08.04.2004
Una mozione alle due Camere: «I militari italiani tornino subito dall'Iraq»
di ma.deb.
Gli ultimi tragici eventi accaduti in Iraq e in particolar modo a Nassiriya, dove il contingente italiano ha represso con la forza una manifestazione di militanti sciiti, causando la morte di 15 persone, hanno portato di nuovo, d'attualità, la richiesta del movimento di un immediato ritiro delle truppe. Ma non solo. Saranno presto definite nuove iniziative che coinvolgeranno tutto il popolo del 20 marzo.
L'hanno annunciata in una conferenza stampa parlamentari, giornalisti e intellettuali che hanno discusso delle future iniziative da intraprendere per continuare a sensibilizzare il «movimento» italiano sul tema della guerra in corso in Iraq.
Molto probabilmente la ricorrenza del 25 aprile servirà da trampolino di lancio per nuove manifestazioni del movimento per la pace.
Ma la novità più rilevante è quella annunciata da parlamentari e senatori: nelle due camere presenteranno un testo di una risoluzione che chiede l’immediata cessazione delle operazioni militari d’attacco del contingente italiano. A spiegarlo è Pietro Folena, diesse: «Se l’esercito italiano è in missione di peacekeeping non possiamo permettere che reprima con la forza manifestazioni popolari di protesta contro gli occupanti».
Elettra Deiana, Rifondazione e membro della Commissione Difesa, sottolinea come sia inaccettabile che i carabinieri ricevano comandi dalle forze anglo-americane, anche se il governo continua a ripetere il contrario. «C’è un salto di qualità drammatico che rende la proposta di Zapatero ormai priva di senso», denuncia Tana De Zulueta, senatrice eletta nelle liste uliviste. Su questo Folena ha dichiarato di aver visto «uno scricchiolio ben augurante» nel suo partito che forse potrà allargare il consenso della piattaforma pacifista.
D’altronde la parola d’ordine conclusiva lanciata oggi è: «Rendere evidente agli italiani,e non solo, che in Iraq è in corso una guerra che le forze di occupazione cercano di occultare».
6 Aprile 2004
In Iraq c’è la guerra e i soldati italiani vi stanno partecipando
Pietro Folena
Aprileonline.info
Non bisogna avere paura di chiamare le cose con il loro nome. In Iraq è in corso una guerra. Gli sciiti, che sono la maggioranza della popolazione di quel paese, hanno lanciato un’imponente offensiva contro l’occupazione anglo-americana e contro le milizie irachene sotto in comando della coalizione. In Iraq vi sono centinaia di migliaia di persone armate, distribuite in diversi eserciti, milizie, corpi irregolari, guardie scelte. Prima di tutto, ovviamente, i soldati della coalizione dei willings (tra cui gli italiani) che occupano il paese . In secondo luogo i mercenari assoldati dagli Stati Uniti, quattro dei quali sono stati uccisi e i loro cadaveri vilipesi qualche giorno fa. Poi c’è la guardia “privata” al servizio diretto di Paul Bremer. E ancora la polizia irachena e alcuni nuclei del ricostituendo esercito.
Dall’altra parte gruppi diversi: gli sciiti, protagonisti delle battaglie di questi ultimi giorni, ma anche cellule dell’ex partito Baath, e gruppi più o meno consistenti di tutti i partiti e movimenti religiosi. Nonché, si sospetta, cellule di Al Qaeda.
La rivolta sciita non nasce da oggi. Oramai da mesi i capi religiosi (primo tra tutti l’Ajatollah Al Sistani) hanno chiesto agli americani di lasciare il paese. La presenza americana è vista come ostacolo alla presa del potere da parte del clero sciita, che vuole instaurare un regime simile a quello iraniano. I leader non credono alle parole di Bremer che promette il passaggio dei poteri entro il 30 giugno, passaggio che riguarderebbe comunque le competenze su alcuni dicasteri, lasciando alla coalizione il controllo militare del territorio e soprattutto del petrolio. Negli ultimi giorni, poi, alcuni fatti hanno acceso la miccia della ribellione, che in realtà era già prevista per giugno. Il primo è stato l’uccisione di Yassin in Palestina, che è riuscita a cementare sciiti e sanniti che la sera stessa a Baghdad inneggiarono alla “fase finale” della guerra contro l’Occidente e Israele.
Il secondo la chiusura ordinata da Bremer del giornale voce dell’opposizione sciita.
Il terzo, il più determinante, è stato l’arresto del portavoce del leader sciita Al Sadr (su cui pende anche un mandato di cattura) a cui sono seguite manifestazioni di protesta, gli spari sulla folla da parte delle forze della coalizione, l’episodio degli scontri con i soldati spagnoli, fino alla guerriglia che ieri ha visto il coinvolgimento dell’esercito italiano.
Può essere scomodo dirlo, ma i fatti sono questi. I nostri soldati hanno partecipato ad una vera e propria azione di guerra sotto il comando della coalizione per “liberare” tre ponti occupati dagli insorti sciiti. Nulla a che fare con gli aiuti alla popolazione, con la sicurezza della missione umanitaria, con il peace keeping. L’Italia è in guerra, i militari italiani compiono atti di guerra in un paese occupato militarmente. Tutto ciò è fuori dalla legalità internazionale e dalla Costituzione. Tutto ciò non corrisponde affatto al mandato che il parlamento ha dato alla missione militare. Partecipiamo ad una guerra civile che andrebbe fermata, non alimentata. Ciò ovviamente nulla toglie alla doverosa solidarietà per i soldati feriti, ma occorre dire senza mezzi termini che essi eseguono ordini sbagliati, in un quadro drammatico disegnato dai paesi occupanti. E per questo la nostra solidarietà va anche alle famiglie dei 15 iracheni morti nello scontro a fuoco.
Per questo è oggi più urgente che mai che il parlamento torni a discutere dell’Iraq. Lì il centrosinistra dovrà chiedere un’azione immediata per il passaggio della gestione della crisi nelle mani dell’Onu, favorendo una rapida transizione verso la sovranità del popolo iracheno. In questo quadro, il “Lodo Zapatero” diventa un’urgenza. Non si può aspettare il 30 giugno. O si fa qualcosa subito per fermare la guerra in Iraq, o si cessa lo stato di occupazione che è all’origine di questi scontri, o è meglio che i nostri soldati ritornino il più presto possibile.