"L'abito non fa il monaco", recita un vecchio adagio, intendendo con ciò che non basta la tonaca ad attestare le buone qualità di un sacerdote. Il problema, però, è che oggi la vecchia talare non la porta quasi più nessuno e si potrebbe malignare che se manca persino la veste, figuriamoci il resto... La lunga tonaca nera, rimasta appannaggio dei preti tradizionalisti e di qualche raro e ostinato "nostagico", ha lasciato il posto al pret à porter e alle tenute più originali, che assimilano il sacerdote all'uomo della strada. Le ultime tendenze dei religiosi in fatto di abbigliamento rispecchiano alla perfezione la nuova concezione "mondana" del sacerdozio: il prete si spoglia di ciò che anche materialmente lo caratterizza, ed entra nella vita quotidiana non più come ministro di Dio ma come "operatore", non si mette più in relazione con le necessità delle anime ma con quelle dei corpi. Gesù Cristo ha mandato i suoi apostoli tra la gente ammonendoli però di "non essere del mondo": un monito dimenticato dalla nuova dottrina, sempre meno trascendente e sempre più "sociale" che si è affermata nella Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi. Il risultato di questa "conversione" è la perdita dell'identità cattolica, che si riscontra nel magistero ma anche nel ruolo e nell'immagine stessa degli uomini di Chiesa. Certo, l'abito religioso è solo un simbolo, ma non c'è nulla come la fede che viva di simboli: ce ne siamo accorti quando abbiamo scoperto la necessità di difendere la presenza del Crocefisso nei luoghi pubblici. L'autorità ecclesiastica è sempre stata consapevole dell'importanza che esercita nella coscienza di un popolo l'affermazione della propria identità religiosa. Anche in questi tempi di lassismo, esistono precise disposizioni riguardo alla tenuta dei religiosi. Prescrizioni vincolanti come quelle del Diritto canonico (il Codice promulgato da Giovanni Paolo II) e della Conferenza episcopale italiana. Vediamole. Can. 284: «I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale». Can. 669: «I religiosi portino l'abito dell'istituto a cui appartengono, quale segno della loro consacrazione e come testimonianza di povertà. I religiosi chierici di un istituto che non abbia un abito particolare, useranno l'abito clericale a norma del can. 284». Art. 2: «Salve le prescrizioni per le celebrazioni liturgiche, il clero in pubblico deve indossare l'abito talare (la tonaca sacerdotale, ndr) o almeno il clergyman» (Conferenza episcopale italiana, delibere sul Codice di Diritto Canonico).
Insomma, se la questione della riconoscibilità sacerdotale viene posta in termini tanto espliciti e intransigenti dall'autorità ecclesiastica, come si spiega tanta insubordinazione da parte dei sacerdoti a questa sottoposti? Forse perchè l'abito civile permetterà a qualche prete di fede incerta di risparmiare tempo quando deciderà di gettare la tonaca alle ortiche...
Gi. Fer.
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[Data pubblicazione: 04/04/2004]