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Tabula fati
Giancarlo Padula
I SEGRETI
DELLA PASSIONE
DI CRISTO
Dalle visioni di Caterina Emmerick
al film The Passion of the Christ di Mel Gibson
Presentazione di Rino Cammilleri
Prefazione di Mario Palmaro
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PRESENTAZIONE
di Rino Cammilleri
Ho avuto la ventura di essere invitato a una
visione riservata del discusso film di Mel Gibson
The Passion of the Christ in una defilata saletta
milanese; eravamo una decina di giornalisti in
tutto, proprio lo stesso giorno dell’uscita negli
Stati Uniti. Poiché i sottotitoli erano ancora in
inglese, ho visto il film “vergine”, pari pari come
è stato pensato dall’autore-regista.
Posso dire, adesso, che si tratta di un bellissimo
film e che è vero grande cinema. E, dopo
averlo visto, trovo vieppiù singolari le accuse di
antisemitismo che gli sono state rivolte e che
ancora tengono banco (senza averlo visto).
Il film è per tre quarti una trasposizione
pedissequa dei Vangeli. Anzi, addirittura nella
scena dell’arresto di Cristo nel Getzemani compare
il ragazzo che fugge avvolto in un lenzuolo,
che è la “firma” dell’evangelista Marco: un passaggio
per nulla essenziale al racconto, che però
Gibson ha voluto appositamente inserire.
La condanna di Cristo, nel film, è pronunciata
da un Sinedrio adunatosi in fretta e furia;
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dunque, con poche persone. Per giunta, due di
loro si oppongono con veemenza. Il “crucifige!” è
scandito nel ristretto cortile di Pilato da una
gruppetto abbastanza sparuto. Chi ha la peggior
parte, nel film, sono i romani, la cui gratuita
e ottusa brutalità viene rimproverata da molti
degli ebrei presenti lungo la via del Calvario.
Ebreo è quel Cireneo che viene costretto ad
aiutare Cristo a portare la croce ma che, nel film,
fa di tutto per difenderlo dalle frustate continue.
Ebrea è la pietosa Veronica, che porge al Cristo
un panno con cui detergersi la faccia dal sangue.
Poi, ci sono tutti quegli ebrei che nei Vangeli
stanno dalla parte dei “buoni”: Maddalena, gli
Apostoli, Maria (quest’ultima è impersonata da
un’attrice ebrea, Maia Morgenstern).
Il problema è che non si può raccontare la
passione di Cristo senza descriverne le modalità
della condanna, che sono scritte nei Vangeli da
duemila anni. Dunque, le accuse di antisemitismo
sono veramente fuori luogo. Stupisce che
siano state rivolte al solo Gibson e non a tutti
quelli che lo hanno preceduto nell’opera di raccontare
i Vangeli per immagini: Zeffirelli, De
Mille, kolossal come Il re dei re con Jeffrey Hunter
o La più grande storia mai raccontata con Max
von Sydow. Oppure Ben Hur, che vinse, anzi,
undici Oscar. Per non parlare del nostro Il van-
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gelo secondo Matteo di Pasolini. Insomma, di
film sulla vita e morte di Cristo ce ne sono stati
a josa e mai a nessuno è venuto in mente di
accusarli di antisemitismo.
Cos’ha di speciale, a questo proposito, quello
di Gibson? Il quale non è neppure un film violento
(è stato detto anche questo, e sempre senza
averlo ancora visto): è solo crudo e realistico,
perché un poveraccio frustato col terribile flagrum
romano (un arnese di catenelle metalliche
terminanti in punte acuminate) non poteva che
uscirne come una maschera di sangue.
Il film è un film cristiano (questo sì) e rivolto
principalmente a cristiani. Questo è il senso
della mano di Gibson che, fuori campo, inchioda
Cristo alla croce, volendo significare che egli si è
caricato le colpe di tutti gli uomini, nessuno
escluso.
Suggerisco di vederlo tenendo sgombra la
mente dalle polemiche, si gusterà un’opera di
straordinaria potenza evocativa e a tratti commovente.
Se si ha l’accortezza di non tener conto
dei sottotitoli (si può farne a meno, tanto la
storia è notissima) si sentono le parole, in latino
e aramaico, così come furono pronunciate duemila
anni fa.
L’arte di Gibson è inserita in modo discreto,
nella presenza quasi continua del diavolo an-
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drogino, in quella di Maria (qui i teologi vedranno
la corredentrice che liberamente offre il figlio
al sacrificio), nei colori a tratti quasi caravaggeschi,
nello struggente volto sofferente del Cristo,
preso di peso dalla Sindone, negli esasperati
ralenti che scandiscono le cadute di Cristo sotto
il peso della croce.
Certo, non sarà facile dimenticare l’infuriare
delle polemiche, ma se non le si lascia alla
porta del cinema si rischia di perdersi un gran
bel film. Si dice che durante le riprese siano
avvenuti dei veri e propri miracoli. Non so se si
tratti di leggende metropolitane o di fatti veri; a
mio avviso, il miracolo, se di miracoli si vuol
parlare, è stato lo straordinario lancio pubblicitario,
del tutto gratuito e inaspettato, che questo
film ha avuto per almeno un anno prima della
sua uscita. Le polemiche, infatti, si sono tramutate
in un boomerang ed hanno contribuito ad
accendere la curiosità intorno alla pellicola.
Si tenga presente che ciò non vale sempre e
comunque. Infatti, per motivi diversi, un precedente
film sul fondatore del cristianesimo, L’ultima
tentazione di Cristo, destò anch’esso a suo
tempo scalpore e polemiche, ma la cosa si risolse
in un mezzo flop al botteghino. Invece, per il film
di Gibson è accaduto il contrario, e questo mi
sembra veramente provvidenziale. Infatti, gra-
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zie a questo film, Cristo ha conquistato le copertine
e le prime pagine in tutto il mondo, tutti i
giorni per mesi, e la sua Passione è venuta
inaspettatamente al centro del dibattito.
Agli inizi del secolo scorso la Provvidenza
(se di essa si tratta) si servì della nuovissima
invenzione della fotografia per rivelare il volto
di Cristo nella Sindone. Oggi, agli inizi del nuovo
secolo, è il cinema, questa forma di arte totale,
a offrire il mezzo per riflettere sui misteri principali
della religione cristiana: Passione, Morte
e Resurrezione di Gesù Cristo. Forse non è un
caso che ciò sia avvenuto per un’opera di un
credente dichiarato, un cattolico che ha chiamato
un altro credente per la parte del protagonista.
Chissà, magari per produrre vera arte su un
tema del genere bisogna crederci davvero.
Rino Cammilleri
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PREFAZIONE
di Mario Palmaro
Dobbiamo essere grati a Giancarlo Padula
per averci offerto questo agile libretto, la cui
brevità non deve ingannare: si tratta di un lavoro
profondo, minuzioso, serio. Un’indagine intorno
al fatto che ha segnato la storia dell’umanità
più di ogni altro, la morte e resurrezione di
Gesù di Nazareth.
Gliene offre il destro il film evento del 2004,
quel The Passion of the Christ di Mel Gibson che
segna una svolta epocale nella lunga serie di
pellicole dedicate al Redentore. Padula scrive
con la penna leggera e fluida del giornalista
esperto, ma tra le righe si vede che il suo non è un
esercizio retorico: questo libro coinvolge l’autore
fino alla radice dell’anima, perché lo impegna
con tutta la sua libertà e la sua vita. È quello che
accade a ogni uomo quando incontra Gesù Cristo:
fa esperienza di qualche cosa che ti cambia
dentro. Mel Gibson ha realizzato un’opera che
può aiutare gli uomini del terzo millennio a
sperimentare questo incontro. Ed è per questo
che il film va visto, va fatto conoscere. Va, soprat-
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tutto, difeso dagli attacchi e dalle critiche che
vogliono demolirlo.
Ho assistito alla proiezione in anteprima di
The Passion of the Christ. Mentre davanti ai
miei occhi scorrevano le immagini del film evento
dell’anno ho subito pensato che quest’opera sarà
bersagliata da critiche durissime. E non certo
perché sia fatta male: The Passion... è un film
straordinario, un atto di fede autentica reso
attraverso gli strumenti tipici dell’arte cinematografica.
Ciò non significa che quest’opera piacerà
a tutti, perché ogni spettatore ha la sua
sensibilità. Ma c’è una onestà intellettuale di
fondo che tutti dovrebbero applicare nell’accostarsi
a questa pellicola, e cioè riconoscere che
Mel Gibson ha semplicemente voluto fare i conti
in tutta serietà con il Vangelo e con l’esperienza
cattolica consolidata attraverso duemila anni di
tradizione.
Adesso che il film — già campione di incassi
negli Usa — è ormai arrivato in Europa e circola
da tempo nelle sale, dovrà fare i conti, comunque
ogni volta, con un fuoco di sbarramento furibondo.
Non tanto per le reazioni del mondo ebraico,
né per le opposizioni dei non credenti o dei fedeli
di altre religioni. Il vero pericolo per il coraggioso
Mel Gibson e per il suo appassionante film sarà
rappresentato — sembra un paradosso — dal
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mondo cattolico. Perché c’è una porzione di battezzati
apostolici romani, ci sono certi ambienti
teologici d’elite ma tutt’altro che marginali,
ambienti autorevoli e influenti, che non potranno
perdonare all’attore-regista australiano di
credere così fermamente alla storicità dei Vangeli.
Quando il milieu teologico di cui sopra vedrà
sullo schermo Pietro che taglia un orecchio a
Malco nel tentativo di impedire l’arresto di Gesù,
e poi vedrà che Cristo compie un miracolo riattaccando
l’orecchio e guarendo completamente
lo sconcertato servitore; e quando quegli stessi
teologi demitizzanti vedranno la terra tremare
dopo la morte di Cristo in croce; beh, la loro
sorpresa e il loro sconcerto sarà grande e rumoroso.
Ad esempio, si obietta a Gibson, nell’ordine, di
aver dato troppa importanza al Calvario nella
vita di Cristo (sic!), di aver ridotto la sua resurrezione
a un fatto egoistico e privato (ma nel
sepolcro non risulta che ci fosse una platea ad
assistere all’evento come in un moderno reality
show), e ancora — testuale — che Gesù “ha
donato la sua vita e nessuno gliel’ha tolta”.
Perché tanto accanimento? Dove è finito quel
mondo cattolico dialogante e pronto a trovare
semi preziosi di fede anche in pellicole che offrono
un’immagine caricaturale e negativa della Chie-
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sa e della sua fede? Possibile che Pasolini o
Fellini siano sdoganati, e il povero Mel Gibson —
che fa del suo meglio per far rivivere a milioni di
persone le ore più decisive della storia — sia
sommerso di critiche senza appello? Purtroppo,
il nostro uomo è vittima di un pregiudizio: poiché
frequenta ambienti tradizionalisti, è scattato nei
suoi confronti un fuoco di sbarramento a prescindere.
La sensazione è che non si giudichi
tanto la pellicola, ma il suo autore. Questa è una
potente ingiustizia, che rischia di influenzare
negativamente il pubblico, privandolo di una
rara occasione di meditazione e, non è esagerato
dirlo, di preghiera.
Alla base di tutto vi è anche una concezione
teologica discutibile, che ha messo per anni l’accento
sul “messaggio”, sulla “parola”, sul “libro”,
quasi che il Verbo si fosse fatto carta. Mel Gibson
ci strappa a questa beata tiepidezza intellettualistica
e ci costringe a vedere un Dio fatto carne,
una carne dilacerata e sanguinante, senza sconti
e senza omissioni. È un realismo, una crudezza
per intenderci, che ritroviamo in certe pellicole
che hanno efficacemente descritto la Shoa; e in
quel caso nessuno fra i cattolici gridò allo scandalo
affermando che raccontare la vita dei lager
in maniera cruenta era inutile e brutale. Gibson
vuole mostrare come la sofferenza di Dio in Gesù
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esprima il vertice di qualsiasi dolore, la somma
del patire possibile a un uomo: ed è per questo che
si ritrova contro quei teologi che contestano questa
idea.
The Passion of the Christ è il tentativo —
commovente e sconvolgente — di immergere lo
spettatore dentro alla Passione di Cristo. Il film
di Gibson è un’opera d’arte in movimento: la
cinepresa racconta con straordinario realismo
tutti i momenti della passione, dall’orto degli
Ulivi al Golgota. Il linguaggio è quello dei grandi
capolavori dell’arte: ad esempio, lo scherno e le
risa oscene che circondano Gesù evocano i volti
spaventosi di Hieronimus Bosch. Dopo qualche
tempo, lo spettatore si dimentica di trovarsi di
fronte alla finzione e gli attori — davvero bravi —
lasciano il posto ai protagonisti. Che parlano in
aramaico e latino, senza doppiaggio; ma è così
forte il pathos narrativo che presto lo spettatore
abbandona la lettura dei sottotitoli, e capisce
l’essenziale. Sembra di assistere a un’antica rappresentazione
medioevale, non già simulazione
teatrale, ma esperienza viva dell’avvenimento
cristiano.
Nessuna pellicola ci offre un Cristo così uomo,
così di carne e ossa. Nulla è lasciato all’immaginazione,
nemmeno i particolari più spaventosi.
L’uomo del Calvario soffre sotto i nostri occhi
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pene indescrivibili: la scena della flagellazione è
raccapricciante. La crocifissione non è il solito
acquarello idealizzato, ma una minuziosa descrizione
del peggior supplizio di tutti i tempi. Il
Cristo umiliato e coperto di piaghe, spogliato
della sua solenne regalità, il volto sfigurato e
gonfio di percosse si imprime nel cuore del pubblico:
impossibile dimenticarlo.
La fedeltà ai Vangeli è assoluta. Nel film
sono i sommi sacerdoti a trascinare Gesù davanti
all’autorità romana; ed è Caifa a forzare la
mano al Procuratore, affinché liberi Barabba e
crocifigga il re dei giudei. Pilato è tratteggiato
con ragionevole realismo. Un uomo dilacerato
dal dubbio, convinto dell’innocenza dell’imputato,
ma che alla fine cede alla folla urlante. Antisemitismo?
Basta vedere il film per accorgersi di
quanto l’accusa sia ridicola: Gesù muore sotto il
peso del peccato del mondo, ed è la stessa mano
del regista — lo rivela Giancarlo Padula nella
sua indagine — a infiggere il chiodo nel corpo del
Cristo, come a dire: sul Calvario c’ero anche io.
Mai come in questo film i Vangeli sono stati
presi sul serio: la pellicola condensa in due ore e
sei minuti una formidabile catechesi cattolica,
dove ritrovare i fondamentali della fede, così
spesso smarriti e confusi in tanta parte della
teologia più colta e raffinata. Sì, un film semplice
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che racconta l’amore materno di Maria, sempre
accanto al figlio; l’umanissimo tradimento di
Pietro; la disperata solitudine di Giuda; l’istituzione
dell’eucaristia che si incrocia con le immagini
della crocifissione, il pane e il vino che si
confondono con il corpo martoriato del Cristo.
Senza tacere della inquietante figura di Satana,
presente in ogni fase della Passione.
E poi, soprattutto, tanta sofferenza. Una sofferenza
assurda, folle verrebbe da dire. Se non
fosse per l’ultima sequenza: la pietra rotolata, la
luce del mattino che illumina il sepolcro, il lenzuolo
che si affloscia, Gesù di Nazareth restituito
alla sua bellezza di Figlio di Dio, che si alza. È
Risorto. Impossibile restare indifferenti.
Mario Palmaro
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INTRODUZIONE
Lo dico ora: io non sono né per Gibson né
contro Gibson. Io sono per Cristo. Non sono né
tradizionalista né “progressista”. Sono un cristiano
cattolico. In tempi di “new-next age” è
bene essere chiari. Se La Passione di Cristo
rappresenta un contributo alla Nuova Evangelizzazione,
o comunque contribuisce a far acquisire
a un determinato numero di persone una
coscienza (o maggiore coscienza) di peccato, aiuta
ed aiuterà in futuro a comprendere meglio a
quale straordinario e immenso sacrificio Gesù
Cristo si sia sottoposto sottomettendosi al Padre
in vece del nostro peccato, se contribuisce e
contribuirà alla riconciliazione e al perdono,
vorrà dire che avrà dato i suoi frutti.
