26.03.2004
Tre anni dopo
di Antonio Padellaro
Domenica 28 marzo, l’Unità compie tre anni. Più precisamente: il 28 marzo 2001, dopo aver chiuso i battenti per otto lunghi mesi a causa di una situazione finanziaria insostenibile l’Unità è ritornata nelle edicole. Non è una ricorrenza particolare (nei giorni scorsi abbiamo festeggiato gli storici 80 anni di questa gloriosa testata). Ma per chi scrive questa data rappresenta l’occasione per un bilancio. Fu in quel marzo, infatti, che insieme a Furio Colombo entrai per la prima volta nelle stanze di via Due Macelli.
Date le circostanze ero, ovviamente, piuttosto spaventato. Mi aggiravo tra scrivanie abbandonate e telefoni staccati. Ad Alessandro Dalai che mi offriva la condirezione di un giornale che ancora non c’era ricordo di aver detto, in una botta non so se di ottimismo o di disperazione: diamoci tre anni di tempo, anche se forse dureremo tre mesi...
È andata bene. Il triennio adesso si è compiuto e non starò qui a sfogliare le pagine di questa straordinaria esperienza umana e professionale. Per raccontarla tutta ci vorrebbe, come si dice, un libro.
I rendiconti, per fortuna, occupano meno spazio, e per spiegare che cos’è oggi l’Unità bastano pochi numeri. Vendita media a marzo: 67023 copie, che con gli abbonamenti diventano 70mila copie. Rispetto all’anno scorso c’è un incremento piccolo, ma c’è. Secondo i dati Audipress, l'Unità ha un rapporto copia-lettore piuttosto alto: ogni giorno sono oltre 400mila le persone che sfogliano questo giornale. Una platea piuttosto affollata in un paese che, notoriamente, frequenta poco i quotidiani.
I conti sono a posto, dice Giorgio Poidomani, il nostro amministratore delegato. Aggiunge che se ci dessero pubblicità saremmo ancora più tranquilli. L’azienda Unità paga regolarmente gli stipendi a 86 giornalisti e a 46 poligrafici. Dai giorni delle scrivanie abbandonate, dei telefoni staccati, del fallimento incombente, qualche passo avanti è stato fatto.
I protagonisti di questo risultato sono molti. Una redazione dove lavora il fior fiore del giornalismo italiano, come ha detto Emanuele Macaluso, ex direttore del l’Unità nella bella intervista a Bruno Gravagnuolo. Una proprietà costantemente impegnata a rafforzare l’impresa e l’autonomia della testata, come ha spiegato ieri su queste pagine Marialina Marcucci, presidente della Nie, società editrice de l’Unità.
Ma, soprattutto, il popolo de l’Unità: una moltitudine di lettori fedeli e appassionati quanto mai (anche nella critica) che nessun altro giornale ha la fortuna di avere. Poi c’è la direzione. Ne parleremo, ma dopo alcune inevitabili domande.
Abbiamo visto le cose che funzionano. Cos’è, invece, che non va? Perché tante tensioni intorno al giornale (non dentro al giornale)? Che futuro ci aspetta? L’Unità sarà ancora quella che è stata in questi tre anni? Diciamo subito che sulla pelle de l’Unità, si sta svolgendo, e non da oggi, un gioco per così dire mediatico-diffamatorio.
Non alludiamo, evidentemente, ai tanti giornali seri che ci dedicano la loro attenzione, e che ascoltano il nostro punto di vista insieme a quello di chi non lo condivide. Parliamo degli avvelenatori di professione. Parliamo delle operose mosche cavalline, sempre pronte a raccogliere qualsiasi spazzatura possa deturpare l’immagine di questo giornale o infangare il nostro lavoro. Parliamo degli appassionati, e variamente colorati, propagatori di notizie infondate che da tre anni, un giorno sì e l’altro pure, annunciano la cacciata del direttore e del condirettore de l’Unità e una redazione finalmente «normalizzata».
Cosa tormenti costoro è un mistero. Forse un’infanzia infelice. Forse antichi trascorsi a via Due Macelli: chissà, il rimorso di aver percepito ricche liquidazioni mentre tutto crollava. Forse la frustrazione per essere stati smentiti nelle loro profezie di sventura riguardo a un giornale che preferivano vedere morto e sepolto e che invece vive e prospera.
Inevitabile che, alla lunga, questo tam tam della denigrazione finisca per addensare sulle nostre teste un’infida nuvola di sospetti e maldicenze.
Del tutto naturale che l’annuncio periodico e bugiardo di epurazioni, sostituzioni, dimissioni finisca per creare un clima di apprensione tra coloro che a questa testata prestano la loro opera e la loro fiducia. Ed ecco che una parte del tempo che dovrebbe essere dedicato alla cura del giornale finisce per evaporare in un faticoso tentativo di parare i colpi, di limitare i danni.
È una situazione che non siamo disposti a sopportare oltre. Certo: ci sono polemiche che non nascono dal nulla. Dal 29 marzo 2001 in poi, l’Unità ha condotto un’opposizione intransigente al governo Berlusconi; ed è comprensibile che Berlusconi, e i suoi adepti, ce l’abbiano con l’Unità. No, quello che ci sorprende è il cosiddetto fuoco amico che, dispiace dirlo, troppo spesso ci arriva addosso da uomini e ambienti della Quercia.
Non è di Fassino che stiamo parlando. Il segretario ds ci sostiene, lo abbiamo sempre avuto vicino nei momenti difficili, è un amico de l’Unità. E come i veri amici, quando non è d’accordo con noi lo dice a viso aperto. Ciò che lascia perplessi sono certi spifferi gelidi e immotivati. Sentir parlare, per esempio, de l’Unità come di un organo dell’estremismo di sinistra più esagitato.
Oppure vedersi attribuire - noi che abbiamo sempre considerato la candidatura di Romano Prodi contro Berlusconi decisiva per salvare la democrazia in Italia - una sorta di malcelata freddezza nei confronti della Lista unitaria. Non tornerò infine sui nostri titoli dopo l’aggressione subita da Fassino al corteo per la pace. Furio Colombo ha scritto in proposito tutto ciò che c’era da scrivere. La nostra solidarietà al segretario dei Ds è sempre stata fuori discussione.
Sappiamo bene che nessuno vuole trasformare l’Unità in un bollettino acritico di partito; che nessuno vuole impedirci di dare voce a tutte le altre voci del centrosinistra e dell’opposizione (a quelle bene inteso che hanno a cuore l’unità della coalizione). Lo sappiamo bene perché altrimenti nè Furio Colombo nè io potremmo restare un minuto di più alla guida di questo giornale.
Ancora una parola infine su Colombo e Padellaro. Non per mania di protagonismo ma perché i colleghi degli altri giornali continuano a chiederci se ci saranno cambiamenti al vertice del l’Unità. La risposta è semplice. Non esistono direzioni eterne. Esistono direzioni che continuano ad avere la fiducia della proprietà, dei colleghi, dei lettori. Questa è la nostra bussola.