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Discussione: Filosofi leghisti?

  1. #1
    Il Patriota
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    Predefinito UN filosofo leghista?

    G.K. Chesterton Nasce a Londra 29 maggio 1874. Benché si definisse modestamente un giornalista, egli fu un grande e versatile scrittore (saggista e romanziere brillante, con eccellenti doti di polemista, ironico ma senza acredine, di una ironia sanamente umoristica).

    Notevole fu la sua capacità di trattnere rapporti amichevoli con gente, come George Bernard Shaw e H. G. Wells, con cui pure era in forte dissidio.

    Affermava con forza ciò in cui credeva. Ad esempio fu uno dei pochi intellettuali ad avere il coraggio opporsi pubblicamente alla guerra boera.

    Notevole anche la sua capacità di biografo, con saggi importanti tra l'altro su Charles Dickens e S. Francesco. La sua opera forse più famosa è legata al nome di "Padre Brown": un genere giallo, con storie scritte tra il 1911 e il 1936, in cui Ch. seppe racchiudere sempre un senso di utile saggezza.
    Chesterton morì il 14 giugno 1936 a Beaconsfield, nel Buckinghamshire. La sua opera comprende 69 libri, pubblicati durante la sua vita, più una decina postumi.

    Se Chesterton ha un merito notevole nell'ambito della letteratura cattolica, è quello di essere riuscito a dare della Weltanschaung cristiana un'immagine ilare, ironica, per quanto non perciò meno seria. Diciamo ciò non certo per deprezzare altri scrittori cattolici, come un Bloy o un Bernanos, nel mondo dei cui romanzi aleggia una tensione più implacabile, che sembra non potersi mai sciogliere in un sorriso: anche hanno una loro insostituibile funzione. Semplicemente, dentro la grande sinfonia della Provvidenza a Chesterton è toccato suonare uno spartito di altro genere.
    opere (e-texts scaricabili)Orthodoxy, S.Tommaso d'Aquino (zippato, in lingua originale, 111 Kb), Man who was Thursday, The Innocence of Father Brown, The Wisdom of Fathe Brown, un poema su Lepanto, The logical vegetarian



    1) Il metodoIn effetti l'arma con la quale egli affronta la sua battaglia, che è poi una appassionata apologetica del Cristianesimo cattolico, non è una astiosa polemica, una affannata biliosità, ma è soprattutto l'ironia. Un'ironia, che può sembrare fuori posto, laddove essa viene a giudicare, come nella sua opera forse maggiore, i Racconti di Padre Brown, una realtà tramata da fatti delittuosi, per lo più omicidi; ma essa non significa disimpegno. Forse in essa c'è un po' del temperamento dell'autore, sanguigno e positivo; più ancora però, molto di più, noi vi vediamo la fede di un cristiano, che sa che tutto è stato redento, e vi vediamo anche la misericordia tipicamente cattolica, che sa guardare (per dirla con il curato di Torcy, creatura di Bernanos) il male con collo taurino, senza sentirsene soffocare come certo rigorismo protestante, che volge sdegnato la faccia altrove. Lo sa guardare negli occhi con calma, perché sente in sé la forza per affrontarlo, per vincerlo. Se insomma Chesterton sembra non dare troppa importanza al male che combatte, se sembra non prenderlo troppo sul serio, non è perché non creda che di male,e anche grave, si tratti, ma perché crede che ci sia, operante e forte ad affrontarlo, un Bene incommensurabilmente più grande. Cosi i personaggi che di danno al male, al crimine, appaiono piccoli, meschini, miseri, al limite del grottesco. Nei loro confronti l'ironia di Chesterton è talora sferzante, mai sarcastica, acida.

    L'ironia di Chesterton dunque come risposta alla menzogna, di cui si nutre il mondo, quel mondo che nega Gesù Cristo, sia in nome del materialismo, sia (e qui mi duole contraddire il mio amico Luca Doninelli, ma ... magis amica veritas!) in nome di una qualche forma di deviazione religiosa, dal buddismo, all'islam (particolarmente bersagliato ne L'osteria volante), alle sette fanatiche di cui già allora andava popolandosi la società occidentale. La menzogna assume spesso, in Chesterton, i tratti dell'ipocrisia, ed è perciò che l'ironia si configura come la risposta più appropriata: perché ipocrisia implica malafede, una certa componente di malafede almeno, ciò che precisamente l'ironia suppone e va a colpire. Che se poi il bersaglio di Chesterton volesse protestare il proprio totale candore, dovrebbe indossare allora i panni, non troppo invidiabili, del grottesco, come capita, ad esempio al personaggio di Mister Hibbs-Comunque ne L'osteria volante.

