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    Predefinito Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Il ministro dell'Economia: «Meno cogestione e più compartecipazione nelle imprese»

    Tremonti: «La mobilità non è un valore,
    il posto fisso è la base per progetti di vita»


    «L'incertezza e la mutabilità lavorativa per alcuni sono un valore in sé, ma non per me»





    MILANO - Il posto fisso è la base sulla quale costruire un progetto di vita e la famiglia, in quanto la mobilità lavortiva non è un valore di per sé. Lo ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, chiudendo i lavori di un convegno organizzato dalla Bpm. «Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia», ha affermato Tremonti.

    L'ELOGIO DEL POSTO FISSO - «La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no - ha aggiunto il ministro -. C'è stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile. Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale».

    LA «COMPARTECIPAZIONE» - «Questo Paese ha meno bisogno della cogestione e più bisogno della compartecipazione da parte dei lavoratori nelle imprese», ha proseguito Tremonti. «La cogestione, come nascita di figure imprenditoriali miste, mi sembra meno positiva, mentre credo sia più positiva l'informazione sulla gestione dell'impresa. Il meccanismo compartecipativo può anche avere forme diverse. Per esempio, un favore fiscale sulla detassazione degli straordinari».

    LE REAZIONI - Al convegno erano presenti anche i segretari confederali dei tre princiali sindacati italiani. «Sulla mobilità chiedete un commento all Confindustria», ha detto Guglielmo Epifani. Il numero uno della Cgil ha però sottolineato che la compartecipazione dei lavoratori sarebbe una soluzione auspicabile per un maggior coinvolgimento dei dipendenti nelle imprese, mentre una loro presenza nell'azionariato «non è la strada principale». Il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, ha invece sottolineato che «Tremonti parla come se fosse un nostro iscritto. Non so se gli farà piacere, ma è così». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, giudica invece «condivisibili» le parole del ministro . «L'esigenza di avere posti di lavoro stabili - ha detto - è un obiettivo che inseguiamo anche noi. Oggi il problema è quello di superare l'idea distorta di flessibilità. Chi è precario o flessibile deve essere pagato di più e avere più tutele e garanzie degli altri. Questo è un punto su cui la Cisl insiste da tempo».


    19 ottobre 2009

    Tremonti: «La mobilità non è un valore, il posto fisso è la base per progetti di vita» - Corriere della Sera
    Ultima modifica di Florian; 20-10-09 alle 12:29
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  2. #2
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Grande Tremonti!

    Ho trovato stupendo questo passaggio:

    Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale

    Finalmente un economista che si interessa non solo del profitto e dello sviluppo ma dei rapporti sociali. La cosiddetta flessibilità, orrenda parola dei nostri tempi, impedisce il formarsi di legami stabili e dunque allontana l'individuo dal crearsi un progetto di vita coi propri cari. La mobilità sociale è un ostacolo al formarsi delle famiglie, oltre ad essere una perenne fonte di inquietudine individuale.

    Tremonti a mio avviso è il politico che forse ha maggior sensibilità con un vero conservatorismo dei valori. Il suo rigetto del termine è dato probabilmente dal fatto che oggi questo identifica per la maggiore gli alfieri del turbocapitalismo. E questo ci dovrebbe far riflettere.
    Ultima modifica di Florian; 20-10-09 alle 12:31
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  3. #3
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Citazione Originariamente Scritto da Florian Visualizza Messaggio
    Ho trovato stupendo questo passaggio:

    Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale


    Tremonti a mio avviso è il politico che forse ha maggior sensibilità con un vero conservatorismo dei valori. Il suo rigetto del termine è dato probabilmente dal fatto che oggi questo identifica per la maggiore gli alfieri del turbocapitalismo. E questo ci dovrebbe far riflettere.
    Guarda, anche a me è piaciuta molto questa dichiarazione, il problema è che molto spesso questo governo alle parole non fa seguire i fatti, e ciò a lungo andare farà perdere la legittimità delle loro dichiarazioni. È vero che avranno pure le mani legate dal liberismo internazionale e dalle varie lobby contrarie, ma se questi non rischiano un po' il sedere che cavolo ci stanno a fare lì?
    Ultima modifica di Florian; 20-10-09 alle 12:30

