La battaglia di Solferino

LABORATORIO CORRIERE
Bruno Perini


Gli osservatori meno disincantati e la stampa straniera, sempre così attenta alle `stranezze' d'Italia, si chiedono come mai attorno al passaggio di direzione del “Corriere della Sera”, che si è concretizzato nell'uscita di scena dopo sei anni di Ferruccio De Bortoli e nella nomina del notista politico Stefano Folli (un giornalista molto accreditato presso il Quirinale), si sia giocata una partita così ampia e così cruenta. Come si può facilmente intuire lo scontro non ha coinvolto soltanto gli azionisti di Rcs Media Group, la società che controlla il “Corriere della Sera”, ma anche interi settori del potere economico italiano, una parte dei gruppi editoriali e lo stesso governo guidato da Silvio Berlusconi e dal suo entourage.
Come è possibile tutto ciò? Come è possibile - ti chiedono i giornali stranieri - che attorno alla direzione di un quotidiano scendano in campo protagonisti di questo peso? Anche al “New York Time” è in corso una guerra a tutto campo per la direzione del giornale ma la Casa Bianca almeno per il momento non viene coinvolta. Per capire che cosa è accaduto e potrebbe accadere in Italia attorno al giornale milanese, è necessario fare alcune premesse.
La prima riguarda proprio la storia del quotidiano di via Solferino. Il “Corriere della Sera”, un giornale tradizionalmente moderato e conservatore, è comunque un pezzo di storia d'Italia. E nella storia del Novecento è stato spesso lo specchio delle grandi svolte politiche: quando il quotidiano di via Solferino perdeva totalmente la sua autonomia significava che qualcosa in Italia andava male. Così è avvenuto con il fascismo, così è avvenuto con la loggia massonica P2 e così potrebbe avvenire oggi con i tentativi espliciti anche se ancora incompiuti del governo Berlusconi di controllarlo. Non si tratta semplicemente del quotidiano più venduto in Italia o, secondo alcuni, del più autorevole ma di un simbolo del potere e al tempo stesso di uno strumento per l'esercizio del potere. Il “Corriere della Sera” rappresenta al tempo stesso un'area moderata, elettoralmente importante e, in qualche modo, una parte della borghesia industriale e finanziaria italiana.
L'altra premessa importante è che nella proprietà del “Corriere della Sera” si trova il gotha, oggi al centro di una grave crisi, del capitalismo italiano. Tra gli azionisti di Rcs Media Group compaiono, infatti, i più importanti gruppi industriali italiani: la Fiat, Mediobanca, la Gemina di Cesare Romiti, ex chief executive della Fiat e ora presidente di Rcs, le Assicurazioni generali, Banca intesa, ovvero il primo gruppo bancario italiano, Telecom, ovvero il primo gruppo di telecomunicazioni e una serie di altri imprenditori e banchieri importanti. Si tenga conto che nel patto di sindacato, Fiat, Mediobanca e Gemina detengono un'ampia maggioranza. Quasi tutti questi gruppi vivono una crisi economica gravissima e nessuno di loro può permettersi di avere un rapporto conflittuale con il governo. In primo luogo non possono permetterselo Fiat e Telecom.Fino a quando il fondatore e deus ex machina di Mediobanca, Enrico Cuccia, era vivo nessun governo aveva tentato di mettere le mani sul “Corriere della Sera”. Il defunto e potentissimo banchiere, nume tutelare del capitalismo italiano, aveva affidato, dopo la crisi della P2 dei primi anni '80, il controllo del “Corriere della Sera” agli Agnelli, imponendo loro l'acquisto in extremis, ma aveva sempre tenuto un occhio vigile sul quotidiano, non consentendo interferenze politiche.
La situazione è precipitata con la morte di Enrico Cuccia, con la nascita del secondo governo Berlusconi, e con la morte di Gianni Agnelli. Come è noto Berlusconi, attraverso le sue società, controlla direttamente tre Tv private, circa venti testate appartenenti alla Mondadori, “il Giornale”, quotidiano di proprietà di suo fratello, e “il Foglio”, di proprietà della moglie. Inoltre, da quando è presidente del Consiglio, controlla indirettamente la Rai.
Sul “Corriere della Sera”, tuttavia, non era mai riuscito a mettere le mani e non si è posto il problema fino a quando il direttore uscente Ferruccio De Bortoli, ha cominciato, sia pure con toni moderati, a criticare la politica del governo in materia di giustizia e a mettere l'accento sul conflitto d'interessi del premier. E perché no, a opporsi alla guerra in Iraq, sia pure da una posizione moderata.
Il punto dolente del capo del governo è la giustizia. Silvio Berlusconi e il suo amico e avvocato Cesare Previti hanno, come è noto, pesantissimi guai giudiziari. Berlusconi è imputato nel processo Sme per corruzione di giudici e Cesare Previti è stato condannato in primo grado a 11 anni di carcere nel processo Imi-Sir, sempre per corruzione di giudici, oltre ad essere imputato nel processo Sme per lo stesso reato. Il conflitto tra il “Corriere della Sera” e Palazzo Chigi inizia proprio sul terreno della giudiziaria. Ogni volta che i giornalisti del “Corriere della Sera”, considerati tra i migliori cronisti giudiziari, pubblicavano documenti riservati, verbali d'interrogatorio o rogatorie relative ai processi in cui sono coinvolti Previti e Berlusconi, scoppiava il putiferio: il direttore riceveva telefonate molto pesanti da esponenti della coalizione di centro destra e veniva accusato di essere al servizio della procura della Repubblica. Spesso, lamentavano gli stessi giornalisti di via Solferino, le telefonate assumevano un tono minaccioso.