    2) L'umano come criterioLa sua ironia non va infatti a colpire come dall'esterno una realtà totalmente estranea. È interessante quanto lo stesso personaggio di p.Brown rivela come proprio segreto (Il segreto di p.Brown, Il segreto di p.Brown): mentre altri celebri investigatori, da Sherlock Homes a Maigret, si basano essenzialmente su uno studio degli indizi, esaminando il delitto dall'esterno, ciò che permette al piccolo prete di giungere alla verità, dipanando le matasse più ingarbugliate dei delitti che si trova ad affrontare, è lavorare sul movente, immedesimandosi col criminale, ponendosi nei suoi panni: Esattamente il contrario dell'ipocrisia, di un atteggiamento farisaico:

    "Nessun l'uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di "criminali" come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (...) finché egli non ha spremuto dalla sua anima l'ultima goccia dell'olio dei farisei." (I racconti di p.Brown, Paoline 1966, 805/6)

    La fede in aiuto della ragione: solo un cristiano può sapere ciò vi è nel cuore dell'uomo, può guardarlo senza timore.Il metodo del piccolo prete investigatore è quello di discendere nel centro, nel fondo della propria umanità, per scoprirvi ciò che davvero è universale nell'uomo, nel bene e nel male. al di là delle meschine costruzioni mentali, degli idola che gli uomini erigono per illudersi di essere migliori, di albergare in un rifugio sicuro dal male. Il criminale cosi per lui non è un mondo alieno, separato da un abisso, il criminale è dentro di lui, perché è dentro ogni uomo: p.Brown lo sa, e non se ne scandalizza, avendo nella fede la chiave interpretativa, pacificante, di tutto.

    Sbagliano quegli scienziati che "considerano l'uomo dall'esterno e lo studiano come fosse un insetto. (...) Quando uno scienziato parla di un "tipo" egli non intende mai se stesso, ma sempre il suo prossimo, e probabilmente il suo prossimo più povero." (Op.cit., p.804)

    Invece "Io non cerco di guardare l'uomo dall'esterno, cerco di penetrare nell'interno dell'assassino... Anzi, molto di più, non le pare? Io sono dentro un uomo. (...) aspetto di essere dentro un assassino (...) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (...) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (...). Finché anch'io divento veramente un assassino." (Op.cit., 805)

    "Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli" (L'innocenza di p.Brown, "Il martello di Dio", p.227)

    3) L'umanità del CristianesimoL'intento fondamentale di Chesterton è, abbiamo detto, apologetico, ed egli lo persegue soprattutto come polemica pars destruens, mostrando gli effetti anti-umani della negazione del Cristianesimo, benché non sia certo assente il risvolto positivo, di proposta della vita cristiana come pienamente umana, vera, buona. Quest'ultimo è però presente come in filigrana, in una modalità discreta e indiretta, ad esempio nella figura di p.Brown. Il mite presbitero cattolico, dall'apparenza insignificante, se non sciatta, non è certo un eroe dal gesto sicuro e imperioso, non un parlatore brillante e raffinato, non ha niente insomma di straordinario, niente di quelle eclatanti qualità che il "mondo" tanto ammira: è un uomo, semplicemente un uomo. Che cosa significa? Il dato che più ci colpisce nel personaggio di p.Brown è il suo realismo: egli sa guardare, sa osservare la realtà, come nessun altro. Mentre altri almanaccano in base a teorie aprioristiche, p.Brown osserva, aderendo al reale (certo formulando teorie anche lui, ma sempre in base ad una rispettosità profonda verso l'esistente). Da notare come il piccolo prete sia spesso silenzioso e rifletta bene sul dato effettivo, laddove i suoi interlocutori si lanciano subito con sicumera in un'impetuosa cascata di ipotesi.