  4. #4
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Questa uscita di Tremonti mi ha fatto molto piacere, e tutto ciò che ha detto è condivisibile, l'importante è che faccia seguire dei fatti. Non è possibile parlare di posto fisso e stabilità sociale se non si da una seria regolamentazione a tutti i contratti a tempo determinato e a progetto.

    Scommetto che qualcuno di Confindustria quando ha sentito queste parole è cascato dalla sedia...
    Ultima modifica di Florian; 20-10-09 alle 12:30

  5. #5
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Posto fisso, culto immutabile

    Non ha attecchito in Italia la rivoluzione culturale che esaltava la flessibilità

    di MICHELE BRAMBILLA


    MILANO. L’italiano assunto a posto fisso in genere passa metà del suo tempo a lamentarsi e l’altra metà a pensare a come e quando fuggire: nel weekend, in vacanza, in pensione.

    Ma guai a chi ce lo tocca, il nostro posto. Sarà anche la certezza di una schiavitù, come ammetteva in una botta di dignità il ragionier Fantozzi: ma pur sempre una certezza. Prima ancora che un’analisi economica, quella del ministro Tremonti è una realistica presa d’atto di una realtà immutabile.

    Dall’America abbiamo importato tutto tranne due cose, e guarda caso sono le due cose che più ci stanno a cuore: il calcio non è stato sostituito né dal loro guerrafondaio football, né dal soporifero baseball; e il tempo indeterminato dalla cosiddetta flessibilità. Volentieri cambiamo la moglie, ma sul lavoro il divorzio non è ammesso.

    Negli anni scorsi c’è stato un blando tentativo di rivoluzione culturale. Erano usciti alcuni libri: «Come salvarsi dal posto fisso» e «Posto fisso addio». Esaltavano l’imprevedibilità: oggi lavoro qui, domani chissà. Sull’immancabile Facebook è pure fiorito un gruppo chiamato «Io non voglio il posto fisso» che ha avuto l’appoggio di politici ed economisti liberali. Alcuni imprenditori hanno stuzzicato i giovani con il miraggio della libertà. In Veneto, ad esempio, è stata fondata una «No sleeping company», il titolare ha messo alcune brandine in ditta e ha detto ai ragazzi: non voglio cartellini e non mi interessano le quaranta ore settimanali, voi venite, lavorate fin che ce la farete, anche di notte, se siete stanchi dormite qui e quando avete terminato ve ne andate dove volete.

    Ma è durato poco. Espressioni come «job rotation» hanno presto lasciato il posto, nei discorsi degli italiani, ai vocaboli-totem di sempre: lo scatto di anzianità, il secondo livello, la graduatoria, i riposi e i recuperi, le festività abolite e quelle non godute, la pausa pranzo e la pausa caffè, timbrare e stimbrare. Il fallimento del tentato golpe sul lavoro è stato certificato da Renato Mannheimer: l’81 per cento degli italiani è per lo schema classico, contratto di assunzione finché Inps non ci separi. Neppure la prospettiva di guadagni superiori ha attecchito.

    Tre anni fa su «La Stampa» Massimo Gramellini raccontò il caso del comandante dei vigili di Conegliano Veneto. Fece il concorso per diventare vigile semplice: in pratica, per retrocedere. Lasciando l’incarico perdeva, oltre al prestigio, quattrocento euro al mese, ma recuperava la certezza del posto. Quello del comandante, infatti, è un incarico non automaticamente rinnovabile; quello del vigile un posto che non ti levano neanche se dai la multa all’assessore al Traffico. Non è un caso isolato. Per venire alla nostra categoria, ci sono vicedirettori di giornale che hanno accettato di scendere di ruolo e fare i capiredattori perché con il nuovo contratto il vicedirettore è equiparabile ai dirigenti e quindi licenziabile.

