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    Predefinito La Russia agli Usa: «Fermatevi!».

    L'inglese Straw: «Non ce l'aspettavamo»
    di Gianni Marsilli

    Vladimir Putin alza la voce. Chiede - con una nota del ministero degli Esteri - «la fine delle azioni militari della coalizione» in Iraq. Le analisi degli esperti della difesa e degli esteri, gente che con l’Iraq ha un’antica dimestichezza, giungono tutte alla stessa conclusione: senza un’inversione di rotta il fronte sciita è destinato ad allargarsi e la guerra civile sarà inevitabile. A quel punto, il futuro del paese sarà quello di una tripartizione regionale tra sciiti, sunniti e curdi: la «disintegrazione» dell’Iraq. I russi denunciano anche la «catastrofe umanitaria» incombente: «In condizioni particolarmente gravi - dice la nota - si trova la popolazione civile a Falluja dove mancano cibo e medicinali, mentre muoiono persone assolutamente innocenti tra cui donne, vecchi e bambini e vengono colpiti ospedali, abitazioni private e istituzioni religiose». I russi si appellano alla risoluzione 1483 del Consiglio di sicurezza, con la quale i paesi occupanti «si impegnano a rispettare rigorosamente il diritto internazionale umanitario», e che dichiara «l’inammissibilità dell’uso della forza sproporzionata e non mirata». Putin chiede quindi un maggiore e immediato coinvolgimento dell’Onu, ma si mostra guardingo sulle modalità per arrivarci. Ha detto ieri il viceministro degli Esteri Yuri Fedotov: «La questione di trasferire il regolamento del processo in Iraq al Consiglio di sicurezza dev’essere presa in esame in una situazione di stabilità, e non mentre continua l’azione militare». I russi - dicono fonti ufficiose del ministero degli Esteri - considerano catastrofica la gestione militare e politica americana, che così condotta rischia di vanificare qualsiasi nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza. Per questo, prima di sedersi a quel tavolo del Palazzo di vetro, chiedono che tacciano i cannoni.

    Nelle capitali occidentali, già in allarme per il pericolo del terrorismo, cresce a dismisura la preoccupazione politica, davanti ad una situazione che rischia di ora in ora di sfuggire definitivamente di mano. George Bush si è ritirato nel suo ranch di Crawford, dove si appresta a ricevere, il lunedì di Pasqua, il presidente egiziano Mubarak. Tony Blair è in vacanza alle Bermude, ma persino lì è stato accolto da un gruppo di manifestanti contrari alla guerra in Iraq, che l’hanno copiosamente fischiato all’aeroporto. Anche il premier britannico renderà visita a Bush. Giovedì sarà a New York nell’ufficio di Kofi Annan, venerdì alla Casa Bianca. Si è avuto cura, di qua e di là dell’Atlantico, di togliere qualsiasi carattere d’urgenza all’incontro, dicendo che era previsto da tempo. Vero, ma si trattava della «prima metà del 2004». Le notizie dall’Iraq hanno evidentemente anticipato i tempi della visita. Quanto a Mubarak, nel viaggio di ritorno dagli Stati Uniti farà due tappe europee: una a Parigi e l’altra a Berlino, dove incontrerà Chirac e Schroeder.

    Si cerca una via d’uscita dal ginepraio iracheno, ma anche la strada di una nuova risoluzione Onu appare ormai inadeguata. Alle perplessità russe si aggiungono quelle francesi, per quanto ufficiose: da parte americana dev’esserci la volontà di restituire una vera e non fittizia sovranità all’Iraq. Nessun governo fantoccio, nessuna elezione eterodiretta. E soprattutto nessun Bremer che chiuda giornali e lanci mandati di cattura nei modi tipici di uno sceriffo. Da Parigi il portavoce del Quai d’Orsay ha confermato che la Francia è stata contattata dagli Usa per partecipare ad una forza multinazionale di protezione dei futuri inviati dell’Onu in Iraq. Si è mostrato prudente: «Dipende dalle evoluzioni politiche e militari», e comunque la Francia aspetta di «prendere conoscenza» delle raccomandazioni che l’emissario di Kofi Annan, Lakhdar Brahimi, farà sul ruolo che l’Onu può giocare in Iraq. E’ in causa tutta la gestione politica e militare dei falchi americani: russi, tedeschi e francesi non intendono rilasciare alcuna cambiale in bianco.

    Parole di inedita franchezza sono venute ieri da Jack Straw, ministro degli Esteri britannico, dalle onde radio della Bbc: «Non c’è alcun dubbio - ha detto - che quanto sta accadendo è una cosa molto seria, ed è la più seria che ci siamo trovati a dover affrontare fino ad ora». Ha anche ammesso che un anno fa non avrebbe mai immaginato una simile involuzione. Senza voler «minimizzare i problemi», ha ricordato gli anni di Saddam: «Una volta sollevato il coperchio della pentola a pressione, le tensioni che vi si trovavano e che in ogni modo avrebbero finito con lo scoppiare, si sono dirette per una certa parte contro la coalizione». Per quanto lui resti convinto che «la grande maggioranza degli iracheni, mentre non gradisce l’occupazione, è contenta che Saddam non ci sia più e vuole in tutti i modi un passaggio tranquillo dei poteri ad un governo prima rappresentativo, e poi democraticamente eletto». In quest’ottica, Jack Straw considera che il vero rappresentante degli sciiti sia l’ajatollah Ali Sistani, e non «il rinnegato» Moqtada Sadr. Il ministro ha confermato che tra le due sponde dell’Atlantico fervono «le discussioni», e ha indicato che «l’obiettivo politico a Falluja è di arrivare ad un cessate il fuoco». Sui metodi impiegati dai marines, si è astenuto da ogni commento.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
    Totila
    Ospite

    Predefinito

    Io reitero la domanda:
    c'è qualche voce nella Lega che ha preso le distanze da questa guerra?
    O siamo tutti americani?

 

 

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