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    Predefinito Milosevic: a che punto è la notte?

    Esiste ancora una civiltà giuridica?



    l 12 febbraio 2002, a L'Aja, si apriva il processo contro Slobodan Milosevic al Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia.
    Il processo è basato su 57 capi d'imputazione, fra i quali genocidio, per i fatti avvenuti in Bosnia, crimini contro l'umanità, per le vicende in Croazia e per la presunta responsabilità nella nella morte di 500mila (anche questi presunti) albanesi durante il conflitto in Kosovo. Giornalisti scatenati in dirette televisive, pagine di giornali con titoli il più possibile "gridati": «il macellaio di Belgrado», «il boia dei Balcani», e così via. Un bombardamento mediatico sul dibattito processuale, e poi... poi una cortina di impenetrabile silenzio, un "assordante" silenzio. Cosa è successo? Si sono aperti altri fronti di guerra, dopo l'Afghanistan, l'Iraq, che hanno monopolizzato l'attenzione, relegando i Balcani fra gli argomenti "fuori moda": ma questo non basta a spiegare il silenzio. Una delle principali motivazioni sta nella conduzione della difesa da parte dello stesso Milosevic: pochi giorni dopo l'inizio del processo il leader serbo, ha iniziato a gestire in prima persona la parte dell'avvocato difensore, attaccando coloro che erano stati con lui firmatari della pace di Dayton nel 1995, dove lo stesso Milosevic era stato magnificato dai media come l'«uomo della pace». Ha controinterrogato i testimoni d'accusa, mettendoli in difficoltà, ha mostrato un filmato riguardante i danni provocati dalle bombe lanciate dagli aerei della NATO, durante il 1999, e della decisione della CNN di interrompere le dirette. Ha accusato di illegittimità il Tribunale de L'Aja e ha mostrato al mondo l'inconsistenza di molto del materiale documentale e dei testimoni presentati dall'accusa, il livoroso procuratore Carla del Ponte.
    Lo svolgimento processuale ha minato molte delle certezze della presunta, "conclamata", annunciata, colpevolezza di Milosevic; il quale ha sempre ribadito il suo non riconoscimento del Tribunale internazionale.
    «Persino il teste più importante per dimostrare la connessione fra Milosevic e la polizia serba che operava in Kosovo assieme alle truppe paramilitari è venuto meno alle aspettative del procuratore. Rade Markovic, ex capo dei servizi segreti di Milosevic, interrogato dal sostituto procuratore Nice, ha dichiarato che Milosevic sapeva tutto quello che avveniva in Kosovo. Ma incalzato dalle domande dell'ex amico-premier ha ritrattato. «Mi hanno costretto a testimoniare contro di te, minacciandomi di arrestarmi se non l'avessi fatto» (da "Il Ducato" n. 4 del giorno 8 marzo 2003). Così sul processo è sceso il silenzio: un muro di gomma, per non mostrare al mondo intero che quel processo si va configurando, sempre più, come un autogol della pubblica accusa.
    La volontaria consegna di Vojslav Seselj, leader del partito ultranazionalista serbo, avvenuta il 3 febbraio 2003, si è rivelata un altro autogol per Carla Del Ponte: dopo che ventimila persone lo avevano salutato a Belgrado, dopo essere stato votato dal 36 per cento della popolazione nelle elezioni presidenziali di dicembre 2002, è ora arrivata l'affermazione di Seselj, nel dicembre 2003, alle ultime votazioni politiche in Serbia.
    I colpi alla credibilità del procedimento, di cui i media non danno notizia, si susseguono senza sosta: prima il rifiuto di indagare sui bombardamenti NATO in Kosovo, poi, a dimostrazione dell'iniquità del processo, il rifiuto di indagare su leaders politici albanesi, ex comandanti dell'UCK, clamorosamente protagonisti o implicati nella pulizia etnica contro i serbi del Kosovo (pulizia etnica che continua tuttora, nel silenzio indecente dell'informazione).
    Molti testimoni si sono dimostrati insicuri e bugiardi, confermando l'opinione di chi considera il procedimento falsato, politicizzato, a senso unico nel tentativo di trovare un solo colpevole per quanto è accaduto nella ex Jugoslavia. Così, nel silenzio totale, le uniche notizie che filtrano sono quelle sulle condizioni di salute di Milosevic, che spesso accusa malori e malanni: chissà, magari, nel tentativo di prefigurare una "tragica", "casuale" morte del politico serbo, morte che, oggi, sarebbe quanto mai "opportuna" per molti dei suoi accusatori.