Se il film di Gibson avrà scosso e scuoterà le
coscienze, ridestato i cuori, riacceso la fede spenta,
ingrigita, logorata, annacquata, parafrasata,
mediata, saranno frutti. Ora nessuno può
dire (tra gli adulti almeno), io non sapevo che
Gesù avesse sofferto così tanto. E qualcuno pensa
che possa aver sofferto di meno? E se si pensasse
questo non sarebbe una tentazione?
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A chi mi dice: «Ma non può aver sofferto così
tanto, è una “deviazione” del regista.» Io rispondo:
«Perché avrebbe dovuto soffrire di meno?»
Peraltro l’uomo della Sindone smentisce che
Cristo abbia potuto patire un po’ meno. Isaia è
molto chiaro nel capitolo 53. Le immagini della
Passione di Cristo corrispondono alle descrizioni
fatte dalla Venerabile Anna Caterina Emmerick.
Costei era solo una “visionaria” del 1800?
La Parola di Dio al di là dei dibattiti, dei
ragionamenti umani (da qualsiasi parte vengano),
è inconfutabile: “Non vi è albero buono che
faccia frutti cattivi”, Vangelo di Luca, capitolo 6,
versetto 43 (come Vangelo di Matteo, capitolo 7,
versetto 18). “Dai frutti li riconoscerete”, Vangelo
di Matteo, capitolo 7, versetto 16, (come Vangelo
di Luca, capitolo 6, versetto 44).
Gran parte del mondo cristiano di ogni denominazione,
come gli esperti della Bibbia, difendono
il film, dicendo che si attiene scrupolosamente
ai racconti evangelici sulla crocifissione
di Gesù. Un film, che per molti potrà significare
un incontro particolare, con un mezzo artistico
come il cinema con quel Dio che “ha tanto amato
il mondo da donare il Suo Figlio unigenito perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia
la vita eterna” (Vangelo di Giovanni, capitolo 3,
versetto 16).
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Un film che comunque ha diverse valenze.
Attraverso la visione delle ultime dodici ore
della vita di Gesù, in una dinamica che rende
estremamente vero e drammatico, quanto sia
stato fortemente amorevole il dono del Figlio di
Dio della sua vita per ciascuno di noi e per il
mondo, molti potranno essere toccati e potranno
avvicinarsi alla fede.
Inoltre, quest’opera dimostra come sia straordinariamente
utile per il cristianesimo e la
Nuova Evangelizzazione, usare anche le forme
artistiche, in particolare quelle che maggiormente
si prestano: la musica, la teatralità, la
drammatizzazione, le arti visive, la creatività in
genere, come strumento per “condurre” a Cristo.
L’arte diventa così originalmente una nuova
entusiasmante “tecnica” di evangelizzazione,
insieme a quelle che più o meno tradizionalmente
erano conosciute fin’ora.
«Per trasmettere il messaggio affidatole da
Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte — scrive
Giovanni Paolo II, nel Documento Numero 60.
— Essa deve, infatti, rendere percepibile e anzi,
per quanto possibile, affascinante il mondo dello
spirito, dell’invisibile, di Dio, Deve dunque trasferire
in formule significative ciò che è in se
stesso ineffabile. Ora, l’arte ha una capacità
tutta sua di cogliere l’uno o l’altro aspetto del
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messaggio traducendolo in colori, forme, suoni,
che assecondano l’intuizione di chi guarda o
ascolta. E questo senza privare il messaggio
stesso del suo valore trascendente e del suo
alone di mistero.»
Secondo Padre Augustino di Nola, sottosegretario
della Congregazione per la Dottrina
della Fede, il film The Passion... “è un grande
esempio di sensibilità religiosa” e quanto alle
accuse di antisemitismo, il film “né esagera, né
minimizza le responsabilità delle autorità ebraiche
nella condanna di Gesù, reprimendo anzi,
qualsiasi atteggiamento antisemita dello spettatore”.
«Per quello che ho visto giudico il film un’opera
poetica, ispirata e intimamente legata, da
cattolico sincero, alla persona di Gesù Cristo —
ha detto il cardinale Dario Castrillon Hoyos —.
È un film “religioso” nel senso più alto del termine.
»
Peraltro si tratta di una fatto storico, e comunque
prevalente su tutta la vicenda umana
che gira intorno alla Passione di Nostro Signore
Gesù Cristo, domina imperante la volontà di
Dio, il Piano salvifico del Padre.
Durante le riprese del film, secondo la testimonianza
del regista, ci sarebbero verificati
anche dei miracoli. «Ci sono state molte cose
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insolite, cose belle, — ha raccontato Mel Gibson
in una intervista, — per esempio uomini che
sono guariti dalle malattie; alcuni ciechi che
hanno recuperato la vista; alcuni sordi che hanno
udito. Un altro ferito da un colpo di fulmine,
mentre era ripresa la scena della crocifissione, si
è alzato ed è andato via.»
Sono anche numerosi i letterati e gli uomini
di cultura che, con saggi e dibattiti nelle università,
applaudono la decisione di Gibson di far
recitare il film in aramaico e latino.
«Quando ho iniziato a girarlo,» ha detto Gibson,
«dopo aver scritto il copione sotto profonda
ispirazione, mai avrei pensato che avrebbe provocato
a me e tutti coloro che hanno fatto questa
scelta, una sorta di Calvario. Rifiuto in blocco
qualsiasi accusa di antisemitismo e nego nel
modo più assoluto che nel film gli ebrei siano
ritratti come i responsabili del martirio e della
morte di Cristo. Tutta la mia vita, come uomo,
padre di sette figli, facente parte insieme a mia
moglie Robin, di un gruppo cattolico nella Diocesi
di Los Angeles, in viaggio di preghiera anche
nelle piccole comunità e nei cenacoli di studiosi
dove si cerca di salvare l’aramaico dall’estinzione,
cittadino inserito ovunque in battaglie contro
ogni discriminazione religiosa o razziale, è
stata vissuta, nelle piccole come nelle grandi
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scelte, da cattolico praticante, con il Vangelo sul
tavolo del mio studio.»
G.Pa.
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I segreti della Passione di Cristo
Dalle visioni di Caterina Emmerick
al film The Passion of the Christ di Mel Gibson
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IL RACCONTO CRUDO DELLA PASSIONE
Le ultime dodici ore di Cristo, dall’Orto degli
Ulivi al Crocifisso sul Golgota.
«Le ore più difficili e importanti, in cui spero
venga fuori tutta l’umanità di questa storia,
oltre che la religiosità,» come ha spiegato Mel
Gibson. L’idea di portare le ultime ore di Cristo
sullo schermo “frullava” nella testa del regista
“da dieci anni” come dice lui stesso. «Io credo in
qualcosa di superiore, perché se io fossi Dio
saremmo tutti nei guai.»
Per prepararsi a raccontare il suo Cristo, il
regista ha tenuto diversi colloqui con preti e
teologi, finalizzati a comprendere meglio l’agonia
e la morte di Gesù, tema portante del kolossal.
Uno dei più grandi evangelizzatori del mondo,
Billy Graham, pone l’accento particolarmente
sulla Croce di Cristo.
Stanno poi scendendo in campo singoli “pastori”,
associazioni, movimenti sia cattolici che
evangelici, ed anche numerosi organi di informazione
e comunicazione. Molte persone rifletteranno
sul fatto che la Passione di Gesù non è
stata una passeggiata e chissà quanti forse po-
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tranno essere toccati nel cuore.
Mel Gibson rispondendo alle domande dei
giornalisti dell’agenzia Zenit afferma tra l’altro
che: «Il progetto si è delineato gradualmente
negli ultimi dieci-dodici anni, da quando, verso
i trentacinque anni, ho cominciato ad indagare
sulle radici della mia fede. Ho sempre creduto in
Dio, alla sua esistenza, e sono stato educato a
credere in un certo modo, ma verso i trent’anni
stavo andando alla deriva ed altre cose avevano
preso il primo posto. A quel punto mi sono reso
conto che avevo bisogno di qualcosa di più se
volevo salvarmi. Sentii l’esigenza di fare una
ricerca più approfondita del Vangelo, di ricostruire
l’intera storia. È stato lì che l’idea ha
cominciato a sfiorare la mia mente. Ho cominciato
a vederla realisticamente, a ricrearla nella
mia mente in modo che avesse un senso per me,
così da esserne coinvolto.»
Sono stati fatti già tanti film sulla vita di
Cristo. Perché farne un altro?
«Non credo che gli altri film abbiano colto la
forza reale di questa storia. Voglio dire, ne avete
mai visto qualcuno? O sono approssimativi nella
storia, o hanno pessime colonne sonore…
Questo film vuole mostrare la Passione di Gesù
Cristo proprio nel modo in cui è avvenuta. È
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come viaggiare indietro nel tempo e vedere gli
eventi svolgersi esattamente come si sono svolti.
»
Come fa ad essere sicuro che la sua versione
sia così precisa?
«Abbiamo fatto una ricerca. Racconto la storia
così come la racconta la Bibbia. Credo che la
storia, così come è realmente avvenuta, parli da
sola. Il Vangelo è una sceneggiatura completa e
questo è ciò che filmeremo.»
Sembra una svolta rispetto alle solite produzioni
di Mel Gibson. La sua specialità è l’azione,
l’avventura, la storia d’amore. Perché ha deciso
di fare un film religioso?
«Faccio quello che ho sempre fatto: raccontare
storie. Credo che siano importanti nel linguaggio
che parlo meglio: il cinema. Sono convinto
che le storie più grandi siano storie di eroi.
Le persone aspirano a qualcosa di superiore e
indirettamente, attraverso l’eroismo, elevano in
questo modo il loro spirito. Non esiste storia di
eroismo più grande di questa, sull’amore più
grande che si possa avere, cioè donare la propria
vita per qualcuno. La Passione è la più grande
storia d’amore di tutti i tempi; Dio che si fa uomo
e gli uomini che lo uccidono, se non è azione
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questa, niente lo è.»
Chi vorrà vedere un film come questo?
«Credo che interessi tutti. La vicenda ha
ispirato l’arte, la cultura, il comportamento, i
governi, i regni, i paesi… ha influenzato il mondo
più di quanto si possa immaginare. È un
evento cardine nella storia che ci ha resi ciò che
oggi siamo. Credenti o non credenti, tutti ne
siamo stati influenzati. Così tante persone sono
alla ricerca del significato della vita e si fanno
molte domande. Verranno cercando delle risposte,
qualcuno le troverà, altri no.»
Allora questo film non è soltanto per i cristiani?
«Ghandi è stato in cima alle classifiche dei
film più noleggiati, ma non era un film solo per
gli induisti. Questo film è per tutti, per credenti
e non credenti. Gesù Cristo è senza dubbio una
delle figure storiche più importanti di tutti i
tempi. Provi a citare una persona che ha avuto
un impatto più grande sul corso della storia…»
Ma se questo film mira a far rivivere il Vangelo,
non risulterà offensivo per i non cristiani?
Per esempio, il ruolo avuto dalle autorità ebraiche
nella morte di Gesù. Se lei descrive questo
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non rischia di essere offensivo?
«Questa non è una storia di ebrei contro
cristiani. Gesù stesso era un ebreo, sua madre
era un’ebrea e così lo erano i dodici apostoli. È la
verità che, come dice la Bibbia, “È venuto tra i
suoi e i suoi non l’hanno accolto”; non posso
nasconderlo. Ma questo non significa che i peccati
del passato fossero peggiori dei peccati del
presente. Cristo ha pagato il prezzo per tutti i
nostri peccati. La lotta tra bene e male e l’immenso
potere dell’amore vengono prima della
razza e della cultura. Questo film è sulla fede,
sulla speranza, sull’amore e sul perdono. Queste
sono cose di cui il mondo potrebbe fare maggior
uso, specialmente in questi tempi. Questo film
vuole infondere speranza, non offendere.»
Alcune persone penseranno comunque che
lei vuole imporre il suo credo agli altri. Non è
così?
«Non ho inventato questa storia. L’unica
cosa che io ho fatto è stata quella di crederci. È
qualcosa che succede dentro di te e poi necessariamente
si manifesta all’esterno. Io sto solo
cercando di raccontarlo nel miglior modo possibile,
meglio di quanto sia stato fatto finora.
Quando hai a che fare con una storia realmente
accaduta, è responsabilità del regista renderla
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più accurata possibile. Chi ha una mentalità
aperta la apprezzerà per quello che è.»
Per quanto riguarda le scene violente Mel
Gibson afferma che “questo è il modo in cui si
sono verificati i fatti”.
Le ispirazioni non sono venute soltanto dai
quattro Vangeli, Matteo, Marco, Luca, Giovanni,
ma anche ad un libro di una Venerabile, che
ebbe visioni circa le sofferenze di Gesù dalla via
Dolorosa al Calvario. Si tratta della Dolorosa
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo di Anna
Caterina Emmerick. Nacque l’8 settembre 1774
a Flamsche, una località nei pressi di Dülmen in
Vestfalia (Germania), in una famiglia molto povera
di devoti contadini. Quinta di nove figli,
ebbe visioni fin dall’infanzia. Fin dall’età di
nove anni le apparivano la Madonna con Gesù
Bambino, l’angelo custode e diversi santi. Di lei,
(secondo quanto riportato anche da Profezie per
il Terzo millennio), si dice che distinguesse gli
oggetti sacri da quelli profani, che potesse leggere
nel pensiero delle persone e che avesse visioni
di fatti che avvenivano nel mondo: vide per
esempio nei dettagli tutta la Rivoluzione francese.
Le sue esperienze mistiche erano spesso
accompagnate da fenomeni di levitazione e bilo-
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cazione. Caterina inoltre aveva il dono di conoscere
le malattie delle persone, essa prescriveva
loro dei rimedi che si dimostrarono sempre efficaci.
Nel 1789 le apparve Gesù che le offrì la
corona di spine, lei accettò ed ebbe così sulla
fronte le prime stigmate. In seguito le si aprirono
le ferite anche alle mani, ai piedi e al costato.
Nel 1802 entrò nel convento delle agostiniane
ad Agnetenberg (Dülmen). Qui la sua salute
declinò progressivamente, finché fu costretta a
letto. Le sue ferite, che si aprivano e sanguinavano
periodicamente, furono studiate da religiosi
e scienziati. Il Vicario Generale, dopo una
rigorosa indagine condotta da una commissione
medica, si convinse della santità della suora e
dell’autenticità delle sue stigmate.
Nel 1818, quando Anna Caterina aveva quarantacinque
anni, attirato dalla sua fama, venne
a visitarla il famoso scrittore e poeta Clemens
Maria Brentano, uno dei più importanti rappresentanti
del romanticismo tedesco. Appena le si
presentò la veggente lo riconobbe, perché lo
aveva già visto nelle sue visioni. Sapeva che era
l’uomo scelto da Dio per raccogliere e mettere
per iscritto ciò che lei vedeva. Sapeva anche che,
se era vissuta fino a quel giorno, era per aspettare
lui. Brentano, che era venuto per trattenersi
34
pochi giorni, non se ne andò più: rimase a Dülmen
sei anni, per collaborare alla missione di Anna
Caterina.
Giorno dopo giorno, annotò ciò che lei gli
narrava: dodicimila pagine che descrivono nei
dettagli la vita di Gesù e di Maria Vergine. Le
visioni della Emmerick erano del tutto particolari:
lei si separava dal corpo dopo essere stata
“chiamata” dal suo angelo custode e il suo spirito
si recava in Terra Santa dove assisteva agli
episodi evangelici come se stessero avvenendo
in quel momento; il giorno dopo li descriveva a
Brentano.
Né la monaca né il poeta erano mai stati in
Terra Santa, eppure Anna Caterina ha descritto
con sorprendente precisione i luoghi della
vita di Gesù e della Madonna, gli abiti, le suppellettili,
i paesaggi. Sulla base delle descrizioni
della Emmerick è stata ritrovata a Efeso la casa
dove la Vergine visse dopo la morte di Gesù. Era
una casa rettangolare di pietra, a un piano solo,
col tetto piatto e il focolare al centro, tra boschi al
margine della città perché la Vergine desiderava
vivere appartata.
