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    Predefinito Amato: "Torna un vizio della sinistra: il nemico è il riformista"

    Solidarietà a Piero Fassino
    Amato: "Torna un vizio della sinistra: il nemico è il riformista"
    Vittorio Ragone

    22-03-2004 la Repubblica

    ROMA - «Facinorosi», «intolleranti, e per di più in nome della pace». Giuliano Amato condanna i contestatori di Fassino e dà la sua solidarietà al leader ds. Il quale - tiene a chiarire - «non è solo», e può contare sul sostegno dei gruppi dirigenti dell´Ulivo.
    Passate le ore dei tafferugli in piazza e della febbre mediatica, però, ad Amato interessa ora capire che cosa sia e quanto sia riconducibile a un progetto di governo il «popolo della pace», quel milione di persone che non lanciano lattine e che sabato scorreva tranquillo nella sua coreografia di bandiere e simboli arcobaleno.
    La prima, intuitiva diagnosi è che è ricomparsa una classica malattia della sinistra: quella che ti fa vedere il nemico non in chi milita dall´altra parte della barricata, ma «nel riformista che sta da questa parte». Malattia da sconfiggere attraverso il confronto delle idee, dice l´ex premier, e mettendo in un angolo il radicalismo del «tutti a casa, via da Bagdad». Per riuscirci, serve una politica di «governo dei conflitti» che - protagonista l´Europa «da Zapatero a Blair» - rapidamente porti a «riorganizzare l´intervento in Iraq».
    Presidente Amato, davvero un brutto spettacolo l´altro giorno al corteo pacifista. Le contestazioni a Fassino, la «cacciata» del leader ds. Che ne pensa?
    «Quel che è avvenuto nel corteo è stato un pessimo esempio di intolleranza, e per di più in nome del pacifismo. Quanto di peggio e di più contraddittorio potesse accadere».
    Secondo lei c´era un modo per evitare tecnicamente - diciamo così - gli incidenti? Prenda Rutelli, per esempio: si è presentato direttamente al circo Massimo.
    «Non sono in grado di dire, perché io ero fuori e tra l´altro della vicenda ho appreso in tarda serata. So che Rutelli ha deciso in quel modo perché nella mattinata era a Torino con me, a un convegno di Reset su Bobbio, ed è rientrato a Roma nel pomeriggio».
    Resta il fatto che Fassino era «al suo posto», per dirla con lui. Ha mostrato coraggio, politico e non politico.
    «Se quella era una manifestazione per la pace, chi - come Fassino - rappresenta il riformismo per la pace aveva ogni sacrosanto diritto di esserci e di esprimere la sua idea. Idea che fra l´altro è giustamente diversa da quella - non dirò dei facinorosi, perché la loro non è un´idea ma una pessima azione - ma dei pacifisti assoluti, che sono e che io considero una parte più che legittima del centrosinistra, ma che a mio avviso sbagliano proprio nel modo di perseguire ciò che tutti noi perseguiamo, cioè la pace. A loro avrebbe fatto un gran bene ascoltare Fassino, e farà un gran bene discutere con lui, con me e con altri».
    È convinto che finirà così? Per una parte dei pacifisti in corteo il vero bersaglio sembrava Fassino, non Berlusconi.
    «Questo è certamente un punto politico di sostanza, che fa riemergere una delle pulsioni più terribili della sinistra: e cioè che chi si considera più a sinistra di altri identifica come proprio nemico non quello che sta dall´altra parte ma il riformista che sta da questa parte. Un antico classico, che è stato alla base della lotta fratricida tra comunisti e socialisti, in passato».
    A parte i facinorosi, quale mondo c´era in piazza, secondo lei, l´altra sera? E come farete a incanalare quelle spinte non contro ma verso una via «riformista» alla pace?
    «Intanto, mettiamo sul tavolo le idee: perché la politica dev´essere confronto di idee, perbacco, segnatamente all´interno del centrosinistra: non battaglia ma confronto di idee. E vado al punto che mi sta veramente a cuore. Che cos´è costruire la pace? E´ estraniarsi dalle vicende che determinano guerre e conflitti o starci dentro in modo da prevenirli o governarli, i conflitti? Nella manifestazione dell´altro giorno è sembrato che per ottenere la pace sia necessario ritirare le truppe italiane dall´Iraq. Ne desumo che chi pensa questo ritiene che una volta ritirate le truppe ci sarà la pace. Una volta ritirate le truppe, invece, noi ci saremo semplicemente chiusi in casa nostra. Il mondo continua coi suoi guai. E se chiudiamo anche i televisori riusciremo a non vedere quello che continuerà ad accadere».
    La spaventa l´autarchia pacifista.
    «Vede, io non credo che questo fosse l´intendimento di tutti, in piazza, perché so benissimo che i manifestanti chiedono che si faccia altro, oltre ad usare risorse militari. E sono sacrosantamente d´accordo col fatto che occorre fare altro, e che la risorsa militare è l´ultima delle risorse, non la prima. Invito a riflettere, però, su quel che è successo nella scorsa settimana in Kosovo. I pacifisti amano i prati nei quali i bambini raccolgono i fiori. E allora: in quei prati del Kosovo tre ragazzi serbi hanno inseguito tre bambini albanesi e i bambini albanesi sono affogati in acqua, e i genitori dei bambini albanesi hanno cominciato a massacrare i serbi. Che cosa sarebbe accaduto se non ci fossero state le truppe Nato, che sono state immediatamente mandate lì per fermare la carneficina? E che cosa dicono di questo i figli e i padri dei fiori?».
    Questo non risolve le divergenze sull´intervento militare in Iraq.
