Vi ricordate del magnate russo Sulejman Kerminov ? Voleva comprarsi la società calcistica della "Roma" ma l'affare non andò in porto. In quei giorni Massimo Fini scrisse una lettera provocaria al quotidiano "Libero" dove...
Caro Vittorio, dopo che Roman Abramovich si è comprato la squadra inglese del Chelsea, buttandoci, e finora perdendoci, alcune centinaia di miliardi, un altro magnate russo, Sulejman Kerminov, dubbio e chiacchieratissimo finanziere trentottenne venuto dal nulla, che controlla la Nafta Moskva, una società specializzata in compravendita di aziende, vuole prendersi la Roma, Totti incluso, per 400 milioni di euro. Non è detto che l'affare vada in porto.
All'ultimo momento, è notizia di ieri, sono sorti degli intoppi, ma l'offerta c'è stata e credibile. Tu ti chiederai, e con te il lettore, com'è possibile che la Russia pulluli di magnati, disposti a buttar via soldi come gli emiri arabi che non san più cosa comprare, quando la sua popolazione è ridotta alla fame o quasi. In realtà i due fenomeni sono strettamente interdipendenti.
Ogni volta che il libero mercato di tipo occidentale entra in un Paese che non ne conosceva le bellurie, crea insieme ad alcune spettacolari ricchezze, quasi sempre di dubbia origine, miseria e disperazione. Così è stata distrutta l'Africa nera. Così sono stati disgregati tutti i Paesi del Terzo Mondo venuti a contatto col nostro sistema e inseriti, volenti o nolenti, nella globalizzazione economica (ne abbiamo un esempio vicinissimo: l'Albania, paese di contadini e pastori ben nutriti finché è stata autarchica e ora ridotta a una succursale della criminalità balcanica). E così sta avvenendo in Russia.
Il libero mercato ha distrutto le poche, povere, ma concrete, conquiste del "socialismo reale". La piena occupazione era una realtà in Unione Sovietica. Se all'epoca, a Mosca, a Leningrado, a Saratov o in qualsiasi altra grande città non si vedevano mendicanti non era perché la polizia li spediva nei gulag. Oggi i disoccupati sono 16 milioni e, secondo alcune stime, dovrebbero diventare quaranta entro il 2015, a meno che la popolazione non si sottoponga a deportazioni di tipo staliniano. I prezzi dei beni essenziali (cibo, affitto, trasporti, telefono) erano bassissimi (l'affitto incideva per il 5% del salario). Era il superfluo che mancava (da qui le famose code e il commercio di tutto contro tutto - un biglietto del Bolscioi per un golf di Shetland), non il necessario. L'inflazione non esisteva. Il prezzo del pane è rimasto fermo dal 1954 fino all'avvento di quell'imbecille di Gorbaciov (distruggi un Impero e andrai a Sanremo).
Oggi con lo stipendio di un professore universitario si compra un mezzo pollo. Così in tutte le grandi città (nelle campagne le cose vanno un po' meglio perché la popolazione vive sostanzialmente di autoproduzione e di autoconsumo, dipende meno dal denaro), la gente, uomini e donne, se non diventa criminale non può far altro che prostituirsi e corrompersi. Oggi Mosca è un gigantesco bordello a buon mercato, i cui tenutari sono, appunto, gli Abramovich, i Kerimov, gli Andreyev, gli Oleg Deripaska. E parte di questa prostituzione collettiva si riversa, insieme a quella ungherese e rumena, in Europa occidentale, come possiamo constatare anche noi in Italia vedendo bellissime ragazze russe che si vendono, nei night o in luoghi similari, per pochi soldi o che vanno a incrementare, sempre per pochi soldi, il mercato delle videocassette porno. E quasi sempre sono ragazze di buona famiglia, curate, colte, laureate in biologia, in scienze naturali e persino in ingegneria nucleare.
Nel frattempo nella Russia dell'"amico Putin", nella Russia democratica, l'aspettativa di vita è scesa di cinque anni, l'incidenza delle malattie cardiovascolari è aumentata del 65% per gli uomini e del 25% per le donne, i suicidi sono sei volte di più della media europea, i criminali dal 1985, anno dell'inizio della perestroika gorbaciovana, sono aumentati di dieci milioni e i russi non fanno più figli: dal 1992, anno della dissoluzione dell'Impero, la popolazione è passata da 148,7 a 144,5 milioni. Sono tutti segnali di un disagio acutissimo: l'esistenza, per i russi, si è fatta invivibile. Perché una cosa è, caro Vittorio, essere poveri dove tutti, più o meno, lo sono, com'era nella vecchia Urss ( la nomenklatura aveva la buona creanza di non farsi vedere: aveva i suoi quartieri, i suoi spacci, i suoi ospedali, i suoi aeroporti e persino le corsie stradali preferenziali dove le Zil nere - mi pare che fossero le Zil - passavano silenziose con i vetri pudicamente oscurati), altra è essere poveri dove brilla l'opulenza.