    Il culto del posto fisso in Italia non risparmia nessuna categoria. Perfino nel dorato mondo del calcio il centravanti chiede al mister di risparmiarlo dal turn over, e qualche anno fa l’allenatore dell’Inter Osvaldo Bagnoli, quando fu esonerato dal presidente Pellegrini, così rispose ai giornalisti che gli chiedevano se aveva già un’altra squadra: «Non mi interessa, ho guardato il libretto di lavoro e ho visto che ho completato i bollini per la pensione».

    Ma il posto sicuro per eccellenza è quello dello statale. Non ha più le mezze maniche, non lo chiamano più sportellista ma «front officer», perfino la sua utilitaria è stata elevata al rango di «city car». Però continua a essere visto dagli italiani come un moviolista del lavoro, sempre fuori stanza, sempre impedito a rispondere al telefono del vicino di scrivania, mai sorridente quando bofonchia nel microfono dietro al vetro antirapina.

    Eppure gli italiani lo detestano ma lo invidiano: un impiego statale resta l’oggetto dei desideri come nel film «Un borghese piccolo piccolo», quando Alberto Sordi si fa massone per garantire un’assunzione al ministero per il figlio, perché in Italia il posto fisso non è solo sicuro, è anche ereditario. Per darci un posto fisso i nostri genitori si sono tolti il pane di bocca, magari hanno sacrificato talenti in embrione (chissà quanti artisti o premi Nobel abbiamo perso per una scrivania in banca).

    Torniamo a quei tempi per mancanza di coraggio? Può darsi. Ma il posto fisso è stato un fattore di stabilità, un cardine della vita sociale, la garanzia di potersi sposare e pagare un mutuo senza incubi notturni. Tremonti sa che l’economia per ripartire deve dare certezze sul futuro. E poi, finora, la «flessibilità» ha prodotto soprattutto i trentenni e i quarantenni ai call center del film di Virzì, «Tutta la vita davanti».

    Posto fisso, culto immutabile - LASTAMPA.it
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    I liberali, di destra e di sinistra, sono scandalizzati. Sentiamo la "destra", Giannino:


    Mioddio, il posto fisso proprio no…

    di Oscar Giannino

    Lo dirò seccamente. L’elogio del posto fisso come base della coesione sociale in Italia potrà essere pure popolare, dalla Lega alla Cgil. Ma è sbagliato in generale. È sbagliato nel nostro Paese più che altrove. E il posto fisso non sarà certo ripristinato dalla crisi in corso, né nel mondo né da noi. Mi riferisco, naturalmente, a quanto stamane è stato detto a Milano, a un convegno organizzato dagli amici della BPM che domani avrà vasti echi di stampa.

    Giulio Tremonti ha affermato, tra le altre cose:

    Credo che sia meglio avere un posto di lavoro fisso. La variabilità del posto per alcuni è un valore in sé, per me no. La stabilità del lavoro è alla base dello stato sociale, per organizzare la continuità della vita in una società come la nostra. La globalizzazione ha modificato la qualità del lavoro trasformando il lavoro fisso e creando anche tipologie diverse di lavoro, non era evitabile, non si poteva fare diversamente, è stato fondamentale che ci fosse una legislazione che ha tenuto conto di questo processo.

    Esultanza dei segretari di Cgil, Cisl e Uil presenti. Epifani ha girato il giudizio del ministro a Confindustria. Cremaschi ha subito chiesto misure contro i precari. La questione, per quanto mi riguarda, non è politica. Su alcune questioni di merito, quando e se hanno ragione i sindacati e l’economia nel suo complesso ci guadagna in efficienza e giustizia, la ragione bisogna dargliela anche e se Confindustria non è d’accordo. Idem dicasi per tesi e argomenti sostenuti dall’opposizione. È proprio nel merito, che non sono d’accordo.