    «Tornando all´Iraq, la soluzione qual è? Che noi comunque ce ne andiamo e poi Dio vede e provvede, o che dobbiamo insieme agli altri paesi europei organizzare la stessa presenza militare in modo da far sì che questa assuma un significato diverso da quella occupazione di impronta esclusivamente statunitense che ha necessariamente assunto dall´inizio delle operazioni? Che poi è esattamente il punto al quale arriverà Zapatero».
    Zapatero forse ci arriverà, ma oggi non è lì. Oggi chiede il ritiro delle truppe con un tono indiscutibilmente più ultimativo.
    «Zapatero ha fatto una campagna elettorale. Siamo onesti: è ben possibile che della sua frase complessiva - "ritireremo le truppe a giugno, a meno che..." - l´accento sia caduto più sul "ritireremo" che sull´ "a meno che". Però c´è il "ritireremo" e c´è l´ "a meno che".
    Comunque decida Zapatero, lui al governo c´è arrivato. Declinare la sua stessa tesi dall´opposizione, come si è visto in queste settimane, comporta qualche serissimo trauma nel centrosinistra.
    «Comporta dei problemi in più, non c´è dubbio. Ma non può esservi differenza, in termini di enunciazione politica, fra la posizione che si declina stando in maggioranza e quella che si declina stando all´opposizione. Altrimenti ne dovrei desumere che se si è all´opposizione basta dire: "Ritiriamo le truppe", e che il problema di organizzare l´intervento diversamente è solo di chi è al governo. Inaccettabile: questo significherebbe teorizzare l´irresponsabilità dell´opposizione. Ma c´è un elemento in più. Noi siamo in Europa, e quindi siamo parte di famiglie politiche europee. All´interno della famiglia politica di centrosinistra noi interagiamo con primi ministri di centrosinistra. E allora è nostra responsabilità, e possiamo esercitarla, fare in modo che sulla riorganizzazione dell´intervento Zapatero e Blair vengano messi in condizioni di perseguire la stessa linea. Alla fin fine Blair si è accorto, nelle ultime settimane, che ha più bisogno lui stesso di stare in Europa. E lo ha dimostrato concretamente».
    «All´opposizione e al governo una sola parola»: è l´essenza del riformismo, d´accordo. Ma in Italia dare un´interpretazione pratica di questo assioma pare più arduo che altrove. Come rivela la stessa vicenda Fassino, preceduta da una contrattazione estenuante con alleati che domani dovrebbero governare insieme con il segretario ds e con lei. È un bel rebus.
    «Non c´è dubbio. Io ho sentito dire qualche volta, da miei amici dei partiti più duri dell´Ulivo, che alla fin fine noi ora non siamo al governo. E siccome non ci siamo, viene detto, noi ci comportiamo così come ci serve per - volendo usare la terminologia astratta della politica - rafforzare la nostra identità. Ora: rafforzare questa identità sparando sul maggiore esponente del riformismo socialista significa fare un danno colossale all´insieme. Significa dare a chi ci guarda la sensazione che non solo al governo non ci siamo, ma evidentemente nel nostro insieme, come coalizione, non siamo forse capaci di andarci».
    I Ds hanno avuto una reazione durissima. Non teme che finisca in crisi non solo la lista unitaria, ma la stessa possibilità del centrosinistra di governare insieme?
    «No, non lo penso. Anzi. Quando si arriva al dunque, quando un problema ha covato sotto la cenere, allora vuol dire che oportet ut scandala eveniant. Una volta che questo è accaduto, ne sono convinto, ci aiuterà a capire qual è la strada che va imboccata».
    Anche se un alleato legittima chi usa la mazza nel corteo e l´altro lo accusa di tradimento?
    «A volte succede anche in famiglia che avvengano dispute accese di questa natura. E ci sono psicologi che dicono che è bene che ciò accada, perché tenersi tutto dentro può alla fine provocare risultati peggiori».
    Definirebbe i contestatori untorelli, secondo una indimenticata espressione berlingueriana? Voglio dire: c´è sostanza per un parallelo fra il ?77, gli anni di piombo e gli incidenti nel corteo?
    «C´è una costante storica che prescinde dalle ere e dalle ideologie che nutrono le ere, per cui in qualunque manifestazione pacifica si infilano dei facinorosi. Questo fa parte della realtà umana, è di per sé ineliminabile. I facinorosi vengono sempre accesi da qualche fiammifero, e il fiammifero era questa disputa, che dobbiamo discutere e chiarire, sul modo di perseguire la pace. Io continuo ad avere una grande fiducia nelle idee».
    Non si sfugge alla sensazione di una condizione di solitudine di Fassino. La presenza nel corteo con quel risultato, certe solidarietà arrivate con qualche ritardo mentre il Polo si precipitava, magari pelosamente, a dargli appoggio... Non c´è una sgradevole mancanza di solidarietà fra i gruppi dirigenti del centrosinistra?
    «Non credo che sia così. Stiamo attenti a non amplificare fatti che possono avere ragioni assolutamente contingenti. Fassino è solo perché è alto. Lassù è solo».
    A ricucire coi girotondi andò lui, però. E le contestazioni le prende lui...
    «Fassino non si sottrae mai. In questo è assolutamente bravo. Se lei dice che è uno che lo fa più di altri, sono d´accordo. Ma la solidarietà non è in discussione. Credo che non solo Dio gliene renda merito».

  2. #2
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    non si parlava del giornale......

 

 

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