quanto saranno buoni i risultati.
Per l'Ump c'è poi un'altra scommessa politica: ed è il risultato dell'Udf, il suo alleato di centro, che presenta una lista autonoma nella maggior parte delle regioni. Il presidente dell'Udf, François Bayrou, arriverà o no in testa alla destra nella regione per cui si candida, l'Aquitania? Il candidato dell'Udf sorpasserà o no il portavoce del Governo (che è dell'Ump) nella «regione-capitale», l'Ile de France? Da questi due test dipenderanno gli equilibri interni alla destra.
Infine, la posta in gioco per la sinistra. Il Partito socialista potrà misurare il suo stato di salute: dopo la pesante sconfitta del 2002, è guarito? È in convalescenza? Ha una ricaduta? Oggi detiene otto regioni su ventidue, e l'analisi dei risultati sarà semplice: dipenderà dal saldo netto delle sconfitte e delle vittorie, così come da qualche battaglia simbolica: il Poitou-Charentes, perché è la regione del primo ministro e può oscillare a sinistra; il sud-est, Provenza-Alpi-Costa Azzurra (chiamata anche Paca), perché è la regione di Le Pen; l'Ile de France, perché è la regione più grande e può oscillare a destra.
Ma, come per l'Ump, anche il Partito socialista deve guardare nell'orto del vicino: queste elezioni segneranno l'atto definitivo della morte del comunismo? In molte regioni, i comunisti hanno scelto di presentare la propria lista al primo turno; se non otterranno il 5% dei voti, non potranno rientrare al secondo turno; e una volta eliminati, scomparirebbero dal Consiglio regionale. In questo caso è il punteggio della segreteria generale del Partito comunista, che si presenta nell'Ile de France, che farà da verifica. E poi, ultima scommessa per i socialisti, l'estrema sinistra confermerà il buon risultato ottenuto alle presidenziali? Non è solo una questione di media nazionale: dove non approderà al secondo turno, i suoi elettori voteranno a sinistra o sceglieranno l'astensione?
Tra poste in gioco per la democrazia, per la destra e per la sinistra, non bisogna poi dimenticare ciò che potrebbe essere, ancora una volta, l'evento delle elezioni francesi: un buon risultato dell'estrema-destra. I sondaggi le danno oggi all'incirca il 15% dei voti - e in genere tendono a sottovalutarli. Sicuramente, il partito di Jean-Marie Le Pen non sarà in grado di prevalere in alcuna regione. Il nuovo sistema elettorale renderà inutile qualsiasi alleanza tra destra ed estrema destra - al contrario di ciò che avvenne in molte regioni nel 1998. Se tuttavia dovesse ottenere un simile risultato, non solo l'estrema destra potrà assicurarsi il secondo turno in quindici o sedici regioni su ventidue; ma, ancor più, la Francia dimostrerà di essere sempre in una crisi profonda