Dopo tante pressioni, Ferruccio De Bortoli, si decide a scrivere nero su bianco una replica di prima pagina a Cesare Previti, nella quale si denunciano esplicitamente le pressioni di Palazzo Chigi sul “Corriere della Sera”. Quella replica fa molto clamore e da quel momento il conflitto tra il direttore e il capo del governo si fa più aspro. E si arriva così al primo tentativo da parte del governo di modificare l'assetto del patto di sindacato della società che controlla il “Corriere della Sera”. In che modo? Mediobanca, ancora guidata da Vincenzo Maranghi, propone di far entrare nel patto di sindacato Salvatore Ligresti, noto imprenditore milanese, amico da sempre di Silvio Berlusconi e di alcuni esponenti della maggioranza vicini ad Alleanza Nazionale. Nella redazione del “Corriere della Sera” si crea un grande allarme: i giornalisti denunciano il tentativo di Mediobanca - in accordo con il governo - di cambiare l'assetto proprietario del “Corriere della Sera” e alla fine tutta l'operazione fallisce, grazie alla resistenza dei giornalisti, di Corrado Passera, chief executive di Banca intesa e di Cesare Romiti, presidente di Rcs. Le cronache parlano anche dell'opposizione netta di Gianni Agnelli, già molto malato ma ancora in grado di esprimersi sulla vicenda.La battaglia sembra vinta ma De Bortoli, a chi si complimenta con lui per essere riuscito a difendere l'autonomia del “Corriere della Sera”, risponde secco: “Prima o poi torneranno all'attacco”. E così è stato.
Il primo avvertimento da parte di Silvio Berlusconi e di esponenti di Forza Italia si concretizza in una denuncia per diffamazione fatta a De Bortoli per un suo editoriale dai legali di Silvio Berlusconi, Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini. I due legali si sono offesi per essere stati definiti da De Bortoli “avvocaticchi”, ma dietro quella presa di posizione del direttore del “Corsera” c'è dell'altro: secondo indiscrezioni che circolano in via Solferino i due legali, imbestialiti per una serie di articoli comparsi sul “Corriere della Sera” avrebbero chiesto il licenziamento dell'autore di quei servizi. D'altronde, Pecorella e Ghedini non sono avvocati qualsiasi: Pecorella, oltre ad essere legale di Berlusconi nel processo Sme, è un esponente di spicco di Forza Italia e presidente della commissione Giustizia della Camera, mentre Ghedini è un semplice parlamentare di Forza Italia. Questi tentativi di far pressione sul quotidiano hanno un chiaro significato ma non sono gli unici. Vi è un'azione a più ampio raggio del governo sugli azionisti del “Corriere della Sera” e in particolare sulla Fiat. Il gruppo automobilistico, come è noto, vive una profonda crisi e ha sempre più bisogno del governo Berlusconi. Tanto che se la General Motors non partecipasse all'aumento di capitale la Fiat potrebbe ricorrere a un intervento dello Stato nel suo azionariato. Secondo alcune attendibili ricostruzioni pare che sia stato proprio il presidente del Consiglio, in un incontro riservato con Umberto Agnelli, a porre la questione degli attacchi e delle critiche del “Corriere della Sera” al premier. Nessuno ha mai confermato l'incontro ma nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta dopo l'assemblea degli azionisti della Fiat, una decina di giorni prima del terremoto che si è aperto con le dimissioni di De Bortoli, Umberto Agnelli, guarda caso, rispondendo a una domanda di chi scrive, ha preferito non pronunciarsi sulla fiducia al direttore. Alla fine dunque anche gli azionisti che avevano resistito al primo tentativo di assediare il “Corriere della Sera” hanno ceduto. Compreso il presidente di Rcs Media Group, Cesare Romiti. Si dice tra l'altro che la goccia che ha fatto traboccare il vaso nei rapporti tra il “Corriere della Sera” e il governo sia stato un'editoriale del politologo Gianni Sartori, che paragonava Silvio Berlusconi a Benito Mussolini.
Il “Corriere della Sera”, dicono alcuni osservatori, non è ancora stato espugnato: Silvio Berlusconi è riuscito a ottenere che Ferruccio De Bortoli rassegnasse le dimissioni ma non è riuscito a mettere un suo uomo. Stefano Folli, si dice, è un liberal, vicino al Quirinale, moderatamente berlusconiano ma molto legato alle tradizioni del “Corriere della Sera”. Staremo a vedere. I giornalisti, dopo avergli dato a maggioranza la fiducia, lo attendono al varco. Per ora l'unico si è espresso politicamente su Folli è stato l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che in una lettera ha definito il nuovo direttore del “Corsera” un massone e la sua nomina un'intrusione della massoneria. Come inizio mica male.