    Oltre che realista (molta osservazione...), p.Brown è anche ragionevole. In più racconti in effetti troviamo la polemica contro la confusione tra fede (la fede cristiana) e miracolismo sensazionalistico, pseudomistico. Uno dei più belli, a nostro avviso, è "Il miracolo della mezzaluna"; in esso il miliardario Warren Wynd, efficientissimo e impegnatissimo, viene misteriosamente ucciso. P.Brown, che per primo ha avuto il sospetto del suo omicidio, rifiuta di avvallare la tesi di un evento miracoloso, e riesce poi a spiegare razionalmente l'accaduto, in base all'umano sentimento di vendetta, provato da tre poveri, umiliati dal miliardario. Il paradosso è che, mentre i razionalisti e gli scettici inclinano ben presto a credere in eventi magici, sensazionalisticamente spettacolari (nella fattispecie, che il miliardario sia letteralmente volato dal suo ufficio su un albero, violando ogni verosimiglianza fisica), p.Brown si dimostra come il più razionale di tutti. Lui stesso esplicita tale paradosso, rivolgendosi ai suoi compagni di avventura atei e scettici:

    "eravate dei materialisti induriti, ed era quindi naturale che foste in bilico al limite di una fede; eravate sul punto di credere a qualunque cosa. (...) Non avrete pace fino a che non crediate in qualche cosa di definitivo" (p.412)

    Da questo emerge splendidamente come il Cristianesimo sia massimamente amante della realtà, della verità, al punto che non può accettare la menzogna, nemmeno se apparentemente potrebbe giovargli:

    "il mentire potrà forse servire alla religione; ma sono sicuro che non serve a Dio." (p.409).

    "aveva l'idea che, essendo prete, avrei creduto a qualsiasi cosa. Molte persone hanno di queste idee" (p.470).

    Non è il Cristianesimo, che è fedeltà al reale, al concreto esistente, ma il diavolo, ad amare il mistero come tenebrosa e inquietante stranezza, come bizzarra e complicata fantasticheria:

    "é superbo e scaltro. Gli piace essere superiore, e ama terrificare l'innocente con cose capite a metà, e far rabbrividire i bambini. Questa è la ragione per cui ha tanta passione per i misteri e le iniziazioni e le società segrete e tutte le cose del genere"(p. 409).

    È un'idea che egli porta avanti anche ne "La parrucca rossa", quella del diavolo come colui che distoglie dalla realtà, facendo credere in un falso mistero, in un mistero inteso come tenebra oscura

    "Io conosco il Dio sconosciuto -[disse p.Brown]- Conosco il suo nome: è Satana. Il vero Dio si fece carne e dimorò fra noi. Ed io vi dico che ovunque voi troviate uomini dominati unicamente dal mistero, questo mistero non è che iniquità. (...) Se voi credete che qualche verità sia insopportabile, sopportatela." (La saggezza di p.Brown, "La parrucca rossa", p.669)

    4) La disumanità di chi nega la fedeMa p.Brown è anche capace di bontà, di misericordia, che va però ben distinta da una rassegnata remissività:

    "brutta copia della bontà (..) è la remissività o ripugnanza a crear contrasti" (op.cit, p.70)

    E grande è la sua umiltà, come lui stesso teorizza, con questa bella espressione:

    "l'umiltà è madre di giganti. Si vedono grandi cose dalla valle; solo piccole cose dal picco." (L'innocenza di p.Brown, "Il martello di Dio", p.226)

    È comunque soprattutto sul versante polemico, e segnatamente ironico, che Chesterton dà il meglio di sé. Sia I racconti di p.Brown, sia L'osteria volante sono opere imperniate sulla critica; forse il suo romanzo meno polemico, anzi il più stranamente irenico, è proprio quel L'uomo che fu Giovedi, che è, paradossalmente, quello che narra di una lotta (apparentemente di tutti contro tutti, mentre poi alla fine si scopre che tutti lottavano per la medesima Cosa). Noi vogliamo brevemente sostare sull'opera maggiore, I racconti di p.Brown. Chesterton vi polemizza contro un ampio ventaglio di atteggiamenti, con un gusto particolare però nello smascherare false ovvietà, inveterate quanto ingiustificate convinzioni diffuse, nel contraddire l'opinione dominante. Si, c'è in Chesterton un certo gusto di contraddire, di stupire, che non può però essere semplicemente ricondotto alla sua mentalità anglosassone (e nordica in genere), alla perplessità nei confronti dell'immediato, da cui il nordico conserva uno stacco, sospettoso e dominatore al tempo stesso, diverso dalla immediata familiarizzazione tipica della mentalità mediterranea, solare e calorosa. Anche qui, noi crediamo di vedere non solo e non tanto l'inglese, ma il cristiano, il lottatore cristiano Chesterton, colui che sa che questo mondo è sottomesso al Principe delle Tenebre, che astutamente impone agli esseri umani mode, atteggiamenti e mentalità distruttivi e falsanti. Tant'è che la perplessità, e più ancora il gusto della contraddizione non si esercita contro le persone, ma contro le idee, i falsi presupposti dell'agire delle persone.