Il ricercatore francese Julien Dubiet, dando
credito a queste visioni, andò in Asia Minore
alla ricerca della casa descritta da Caterina.
Dubiet effettivamente trovò i resti dell’edificio,
35
nonostante le trasformazioni subite nel tempo,
a nove chilometri a sud di Efeso, su un fianco
dell’antico monte Solmisso di fronte al mare,
esattamente come aveva indicato la Emmerick.
La validità delle affermazioni di Caterina venne
confermata anche dalle ricerche archeologiche
condotte nel 1898 da alcuni ricercatori austriaci.
Gli archeologi ebbero modo di appurare
che l’edificio — almeno nelle sue fondamenta —
risaliva al I secolo d.C.
Oggi davanti alla casa della Madonna, visitabile
ad Efeso e custodita dai cappuccini, c’è un
cartello che spiega che ciò che ne restava, cioè le
mura perimetrali col focolare centrale, era stato
ritrovato grazie alle visioni della monaca stigmatizzata
Anna Caterina Emmerick.
Anna Caterina morì a Dülmen il 9 febbraio
1824. Durante cinquant’anni di vita le sue visioni
quotidiane avevano coperto tutto il ciclo della
vita di Gesù, di Maria e in gran parte anche degli
apostoli. Sei settimane dopo la sua morte la
tomba di Caterina venne riaperta. Il suo corpo
venne trovato incorrotto senza alcuna traccia di
decomposizione. Nel 1892 il Vescovo di Münster
diede inizio al processo di beatificazione. Brentano
visse fino al 1842, dopo aver dedicato tutti
gli anni che gli restavano alla stesura del suo
libro Vita di Gesù Cristo secondo le visioni della
36
monaca Anna Caterina Emmerick. La suora
aveva predetto che anche lui sarebbe morto
quando il suo compito fosse terminato.
Dagli scritti di Brentano riguardanti le visioni
di Caterina Emmerick vennero pubblicati,
oltre al libro suddetto, anche: La dolorosa Passione
di Nostro Signore Gesù Cristo secondo le
meditazioni di Anna Caterina Emmerick (1833),
La vita della Beata Vergine Maria (1852), La
vita di Nostro Signore (1858-80).
Tra l’altro nelle Profezie disse: «Vidi anche il
rapporto tra i due Papi... Vidi quanto sarebbero
state nefaste le conseguenze di questa falsa
chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni;
eretici di ogni tipo venivano nella città di Roma.
Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande
oscurità... Allora la visione sembrò estendersi
da ogni parte. Intere comunità cattoliche erano
oppresse, assediate, confinate e private della
loro libertà. Vidi molte chiese che venivano chiuse,
dappertutto grandi sofferenze, guerre e spargimento
di sangue. Una plebaglia selvaggia e
ignorante si dava ad azioni violente. Ma tutto
ciò non durò a lungo.» (13 maggio 1820)
«Vidi ancora una volta che la Chiesa di
Pietro era minata da un piano elaborato dalla
setta segreta, mentre le bufere la stavano danneggiando.
Ma vidi anche che l’aiuto sarebbe
37
arrivato quando le afflizioni avrebbero raggiunto
il loro culmine. Vidi di nuovo la Beata Vergine
ascendere sulla Chiesa e stendere il suo manto
su di essa. Vidi un Papa che era mite e al tempo
stesso molto fermo... Vidi un grande rinnovamento
e la Chiesa che si librava in alto nel cielo.»
«Vidi una strana chiesa che veniva costruita
contro ogni regola... — si legge tra l’altro in
Profezie del Terzo Millennio — non c’erano angeli
a vigilare sulle operazioni di costruzione. In
quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto...
C’erano solo divisioni e caos. Si tratta
probabilmente di una chiesa di umana creazione,
che segue l’ultima moda, così come la nuova
chiesa eterodossa di Roma, che sembra dello
stesso tipo...» (12 settembre 1820)
«Ho visto di nuovo la strana grande chiesa
che veniva costruita là [a Roma]. Non c’era
niente di santo in essa. Ho visto questo proprio
come ho visto un movimento guidato da ecclesiastici
a cui contribuivano angeli, santi ed altri
cristiani. Ma là [nella strana chiesa] tutto il
lavoro veniva fatto meccanicamente. Tutto veniva
fatto secondo la ragione umana... Ho visto
ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni.
C’era qualcosa di orgoglioso, presuntuoso e
violento in tutto ciò, ed essi sembravano avere
molto successo. Io non vedevo un solo angelo o
38
un santo che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo,
in lontananza, vidi la sede di un popolo
crudele armato di lance, e vidi una figura che
rideva, che disse: “Costruitela pure quanto più
solida potete; tanto noi la butteremo a terra”.»
(12 settembre 1820)
«Ebbi una visione del santo Imperatore
Enrico — profetizzò ancora Santa Caterina — lo
vidi di notte, da solo, in ginocchio ai piedi dell’altare
principale in una grande e bellissima chiesa...
e vidi la Beata Vergine venire giù da sola.
Ella stese sull’altare un panno rosso coperto con
lino bianco, vi pose un libro intarsiato con pietre
preziose e accese le candele e la lampada perpetua...
Allora venne il Salvatore in persona vestito
con l’abito sacerdotale... La Messa era breve.
Il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla
fine. Quando la Messa fu terminata, Maria si
diresse verso Enrico e stese la sua mano destra
verso di lui dicendo che questo era in riconoscimento
della sua purezza. Allora lo esortò a non
avere esitazioni. Dopo di ciò vidi un angelo, esso
toccò il tendine della sua anca, come Giacobbe.
Enrico provava grande dolore, e dal quel giorno
camminò zoppicando...» (12 luglio 1820)
«Vedo altri martiri, non ora ma in futuro... —
si legge ancora nelle Profezie della santa — vidi
le sette segrete minare spietatamente la grande
39
Chiesa. Vicino ad esse vidi una bestia orribile
che saliva dal mare... In tutto il mondo le persone
buone e devote, e specialmente il clero, erano
vessate, oppresse e messe in prigione. Ebbi la
sensazione che sarebbero diventate martiri un
giorno. Quando la Chiesa per la maggior parte
era stata distrutta e quando solo i santuari e gli
altari erano ancora in piedi, vidi entrare nella
Chiesa i devastatori con la Bestia. Là essi incontrarono
una donna di nobile contegno che sembrava
portare nel suo grembo un bambino, perché
camminava lentamente. A questa vista i
nemici erano terrorizzati e la Bestia non riusciva
a fare neanche un altro passo in avanti. Essa
proiettò il suo collo verso la Donna come per
divorarla, ma la Donna si voltò e si prostrò [in
segno di sottomissione a Dio], con la testa che
toccava il suolo. Allora vidi la Bestia che fuggiva
di nuovo verso il mare, e i nemici stavano scappando
nella più grande confusione... Poi vidi, in
grande lontananza, grandiose legioni che si
avvicinavano. Davanti a tutti vidi un uomo su
un cavallo bianco. I prigionieri venivano liberati
e si univano a loro. Tutti i nemici venivano
inseguiti. Allora, vidi che la Chiesa veniva prontamente
ricostruita, ed era magnifica più di
prima.» (Agosto-Ottobre 1820)
«Vedo il Santo Padre in grande angoscia.
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Egli vive in un palazzo diverso da quello di
prima e vi ammette solo un numero limitato di
amici a lui vicini. Temo che il Santo Padre
soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo
che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo
progressi, e vedo la tremenda influenza che essa
ha sulla gente. Il Santo Padre e la Chiesa sono
veramente in una così grande afflizione che
bisognerebbe implorare Dio giorno e notte.» (10
agosto 1820)
«La scorsa notte sono stata condotta a Roma
— continuò la santa — dove il Santo Padre,
immerso nel suo dolore, è ancora nascosto per
evitare le incombenze pericolose. Egli è molto
debole ed esausto per i dolori, le preoccupazioni
e le preghiere. Ora può fidarsi solo di poche
persone; è principalmente per questa ragione
che deve nascondersi. Ma ha ancora con sé un
anziano sacerdote di grande semplicità e devozione.
Egli è suo amico, e per la sua semplicità
non pensavano valesse la pena toglierlo di mezzo.
Ma quest’uomo riceve molte grazie da Dio.
Vede e si rende conto di molte cose che riferisce
fedelmente al Santo Padre. Mi veniva chiesto di
informarlo, mentre stava pregando, sui traditori
e gli operatori di iniquità che facevano parte
delle alte gerarchie dei servi che vivevano accanto
a lui, così che egli potesse avvedersene.»
41
«Non so in che modo la scorsa notte sono
stata portata a Roma, ma mi sono trovata vicino
alla chiesa di Santa Maria Maggiore, e ho visto
tanta povera gente che era molto afflitta e preoccupata
perché il Papa non si vedeva da nessuna
parte, e anche per via dell’inquietudine e delle
voci allarmanti in città. La gente sembrava non
aspettarsi che le porte della chiesa si aprissero;
essi volevano solo pregare fuori. Una spinta
interiore li aveva condotti là. Ma io mi trovavo
nella chiesa e aprii le porte. Essi entrarono,
sorpresi e spaventati perché le porte si erano
aperte. Mi sembrò che fossi dietro la porta e che
loro non potessero vedermi. Non c’era alcun
ufficio aperto nella chiesa, ma le lampade del
Santuario erano accese. La gente pregava tranquillamente.
Poi vidi un’apparizione della Madre
di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe
stata molto grande. Aggiunse che queste persone
devono pregare ferventemente... Devono pregare
soprattutto perché la chiesa delle tenebre
abbandoni Roma.» (25 agosto 1820)
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43
IL VERO SIGNIFICATO
DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
“Duemila anni fa, in un periodo di attesa”,
recita la scritta che compare inizialmente in
video che introduce alcune scene dell’attesa pellicola:
un uomo che scrive sulla terra, Gesù che
si rivolge a Dio nella notte, l’immagine di un
serpente, una sequenza della cattura di Gesù.
Poi ancora una scritta: “Un uomo avrebbe sfidato
tutto”.
«Per molti, lunghissimi minuti nessuno si
alza, nessuno si muove, nessuno parla: dunque
è vero, La Passione di Cristo ha colpito; l’effetto
che Gibson voleva si è realizzato in noi. Per
quanto vale io stesso sono sconcertato e muto…»
Questo il commento di Vittorio Messori, forse
il più famoso giornalista e scrittore cattolico
italiano e non soltanto, famosa l’intervista al
Papa, nell’ormai storico libro: Varcare la soglia
della speranza. Messori è un uomo di fede, cristiano,
cattolico, a volte si può dissentire da certe
sue posizioni, ma il Caso Cristo e Patì sotto
Ponzio Pilato, sono due esempi di grande saggistica
oltre che di provata abilità giornalistica e
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tenace fede.
«Per anni ho passato al vaglio — scrive
Messori sul Corriere della sera di martedì 17
febbraio — una per una le parole del greco con
cui gli evangelisti narrano questi eventi, nessuna
minuzia storica di quelle dodici ore a Gerusalemme
mi è sconosciuta… o meglio scopro adesso
che credevo di sapere: tutto cambia se quelle
parole si traducono in immagini di una tale
potenza da trasformare in carne e in sangue, i
segni graffianti di amore… e di odio.»
Mel Gibson lo ha detto con l’orgoglio unito
all’umiltà, con il misticismo che forma in lui un
miscuglio singolare: «Se quest’opera dovesse fallire
— dice Gibson — per cinquanta anni non ci
sarà futuro per il film “religioso”.»
Poi arrivano le notizie certe di veri e propri
miracoli avvenuti durante la lavorazione del
film, direttamente sul set, e se lo ha scritto
Messori, possiamo essere certi che i miracoli ci
sono stati davvero. Egli è un uomo di fede “investigativa”.
Eppure durante la lavorazione di
questo film ci sono stati segni inconfondibili
della presenza dello Spirito Santo e di Gesù
risorto, mentre gli attori erano impegnati nelle
riprese della dolorosissima Sua Passione, tra
Cinecittà e Matera.
«Conversioni — scrive Vittorio Messori sul
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Corriere della Sera — liberazioni dalle droghe,
riconciliazioni tra nemici, presa di coscienza e
abbandono del peccato di adulterio; apparizioni
di personaggi misteriosi, esplosioni di energie
straordinarie; figuranti lucani che si inginocchiavano
al passaggio dello straordinario Cavaziel-
Gesù, persino due folgori, una delle quali ha
colpito la croce, e che non hanno ferito alcuno. E
poi, coincidenze lette come segni: la Madonna
con il volto dell’attrice ebrea a nome Morgenstern
che, lo si è notato solo dopo, in tedesco
significa, Stella Mattutina delle litanie del Rosario.
Gibson si è ricordato del monito del beato
Angelico: “Per dipingere il Cristo, bisogna vivere
con il Cristo”.
«La decisione del regista di far parlare gli
ebrei nella loro lingua popolare, l’aramaico, e i
romani in latino basso, da militari, che ferisce
l’orecchio degli spettatori è voluta, perché rientra
nel clima realistico dell’ambientazione, lontano
dai licealismi e dalle raffinatezze ciceroniane.
«Gibson — ha scritto ancora Messori — è un
cattolico solo amante della Tradizione e coriaceo
assertore della dottrina del Concilio di Trento:
la Messa è anche un pasto fraterno, ma è innanzi
tutto il sacrificio di Gesù, rinnovazione incruenta
della Passione. Questo è ciò che impor-
46
ta, non è il capire le parole... il valore redentivo
degli atti e dei gesti che hanno il vertice sul
Calvario non hanno bisogno di espressioni che
chiunque possa capire. Questo film per il suo
autore è una Messa: se la mente non comprende,
tanto meglio, ciò che conta è che il cuore capisca
che tutto quello che è avvenuto ci redime dal
peccato e ci apre le porte della salvezza.»
Questa è la risposta a quanti si domandano,
e sono tanti anche nel mondo cristiano, cosa
effettivamente vuole dire Gibson con questo film.
Non è un film di evangelizzazione come “tradizionalmente”
lo si intende nella forma kerigmatica:
Dio ti ama, ha un progetto grande per te, è
morto per i tuoi peccati, perché tutti siamo peccatori
(e questa è la ragione fondamentale per la
quale moltissimi non sentono l’amore di Dio,
perché il peccato separa dalla fonte dell’amore, e
dove c’è peccato non c’è presenza di Spirito Santo
o è così rattristato da essere spento come dice
San Paolo nel versetto 19 della Prima Lettera ai
Tessalonicesi, capitolo 7).
Questo film è più che altro una Messa dal
vivo! E pensare che tante volte andiamo alla
Messa tutti impellicciati, magari sbadigliando,
con noia, superficialità, impazienza (“speriamo
che finisca presto”, “speriamo che la predica sia
corta”).
47
«La cattolicità radicale del film — è ancora
Messori che lo dice — sta innanzi tutto nel
rifiuto di ogni demitizzazione, nel prendere i
Vangeli come cronache precise: le cose, ci viene
detto, sono andate così come la Scrittura le descrive.
«Il cattolicesimo sta poi nel riconoscimento
della divinità di Gesù che convive con la sua
piena umanità. Una divinità che erompe, drammaticamente,
nella sovrumana capacità di quel
corpo di subire una quantità di dolore come mai
alcuno né prima né dopo, in espiazione di tutto
il peccato del mondo. Ma la cattolicità radicale
sta anche nell’aspetto eucaristico, riaffermato
nella sua materialità: il sangue della Passione è
intrecciato di continuo al vino della Messa, la
carne martoriata del “corpo di Cristo” al pane
consacrato. E sta pure nel tono fortemente mariano:
la Madre e il diavolo (che è femmina o
forse androgino), sono onnipresenti, l’una con il
suo dolore silenzioso, l’altro-altra, con il suo
compiacimento maligno. Da Anna Catherine
Emmerick, la veggente stigmatizzata, Gibson
ha preso intuizioni straordinarie: Claudia, la
moglie di Pilato, che offre, piangendo, a Maria i
panni per raccogliere il Sangue del Figlio è tra le
scene di maggiore delicatezza in un film che più
che violento è brutale. Come brutale fu appunto
48
la Passione. Il Pietro disperato dopo il rinnegamento,
si getta ai piedi della Vergine per ottenere
perdono.