    In altri Paesi avanzati assai prima che da noi, la flessibilità del mercato del lavoro – in entrata e in uscita – si è affermata come fenomeno assai prima della piena globalizzazione, avvenuta con la caduta del muro prima, e l’ingresso della Cina nel WTO con Clinton. È un processo dipeso da due grandi processi, entrambi accelerati nei Paesi OCSE dalla crisi petrolifera del 1974. In primis, la terziarizzazione crescente sul totale del valore aggiunto prodotto, nonché sul totale degli occupati rispetto all’industria. Inoltre, per la contrazione dei tempi del vantaggio competitivo, in molto settori della stessa manifattura, rispetto alla maggior elasticità della domanda interna e internazionale, in un mondo nel quale il dollaro diventava fluttuante, e le materie prime a prezzo assai volatile. Quelle due condizioni persistono e persisteranno. La globalizzazione – che persisterà anch’essa, il G20 di Pittsburgh è un G2 travestito composto da Usa e Cina – le ha solo ampliate di estensione e accresciute d’intensità. La sfida per i Paesi avanzati NON è quella di demonizzare la flessibilità del lavoro, necessaria per aderire a quella dell’impresa impegnata ad accrescere il valore aggiunto competendo serratamente non solo sui costi ma per più qualità. Bensì quella di adeguare il sistema delle tutele alla flessibilità stessa. Così si consente ai giovani di pianificarsi una famiglia: non continuando con un mercato del lavoro rigido nell’entrata e nell’uscita come quello disegnato dal vecchio Statuto dei lavoratori, e con tutele incentrate ancora sul lavoratore a posto fisso della grande e media industria. Non solo si può fare, come testimoniato da molti Paesi. Ma è anche esattamente lo scenario indicato per il governo di cui Tremonti fa parte, nel Libro verde di Sacconi, presentato l’anno scorso, dove la flexsecurity basata sulla sussidiarietà bilaterale era l’obiettivo prioritario da realizzare. Di quelle rigidità è figlio il darwinismo sociale che Tremonti attacca, non della flessibilità del lavoro.

    In seconda battuta, in Italia più che altrove, serve la flessibilità. Perché da noi il tasso di occupazione giovanile resta tra i più basso in Europa, tra i 25 e i 29 anni da noi gli occupati sono al 64% rispetto al 75,5% di media europea. E perché da noi l’elasticità intergenerazionale dei redditi è tra le più basse in Europa, cioè è più bassa la possibilità di migliorare la propria condizione economica di partenza. Il valore italiano del coefficiente – più alto è, meno mobilità sociale determina – è attualmente 0,48 in Italia rispetto allo 0,50 nel Regno Unito, nei Paesi scandinavi è 0,17. In altre parole: col posto fisso, da noi, si perpetua per tutta la vita la disparità dei punti di partenza che da noi è più elevata che altrove. Mentre solo con la formazione continua ricorrente – abbiamo meno laureati degli altri, un giovane italiano su quattro appartiene alla generazione NEET, non in education employment or training – e alternando posti di lavoro diversi, ci si può candidare all’ascensore sociale.

    Infine: non sarà la crisi attuale, a far tornare al posto fisso. Né nel mondo avanzato, né nei Paesi ex in via di sviluppo che oggi trainano l’economia mondiale. È dimostrato dal trend evolutivo di tutti i Paesi in via di sviluppo. Credere che l’Italia possa diventare essa la riproposizione fuori tempo della Germania bismarckiana e guglielmina potrà essere anche popolare. Ma è un’illusione. Pericolosa, perché conferma e incoraggia in partiti e sindacati del nostro Paese proprio quei ritardi di visione che andrebbero pazientemente combattuti.


