....Europa

Roma. “Per questa settimana, non ci sono le condizioni di un decreto salvacalcio”.
L’annuncio di Paolo Bonaiuti ha fatto esultare il coordinatore leghista Roberto Calderoli, “il primo tempo della partita si chiude sul risultato Lega 1 calciotruffa 0”.
E Gianfranco Fini ha dovuto ammettere che “il rischio c’è”, ad alcuni club potrebbe saltare l’abilitazione Uefa.
Continueranno nei prossimi giorni approfondimenti tecnici, perché in effetti di carne al fuoco ce n’è tanta e una pura dilazione di quanto devono al fisco, per società iperindebitate e i cui proventi sono di tanto inferiori alle spese, lascerebbe gli squilibri di sistema del tutto irrisolti.

Detto questo, l’Italia non è il solo paese in cui le società di calcio usufruiscono di agevolazioni.
Anche negli altri Stati europei il fisco aiuta le imprese del pallone e in Europa concedere sussidi al football non è un’anomalia. Il problema è il come.
Lo dicono le 620 pagine del rapporto “Progetto calcio”, elaborato da due massimi esperti del settore, l’avvocato Vincenzo Donnamaria, responsabile di KLegal (i legali e i fiscalisti associati alla società di consulenza Kpmg), e Massimo Visconti, sempre della Kpmg. I due professionisti hanno avuto mandato dal Credito sportivo di studiare i regimi tributari e legali degli Stati europei per le aziende di calcio. Dopo mesi di lavoro ecco il rapporto, ora all’esame della Lega Calcio, che si conclude anche con alcuni consigli per il disastro italiano.

La Spagna? Lì, scrivono i consulenti, “è prevista la possibilità per le società di calcio di esentare le plusvalenze generate dalla cessione dei calciatori del 20 per cento”. Norme ad hoc anche in Inghilterra, dove “esistono agevolazioni concesse sotto forma di crediti di imposta per la ristrutturazione degli stadi”. “In Belgio è prevista la deduzione forfettaria dei costi sostenuti dai club per i volontari che lavorano negli stadi, indipendentemente dall’iscrizione in bilancio”.

E l’Italia? Dopo aver messo a confronto le legislazioni dell’Unione europea, gli esperti tirano le somme: “L’Italia risulta essere l’unico paese europeo dove società in perdita (come appunto le società di calcio) pagano consistenti tributi in sede di dichiarazioni dei redditi.
Infatti, la concomitanza di due elementi – enorme incidenza del costo del lavoro dei calciatori (che nelle società di calcio pesano per circa l’80 per cento) e indeducibilità di tali costi ai fini Irap (l’Imposta sul reddito delle attività produttive) – porta al debito erariale in presenza di situazioni di consistenti perdite”.

Un consiglio, stop alle quotazioni in Borsa
Si dirà: va bene, ma dateci qualche numero. Ecco allora alcuni dei dati essenziali.
Capitolo “imposte dirette”: soltanto in due Stati vigono aliquote più alte di quella italiana (33 per cento), in Germania al 44 e in Spagna al 35 per cento. In tutti gli altri paesi sono più basse. Occorre però tenere presente che in Italia la pressione fiscale sulle società di calcio risulta aggravata dall’applicazione dell’Irap. Passiamo al capitolo “imposte indirette”, ossia all’Iva.
Il rapporto è chiaro: “L’Italia insieme al Belgio presenta l’aliquota più elevata”.
C’è di più, fanno notare i consulenti:
“Le società di calcio non soltanto pagano l’Iva, ma la devono anche applicare sul costo dei biglietti con aliquota piena”.

Diverse, e di norma più generose, le altre legislazioni.
In Francia è prevista un’esenzione Iva sui biglietti d’ingresso allo stadio, in quanto si applica un’imposta sostitutiva dell’8 per cento, mentre in Olanda l’aliquota è ridotta al 6 per cento. Anche con riferimento ai calciatori, secondo il rapporto, da noi “il livello di tassazione si pone ai livelli più elevati”.
In Belgio, per esempio, una parte del salario (circa il 30 per cento) percepito dal giocatore non viene tassato ed è destinato a un fondo pensione; quanto accumulato in tale fondo viene erogato al calciatore al raggiungimento del 40° anno e tassato separatamente con aliquota del 16,5 per cento.

Come uscirne, per evitare il crac e stadi in fiamme come l’Olimpico domenica? I tecnici Kpmg hanno stilato una sorta di decalogo.
Lasciar perdere altre quotazioni in Borsa, in primo luogo.
Imporre con un gentlemen’s agreement un tetto ai salari dei
calciatori.
Inserire negli attivi patrimoniali delle aziende gli asset aziendali. Spiega al Foglio l’avvocato Vincenzo Donnamaria: “Una boccata d’ossigeno per i bilanci verrebbe dall’inserimento nell’attivo patrimoniale ad esempio dei giocatori cresciuti nelle giovanili, e divenuti nel tempo dei campioni. Inoltre si può includere nell’attivo di bilancio anche il marchio della società stessa, previa approvazione dei revisori. E sarebbe ora che le aziende non si accollassero più i costi dei procuratori che lavorano per i giocatori”.
Ancora qualche giorno, e vedremo se i loro consigli verranno recepiti.
Per ora la soluzione non c’è.

su il Foglio di giovedì 25 marzo

saluti