«Inoltre dal film traspare un fatto determinante
per i cattolici, e il grande consenso ottenuto
finora da The Passion of Christ nel mondo
evangelico più che in quello cattolico, lascia
aperta la porta ad altri miracoli grandi e insperati:
una maggiore unità e abbattimento di steccati,
un fatto determinante per i cattolici, non
importante, ma fondamentale: la Transustanziazione,
e cioè l’effettiva trasformazione delle
due specie del vino e del pane, durante la celebrazione
eucaristica, nel Sangue e nel Corpo di
Gesù.»
L’idea di raccontare il sacrificio di Cristo è
nata a Mel Gibson intorno al 1992, in un momento
di totale disperazione, in cui l’attore aveva
pensato di uccidersi, lanciandosi da una finestra.
Lo ha raccontato negli Usa lo stesso attoreregista,
in una intervista-confessione televisiva
a Diane Sawyer della Abc e del film ha rivelato
che promuove «la fede, la speranza, il perdono, i
critici che hanno problemi con me, in realtà
hanno problemi con i quattro Vangeli.»
Gibson ha raccontato che anni fa ha toccato
il fondo spirituale e ha detto di essersi trovato in
ginocchio a chiedere aiuto, per poi trovare la
49
forza di ricominciare nella rilettura dei Vangeli.
«Gesù Cristo è stato pestato per le nostre trasgressioni
e dalle sue ferite noi veniamo guariti.
»
«Sul piano tecnico — dice Vittorio Messori —
La Passione di Cristo, appare di altissima qualità
tanto che i precedenti film su Gesù potranno
sembrare ridotti a parenti poveri e arcaici: in
Gibson luci sapienti, fotografia magistrale, costumi
straordinari, scenografie scabre e, quando
necessarie, sontuose, trucco di incredibile
efficacia, recitazione di grandi professionisti,
sorvegliati da un regista che è anche un loro
illustre collega. Soprattutto effetti speciali talmente
mirabolanti che… resteranno segreti, a
conferma dell’enigma dell’opera, dove la tecnica
vuole essere al servizio della fede.
«Nel film è presente l’importanza anche teologica,
attribuita alla Madonna nonché l’Eucarestia,
non spiritualizzata, non ridotta a “memoriale”,
ma vista nel modo più materiale, dunque
cattolico (Transustansazione).»
Vittorio Messori, spiega poi: «due minuti
bastano per ricordare che non fu quella l’ultima
parola. Dal Venerdì Santo alla Domenica di
Pasqua, alla Resurrezione che Gibson ha affrontato
accogliendo una particolare lettura delle
parole dell’evangelista Giovanni: uno svuota-
50
mento del lenzuolo funerario, lasciando un segno
sufficiente per “vedere e credere” che il
suppliziato ha trionfato sulla morte.»
E questa Resurrezione autentica, vera, reale,
splendente, chiarissima, esaltante, efficacissima,
aggiungiamo, perché Gesù è sempre lo
stesso: “Ieri, oggi sempre” (Lettera di San Paolo
agli Ebrei, capitolo 13, versetto 8).
«Antisemitismo — ha scritto ancora Messori
— o almeno antigiudaismo? Non scherziamo
con parole troppo serie. Chiarissimo è nel film
che ciò che grava sul Cristo e lo riduce in quello
stato non è colpa di questo o di quello, bensì tutto
il peccato di tutti gli uomini, nessuno escluso.
All’ostinazione nel chiedere la crocifissione da
parte di Caifa (quel sadduceo collaborazionista
che non rappresentava affatto il popolo ebreo da
cui era anzi detestato, il Talmud su di lui e sul
suocero Anna ha parole terribili), fa più di abbondante
contrappeso il sadismo inaudito dei
carnefici romani; alle viltà politiche di Pilato
che lo portano a violentare la sua coscienza, si
oppone il coraggio del sinedrita che affronta il
Sommo Sacerdote, gridandogli che quel processo
è illegale. E non è forse ebreo il Giovanni che
sorregge la Madre, non è ebrea la pietosa Veronica,
non è ebreo l’impetuoso Simone di Cirene,
non sono ebree le donne di Gerusalemme che
51
gridano la loro disperazione, non è ebreo Pietro
che, perdonato, morirà per il Maestro? All’inizio
del film, prima che il dramma si scateni, la
Maddalena chiede, angosciata alla Vergine:
“Perché questa notte è così diversa da ogni altra?”
“Perché — risponde Maria — tutti gli uomini
erano schiavi, e ora non lo saranno più.”
Tutti ma proprio tutti, “giudei o gentili che siano”.
Quest’opera dice Gibson amareggiato da
aggressioni preventive, vuol riproporre il messaggio
di un Dio che è Amore. E che Amore
sarebbe se escludesse qualcuno?»
Il punto vero è un altro. Da che pulpiti vengono
le prediche? Il mondo è abituato alla violenza
più gratuita, sia nella realtà che nei film,
e al di là degli atteggiamenti di facciata e di
parole sempre gonfie di perbenismo, più di tanto
non si scandalizza più. Invece si scandalizza
davanti alle crude immagini della Passione del
Redentore perché si è abituati a conoscerlo e
viverlo all’acqua di rose, in una versione falsa e
ipocrita, come quelli che fanno sempre finta,
quelli che esteriorano apparenze e pietismo che
non è pietà. Il mondo (e anche una parte del
mondo cristiano), non accetta il dolore, la sofferenza
e vuole sfuggirgli.
«Il film è molto violento — ha detto Mel
Gibson — ma secondo me questa violenza non è
52
anticristiana: è una forma di catarsi che spero
riconduca tanta gente alla Fede.»
Cristo è morto, tremendamente sfigurato
come la Sacra Sindone prova, nudo sulla Croce.
La pietà popolare, in seguito gli ha messo un
panno. Egli ha sofferto, come Gibson fa vedere
molto bene, perché si è voluto caricare sulle
spalle tutti i nostri peccati e il peccato del mondo:
“dalle sue piaghe siamo stati guariti” (Prima
Lettera di Pietro, capitolo 2, versetto 25; cfr
Isaia, capitolo 53, versetto 5).
Scrisse Hans Urs von Balthasar nelle meditazioni
sul Credo Apostolico: «L’ora e l’impero
delle tenebre (Luca 22,53), quando gli uomini
Gli inflissero ogni sorta di dolore fisico e morale
e anche il Padre lo abbandonò nei supplizi, è una
notte per noi insondabile. Nessuna via Crucis,
neppure le atrocità delle torture umane dei campi
di concentramento possono darcene un’immagine.
Portare il peso del peccato del mondo,
sperimentare in sé la profonda perversione di
una umanità che nega a Dio ogni culto, ogni
riverenza e timore, di fronte a un Dio che distoglie
lo sguardo da questi tormenti: chi può concepire
che significa tutto ciò? E poiché sono qui
raccolte tutte le sterminate età del mondo dal
principio alla fine dei tempi, per il Sofferente la
croce diventa atemporale; non si può più parlare
53
di una prospettiva di resurrezione di due giorni
dopo. Il peccatore può sperare, il “peccato” no:
ma Cristo, per amore nostro, Dio “lo trattò da
peccato” (Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi,
capitolo 5, versetto 21).»
«È durissimo. Il film di Mel Gibson — scrive
Andrea Piersanti, Presidente dell'Istituto Luce,
in www.cinematografo.it — è veramente duro e
non concede spazio alla fantasia. La passione di
Gesù è descritta nei particolari, senza indulgenze
estetiche, ma anche senza falsi pudori. Gli
uncini dei flagelli strappano la carne viva e lo
spettatore soffre e sussulta insieme con il sanguinante
protagonista della storia. Per tutto il
film. Due ore e dieci minuti di sofferenza vera.
Due ore e dieci minuti di autentica commozione.
«Il film La Passione di Cristo è veramente
“tosto”. Si esce dalla proiezione scioccati e colpiti
nel più profondo e intimo dei sentimenti. Il sangue
scorre copioso sullo schermo e tante saranno
le domande che questo susciterà.
«Un film che inizia con uno schiocco sparato
fortissimo negli altoparlanti della sala. È il rumore
del sandalo di Gesù che schiaccia, con un
“crack”, la testa del serpente. È una scelta di
campo inusuale e “scandalosa” da parte di Gib-
54
son, nei tempi del politicamente corretto ad ogni
costo.
«La società contemporanea, che sarebbe meglio
definire “società delle immagini”, è fortemente
scristianizzata. La durezza dei cuori degli
uomini del terzo millennio è paragonabile in
qualche modo solo alle risa volgari e sguaiate
dei soldati romani che, anche nel film di Gibson,
picchiano e poi crocifiggono Gesù.
«C’è un legame stretto fra l’evento di duemila
anni fa e la nostra vita quotidiana, i cuori sono
diventati di pietra,» ha scritto ancora Andrea Piersanti,
«gli occhi sono serrati (anche se ottusamente
aperti sul caleidoscopio delle immagini della modernità,
come ha già detto Stanley Kubrick con il
suo film-testamento Eyes Wide Shut) e le orecchie
sono sorde ai lamenti della coscienza.
«Oggi come allora, duemila anni fa. A questo
potrebbe avere contribuito un certo annacquamento
operato sul messaggio evangelico. Come se
arte figurativa prima, e cinema e televisione dopo,
avessero trascurato un aspetto importante della
vita di Gesù: la sua sofferenza, umana e divina.
«C’è un solo fotogramma, nel film di Gibson,
che da solo varrebbe l’intero prezzo del biglietto.
Dopo la morte di Gesù sulla Croce, la macchina
da presa, che fino al quel momento ha seguito il
dramma senza mai staccarsi da terra, prende il
55
volo e lo spettatore si trova improvvisamente a
guardare la scena dall’alto dei cieli. L’immagine
è come trasfigurata in uno strano effetto a occhio
di pesce. Poi anche quella bizzarra rotondità si
muove e comincia a precipitare verso la terra
dove si schianterà in pochi secondi. È la prima
goccia d’acqua del finimondo che si scatena sul
Golgota.
«Si rimane stupefatti. La sequenza, brevissima,
rimane nell’immaginario dello spettatore
annichilito. È come se Gibson abbia avuto l’ardire
di poter immaginare e poi di voler raffigurare
lo sguardo e, soprattutto, il pianto di Dio. Un
gesto di arroganza salutare, pazzesco ma baciato
dalla grazia. Per troppo tempo abbiamo trascurato
la sofferenza di Dio. Una sofferenza che
è specchio e immagine della nostra stessa sofferenza
nel peccato.
«Solo così infatti si può capire perché Gibson
abbia voluto essere così duro nella rappresentazione
della violenza che abbiamo inflitto a Gesù.
È, infatti, la stessa violenza che abbiamo inflitto
a noi stessi. Quelle carni martoriate sono le
nostre. Le lacrime di Maria sono le nostre. E una
domanda ci coglierà all’improvviso, alla fine
della proiezione, all’uscita della sala cinematografica:
Dove siamo stati in questi ultimi duemila
anni? Come abbiamo fatto a dimenticare?»
56
57
IL SANGUE È NECESSARIO
PER DIMOSTRARE IL SACRIFICIO
DI CRISTO
Giovanni Cantoni, direttore della rivista Cristianità,
studioso della Dottrina Sociale, dice di
Mel Gibson: «è particolarmente attento alle mutazioni
delle tendenze della cultura e delle arti
ed al loro impatto nell’immaginario popolare —
come si legge sul Quotidiano di Calabria —.
Credo di poter e di dover esprimere un giudizio
positivo, come integrazione e ricostruzione verosimile
del testo, quindi delle informazioni
evangeliche. Infatti il film costituisce prezioso
aiuto alla contemplazione della Passione, quindi,
di nuovo, alla ricostruzione a uso di meditazione
e di riflessione personale di un passaggio
nodale della vita del Salvatore. Personalmente
non vi ho visto altro, oltre alla riproposizione
animata, cioè in sequenza, delle immagini note
ad ogni occidentale, anche di non particolare
cultura, in quanto costitutive del deposito dell’informazione
ricavabile dal mondo delle arti
figurative, soprattutto del tempo tardo medioevale
e protoumanistico. Trovo le descrizioni co-
58
erenti con l’esito, almeno com’è illustrato dall’uomo
della Sindone.»
La diplomazia stride con le immagini cruente
e durissime che per due ore e dodici minuti
pervadono tutto il film in quanto Gesù Cristo
non è stato diplomatico. Se avesse usato la diplomazia
non avrebbe subito la condanna e la
dolorosissima Passione, avrebbe trovato un compromesso
con i farisei e i dottori del Tempio.
Le immagini di Gibson inchiodano oltre che
il Cristo, anche ogni uomo a prendere coscienza
che Dio non ha risparmiato nulla di sé, fino
all’ultima goccia del suo sangue per salvare
ognuno di noi altrimenti perso a causa del peccato.
È il Sangue di Cristo che ci salva.
Ci si ostina a nascondere ancora la verità
della Parola di Dio? Non è sufficiente il lastricato
di tombe a cui è ridotta gran parte della nostra
amata Chiesa?
Non è un dibattito che ci salva, una teologia,
un pensiero, ma il Sangue di Cristo, di cui si
parla in 23 capitoli del Nuovo Testamento. Eccone
tre: “Foste liberati con il sangue prezioso di
Cristo” (Prima Lettera di Pietro, capitolo 1, versetto
19); “Il Sangue di Gesù ci purifica da ogni
peccato” (Prima Lettera di Giovanni, capitolo 1,
59
versetto 7); “Ci ha liberati dai nostri peccati con
il suo Sangue” (Apocalisse, capitolo 1, versetto
5).
Già nel 2002 il quotidiano Avvenire scrisse
che l’attore stava consultando teologi e altri
prelati “al massimo livello” per comprendere
appieno l’ultima sofferenza di Cristo. Comunque
la si voglia prendere Gesù fa scandalo, se
preso per il giusto verso. In un modo o nell’altro
si sta verificando un “sano” terremoto. Il mondo
si scandalizza di questa violenza ma non coglie
che duemila anni fa non era un uomo dei tanti
che crocifiggevano i romani (pare che in Palestina
non vi fossero più alberi), ma Dio. E che lo ha
fatto per l’uomo.
Il mondo non si scandalizza della raffica dei
film di violenza gratuita che ogni giorno propinano
le Tv. Non si scandalizza più tanto nemmeno
delle guerre che scoppiano e si concludono
nel giro di pochi mesi o addirittura settimane.
Ma si scandalizza della polvere, del sangue,
della carne fatta a brandelli di una rappresentazione
della Passione. Ma a quali vie Crucis
abbiamo partecipato fino ad oggi?
Se questo film voleva svegliare qualcuno
sicuramente, davanti a queste immagini o si
fugge via o si resta in mistica contemplazione (è
consigliabile per i cristiani pregare almeno
60
un’ora prima di andare a vedere questo film).
Qualunque Via Crucis, qualunque rappresentazione
sacra del Venerdì Santo, qualsiasi
idea ci siamo fatti della Passione finora, qualsiasi
iconografia nota, a questo punto è ormai da
dimenticare. Da cancellare. La vera Passione di
Cristo non è andata “meglio” da come ce l’ha
fatta vedere Mel Gibson. Rifletteremo su questo?
Rifletteremo sulla Gloriosissima Resurrezione
di tre giorni dopo, rifletteremo sul fatto che
Gesù Cristo ha distrutto la morte, il peccato, la
malattia? Rifletteremo sul fatto che come dice
Isaia e poi riprende Pietro “Dalle sue piaghe
siamo stati guariti”?
«La Sacra Sindone — ha detto Gibson, rispondendo
alle accuse di violenza — mostra che
non c’era più pelle sul corpo di quell’uomo. Questa
è l’immagine di Cristo in cui credo. È stato un
pestaggio spietato. Il sangue è stato necessario
per far vedere quanto sia stato grande il Suo
sacrificio.»