    Pensiamo all'istituzione della Corte Penale Internazionale: il 1 Luglio 2002, raggiunte le sessanta ratifiche richieste per la sua entrata in vigore, la C.P.I. diventò una realtà, con competenza a giudicare i responsabili dei più gravi crimini internazionali - genocidio, crimini di guerra, crimini contro l'umanità- organo giudicante con natura permanente. Per tutti? no, naturalmente, non per i potenti della terra, non per gli Stati Uniti, che considerano inaccettabile l'eventualità che cittadini statunitensi possano, in virtù della regola secondo la quale è sufficiente il consenso dello stato in cui il crimine è stato commesso perchè la Corte possa esercitare la sua giurisdizione, essere giudicati da un tribunale non americano. Pertanto i membri europei del Consiglio di Sicurezza, in particolare Francia e Inghilterra, hanno appoggiato -sempre chini a "pelle d'orso" di fronte all'atlantico padrone- una risoluzione (Risoluzione n. 1422 del 10 Luglio 2002) che congela per un anno la facoltà della Corte Penale Internazionale di iniziare l'azione penale nei confronti di peace-keepers il cui stato di nazionalità non abbia ratificato il trattato di Roma.
    Ricordiamo anche la "Dichiarazione sul Tribunale Penale Internazionale de L'Aja", in merito all'estradizione di Slobodan Milosevic, sottoscritta dal comitato "Scienziate/i contro la guerra", nato nel 1999 in opposizione alla guerra scatenata dalla NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, guerra che ritenevamo, e riteniamo, violasse la Costituzione italiana, la Carta dell'ONU e lo stesso Statuto della NATO. La nostra condanna è stata ulteriormente rafforzata da quanto avvenuto in Kosovo e Macedonia, ove la convivenza multietnica è sempre più minacciata, se non annientata, pur in presenza o con l'effettivo appoggio delle truppe della NATO. Oggi noi siamo convinti -dice la Dichiarazione- che l'estradizione all'Aja di un qualsiasi cittadino della Repubblica Federale di Jugoslavia, e non solo del suo ex-presidente Slobodan Milosevic, rappresenti una flagrante violazione dell'art. 10 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, vera "Costituzione" dell'ONU, che afferma che: «Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale».
    Il Tribunale penale internazionale dell'Aja non è indipendente, in quanto notoriamente finanziato -in larga misura- proprio da quei paesi che hanno mosso guerra alla Repubblica Federale di Jugoslavia e ha dimostrato la propria parzialità archiviando, nel giugno del 2000, senza alcuna seria inchiesta, le denunce che erano state presentate contro i leaders dei paesi della NATO. Tale rifiuto di fare giustizia a chi aveva sofferto per 78 giorni bombardamenti distruttivi di ogni tipo di infrastruttura civile, con gravissimi danni alla salute e all'ambiente, e l'accettazione, in base a semplici dichiarazioni della NATO, che l'uso dell'uranio impoverito non può in alcun caso avere conseguenze negative, delegittimano ai nostri occhi la cosiddetta "giustizia internazionale".
    Il tema della giustizia amministrata da organi internazionali pone sempre più il problema della "giustizia dei vincitori": siamo giunti a quello che da tempo si annunciava come ineluttabile, i Ministri degli Esteri dell'Unione Europea, genuflessi, inginocchiati, sdraiati "a pelle d'orso", di fronte al padrone atlantico, da quando hanno raggiunto quell'«accordo di compromesso» sulla spinosa questione della Corte Penale Internazionale, che pone un'ulteriore e più pesante pietra tombale su quel che resta del concetto di "sovranità nazionale".
    Berlusconi, sempre più realista del re e sempre preoccupato di essere in prima linea nell'atteggiamento di servile acquiescenza ai diktat di Bush, lo annunciò al vertice di Elsinore: piena disponibilità italiana «alla firma di un accordo bilaterale con gli USA sulla Corte Penale Internazionale».
    La disponibilità a stipulare accordi bilaterali, accettando di fatto la pressione di Washington, in questo senso, porta alla totale sottomissione alla pretesa di immunità per le truppe americane all'estero e alla non perseguibilità degli americani, anche perché gli Stati Uniti fanno valere, nei rapporti diplomatici e nella stesura degli accordi, tutto il peso della loro forza nel ricattare Paesi meno influenti.
    Appare davvero patetica la richiesta dell'Unione Europea agli USA affinchè gli americani puniscano da soli i propri cittadini che hanno commesso reati: una raccomandazione davvero umoristica, basti pensare a quando il potere di giurisdizione sui piloti omicidi del Cermis venne sottratto all'Italia e dato al Tribunale americano, che decise che i top-gun assassini erano, in verità, innocenti… Anzi, furono promossi.
    Vedere espressa, nei fatti, nei comportamenti ufficiali, nelle dichiarazioni, la concezione statunitense della parola "giustizia", è veramente imbarazzante...
    Attualmente ai militari americani, impegnati in missioni caratterizzate dalla cosiddetta "ingerenza umanitaria", è garantita l'immunità per un anno di fronte alla nuova Corte penale internazionale per i crimini di guerra.