Il russo, che fa fatica a quadrare il pranzo con la cena, diventa pazzo nel vedere che il vicino, colpito da una improvvisa ricchezza di cui non si riescono a capire i motivi, entra nei ristoranti da cento dollari a pasto. Questo non è più essere poveri, significa precipitare nella categoria sociologica dei miserabili.
L'errore fatale dell'Occidente (fatale, alla lunga anche per noi) è quello di voler introdurre a forza la propria economia e la propria ideologia in culture che sono profondamente e, a volte ,radicalmente diverse, si tratti di neri africani, di arabi, di afgani o, appunto, di russi. I russi non sono fatti per la kunkurrenzkampf occidentale. Non perché vi siano stati disabituati da settant'anni di comunismo, ma per indole. Il russo è pigro, indolente, non ha il concetto del risparmio e tantomeno dell'investimento, per lui il denaro vale sempre meno di una buona occasione per spenderlo. In ogni russo, per quanto ridotto con le pezze al culo, dorme l'anima di un principe dostoevskijano, quello che ha spende o piuttosto dilapida.
Quando ero da quelle parti mi ricordo che gli italiani venivano presi in giro perché, nei negozi o sui taxi, pretendevano il resto. Era considerata una deplorevole mancanza di gusto. È un popolo generoso, passionale, malinconico, masochista e insieme orgoglioso, intimamente mistico, profondo, che più che al futuro guarda al passato, lontanissimo dall'ottuso ottimismo americano. Ha una mentalità premoderna, feudale. Ha solo bisogno di essere lasciato in pace.
Aver introdotto a forza, in questo contesto, il sistema occidentale ha causato il disastro. Solgenitsin, che conosce i suoi polli, e che non può essere accusato di nostalgie comuniste da nessuno, nemmeno da Berlusconi, aveva avvertito: «Va bene il libero mercato anche da noi. Ma a piccole dosi. Piccolo mercato, piccola impresa, piccolo commercio». E l'ayatollah Khomeini, che Allah l'abbia sempre in gloria, in una straordinaria lettera a Gorbaciov gli aveva detto: «Ora che vi siete sbarazzati del comuni- smo non fate l'errore di abbracciare il capitalismo».
E persino io, che non ho nulla a che fare con quei giganti ma che, essendo di madre russa, conosco i miei consanguinei, all'indomani della vittoria di Eltsin e dei radicali avevo scritto: «I radicali dovrebbero avere la sapienza, l'umiltà, il coraggio, mentre portano fino i fondo la loro sacrosanta battaglia per le libertà civili, di fare invece molti passi indietro, almeno per un lungo periodo, sul piano delle libertà economiche. Ma non lo faranno. Essi han la tragica pretesa di voler applicare in terra di Russia i principi del capitalismo con la stessa astrattezza ideologica con cui, sino a ieri, i marxistileninisti vi hanno imposto il loro modello». ("I radicali trionfano sui golpisti, ma Mosca avrà fame", Europeo, 30/09/91). È andata proprio così. Ma la responsabilità non è tanto dei nuovi dirigenti "democratici" russi, degli autentici delinquenti, da Eltsin a Putin, attenti solo al proprio potere, col sostegno degli Abramovich, dei Kerimov, dei Deripaska e affini, ma dell'occidente che ha visto nella Russia e nella sua popolazione solo un immenso mercato, una meravigliosa occasione per fare affari.
E così abbiamo puntato alla gola dei russi il coltello del Fondo monetario internazionale e abbiamo detto loro: o vi convertite ai nostri sistemi, senza se e senza ma, o non vi prestiamo nemmeno un soldo. E mentre ci scandalizziamo perché Sulejman Kerimov potrebbe acquistare la Roma, noi italiani, insieme agli altri occidentali, compriamo a prezzi d'affezione brani della terra dei russi, i loro palazzi, le loro collezioni, i loro ori, i loro corpi, le loro anime. Ma questa avidità, oltre che di un cinismo ripugnante, è pericolosamente miope. Perché prima o poi, più prima che poi, la pigra, indolente, immensa Russia esploderà e la sua deflagrazione sarà devastante per tutti.
Massimo Fini
Libero 2.03.04