61
GESÙ NELL’ORTO DEGLI ULIVI
E I SEGRETI DEL FILM
Ecco Gesù nell’Orto degli Ulivi, nelle visioni
della Venerabile Anna Caterina Emmerick:
«L’anima sua era già turbata e la sua tristezza
andava sempre crescendo. Egli guidò i compagni,
per un sentiero nascosto nella Valle di Giosafat,
e di là si diresse con loro al monte degli
Olivi; quando furono giunti davanti alla porta,
vidi la luna non interamente piena levarsi sulla
montagna. Il Signore, errando con i compagni
nella valle, diceva che sarebbe ritornato in quel
luogo per giudicare il mondo, ma non povero e
languente come lo vedevano allora, e che in
quella seconda venuta altri avrebbero tremato e
gridato. I suoi discepoli non lo compresero, e
credettero, cosa che accadde loro più volte in
quella notte, che la debolezza e l’esaurimento lo
facessero delirare… Gesù andò a pregare nella
parte più selvaggia… Gesù era molto triste e
presentiva l’avvicinarsi del pericolo e i discepoli
ne erano assai turbati. Egli disse allora a otto di
loro di rimanere nell’orto del Getzemani: “Restate
qui,” disse, “mentre io vado a pregare nel
62
luogo che ho scelto.”
«Era indicibilmente triste, perché sentiva
l’avvicinarsi dell’angoscia e della prova; Giovanni
gli chiese come mai Lui, che li aveva
sempre consolati, potesse essere così abbattuto.
“L’anima mia è triste fino alla morte,” rispose, e,
guardando intorno a sé, vide da ogni lato l’angoscia
e la tentazione avvicinarsi come nubi cariche
di immagini spaventevoli. “Fermatevi, vegliate
con me; pregate affinché io non abbia a
cadere in tentazione”.
«La sua tristezza e la sua angoscia crescevano
ed Egli si ritirò tutto tremante in fondo alla
grotta, come uno che, perseguito da spaventoso
uragano, cerchi un rifugio per pregare; ma le
visioni minacciose lo seguirono anche nella grotta
e si fecero ancora più distinte. Quella stretta
caverna sembrava racchiudere l’orribile spettacolo
di tutti i peccati commessi dalla prima caduta
fino alla fine del mondo, e quello del loro
castigo; perché proprio nell’Orto degli Ulivi si
erano rifugiati Adamo ed Eva quando erano
stati scacciati dal Paradiso e mandati raminghi
sulla terra inospitale, e avevano pianto e tremato
in quella stessa grotta.
«Ebbi allora la chiara impressione che Gesù,
abbandonandosi ai dolori della Passione che
stava per cominciare, e offrendosi in olocausto
63
alla Giustizia Divina per soddisfare e riparare i
peccati del mondo, facesse rientrare in qualche
modo la sua divinità in seno alla Santissima
Trinità, per rinchiudersi sotto l’effetto della sua
carità infinita, nella sua paura, amante e innocente
umanità che, armata solo dell’amore che
infiammava il suo cuore di uomo, si immolava,
per tutti i peccati del mondo, per tutte le angosce
e tutte le sofferenze. E volendo soddisfare per
l’origine e lo sviluppo di tutti i peccati e di tutti
gli istinti pravi, il misericordioso Gesù, prese nel
suo cuore, per amore di noi peccatori, la radice di
ogni espiazione santificante, e allo scopo di soddisfare
per i peccati infiniti, lasciò crescere e
dilatarsi questa pena infinita come un albero
dalle mille braccia, e penetrare in tutte le membra
del suo sacratissimo corpo, in tutte le facoltà
l’anima sua santissima.
«Così, abbandonato interamente alla sua umanità,
implorando Iddio con tristezza e angoscia
inesprimibile, cadde col viso a terra, mentre tutti i
peccati del mondo gli apparivano in forme innumerevoli
con tutta la loro bruttezza interiore: li
prese allora tutti sopra di sé, e si offerse, nella sua
preghiera, alla giustizia del Padre Celeste, in riparazione
di questo spaventevole debito….»
La mano che infilza e martella il chiodo sulla
mano dell’attore Jim Caviezel nella parte di
64
Gesù, è quella di Mel Gibson. Egli stesso ha
voluto fare questa scena. Il motivo? L’uomo di
fede cristiana dovrebbe vedere in questo gesto,
che comunque rimane non rivelato nel film, un
atto di pentimento e di riconoscimento del proprio
peccato, dei propri peccati. In effetti ognuno
di noi ha crocifisso Cristo, con i suoi peccati.
Cristo con i suoi patimenti si è fatto peccato al
posto del nostro peccato al fine di riconciliarci
con il Padre. Perché l’uomo era definitivamente
separato da Dio a causa del peccato originale e
poi a seguire della moltitudine immensa di peccati
dall’inizio dei tempi alla fine del mondo.
Francesco Faschino, uno studente universitario
di Matera, della facoltà di Economia Aziendale
aveva realizzato un sito di interesse turistico
e culturale: Sassi di Matera (www.sassiweb.it),
ma quando è cominciata a girare la notizia delle
riprese del film, tante persone hanno iniziato a
tempestarlo di domande, così, per tagliare la
testa al toro, inserì una pagina speciale sul film,
ma queste cose non le scrisse mai. Francesco ha
vissuto quasi attimo per attimo, tutte le riprese
del film: dal 4 novembre al 4 dicembre del 2002.
«Mel Gibson — racconta Francesco — ha
scelto quel periodo per un fattore di luce, di
giochi di luce, si adattava ai momenti più intensi
della Passione; la cosa che più mi ha colpito è
65
stata quella del chiodo: quella scena l’ha voluta
fare Gibson di persona. Poi mi ha colpito molto
l’uso di uno speciale robot, fatto costruire appositamente,
con le sembianze di Jim Caviezel,
identico: un robot che respirava, trasudava, dal
quale usciva il liquido simile al sangue, questo
per le scene dirette sulla croce: molte volte è
salito su anche il protagonista, ma con il freddo,
ha avuto problemi di ipotermia. Il robot si chiamava
animatronic.
«Quando il regista stava girando la scena
della crocifissione personalmente, assisteva un
teologo del posto, padre Basilio Gavazzani, della
Parrocchia di Sant’Agnese. Vi è stata una lunga
e animata discussione tra i due, perché in realtà,
come pochi sanno i chiodi furono conficcati sui
polsi di Gesù, perché le mani attaccate alla croce
non avrebbero retto il peso del corpo, ma la
tradizione popolare li ha voluti poi sulle mani,
così come le stigmate di molti santi compaiono
sul palmo delle mani. Gibson difendeva la tradizione
popolare.
«Un altro particolare che mi ha colpito sono
state le iniziali del nome di Jim Caviezel: Jesus
Christ, e che l’attore quando ha girato il film aveva
trentatré anni come Gesù. Mi ha anche colpito il
clima di fede nel quale si svolgeva il film. Il protagonista
aveva sempre un atteggiamento di fede:
66
l’ho visto confessarsi spesso con Don Angelo, un
sacerdote del posto e recitare il Rosario.»
Intanto in difesa del film è sceso in campo
l’arcivescovo John Foley, presidente del Pontificio
Consiglio delle Comunicazioni sociali, che,
secondo fonti di agenzia, a proposito delle accuse
di antisemitismo mosse alla pellicola, dice: «Certo
ci sono ebrei nel film che chiedono la condanna
di Gesù, ma anche l’Impero Romano è dipinto
severamente.» Monsignor Foley considera The
Passion of Christ «una riflessione sulla Passione
e sulle responsabilità che tutti noi, me compreso,
abbiamo avuto nella sofferenza e nella
morte di Gesù.»
Chi si scandalizzerà non avrà compreso che
il peccato è una cosa molto grave, tanto grave
che Dio per distruggerlo ha dovuto immolare il
proprio unico Figlio, pur di non vedere per sempre
perduta la sua creatura, sedotta dal peccato:
l’uomo. Pur di non vederlo perire per sempre
nella vita eterna, ha sacrificato il proprio Figlio.
Molti invece capiranno questo proprio vedendo
il film e la prima cosa che scatterà in loro, insieme
alla conversione sarà il perdono: di sé stessi,
di Dio (al quale saranno state attribuite tutte le
cose negative della vita), del prossimo, del nemico;
riacquisterà la fede, perché dopo la morte
atroce di Cristo c’è la Resurrezione!
67
ECCO COME SATANA TENTÒ GESÙ
NELL’ORTO DEL GETZEMANI
«Ma Satana che, in forma orribile s’agitava
con riso infernale in mezzo a tanti orrori, si
eccitava in un furore sempre crescente contro
Gesù, e facendo passare davanti a lui dei quadri
sempre più spaventosi, gridava senza posa alla
sua umanità: “Come! Anche questo vuoi prendere
sopra di te? E sopportarne la pena? Vuoi tu
soddisfare per tutto questo?” Intanto, da quella
parte del cielo dove il sole si mostrava fra le dieci
e le undici del mattino, partì un raggio simile ad
una via luminosa: era una schiera d’angeli che
scendeva fino a Gesù per infondergli forza e
sollievo.
«Il resto della grotta era pieno di spaventose
visioni di peccato e di spiriti malvagi, dileggiatori
e accaniti; Egli prese tutto sopra di sé, ma il
suo cuore, il solo che amasse perfettamente Dio
e gli uomini in questo deserto d’orrore, sentì
crudelmente torturato e straziato sotto il peso di
tanto abominio.
«Ah! Vidi allora tante cose che un anno
intero non basterebbe a narrarle. Quando quel-
68
la massa di delitti fu passata sopra il suo capo
come un oceano e che Gesù, volontaria vittima
d’espiazione, ebbe chiamato sopra di se le pene e
i castighi dovuti a tutti quei peccati, Satana gli
suscitò contro, come altra volta nel deserto, innumerevoli
tentazioni, e osò perfino presentargli
— a Lui che era la purezza medesima! — una
serie di accuse: “Come! Diceva, vuoi prendere
tutto questo sopra di te, e tu stesso non sei puro!
Guarda questo! E questo! E quest’altro ancora!”
e fece sfilare davanti a Lui, con impudenza
infernale, una quantità immensa di accuse immaginarie,
rimproverandogli gli errori dei suoi
discepoli, gli scandali che questi avevano dato, e
il turbamento che Egli aveva portato nel mondo,
rinunciando alle antiche usanze.
«Satana si fece il più abile e il più severo dei
Farisei e gli rimproverò d’essere stato l’occasione
del massacro degli Innocenti, e della pena e
del pericolo dei suoi genitori in Egitto, gli rimproverò
di non aver salvato Giovanni Battista
dalla morte, d’aver disunito molte famiglie,
d’aver protetto uomini screditati, d’aver omesso
di guarire parecchi malati...»
Nelle sue visioni sugli anni della predicazione
di Gesù, Caterina Emmerick vide l’11 dicembre
1822, il Signore permettere ai dèmoni usciti
dagli ossessi di Gerasa di entrare in una man-
69
dria di porci. Vide ancora questa circostanza
particolare: che gli indemoniati rovesciarono
prima una grande vasca piena di una bevanda
fermentata.
«... e ai dèmoni di precipitare in mare i loro
suini; gli imputò le colpe di Maria Maddalena,
perché non le aveva impedito di ricadere nel
peccato; l’accusò d’aver abbandonato la sua famiglia,
di aver dilapidato i beni altrui; insomma
il tentatore presentò all’anima di Gesù per abbatterlo,
tutto quanto avrebbe rimproverato in
punto di morte a un uomo ordinario, che avesse
compiuto tutte quelle azioni senza motivi superiori;
perché a lui era nascosto che Gesù fosse
figlio di Dio e quindi lo tentava solo come il più
giusto tra gli uomini.
«Il nostro Divino Salvatore lasciò talmente
predominare in sé la sua santa umanità, che
volle soffrire persino la tentazione della quale
sono assaliti circa il merito delle loro opere buone
gli uomini che muoiono santamente e permise,
per vuotare tutto intero il calice dell’agonia,
che lo spirito del male, al quale la sua divinità
era nascosta, gli presentasse tutte le sue opere di
carità come altrettanti atti colpevoli, che la grazia
di Dio non gli aveva ancora rimessi.
«Gli rimproverò di voler cancellare i peccati
degli altri, mentre Lui stesso, sprovvisto di ogni
70
merito, doveva soddisfare il debito contratto con
al Provvidenza divina per molte pretese opere
buone. La divinità di Gesù permise che il nemico
tentasse la sua umanità come potrebbe tentare
un uomo che volesse attribuire un valore proprio
alle sue buone opere, oltre quello solo che
possono avere in unione ai meriti della morte del
Salvatore.
«Così il tentatore gli presentò le opere del
suo amore come atti sprovvisti di merito, che lo
costituivano debitore verso Dio: fece come se
Gesù ne avesse, in qualche modo, prelevato il
merito su quello della sua Passione non ancora
consumata e di cui Satana non conosceva ancora
il valore infinito, e per conseguenza, come se
non avesse soddisfatto per le grazie ricevute in
occasione di queste sue opere.
«Gli pose sotto gli occhi dei contratti nei
quali tutte le sue buone opere erano scritte come
debiti, e diceva, sottolineandole, col dito: “Tu sei
ancora debitore per questa e per quest’altra,
ecc.”
«Infine svolse davanti a Lui un contratto
dove stava scritto che Gesù aveva ricevuto da
Lazzaro e speso il denaro ricavato dalla vendita
della proprietà di Maria-Maddalena a Magdala
e gli disse: “Come hai tu osato dissipare il bene
altrui e usare un simile torto a questa famiglia?”
71
«Io vidi le immagini di tutti i peccati per i
quali il Signore s’era offerto di espiare e sentii
con Lui tutto il peso delle gravissime accuse che
gli venivano elevate contro dal tentatore; poiché
fra i peccati del mondo che il Salvatore s’era
addossato, vidi anche i miei, pur tanto numerosi,
e dal cerchio di tentazioni che lo stringevano
si sprigionò verso di me come una corrente dove
tutte le mie colpe prendevano forma di visione.
«Intanto io avevo gli occhi sempre fissi sul
mio celeste Fidanzato, gemevo, pregavo con Lui,
e mi volevo con Lui verso gli angeli consolatori.
Ah! Il Signore si torceva come un verme sotto il
peso del suo dolore e della sua angoscia. Io,
durante le accuse di Satana contro Gesù, duravo
a fatica a trattenere la mia collera; ma quando il
tentatore parlò della vendita dei beni di Maddalena,
mi fu impossibile contenermi e gridai:
“Come puoi imputargli a peccato la vendita di
quei beni? Forse che non hai visto il Signore
impiegare in opere di misericordia la somma
consegnatagli da Lazzaro, e liberare a Thirza
ventisette poveri prigionieri per debiti?”
«In principio Gesù era inginocchiato e pregava
abbastanza calmo; ma più tardi l’anima
sua fu spaventata alla vista dei delitti innumerevoli
degli uomini e della loro ingratitudine
verso Dio ed Egli fu in preda ad un’angoscia e ad
72
un dolore così violenti che esclamò, tremando e
rabbrividendo: “Padre mio, se è possibile, allontana
da me questo calice! Padre mio, tutto ti è
possibile: allontana questo calice!” Poi si riprese
e disse: “Però sia fatta la tua volontà e non la
mia.”»
«Non so se la nostra sia l’epoca di un nuovo
grande risveglio religioso — si è letto sul settimanale
Panorama — ma l’operazione colossale
messa in piedi con il ritorno della Passione va in
quella direzione. La religione del Concilio tendeva
all’occultamento della differenza e alla
disciplina spirituale come valore universale, ora
esplode l’identità come differenza assoluta. Gibson
sembra avere intercettato questa nuova e
antichissima dimensione dell’esistenza umana,
e la ripropone senza scrupoli, da cattolico radicale
militante. Al tradizionale bisogno di credere,
banalizzato e parrocchializzato in mille modi
nel linguaggio contemporaneo, si è sostituita
l’urgenza di ascoltare una storia vera, di riprodurre
l’avvenimento che è alle nostre spalle.
Nell’impasto annunciato di cristianesimo americano
e tradizionalismo europeo, questo film
sulla Passione, girato e doppiato in lingue come
l’aramaico e il latino che nessuno conosce più, si
73
annuncia come un superbo E. T. capace di parlare
senza riserve al mondo bambino che si
credeva padrone di se stesso.»