    Il Consiglio ONU -ricordiamo- adottò, il 13 luglio 2002, un testo di compromesso che non corrispondeva pienamente alle richieste USA di garantire l'immunità assoluta dalla corte ai militari americani, ma impediva che l'amministrazione Bush ponesse il veto sulle missioni di pace, come aveva minacciato di fare in caso di mancato accordo.
    In cambio di questa "concessione", l'ambasciatore britannico, Sir Jeremy Greenstock, presidente del Consiglio, ottenne un'immediata estensione della missione di "peace-keeping" in Bosnia e un prolungamento di quella minore localizzata nella penisola di Prevlaka in Croazia.
    L'ambasciatore USA John Negroponte minacciò i sostenitori della Corte dicendo, testualmente, che «… nel caso in cui la Corte penale internazionale dovesse eventualmente detenere un americano, gli Stati Uniti lo considereranno illegittimo. Nessuna Nazione deve sottovalutare il nostro impegno a proteggere i nostri cittadini».
    La Corte Penale Internazionale è stata creata per giudicare i crimini più atroci contro l'umanità: genocidio, crimini di guerra e sistematiche violazioni dei diritti umani, ma gli Stati Uniti, i "gendarmi" del mondo, impegnati a "sorvegliare e punire" quelli che vengono considerati "Paesi canaglia", dopo essersi arrogati il diritto di "ricattare" con le armi del terrore "umanitario", e con la viltà dell'embargo, popoli liberi, spezzandone la dignità e la sovranità, e "sequestrando" capi di Stato per sottoporli a processi-farsa, «non ci stanno»: la visione unilaterale della "giustizia infinita" non permette agli americani di tollerare che militari USA possano essere giudicati in una Corte Penale Internazionale, come altri "comuni mortali".
    «La funzionalità del Tribunale potrebbe "ostacolare" le operazioni delle truppe americane dislocate in vari Paesi del mondo in "missioni di pace" -sostiene la diplomazia americana- laddove "ostacolare" sta per "arginare" lo strapotere e l'arroganza infinita dei "padroni del mondo"».
    Gli USA non accettano "rischi" per i propri cittadini, esponenti, evidentemente, di una "stirpe padrona", inviata su questa terra per sorvegliare e punire i "Paesi-canaglia", di volta in volta individuati in quelle nazioni e in quei popoli non addomesticati e non omologati che possano mettere in dubbio la verità assoluta del dominio atlantico sul mondo.
    Avevamo già visto, dopo l'11 settembre, quale fosse, sul fronte interno, lo sviluppo del concetto tutto americano di "democrazia" e "diritto": con l'abrogazione del "Bill of Rights", con la cancellazione di fatto del Quinto Emendamento, quell'Emendamento che garantiva -teoricamente- ogni cittadino contro la privazione della libertà, della proprietà, e della vita stessa.
    In base alle leggi post 11 settembre, centinaia, se non migliaia, di persone sono state arrestate negli USA per sospette attività antiamericane, e non si sa neanche dove siano detenute. Male per un Paese che, fra i motivi per attaccare l'Iraq, ha addotto quello della violazione dei diritti umani.
    Da che pulpito…
    Ovviamente tutto è diverso quando si tratta di sottoporre a processi -chiaramente processi puramente politici- "i cattivi", coloro che sono definiti a priori «colpevoli di crimini contro l'umanità» ancor prima che il Tribunale emetta la sentenza... scontata, di colpevolezza: vedi Slobodan Milosevic, davanti al Tribunale dell'Aja.
    Gli USA usano il ricatto di ritirare la loro partecipazione alle "missioni di pace" (si fa per dire…) sotto l'egida dell'ONU, se il Consiglio non metterà i militari USA «fuori dalla giurisdizione del tribunale internazionale», non soltanto per 12 mesi, ma senza alcun limite, ratificando, di fatto, quella che si configura come «immunità per i crimini americani contro l'umanità».
    Berlusconi, il più realista di tutti i re -soprattutto dopo che Bush gli ha regalato il giubbino texano uguale al suo- continua a dar prova di un servilismo politico del nostro Paese, di proporzioni superiori ad ogni aspettativa, come gli Stati Uniti comandano.


    Maria Lina Veca
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    Predefinito Re: Milosevic: a che punto è la notte?

    In base alle leggi post 11 settembre, centinaia, se non migliaia, di persone sono state arrestate negli USA per sospette attività antiamericane

    TOTILA E DER WERWOLF,
    DEV' ESSERE UN CARCERE MODELLO QUELLO IN CUI VI TROVATE,
    VI DANNO ANCHE I PC SU CUI POSTARE....

  3. #3
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    Predefinito

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