    Ricordiamo alcune delle più significative battaglie che Chesterton combatte attraverso P.Brown. In uno dei primi racconti de L'innocenza di p.Brown, "Il passo strano", egli ad esempio mette alla berlina lo snobismo dei ricchi. Questi ricchi, i "Dodici veri pescatori" (notiamo quanto il nostro autore goda di poter ironizzare contro la sfacciata pretesa, tipicamente massonica, di sfruttare elementi cristiani, stravolti dal loro significato originario), sono in realtà dei poveretti dal punto di vista morale, come dimostra il loro ridicolo imbarazzo nei confronti degli esseri umani più indigenti:

    "quei plutocrati moderni non potevano sopportare accanto a loro un povero, né come schiavo né come amico. (...) non volevano essere brutali, e temevano di essere benevoli."

    I loro comportamenti sono pervasi di grottesco, ad esempio nell'accettare anche la scomodità purché distingua dal popolo (p. 68; viene in mente Berlicche: il piacere viene dal Nemico, l'optimum per il diavolo è asservire l'uomo senza fargli provare troppo piacere), o nel non avere uno scopo (p.69), o nella pomposa e complicata inutilità dei loro riti:

    "per tradizione del circolo, gli hors d'oeuvre erano vari e complicati in modo pazzesco, e considerati molto seriamente, trattandosi di cose inutili e superflue, come l'intero pranzo e l'intero circolo." (p.78)

    La loro Weltanschaung nemica della realtà autentica è ben esemplificata dal loro gusto di alterare, di contraffare la realtà delle cose naturali, come il cibo, che perde la forma nativa, datagli dal Creatore:

    "la sacra portata del pesce consisteva (agli occhi del volgo) in un mostruoso pasticcio, della grandezza e della forma di un dolce nuziale, nel quale un considerevole numero di pesci aveva perduto la forma data loro da Dio." (p.80)

    Ma più ancora i "Dodici veri pescatori" rivelano la loro pochezza umana con il loro fariseismo, che gli fa ignorare la possibilità della conversione del cameriere-ladro, che, dopo un colloquio col piccolo prete abbandona li la preziosa refurtiva, e decide di cambiar vita:

    "Strano, vero? -disse egli (p.Brown)- che un ladro e vagabondo si penta, mentre tanti che sono ricchi e sicuri di sé rimangono duri e frivoli e senza alcun frutto per Dio e per l'uomo!" (p.86)

    Non possiamo qui ripercorrere in dettaglio tutte le polemiche di Chesterton, ad esempio contro il protestantesimo, contro le religioni orientali, l'ateismo. Ci basta aver evidenziato alcuni punti, che possano, speriamo, invogliare qualcuno a leggere direttamente quell'autore, tutt'altro che superficiale, ma anche tutt'altro che noioso, che è Chesterton.

  2. #2
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  3. #3
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    FERDINAND TÖNNIES






    Se nella cultura francese e inglese il modello positivistico di marca comteana e spenceriana aveva diffusamente influenzato lo sviluppo della sociologia e delle altre "scienze sociali", in Germania queste erano state in buona parte ricomprese nell’ambito delle scienze storiche e per lo più ritenute come discipline ausiliarie in vista di una spiegazione su basi storiche. Un fulgido esempio della situazione culturale tedesca è, in questo senso, quello di Ferdinand Tönnies (1855-1936), che nella sua celeberrima opera del 1887, Comunità e società (Gemeinschaft und Gesellschaft), delinea due tipi alternativi di associazione, incentrati l’uno su un rapporto immediato, l’altro su un rapporto artificiale. Il primo è definito in termini organicistici, il secondo sulla base di un modello meccanicistico. Questi due diversi modelli, che rispondono ad un’esigenza analitica, si presentano anche come termini di un’alternativa storiografica alla quale deve essere ricondotta la molteplicità storica delle formazioni sociali nelle successive fasi del loro svilupparsi. Anche quando la sociologia – nel primo Novecento – si avvierà a diventare una scienza formale, ossia che studia i rapporti sociali dal punto di vista delle forme di coesistenza fra gli uomini, la relazione tra scienze sociali e storiografia rimarrà un rapporto tra termini complementari, come nelle opere di Georg Simmel. Per Tönnies, organica è la comunità (Gemeinschaft), le cui forme embrionali emergono in seno alla famiglia nei rapporti tra madre e figlio, tra moglie e marito, tra fratelli, per estendersi poi ai rapporti di vicinato e di amicizia. Tali rapporti sono improntati a intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi,. Ricordi ed esperienze comuni. I vincoli di sangue (famiglia e parentela), di luogo (vicinato) e di spirito (amicizia) costituiscono delle totalità organiche – le comunità appunto – in cui gli uomini si sentono uniti in modo permanente da fattori che li rendono simili gli uni agli altri e al cui interno le disuguaglianze – ancorchè non siano appianate – possono svilupparsi solo entro certi limiti oltre i quali i rapporti diventano così rari e insignificanti da far scomparire gli elementi di comunanza e condivisione. All’interno della comunità, infatti, i rapporti non sono segmentati in termini di ruoli specializzati, ma comportano che i membri siano presenti con la totalità del loro essere. Nulla di tutto ciò avviene nell’ambito della società. Scrive a tal proposito Tönnies:

    "La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono".

    Nella società, gli individui vivono per conto loro, separati, in un rapporto di tensione con gli altri e ogni tentativo di entrare nella loro sfera privata viene percepito come un atto ostile di intrusione. Il rapporto societario tipico è il rapporto di scambio: nello scambio i contraenti non sono mai disposti a dare qualcosa di più rispetto a quel che ricevono; anzi, lo scambio avviene proprio perché ognuno ritiene di ricevere qualcosa che ha un valore maggiore di quello che cede, altrimenti non entrerebbe neppure nel rapporto. Venditori e compratori sono in rapporto di reciproca competizione, giacché i primi cercano di vendere al prezzo più alto possibile, mentre i secondi cercano di acquistare al prezzo più basso possibile. Il guadagno dell’uno è la perdita dell’altro. Il rapporto di scambio, poi, non mette in relazione individui nella loro totalità, ma soltanto le loro prestazioni; chi vende non è interessato al compratore come individuo, né all’impiego che questi farà del bene scambiato, ma solo alla sua capacità di pagare il prezzo stabilito. La società è dunque una costruzione artificiale e convenzionale, composta da individui separati, ognuno dei quali persegue il proprio interesse individuale, ed essa entra in gioco solamente come garante del fatto che le obbligazioni che i contraenti si sono assunte vengano onorate. Nella società, infine, tutti i rapporti tendono ad improntarsi al modello dei rapporti di scambio di mercato: nulla viene fatto senza attendersi una contropartita, sia nei rapporti interpersonali, sia nei rapporti tra individui e istituzioni. Fin troppo evidente appare la posizione ideologica di Tönnies: l’avvento della modernità, ovvero della Gesellschaft, è un processo inarrestabile e, tuttavia, rappresenta una perdita rispetto ai valori autentici di solidarietà che trovano una realizzazione compiuta soltanto nell’ambito della comunità. Questa vernice ideologica è però secondaria rispetto alla dicotomia instaurata da Tönnies fra comunità e società. Nel 1897 uscì un’importante studio di Tönnies su Nietzsche (Il culto di Nietzsche), in cui il sociologo tedesco metteva abilmente in luce il quadro culturale di fine Ottocento, dominato dalla figura di Nietzsche e dall’irrazionalismo da lui propugnato: il confronto con Nietzsche fu di importanza capitale per mettere a fuoco il contesto problematico al cui interno doveva operare la nuova disciplina sociologica. La scoperta dell'abisso su cui veniva dipanandosi la trama della razionalizzazione e della modernizzazione, del loro impatto potenzialmente disgregatore e nichilistico non soltanto sulla "tradizione" ma sulla stessa forma di civiltà da esse disegnata, fu la cifra comune dell'opera degli autori richiamati. Dei tre grandi padri fondatori della sociologia tedesca, Tönnies è certo colui che con maggior rigore e impegno tentò di definire il carattere progettuale della sociologia in una sostanziale aderenza con le ragioni e lo sviluppo dello stesso movimento operaio, in cui vedeva l'unico soggetto storico in grado di dare continuità ai caratteri progressivi della modernità. Si trattava evidentemente, per Tönnies, di un movimento operaio cui andavano sottratti i caratteri più inquietanti e turbolenti, che lo configuravano come portatore di guerra all'interno della società, e che andava ricondotto a quell'ideale della pace sociale in cui egli, hobbesianamente, vedeva il motore dello sviluppo moderno. Proprio la fedeltà di Tönnies alla lezione di Hobbes (cui dedicò studi fondamentali) rende ragione dell'impossibilità di una sua ascrizione al campo delle teorie sociologiche organicistiche. L'uguaglianza e l'"urto" delle individualità come tratti destinali del moderno costituiscono piuttosto la norma critica che la sociologia di Tönnies oppone a ogni rapporto fondato sull'ineguaglianza e sul dominio, anche e soprattutto di classe. Il libro dedicato al culto di Nietzsche, la prima interpretazione sociologica non tanto della sua filosofia quanto della straordinaria fortuna che essa conobbe in Germania sul finire dell'800, deve essere letto proprio su questo sfondo. Esso rappresenta infatti la resa dei conti con ogni immagine dell'individualità - quale è per Tönnies quella sottesa alla nietzscheana "morale dei signori" - che, nel recuperarne un'aura "aristocratica", ne giochi il mito contro la determinazione ugualitaria che dell'individualità stessa costituisce l'ineludibile condizione di pensabilità. E che non si arresta sulle soglie domestiche, se è vero che Tönnies delle dottrine etiche dell'ultimo Nietzsche non contesta solo il carattere "aristocratico" ma anche quello "androcratico".