Effettivamente la croce è uno scandalo. Si
avvera oggi. Quando? Oggi, ora, in questo momento
la Parola di Dio, efficace, eterna, immutabile,
incorruttibile, che produce quello che dice:
«Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per
i giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che
sono chiamati, sia giudei che Greci (il mondo
all’epoca conosciuto, che va inteso per “tutti”),
predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di
Dio.» (Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi,
capitolo 1, versetti 23-24)
Agli “accomodanti”, a chi è sempre in cerca
del compromesso, questo film viene a rompere le
uova nel paniere e diventa pietra di inciampo.
Perché Cristo è pietra di inciampo (cfr Lettera di
San Paolo ai Romani, capitolo 9 versetto 32), ma
a tanti toglierà il velo dagli occhi.
Il film vuole annunciare: in primo luogo che
il peccato è una cosa aberrante agli occhi di Dio
tanto che per riscattare l’uomo, che vorrebbe
fare tutto da sé, facendosi egli stesso Dio, stabilendo
cosa è bene e cosa è male, mentre invece è
solo una creatura, ha mandato il suo Figlio
Unigenito, l’unico che aveva, Gesù per riscattare
l’uomo creato a sua immagine e somiglianza,
74
perché non si perda in eterno, infatti chiunque
accoglie Gesù Cristo come unico Signore, Salvatore
e Messia nella propria vita, proclamandolo
con la bocca a voce alta e facendo poi conseguenti
passi di fede e cammini calandosi nelle comunità
cristiane sarà salvo.
È ora di prendere coscienza del peccato, del
riscatto operato da Gesù Cristo perché si accolga
la fede, la speranza, la carità e si facciano passi
concreti verso il perdono, di sé stessi, di Dio, del
prossimo, dei nemici..!
Dio ci ha perdonati, ha perdonato i peccati di
ognuno di noi e noi chi siamo per non perdonare
anche chi ci ha fatto del male?
Un altro messaggio va ai cristiani della domenica,
ai cristiani all’acqua di rose, ad un certo
cristianesimo (e cattolicesimo) di maniera, di
facciata, di apparenza, dimenticando il profondo
sacrificio di Cristo, velandolo, velando la Parola
di Dio e il Vangelo, sostituendolo con un
vago pietismo umanitario che nulla ha a che
vedere con Cristo. Un messaggio a chi pensa che
con quattro nozioni di catechismo e qualche
funzioncina religiosa si assolva al ruolo e alla
chiamata che Gesù fa a chiunque lo conosce:
evangelizzare.
I “perbenisti” si scandalizzeranno. Non si
possono escludere reazioni forti alla visione di
75
questo film, durante la lavorazione del quale si
sono verificati veri e propri miracoli, guarigioni,
conversioni, e che non è affatto antisemita ma
che racconta esattamente come sono andate le
cose quella volta là. Quella volta che per ogni
cristiano si rinnova con la celebrazione della
Santa Messa alla quale spesso assistiamo assonnati
e annoiati.
Il regista afferma che lo Spirito Santo stava
lavorando con lui: «Credo nello Spirito Santo,
per me è reale e sono convinto che guardi favorevolmente
a questo film e che abbia voluto
aiutarmi. Ovvio, il film l’ho fatto io, ma Dio fa
tutto: niente accade per caso. È la mia visione, è
la mia versione di quello che è accaduto e ne sono
orgoglioso, ma l’ho fatto io, con l’aiuto di Dio.
Gesù viveva in Giudea, era un figlio di Israele e
in Giudea c’erano romani e ebrei, non c’erano i
norvegesi. Io mi sono ispirato ai Vangeli, scritti
da persone che erano là, magari scritti un po’
dopo, ma erano stati testimoni.»
Gibson è stato accusato di essere antisemita.
«Non sono antisemita: andrebbe contro le
mie convinzioni di cattolico: essere razzisti è un
peccato — ha replicato Gibson —. Essere antisemiti
significa non essere cristiani.»
Gibson è stato accusato di avere descritto la
crocifissione in modo troppo esplicito.
76
«È un film violento e se non vi piace l’idea
non andateci — ha risposto — ho voluto che
avesse impatto, che fosse estremo. Volevo spingere
lo spettatore oltre la china, volevo che vedesse
l’enormità di quel sacrificio. Mi sono attenuto
ai testi e il film, non a caso, si chiama La
Passione di Cristo.»
Gibson ha rivelato di essere stato in alcuni
centri di disintossicazione e di avere una predisposizione
alle dipendenze.
«Stavo annegando. Ero soggetto a qualsiasi
tipo di dipendenza. Soprattutto alcol, ma anche
droghe, caffè, sigarette, sono arrivato a pensare
al suicidio. Quando guardo indietro mi chiedo
che cosa stessi pensando. Mia moglie, mi è stata
vicino per anni, è una splendida donna, la migliore
amica che abbia mai avuto e molto lo devo
a lei.»
77
CHI POTRÀ MAI RENDERE QUESTO
TERRIBILE E DOLOROSO SPETTACOLO?
Continua il racconto della Venerabile Anna
Caterina Emmerick: «Accanto alla casa di Pilato
il tumulto e le grida non cessavano. Nuovi
carnefici colpirono Gesù a scudisciate, servendosi
di cinghie munite all’estremità di uncini di
ferro, che ad ogni colpo, strappavano interi pezzi
di carne.
«Ah! Chi potrà mai rendere questo terribile
e doloroso spettacolo?
«Ma la loro rabbia infernale non era ancora
soddisfatta: Gesù venne slegato e nuovamente
attaccato, ma questa volta con il dorso volto alla
colonna; siccome non poteva più reggersi, gli
passarono delle corde sul petto, sotto le braccia e
sotto le ginocchia, legandogli poi anche le mani
dietro la colonna. Tutto il suo corpo si contraeva
dolorosamente ad era coperto di sangue e di
piaghe. Allora si precipitarono sopra di Lui come
cani furiosi; uno di essi aveva una verga più
flessibile, con la quale gli colpiva il viso.
«Il Salvatore aveva il corpo ridotto tutto una
piaga: Egli guardava i suoi carnefici con gli
78
occhi pieni di sangue e sembrava implorare
grazia; ma il loro furore raddoppiava e i gemiti
di Lui si facevano sempre più flebili.
«L’orribile flagellazione durava da tre quarti
d’ora, quando uno straniero d’infima classe,
parente del cieco Ctesifone guarito da Gesù, si
precipitò verso il retro della colonna con un
coltello a forma di falce e gridò con voce indignata:
“Fermatevi! Non colpite questo innocente
fino a farlo morire!”
«I carnefici che erano ebbri, si fermarono
stupiti; egli allora recise rapidamente le corde
che tenevano legato Gesù e poi fuggì perdendosi
tra la folla. Gesù cadde quasi privo di sensi ai
piedi della colonna, sul terreno tutto bagnato
dal suo sangue, e i carnefici lo abbandonarono là
per andare a bere, dopo aver richiamato dei
subalterni, che erano occupati, nel corpo di guardia,
a intrecciare la corona di spine.
«E mentre Gesù, coperto di piaghe sanguinanti,
si agitava convulsamente ai piedi della
colonna, vidi alcune ragazze di malavita, dall’aria
sfrontata, avvicinarsi a Lui tenendosi per
mano, fermandosi un momento e guardarlo con
disgusto. In quel momento il dolore delle sue
ferite si fece più vivo, ed Egli alzò verso di loro il
suo viso ferito: le ragazze allora si allontanarono
mentre i soldati e gli arcieri indirizzavano
79
loro parole indecenti.
«Vidi a più riprese, durante la flagellazione,
molti angeli in pianto circondare Gesù, e udii la
sua preghiera per noi peccatori salir costantemente
al Padre in mezzo al grandinare dei colpi
che cadevano sopra di Lui.
«Mentre Gesù giaceva nel suo sangue a pie’
della colonna, vidi un angelo presentargli qualche
cosa di luminoso che lo ristorò e gli fece
riprender forza.
«Gli arcieri tornarono, e a calci e a bastonate
lo fecero rialzare, perché non avevano ancora
finito. Gesù si protese strisciando per riprendere
la fascia che gli cingeva i fianchi, ma quei miserabili
la spingevano sempre più lontana, ridendo
sfacciatamente, per cui il povero Gesù doveva
torcersi sul terreno nella sua sanguinosa nudità,
come un verme calpestato onde raggiungere
la sua cintura e servirsene per coprire i suoi
laceri lombi.
«Quando l’ebbero rimesso in piedi, non gli
diedero il tempo di rivestirsi, ma gli gettarono
solo la veste sulle spalle nude, ed Egli si serviva
di quella veste per detergere il sangue che gli
colava dal viso, mentre, a gran passi, veniva
sospinto verso il corpo di guardia, per vie traverse.
Avrebbero potuto guidarlo per una strada
più diretta, perché i portici e gli edifici in faccia
80
al foro erano aperti, tanto che si poteva vedere il
passaggio sotto il quale i due ladroni e Barabba
stavano imprigionati, ma vollero farlo passare
invece davanti al luogo ove sedevano i Principi
dei Sacerdoti, i quali gridavano: “Lo si faccia! Lo
si faccia morire!” volgendo il capo con disgusto.
«Lo condussero allora nel cortile interno del
corpo di guardia. Quando vi entrò Gesù, non
c’erano soldati, ma schiavi, arcieri, furfanti, e
ogni rifiuto della società. Siccome il popolo era in
grande agitazione, Pilato aveva fatto venire un
rinforzo di guarnigione romana dalla cittadella
Antonia. Queste truppe circondavano in buon
ordine il corpo di guardia: potevano parlare,
ridere e beffarsi di Gesù, ma era loro proibito
sciogliere le file. Con questo apparato di forze
Pilato intendeva tenere il popolo in pugno: saranno
stati circa un migliaio di uomini.
«La Santa Vergine, in estasi continua durante
la flagellazione del Redentore, vide e sofferse
interiormente, con amore e dolore indicibili,
tutto quanto doveva soffrire il Figlio suo.
Spesso gemiti sommessi prorompevano dalle sue
labbra; i suoi occhi erano infiammati per il gran
piangere. Essa giaceva velata tra le braccia di
Maria di Heli, donna in età avanzata.
«Le sante amiche di Maria e di Gesù erano
tutte avvolte e velate, tremanti di dolore e d’an-
81
goscia, strette intorno alla Vergine ed esalanti
deboli gemiti come se stessero aspettando la loro
propria condanna di morte. Maria portava una
lunga veste azzurra quasi quanto il cielo, coperta
di un lungo mantello di lana bianca e da un
velo bianco tendente al giallo. Maddalena era
tutta sconvolta e addirittura annientata dal
dolore e dal pianto, e i suoi capelli, sotto il velo
s’erano tutti sciolti.
«Quando Gesù, dopo la flagellazione, era
caduto a terra a pie’ della colonna, vidi Claudia
Procla, moglie di Pilato, inviare alla Madre di
Dio un pacco di grandi teli di lino. Non so più
bene se essa credesse nella liberazione di Gesù e
se destinasse quei teli alla fasciatura delle ferite
di lui, oppure se la pietosa pagana li inviasse per
lo scopo al quale vennero poi impiegati da Maria.
«La Santa Vergine, riacquistati i sensi, vide
il Figlio suo con le carni tutte lacerate, trascinato
e sospinto dagli arcieri; egli si deterse il sangue
dagli occhi con un lembo del suo vestito, per
poter guardare sua Madre, ed Ella stese dolorante
le mani verso di Lui, guardando poi a terra
le tracce sanguinose lasciate dai suoi piedi. Ma
ben presto vidi Maria e Maddalena, mentre il
popolo si spostava da un’altra parte, avvicinarsi
al posto dove Gesù era stato flagellato: nascoste
82
dalle altre donne, da alcune buone persone che
le circondavano, si prostrarono a terra presso la
colonna e asciugarono dappertutto il sangue
sacratissimo di Gesù con i teli inviati da Claudia
Procla.
«Giovanni non si trovava in quel momento
con le pie donne, che erano quel giorno in numero
di venti. Il figlio di Simeone, quello di Veronica,
quello di Obed, Arama Themeni, nipote di
Giuseppe di Arimatea, erano occupati nel Tempio
pieni di tristezza e d’angoscia. Quando finì la
flagellazione erano circa le nove del mattino.»
83
IL CORPO STRAZIATO DI GESÙ
SULLA CROCE
Ecco come la Venerabile Anna Caterina
Emmerick, nelle visioni, descrive il corpo di Gesù
issato sulla croce, sul Calvario.
«Il suo petto era tutto straziato, le spalle, i
gomiti e i polsi, tesi fino alla slogazione; il sangue
delle mani gli colava lungo le braccia. Il
torace s’era rialzato, scavando al di sotto una
depressione profonda, l’addome era cavo e rientrato.
Le coscie e le gambe erano orribilmente
slogate, come le braccia: le membra, i muscoli, la
pelle erano stati distesi tanto violentemente che
si potevano contare tutte le ossa: il sangue sgorgava
dal foro prodotto dal chiodo che perforava
i suoi sacratissimi piedi e irrorava l’albero della
croce; il corpo era tutto coperto di piaghe, di
lividure, di macchie nere, turchine e gialle; le
ferite riaperte dallo stirar delle membra colavano
qui e là questo sangue, che, prima rosso vivo,
divenne più tardi pallido e bianco.
«Eppure anche così sfigurato il corpo di Nostro
Signore aveva in sé qualche cosa di tanto
nobile e commovente da non potersi esprimere;
84
sì, il Figlio di Dio, l’Amore eterno offerto in
olocausto, restava bello, puro e santo in quel
corpo d’Agnello Pasquale morente, spezzato sotto
il peso dei peccati del genere umano.
«La carnagione della santa Vergine, come
quella del Salvatore, era d’una bella tinta d’avorio
delicatamente rosata. Le fatiche e i viaggi
degli ultimi anni le avevano abbrunito le guance
sotto gli occhi. Il petto di Gesù era ampio e non
era villoso, come quello di Giovanni Battista. Le
sue ginocchia erano forti, robuste come quelle di
un uomo che aveva molto viaggiato e s’era molto
inginocchiato a pregare, le gambe erano lunghe
e i garretti nervosi, i piedi di bella forma e
solidamente costruiti; sotto la pianta la pelle era
divenuta callosa a motivo del costante cammino
da Lui compiuto per vie scoscese; le mani erano
belle, con dita lunghe e delicate e, senza essere
effeminate, non assomigliavano a mani d’uomo
che le avesse impiegate in lavori pesanti.
«Il collo era piuttosto lungo, robusto e nervoso,
il capo di belle proporzioni, la fronte alta e
spaziosa, il volto di un ovale purissimo e i capelli,
d’un bruno dorato, separati al sommo della fronte
e ricadenti sulle spalle; la barba non era
lunga, ma appuntita e separata in due sotto il
mento. Ora la sua capigliatura era in parte
strappata e raggrumata di sangue, il corpo era
85
una piaga sola, il petto come spezzato, le membra
dislocate, le ossa delle costole fortemente
rilevate e in certi punti messe a nudo attraverso
la pelle lacerata: infine il corpo s’era talmente
assottigliato per la violenta tensione sopportata,
che non copriva nemmeno interamente l’albero
della croce. La croce, leggermente rotonda
dal lato posteriore e piatta sul davanti era stata
intagliata in certi punti…
«La Madre di Gesù, Maddalena, Maria di
Cleofe e Giovanni stavano fra la Croce di Gesù e
quelle dei ladroni e guardavano Gesù. La Santa
Vergine, nel suo amore di Madre, pregava interiormente
perché Gesù la lasciasse morire con
Lui. Allora il Salvatore la guardò con tenerezza
ineffabile, poi volse gli occhi a Giovanni e disse
a Maria: “Donna, ecco tuo figlio. Egli sarà tale
più che se tu lo avessi generato.” Fece poi l’elogio
di Giovanni e disse: “Egli ha sempre avuto una
fede incrollabile e non si è mai scandalizzato, se
non quando sua madre ha voluto che egli fosse
sopra gli altri esaltato.” Poi disse a Giovanni:
“Ecco tua Madre.”
