RAPPORTI
Contatti con i br in carcere: «Festa insieme l’11 settembre»

«Paolo Dorigo (attentato di Aviano) disse che ci ammirava per l’azione delle Torri gemelle»


MILANO - Coincidenza di interessi e di obiettivi contro il principale nemico comune: gli Stati Uniti. Non si può parlare di una saldatura politica tra l’eversione di sinistra e i terroristi islamici, ma dai risultati delle inchieste milanesi emergono contatti diretti tra singoli personaggi dei due mondi. Un legame che nasce nelle carceri, dove i protagonisti finiti in manette hanno la ventura di incontrarsi, e si consolida in nome della guerra all’Occidente. Quando non è l’ideologia a cementare, sono questioni pratiche a fare da collante e allora anche criminali comuni dello spessore di Matteo Boe entrano in contatto, seppure di sponda, con l’integralismo islamico. La conferma arriva nelle decine e decine di pagine riempite da Ahmed in mesi di interrogatori.
Ahmed parla di quando, rinchiuso a Spoleto, conosce il detenuto Paolo Dorigo. «Mi disse - racconta - che era stato in carcere a Biella con Farid, cioè Mokhtar Bouchoucha (condannato nel 2002 a Milano a 5 anni quale braccio destro di Essid Ben Khemais, capo della cellula di fiancheggiatori di Al Qaeda, ndr ). Mi disse che l’11 settembre 2001 avevano festeggiato quello che era successo in America e che anzi Farid aveva cominciato a festeggiare la mattina, prima che nel pomeriggio venisse divulgata la notizia».
Il veneziano Paolo Dorigo, 44 anni, è stato condannato a 13 anni e mezzo per un attentato (senza vittime) alla base Usaf di Aviano nel ’93. Della condanna, arrivata anche per le dichiarazioni di un pentito, si è occupata la Corte europea per i diritti dell’uomo secondo la quale Dorigo non ha avuto «un processo equo». Ahmed dice di aver parlato tutti i giorni con Dorigo: «Mi disse che ci ammirava, noi terroristi islamici, perché avevamo colpito al sedere l’America e che l’11 settembre era stato il giorno più bello della sua vita. Auspicava che un giorno simile fosse giunto in Italia». L’estremista italiano «non aveva rapporti con altri detenuti» perché tutti lo consideravano «matto». Anche Ahmed interruppe la frequentazione. Lo fece quando Dorigo gli promise un appartamento in regalo se l’avesse messo in contatto con dei «killer che avrebbero dovuto uccidere una persona che lo aveva torturato» al processo. Dorigo sosteneva di essere stato condannato «senza prove» per colpa di quell’individuo. Ciò che preoccupava Ahmed era la possibilità che se quella persona fosse morta, gli investigatori avrebbero potuto risalire a lui.
C’è il nome di un brigatista rosso, quello di Giuliano De Roma, che fa capolino negli interrogatori. Ahmed dice di averlo conosciuto attraverso Essid Sami che «tramite il De Roma» aveva ricevuto cibo e vestiti da Abu Imad, l’imam della moschea di viale Jenner. Giuliano De Roma, 46 anni, di Alghero, nel 1983 fu condannato in appello a 18 anni come appartenente alla colonna sarda delle Br. È De Roma a creare un contatto tra Ahmed e Matteo Boe, 46 anni, condannato a 20 anni per il sequestro di Faruk Kassam, rapito nel ’92. All’inizio del 2002, tramite Boe, detenuto a Spoleto, De Roma gli fa recapitare un maglioncino di colore rosso che Ahmed interpreta come «un messaggio simbolico relativo a un fatto di sangue che poteva accadere». Tra De Roma e Ahmed i rapporti passano anche attraverso una decina di lettere, tutte strappate, nelle quali sarebbe fatto «spesso riferimento alla coincidenza di obiettivi tra la loro lotta e la nostra, nel senso di terrorismo islamico
». G. Gua. G. O.

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