    RECENSIONE DI COMUNITA’ E SOCIETA’

    La comunita' e' un rapporto reciproco sentito dai partecipanti, fondato su di una convivenza durevole, intima ed esclusiva.
    La vita comunitaria e' sentita (implica comprensione, consensus), durevole, intima (confidenziale), esclusiva; al contrario, la vita societaria e' razionale, passeggera, apparente (come tipo di legame), pubblica.
    Sono forme primitive di comunita':
    - il rapporto madre-bambino;
    - il rapporto uomo-donna;
    - il rapporto tra fratelli.
    Delle tre forme primitive di comunita', le prime due sono piu' istintive, la terza piu' umana.

    COMUNITA'
    SOCIETA'

    antica
    recente

    convivenza durevole
    convivenza passeggera

    convivenza genuina
    (confidenziale, intima, esclusiva)
    convivenza apparente
    (pubblica)


    I rapporti di affermazione reciproca, se positivi, danno origine ad associazioni: la comunita' e' un'associazione organica (sentita dai partecipanti), la societa' e' un'associazione meccanica, artificiale e recente (pag.45). L'Autore distingue comunita' di lingua, di costume, di fede; societa' di profitto, di viaggi, di scienze (pag.46).
    La societa' e' il pubblico, il mondo: "in una comunita' con i suoi una persona si trova dalla nascita, legata ad essi nel bene e nel male, mentre si va in societa' come in terra straniera" (pag.45). La societa' implica delimitazione dei campi di attivita' e prestazioni reciproche di pari entita' (concetti di scambio e valore).
    La comunita' e' caratterizzata dal diritto familiare, la societa' dal diritto delle obbligazioni (pag.229). In societa' gli individui rimangono "separati nonostante tutti i legami" (pag.83).
    Il potere nella societa' e' a vantaggio di chi lo detiene, nella comunita' e' finalizzato all'educazione ed all'insegnamento (pag.62).

    rapporto materno
    istinto
    comunita' di sangue
    parentela
    casa
    padre
    giustizia
    dignita' dell'eta'

    rapporto coniugale
    abitudine
    comunita' di luogo
    vicinato
    villaggio
    principe
    forza
    dignita' ducale

    rapporto fraterno
    ricordo
    comunita' di spirito
    amicizia
    citta'
    maestro
    saggezza
    dignita' sacerdotale


    La volonta' comunitaria implica comprensione (consensus, che ha natura singola) e concordia (unita' di cuore, che ha natura complessiva). La comprensione deriva dalla conoscenza reciproca che a sua volta richiede partecipazione e quindi vita comune, e richiede anche somiglianza (linguaggio).
    Sono leggi fondamentali della comunita':
    - l'assuefazione (parenti, coniugi, vicini, amici);
    - la comprensione;
    - la vita comune (concordia).
    La comprensione e' tacita, "la concordia non puo' venire costruita" (pag.65).
    La comunita' e' unita' nel differente (pag.61), in essa le diseguaglianze reali non possono pero' essere troppo accentuate.
    L'amicizia si fonda su un modo di pensare concorde e dalla comunanza di arti e professioni; i compagni d'arte sono compagni di fede e cooperano ad una stessa opera (pag.58). I rapporti di amicizia sono i meno istintivi e i meno condizionati dall'abitudine.
    L'uomo si lega con le proprie opere, con il territorio, con la casa (pag.67): possesso e godimento reciproco di beni comuni caratterizzano la vita comunitaria (pag.66).

  4. #4
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  5. #5
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  6. #6
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