«Giovanni abbracciò rispettosamente, sotto
la Croce del Redentore morente, la Madre di
Gesù diventata ormai anche sua; la Santa Vergine
fu talmente accasciata di dolore a queste
ultimi disposizioni del Figlio che cadde priva di
86
sensi tra le braccia delle pie donne che la portarono
a qualche distanza e la fecero sedere un
momento sul terrapieno in faccia alla Croce…
«Egli conquistò per noi i meriti della perseveranza
nella lotta suprema del distacco assoluto;
allora Egli offerse per noi la sua miseria, la
sua povertà, le sue sofferenze, il suo abbandono,
in modo che l’uomo unito a Gesù in seno alla
Chiesa, non deve mai disperare nell’ora suprema,
quanto tutto si oscura e scompare ogni luce
e ogni consolazione. Noi non dobbiamo più allora
discendere soli e senza protezione in questo
deserto della vita interiore: Gesù ha gettato in
quell’abisso di desolazione il suo proprio abbandono
interno ed esteriore sulla croce e così non
ha lasciato isolati i cristiani nell’abbandono della
morte, nella mancanza di ogni consolazione.
«Verso le tre Egli gridò ad alta voce: “Eli, Eli,
lamma sabachtani!”, che significa: “Mio Dio, mio
Dio, perché mi hai abbandonato!” In quel momento
il Signore pronunziò le sue ultime parole
e morì, lanciando un altro grido che penetrò il
cielo, la terra e sotto terra. Tutto era ormai
compiuto.»
87
LE REAZIONI ALL’USCITA DEI CINEMA
William Blatty, regista, è rimasto ammirato:
«Il film di Mel Gibson è un capolavoro, direi
che va oltre il capolavoro. Amo questo film e
l’ardore viscerale di chi ha avuto il coraggio di
portarlo al termine.»
Jack Valenti, presidente dell’Associazione
dei produttori di Hollywood è uscito dal cinema
con le lacrime agli occhi: «La commozione mi
stringeva il cuore e qualunque sia la religione
degli spettatori, non posso credere che vedano in
questo film altro che una straordinaria opera
d’arte.»
Matt Drude proprietario di un famoso sito
internet ha detto: «È un film insuperabile. Come
ebreo, ho vissuto il confronto tra Gesù e i suoi
carnefici come una raffigurazione dei pericoli
della vita.»
Yaniv Moyal, trentasei anni: «Come ebreo
non mi pare che si possa trovare antisemita un
film in cui gli ebrei mandano a morte uno di
loro.»
Maritza Castro, trentadue anni, si asciuga
gli occhi all’uscita della sala di Harlem: «Se un
88
capolavoro del cinema merita quattro stelle, io a
questo ne darei dieci. Mi sembrava di essere tra
la folla sul Calvario, e i singhiozzi mi scuotevano
il petto.»
Decine di Chiese e singole persone prenotano
migliaia di biglietti. Insomma: tra lacrime e
polemiche The Passion... incanta il pubblico americano.
«È incredibilmente potente, come un pugno
nello stomaco — ha detto all’uscita di un cinema
di Manhattan Lou Christie, sessantun anni — è
stata un’esperienza schiacciante. La gente nel
cinema piangeva apertamente verso la fine del
film e quando la proiezione è terminata, alcuni
hanno applaudito, altri invece sono rimasti in
silenzio, attoniti.»
Mel Gibson ha creato un film sbalorditivo.
Preparatevi comunque a essere scioccati. Oltre
allo shock lo spettatore proverà anche commozione
di fronte ad alcune scene in cui viene
rivelata tutta l’angoscia e la debolezza dell’animo
umano: quale quella in cui Giuda, interpretato
da Luca Lionello, tradisce Gesù, impersonificato
da Jim Caviezel. Ci sono poi quei momenti
in cui Gesù viene schernito e sbeffeggiato dalle
guardie romane e da una folla tumultuosa. “Dai
frutti li riconoscerete” (Vangelo di Luca, capitolo
6, versetto 44).
89
Il mondo non solo si scandalizza del dolore,
ma ancor più si scandalizza di un Dio che si fa
uomo e che va a finire su una croce, dopo una
tremenda Via Crucis, e una agonia estenuante.
Se vi fossero state delle telecamere durante la
vera Via Crucis avrebbero ripreso, molto probabilmente,
le stesse immagini.
Qualcuno pensa che la Passione di Cristo sia
stata meno dolorosa di come la racconta Gibson?
O meglio sarebbe stato opportuno mandarla in
onda?
Forse per dimostrare la bruttezza del peccato
e l’Amore di Dio, sì. Il mondo è stato troppo
abituato ai buddismi, agli induismi, ai maomettismi,
ai paradisi artificiali, alle illusioni solfuree
dei maghi tanto di moda nel secolo presente,
al buonismo, al permissivismo, al tutto è lecito,
al “la vita è mia e me la gestisco da me”, e al fatto
che tutte le religioni sono uguali.
Ora si capirà che il cristianesimo non è uguale,
perché nessun budda ha affrontato una così
dolorosa passione per salvare me, te, l’uomo,
l’umanità. Questi non sono il vero Dio. La new
age non è Dio è qualcosa che invece si oppone al
Dio cristiano perché dice che ognuno di noi è dio,
e approva lo spiritismo, sostenendo una teoria
inesistente: la reincarnazione.
Questi sono i veri motivi dello scandalo che
90
sta suscitando la proiezione del film di Mel Gibson.
Gesù Cristo, il figlio di Dio si è fatto peccato
al posto del nostro peccato: dunque prima di
tutto c’è da prendere coscienza che il peccato è
una cosa bruttissima che allontana così tanto da
Dio che Dio per recuperare la sua creatura,
decide di sacrificare il proprio Figlio. Anche
questo per il mondo è uno scandalo. Per i cristiani
è un mistero, un mistero d’amore. Dio ha tanto
amato l’uomo da sacrificare il proprio Figlio
nella pienezza dei tempi.
Ora si potrà anche disquisire nel merito
della quantità e dei particolari tecnici specifici
del film di Gibson (come ad esempio le scene al
rallentatore). Vediamo se questo film condurrà
a Cristo o da un’altra parte. Ricordo che il mondo
non ha accolto Cristo (cfr Lettera di San Paolo
agli Efesini, capitolo 1, versetti 1 e seguenti), a
quanti però lo hanno accolto, ha dato la possibilità
di diventare Figli di Dio. «Fu crocifisso per la
nostra salvezza patì sotto Ponzio Pilato, morì e
fu sepolto. Il terzo giorno è resuscitato secondo le
Scritture; è salito al cielo e siede alla destra del
Padre.»
Il film è tutto qui. Non una virgola di più e
non una di meno. Quante volte abbiamo sentito
e ripetuto queste parole, quante volte ci sono
state spiegate. Eppure la sensazione — forte e
91
comune — che si ha quando si riaccendono le
luci della sala è di sbigottimento. “Possibile che
si sia inventato tutto? Eppure le parole dette e i
fatti rappresentati coincidono... che cos’è che
non torna?” Queste sono le domande che si pone
Mattia Monsignori, in un sito internet, dedicato
al film.
E io, che scrivo, posso dire che il problema è
proprio questo. Cos’è che non torna? Il fatto che
questa Passione sia stata annacquata. Che non ci
rende conto di quanto Cristo abbia sofferto per
ciascuno di noi, che non ci si rende conto di cosa
significhi in profondità, fino alle estreme conseguenze
il versetto evangelico: “Dio ha tanto amato
il mondo da dare il suo figlio unigenito perché
chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita
eterna.” (Vangelo di Giovanni capitolo 3, versetto
16)
«Un qualcosa che scuote non solo le emozioni
ma anche la mente, che tocca corde capaci di
entrare in risonanza tra loro ed amplificarsi con
una forza totalizzante — scrive Monsignori —.
È la realizzazione di una distrazione tra coscienza,
conoscenza e percezione. Mel Gibson,
alla sua terza performance da regista, esprime
una vivida tecnica narrativa pregna di contaminazioni
proprie di altri generi, rendendo la sequenza
delle scene mai scontata, persino avvin-
92
cente, ed estremamente più vicina alla nostra
sensibilità percettiva. In effetti ha visualizzato
ciò che tutti noi conosciamo e ce lo ha sbattuto in
faccia in tutta la sua crudezza e drammaticità.
Una doverosa licenza ai Testi, del tutto condivisibile
vista la natura figurativa del cinema, è la
personalizzazione del Male.»
Il male ha un nome e un cognome, si fa per
dire. Il male è il diavolo, Satana, il serpente
antico, il nemico numero uno di Dio e dell’uomo
come bene insegna la Scrittura e tutto l’insegnamento
del Cristianesimo. Della Chiesa. Delle
Chiese.
«La scelta di mantenere l’aramaico e il latino
— ha scritto ancora Monsignori — impongono
una attenzione totalizzante, ed esaltano ancora
di più il realismo dell’opera che riesce a
coniugare la propensione al titanismo dello stile
narrativo di Mel Gibson (vedi Braveheart) con
una fedele ricostruzione storica, o almeno aderente
a quanto scritto nella Bibbia.»
«Il senso della Passione di Cristo che emerge
dirompente dalle crude immagini del film — ha
scritto Andrea Tornelli, su Il Giornale del 2
febbraio 2004 —. Una grande rievocazione delle
“passioni” medioevali del Venerdì Santo narrata
con la tecnica del cinema dell’era digitale, sta
in quella croce che si erge al centro del Golgota,
93
in mezzo a quelle dei due ladroni. Quel legno
piantato nel ventre delle terra e innalzato verso
il cielo, che gronda a non finire del sangue fuoriuscito
dalla carne martoriata di Cristo, ha
diviso in due la storia dell’umanità. Quel rabbi
galileo che insegnava a perdonare e ad amare
persino i nemici, l’uomo che aveva detto di essere
lui stesso non soltanto la “verità” e la “vita”,
ma anche l’unica “via” per raggiungerla, quel
Gesù che ha scelto liberamente di farsi appendere
al più terribile dei supplizi dell’epoca, la croce,
per caricare su di sé il peccato del mondo, ha
spaccato in due la storia.
«In un Getzemani immerso nella nebbia, il
diavolo tenta il Nazareno dicendogli: “Come può
un solo uomo portare sulle sue spalle tutti i
peccati degli uomini?” E mentre la vittima sacrificale,
fustigata, schernita e sottoposta a indicibili
sofferenze, viene inchiodata sulla croce e
innalzata, il ritmo quasi esasperato della brutale
esecuzione viene interrotto da ripetuti flashback
che inquadrano l’ultima cena, e il Maestro
che ripete: “Questo è il mio corpo, questo è il mio
sangue, offerti in Sacrificio per voi, in remissione
dei peccati.” S’innalza la croce e Gibson vuole
ricordare allo spettatore che quel sacrificio così
cruento si ripete da allora in modo incruento
ogni volta che il prete solleva l’ostia consacran-
94
dola. “La Messa — ricorda il Santo Padre, Giovanni
Paolo II, nell’ultima sua enciclica dedicata
all’eucarestia — è ad un tempo e inseparabilmente
il memoriale del sacrificio nel quale si
perpetua il sacrificio della croce e il sacro banchetto
della comunione al corpo e al sangue del
Signore.”
«Sarebbe interessante rileggere, alla luce
del racconto evangelico, le varie scene e i personaggi
(dal ruolo centrale di Maria alla discreta
ma significativa presenza della moglie di Ponzio
Pilato, interpretata da Claudia Gerini). Ma è
doveroso dire, innanzitutto che chi può finalmente
vedere il film, ha l’impressione di assistere
a qualcosa di completamente diverso da ciò
che si aspettava avendo letto le polemiche di
questi mesi. La Passione di Cristo si presenta
infatti fedele al racconto degli evangelisti e per
nulla antisemita. Lo stesso ruolo del sinedrio
nella richiesta di condanna a morte per l’uomo
che diceva di essere il Messia — ma un Messia
divino, che prometteva la liberazione dal peccato
e non l’agitatore politico venuto a liberare
Israele dalla dominazione romana — appare in
qualche modo mitigato dal fatto che due sacerdoti
tentano di difendere il Nazareno.
«Non si capisce dunque per quale motivo
oggi lo spettatore dovrebbe estendere le respon-
95
sabilità del sadduceo collaborazionista Caifa e
del suocero Anna, con quella di tutto il popolo
ebraico, che non era certamente rappresentato
dalla piccola folla che chiede la crocifissione di
Gesù davanti al debole Ponzio Pilato, pronto a
concederla, dopo qualche tentennamento.
«Mentre Cristo porta la croce, nello straziante
percorso che si snoda per la “via dolorosa”
della Gerusalemme-Matera, ci sono persone che
lo scherniscono e lo ingiuriano, ma ce ne sono
altre addolorate, che chiedono ai soldati romani
di smetterla di percuoterlo. A proposito dei romani,
la brutalità maggiore è proprio la loro,
molto più violenti, crudeli e insensibili delle
guardie ebraiche al servizio del Sinedrio. Certo,
né le une né gli altri ci fanno una gran figura, ma
è altamente probabile che all’epoca non ci si
comportasse con i prigionieri da portare a morte
secondo la Convenzione di Ginevra.
«Nessuna colpa scaricata sulle spalle di un
popolo, dunque, nel film del “tradizionalista”
Mel Gibson, ma una responsabilità caricata sulle
spalle di tutti gli uomini, a cominciare dall’autore
e regista, che ha prestato la mano al soldato
che conficca il primo chiodo sulla carne di Cristo.
Come del resto insegnava il cinquecentesco catechismo
tridentino: “Delitto ben più grave in
noi che negli ebrei. Questi... se avessero cono-
96
sciuto il re della gloria, non l’avrebbero giammai
crocifisso; mentre noi, pur facendo professione di
conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti, e quasi
sembriamo alzare le mani violente contro di
lui.” La stessa convinzione espressa nel 1968 da
Paolo VI, il Papa che ha portato a termine il
Vaticano II: “Noi siamo corresponsabili di questo
sacrificio. Come mai? Perché Gesù è morto
per noi, è morto per causa nostra. Voi siamo
parte in causa nel dramma della croce.”
«Non è un caso che nella parte finale del film
il Nazareno gridi: “Padre perdonali perché non
sanno quello che fanno.” Amore, perdono, donazione
totale di sé fino alla fine. Questo è il messaggio
del film.»
«La Passione di Cristo — scrive tra l’altro
Alessandra Pilla, sul sito www.stranocristiano.it,
nella traduzione del giudizio espresso dalla Conferenza
Episcopale Americana — è una drammatizzazione
senza sconti e compromessi delle
ultime dodici ore della vita terrena di Gesù.
Implacabile nella sua brutalità e penetrante
nella rappresentazione visuale dell’amore supremo
di Dio per l’umanità, il film assumerà
significati diversi a seconda della cultura degli
spettatori.
«Mel Gibson, autore, produttore e regista,
ha senza dubbio realizzato uno dei film più
97
attesi e controversi degli ultimi tempi. Come
altri film sulla vita di Cristo, “La Passione” non
traspone semplicemente sullo schermo la narrazione
di un singolo Vangelo. È piuttosto una
sintesi delle narrazioni dei quattro Vangeli, intrecciate
sia con tradizioni non scritturistiche
sia con l’ispirazione del regista. Il risultato è
un’opera di arte devozionale profondamente
personale, per così dire un “Film-Via Crucis”.
«Tuttavia Gibson, scegliendo di focalizzare
e restringere lo sguardo quasi esclusivamente
sulla passione di Cristo, ha forse trasformato
l’insegnamento di Cristo, rendendo difficile a
spettatori non familiari con il Nuovo Testamento
e con l’ambiente storico del periodo la contestualizzazione
delle circostanze che condussero
all’arresto di Gesù. Inoltre, sebbene per i cristiani
la Passione sia l’evento centrale della storia
della salvezza, il “come” della morte di Cristo
viene alquanto dilatato a spese del “perché” nel
raccontare la Passione, il film utilizza un realismo
viscerale, senza alcuna diluizione, allontanandosi
dalla delicatezza della Scuola di catechismo
a favore di una crudezza che sbatte le
cose in faccia, davvero troppo forte per i bambini.
«Nonostante questo, il film è pienamente
riuscito dal punto di vista artistico per tessitura
98
cinematografica, incisività delle atmosfere, dialoghi,
accuratezza nei dettagli, passionalità. Non
perde nulla con l’uso delle lingue del tempo,
aramaico e latino, perché l’espressività degli
attori trascende le parole.