    CHICAGO BLOG Mioddio, il posto fisso proprio no…
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Citazione Originariamente Scritto da Florian Visualizza Messaggio
    I liberali, di destra e di sinistra, sono scandalizzati. Sentiamo la "destra", Giannino:

    In seconda battuta, in Italia più che altrove, serve la flessibilità. Perché da noi il tasso di occupazione giovanile resta tra i più basso in Europa, tra i 25 e i 29 anni da noi gli occupati sono al 64% rispetto al 75,5% di media europea. E perché da noi l’elasticità intergenerazionale dei redditi è tra le più basse in Europa, cioè è più bassa la possibilità di migliorare la propria condizione economica di partenza. Il valore italiano del coefficiente – più alto è, meno mobilità sociale determina – è attualmente 0,48 in Italia rispetto allo 0,50 nel Regno Unito, nei Paesi scandinavi è 0,17. In altre parole: col posto fisso, da noi, si perpetua per tutta la vita la disparità dei punti di partenza che da noi è più elevata che altrove. Mentre solo con la formazione continua ricorrente – abbiamo meno laureati degli altri, un giovane italiano su quattro appartiene alla generazione NEET, non in education employment or training – e alternando posti di lavoro diversi, ci si può candidare all’ascensore sociale.

    Infine: non sarà la crisi attuale, a far tornare al posto fisso. Né nel mondo avanzato, né nei Paesi ex in via di sviluppo che oggi trainano l’economia mondiale. È dimostrato dal trend evolutivo di tutti i Paesi in via di sviluppo. Credere che l’Italia possa diventare essa la riproposizione fuori tempo della Germania bismarckiana e guglielmina potrà essere anche popolare. Ma è un’illusione. Pericolosa, perché conferma e incoraggia in partiti e sindacati del nostro Paese proprio quei ritardi di visione che andrebbero pazientemente combattuti.
    [/url]
    ... per favore, ridateci l'arretratezza! Meno mercato, meno ricchezza, ma un piatto caldo la sera per tutti!


    PS: E se lo dice anche la CGIL... chissenefrega!
    Ultima modifica di Florian; 20-10-09 alle 12:40
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  8. #8
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Giannino quando parla di "terziarizzazione crescente sul totale del valore aggiunto prodotto, nonché sul totale degli occupati rispetto all’industria" vorrebbe dire che il precariato è dovuto alla flessibilità del terziario? Se è così sbaglia di grosso.

    Attualmente nell'industria c'è un selvaggio utilizzo della "flessibilità" che fino a qualche anno fa costringeva giovani di 25 anni (e con magari 6 o 7 anni di esperienza lavorativa alle spalle) ad aspettare il rinnovo semestrale del contratto. Mentre negli ultimi 12 mesi le ditte, con la scusa della crisi, hanno pensato bene di tagliare sistematicamente centinaia di migliaia di lavoratori a tempo determinato.

  9. #9
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    Citazione Originariamente Scritto da Florian Visualizza Messaggio
    ... per favore, ridateci l'arretratezza! Meno mercato, meno ricchezza, ma un piatto caldo la sera per tutti!


    PS: E se lo dice anche la CGIL... chissenefrega!
    quotescion!!!

  10. #10
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    Predefinito Rif: Tremonti riabilita il mito del posto fisso

    io sono assolutamente contraria al posto fisso.....perche' il posto fisso porta a tutti i disastri che si sono verificatio nella pubblica amministrazione. Qualsiasi datore di lavoro sa scegliere tra i suoi dipendenti e quindi se ha un bravo lavoratore non se lo lascia scappare.....quindi per questo lavoratore il posto fisso e' assicurato.Ma purtroppo ci sono anche molti scansafatiche in giro e molti che portano scompiglio nelle aziende quindi meglio avere la possibilita di mandarli a quel paese....e se poi non hanno da mangiare...chissenefrega...impareranno a come ci si comporta nelle aziende....CHI MERITA DIFFICILMENTE E' SENZA LAVORO...solo i mascalzoni e coloro che non hanno voglia non hanno il posto di lavoro perche' aspettano che il lavoro alla mattina gli bussi alla porta..Io la penso cosi' ciao

 

 
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