«Ogni flashback del film è benvenuto, perché
è un sollievo dallo spargimento di sangue
quasi incessante, ma anche — cosa più importante
ancora — per il modo con cui comunica il
cuore del messaggio di Gesù, ovvero l’amore
senza confini di Dio per l’umanità, un amore che
non risparmia a suo figlio la morte in croce
perché noi possiamo avere la vita eterna. Un
numero maggiore di questi flashback sarebbe
stato utile per dare consistenza alla vita e agli
insegnamenti di Gesù.
«Riguardo al tema dell’antisemitismo, il popolo
ebraico non viene mai incolpato collettivamente
della morte di Gesù; piuttosto, Cristo
stesso abbraccia il proprio destino, affermando
con chiarezza “nessuno mi toglie la mia vita,
sono io che la dò da me stesso” (Vangelo di
Giovanni, capitolo 10, versetto 18).
«Più ampiamente, il film di Gibson suggerisce
che tutta l’umanità condivide la colpa della
crocifissione; posizione teologica posta in apertura
del film, tramite la citazione del profeta
Isaia che spiega che Cristo “fu annientato per le
99
nostre trasgressioni”. I cattolici che vedranno il
film dovrebbero richiamare alla memoria gli
insegnamenti della costituzione “Nostra aetate”
del Concilio Vaticano II, la quale afferma che
“se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono
adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto
è stato commesso durante la sua passione non
può essere imputato né indistintamente a tutti
gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro
tempo”.
«Nel complesso, il film presenta gli ebrei allo
stesso modo di ogni altro gruppo: un misto di vizi
e di virtù, di buono e di cattivo. Mentre ritrae la
più ampia comunità ebraica attraversata da
opinioni diverse circa il destino di Gesù — come
è esemplificato dalla cacofonia di scherni e di
lacrime lungo la Via Dolorosa… In ogni caso,
mentre i membri del Sinedrio sono dipinti con
pessime tinte, il film è abbondantemente chiaro
sul fatto che gli esecutori della condanna di
Cristo sono i romani (cosa corroborata sia dal
Credo di Nicea sia dalle opere di Tacito e Flavio
Giuseppe).
«In contrasto con l’agonia fisica di Gesù sta
la desolazione emotiva che si vede nella figura
della Vergine Maria. Quando Maria grida “Quando,
come, dove sceglierai di essere liberato da
questo?”, lo spettatore è trafitto dalla profondità
100
di comprensione che Maria possiede della divinità
di Cristo e dalla sua sublime accettazione
nel vedere soffrire il figlio. Ci piange il cuore
quando vediamo Maria lottare per arrivare vicino
a Gesù che passa per le strade strette e
ventose portando la croce. Vedendolo cadere
all’improvviso, Maria è trasportata — insieme
agli spettatori — all’infanzia di Cristo, a un
tempo in cui, quando inciampava, poteva risollevarlo.
Quando infine raggiunge Gesù, schiacciato
a terra dal peso della croce, è lui a confortarla
con le sue parole: “Vedi, Madre, faccio
nuove tutte le cose.”
«L’interpretazione di Maria da parte della
Morgenstern è splendida e quando il corpo di
Cristo giace nelle sue braccia sembra un quadro
della Pietà. La giustapposizione del corpo di
Cristo — ferito e sanguinante sulla croce — a
scene dell’Ultima Cena sottolinea in maniera
ammirevole e diretta che l’Eucaristia è veramente
il corpo e il sangue di Cristo.
«Altre immagini che restano impresse sono
quella di Gesù deriso che vacilla sotto il peso
della croce, inframmezzata con l’ingresso trionfale
a Gerusalemme, e quella della goccia di
pioggia — una lacrima che viene dal cielo — che
annunzia la morte di Cristo. Anche il potere
della croce è comunicato perspicacemente: Gesù
101
non si sottrae né all’orribile flagellazione per
mano dei soldati romani né al trasporto della
pesante croce. Afferma invece che il suo “cuore è
pronto” e abbraccia la croce come se consolasse
un peccatore caduto. Sono momenti del film,
questi, davvero commoventi e emozionanti.»
«Dalle sue piaghe siamo stati guariti — scrive
tra le tante altre cose don Pinuccio Mazzucchelli,
nel sito www.culturacattolica.it —. Un
fatto, semplicemente e rigorosamente un fatto
storico.
«Così come ce lo hanno raccontato e tramandato
dei testimoni oculari, le cui parole sono
sostenute da tutta l’archeologia, la storia dell’antichità
e i documenti dell’epoca. L’unica critica
che si può fare a Gibson è solo questa: si è
limitato a narrare un fatto con totale realismo.
Ciò che è accaduto, non quello che lui pensa. Ma
anche questa critica regge poco, perché l’aver
giocato tutta la sua credibilità per fare un film
del genere dice molto bene che questo fatto non
è un fatto qualsiasi. Le altre critiche sono false,
architettate ad arte per non far vedere il film,
perché questo film inquieta davvero.
«Lui ci salva, non noi. Per questo accetta di
essere conciato così, per noi. “Chi è quella don-
102
na?” dice il centurione, e si sente rispondere che
è la Madre del Nazareno. E inizia il percorso che
lo porterà ad essere inondato dal suo sangue
mentre gli trafigge il fianco, e a credere che quel
sangue lo salva. Maria, la Chiesa, i Sacramenti:
mentre Gesù viene issato sulla croce si rivede il
momento in cui spezza il pane nell’Ultima Cena.
«Come in una sacra rappresentazione, come nella
Via Crucis della tradizione cristiana, lo scopo è di
commuovere: cioè spingere ciascuno di noi a prendere
posizione. Oppure a lavarsene le mani. Forse a volerlo
morto per non sentire l’inquietudine.
«Già l’inquietudine: questo film scuote perché
inquieta tutti, non credenti e credenti. Anche
perché non si può partecipare al Sacrificio
della Messa senza essere inquietati. Perché si è
lasciato uccidere così: forse per me? Un fatto che
pretende di essere il senso di tutti i fatti, di
ciascun fatto della mia vita e della vita del
mondo. Un Uomo che pretende di essere il senso
di ogni scelta sociale, politica, economica e personale.
«E mentre ci si domanda, durante la proiezione,
“allora quando muore?” perché non si
sopporta di vedere tanto dolore, vengono in mente
le agonie interminabili dei nostri cari, le sofferenze
atroci di milioni di uomini, donne e bambini
uccisi dai tanti poteri ideologici e illusori del
103
nostro mondo. Quando finisce? Quando io prendo
posizione di fronte a questa inquietudine. Lui
mette al centro la mia libertà di fronte al Suo
Amore.»
104
105
LA SCHEDA DEL FILM
Icon Productions presenta una Produzione Icon
Un film di Mel Gibson e Jim Caviezel
La Passione Di Cristo
(The Passion Of The Christ)
Monica Bellucci, Maia Morgenstern, Sergio Rubini
Casting: Shaila Rubin
Musiche: John Debney
Costumi: Maurizio Millenotti
Montaggio: John Wright, Ace
Scenografia: Francesco Frigeri
Direttore della Fotografia: Caleb Deschanel, Asc
Produttore esecutivo: Enzo Sisti
Prodotto da Mel Gibson, Bruce Davey, Stephen McEveety
Sceneggiatura: Benedict Fitzgerald e Mel Gibson
Diretto da Mel Gibson
Sito Ufficiale:
http://www.thepassionofthechrist.com
Sito Italiano:
http://www.lapassionedicristo.it
Uscita Italiana: Mercoledì 7 aprile 2004
Formato: cinemascope
Durata: 126 minuti
Promozione: Saverio Ferragina
www.saverioferragina.com/lapassionedicristo.htm
106
Distribuzione Italiana: Eagle Pictures
CAST ARTISTICO
Gesù Jim Caviezel
Maria Maia Morgenstern
Maria Maddalena Monica Bellucci
Caifa Mattia Sbragia
Giuda Luca Lionello
Ponzio Pilato Hristo Naumov Shopov
Claudia Procura Claudia Gerini
Satana Rosalinda Celentano
Disma Sergio Rubini
CAST TECNICO
Diretto da Mel Gibson
Sceneggiatura: Benedict Fitzgerald e Mel Gibson
Prodotto da Mel Gibson, Bruce Davey, Stephen McEveety
Produttore esecutivo: Enzo Sisti
Direttore della fotografia: Caleb Deschanel, ASC
Scenografia: Francesco Frigeri
Arredatore: Carlo Gervasi
Montaggio: John Wright, ACE
Musiche: John Debney
Costumi: Maurizio Millenotti
Effetti speciali e visivi creati e prodotti da Keith Vanderlaan
Casting: Shaila Rubin
SINOSSI
La Passione di Cristo è un film sulle ultime dodici ore
della vita di Gesù di Nazareth. Il film si apre nell’Orto
degli Ulivi (Getzemani) dove Gesù si è recato per pregare
dopo l’Ultima Cena e dove resiste alle tentazioni di
Satana. Tradito da Giuda Iscariota, Gesù viene arrestato
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e ricondotto all’interno delle mura cittadine di Gerusalemme,
in cui i sommi sacerdoti lo affrontano, accusandolo
di bestemmia e lo processano, condannandolo a morte.
Gesù viene portato al cospetto di Ponzio Pilato, il
Governatore Romano della Palestina, che ascolta le accuse
che gli sono state mosse dai sommi sacerdoti. Poiché,
a suo giudizio, si tratta di una questione politica, demanda
il caso al Re Erode, il quale, dopo aver ascoltato Gesù, lo
rimanda da Pilato, il quale, a quel punto, decide di far
giudicare alla folla, chiedendogli di scegliere fra Gesù e il
criminale Barabba. La folla sceglie di liberare Barabba e
di condannare Gesù.
Gesù viene quindi consegnato ai soldati romani che
lo flagellano. Irriconoscibile, viene riportato da Pilato il
quale lo mostra alla folla come per dire: “Non vi basta?”.
Ma non finisce qui. Pilato decide di “lavarsene le mani”,
ordinando ai suoi uomini di fare ciò che la folla desidera.
A Gesù viene consegnata la croce che dovrà trasportare
per le strade di Gerusalemme fino al Golgota. Sul
monte Gesù viene inchiodato alla croce e subisce la sua
ultima prova: la paura di essere stato abbandonato dal
Padre. Supera però questa paura, guarda Maria, la sua
Santa Madre e pronuncia parole che solo lei sa intendere:
“È compiuto”. Poi muore: “Nelle tue mani rimetto il mio
spirito.”
Al momento della sua morte la natura si scatena.
INFORMAZIONI GENERALI
LE FONTI
La sceneggiatura di La Passione di Cristo è stata
adattata dal regista/produttore Mel Gibson in collaborazione
con Benedict Fitzgerald (Wise Blood, In Cold Blood,
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Heart of Darkness, Zelda) e racconta le ultimi dodici ore
della vita di Gesù Cristo sulla Terra. Il copione è frutto
dell’adattamento di un resoconto sulla Passione tratto dai
quattro Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
LA LINGUA
Tutti i personaggi del film parlano le lingue diffuse in
quel tempo. Ciò vuol dire l’aramaico per gli ebrei, fra cui
Cristo e i suoi discepoli, e il “latino di strada” per i romani.
Il greco, comunemente parlato dagli intellettuali del
tempo, non era rilevante ai fini della storia.
LE LOCATION
La Passione di Cristo è stato girato interamente in
Italia, principalmente in due luoghi:
Matera: Le scene della crocifissione sono state girate
nella bella città di Matera, nella regione meridionale della
Basilicata, dove anche Pier Paolo Pasolini girò il suo
Vangelo Secondo Matteo nel 1965.
Studi di Cinecittà: Gerusalemme è stata interamente
ricostruita all’interno dei famosi studi di Cinecittà di
Roma, dal noto scenografo Francesco Frigeri e dall’arredatore
Carlo Gervasi.
Questa unica grande struttura comprende il tempio
in cui ha luogo il processo religioso al Cristo, il cortile delle
numerose udienze (Pretorium) davanti a Ponzio Pilato e
il luogo in cui Gesù viene picchiato e frustato.
LA SQUADRA CREATIVA
Gibson ha chiesto al direttore della fotografia Caleb
Deschanel (The Patriot, The Right Stuff) di rendere le
immagini del film simili ai dipinti del grande artista del
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barocco italiano, Caravaggio, le cui tele sono caratterizzate
da una luminosità “naturale”, ricavata dal forte contrasto
fra luce e ombra.
«È un’opera sublime — afferma Gibson rispetto al
Caravaggio —. Così violenta, oscura, pregna di spiritualità
e in alcuni momenti persino bizzarra.»
Il 40% del film è stato girato di notte o in interni,
utilizzando dei teloni, al fine di ottenere l’effetto della luce
che cerca di uscire dall’oscurità.
Dopo una ricerca accurata, il premiato costumista
Maurizio Millenotti (Hamlet, The Importance of Being
Earnest) ha disegnato i costumi del tempo, e, per dare
risalto al design visivo voluto da Gibson, ha prediletto le
tonalità tipiche del Caravaggio, il marrone, il nero e il
beige.
Nonostante la maggior parte della troupe sia stata
reclutata in Italia (e il cast sia in Italia che in Europa
dell’Est), gli esperti del trucco e dei capelli, guidati da
Keith VanderLaan e Greg Cannom (A Beautiful Mind,
Pirates of the Caribbean) sono stati importati da Hollywood.
Gibson sapeva che avrebbe avuto bisogno dei
migliori specialisti di trucco del mondo, per creare il crudo
e straziante realismo delle scene della fustigazione e della
crocifissione.
Per le ultime sequenze del film, l’attore James
Caviezel, che impersona Gesù, si è sottoposto quotidianamente
a sette ore di trucco.
Tratto dal press-book del film La Passione di Cristo
di Mel Gibson, per gentile concessione della Eagle Pictures.
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L’AUTORE
Giancarlo Padula, giornalista, scrittore, operatore
della musica cristiana contemporanea, è
nato a Terni nel 1953, dopo aver vissuto fino al
1984 nella sua città natale, si è trasferito a Perugia
fino al 1989. Dalla metà del 1989 vive a Macerata.
I suoi siti sono:
digilander.iol.it/giancarlopadula
www.padulabarchiesi.com.
Ha finora pubblicato i seguenti libri: Oltre i
quattro cubiti (Visconti, Terni 1980); I malefici
(Edizioni Segno, Udine 1993); Satana e i suoi
mercenari (Edizioni Segno, Udine 1995); I segreti
degli esorcisti (Edizioni Segno, Udine 1998); Le
vere armi per combattere con efficacia le potenze
del male (Editrice Herbita, Palermo 2002 - Premio
della Cultura della Presidenza del Consiglio dei
Ministri); Bin Laden, i tempi dell’anticristo (Edizioni
Spring, Caserta 2002); Dall’inganno dei
Beatles alla Musica per Dio (Greco e Greco Editori,
Milano 2003); La Magia è una trappola (Greco
e Greco Editori, Milano 2003).
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INDICE
Presentazione di Rino Cammilleri ......................5
Prefazione di Mario Palmaro ............................. 11
Introduzione .................................................. ...... 19
I SEGRETI DELLA PASSIONE DI CRISTO
Il racconto crudo della Passione ....................... 27
Il vero significato della celebrazione
eucaristica .................................................. ..... 43
Il Sangue è necessario per dimostrare
il sacrificio di Cristo ....................................... 57
Gesù nell’Orto degli Ulivi e i segreti del film . 61
Ecco come Satana tentò Gesù nell’Orto
del Getzemani ................................................. 67
Chi potrà mai rendere questo terribile
e doloroso spettacolo? .................................... 77
Il corpo straziato di Gesù sulla Croce .............. 83
Le reazioni all’uscita dei cinema ....................... 87
La scheda del film ............................................. 105
L’Autore .................................................. ........... 110
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Finito di stampare nel mese di Marzo 2004
dalla Litografia Brandolini
Loc. Sambuceto di San Giovanni Teatino (CH)
per conto della Casa editrice Tabula fati
Tel. 0871 552828 - Fax 0871 404798
66013 Chieti Scalo - C.P. 62