Fascismo: l'apologia non è memoria

di Vittorio Emiliani

La memoria storica è un conto, la celebrazione nostalgica, o addirittura apologetica, francamente un altro. Lasciare la scritta «Dux» sull’obelisco del Foro Italico, già Mussolini, o le altre che accompagnano i tifosi verso lo Stadio Olimpico, ha un senso.
Quell’operazione urbanistica e architettonica è certo segnata dall’impronta mussoliniana e però è anche uno dei pezzi pregiati, magniloquente fin che si vuole, della cultura anni 30.
Restaurarla, recuperarla all’uso più proprio, sottrarre finalmente la stupenda Accademia della Scherma di Luigi Moretti all’aula bunker creata nel colmo del terrorismo (cosa ne pensa l’attuale ministro Castelli? «Roma ladrona» ci terrebbe a riaverla per altri utilizzi), mi sembra non solo utile, ma doveroso.
Invece, spendere dei soldi, sia pure soltanto 260 milioni di vecchie lire, per riprodurre nell’abetaia di Antrodoco, nel Reatino, la gigantesca, spettacolare scritta DUX che tanto piaceva al mio concittadino di Predappio (sono nato lì nell’anno XIII dell’Era Fascista), mi sembra : 1) spreco di denaro pubblico; 2) un non senso naturalistico; 3)un compiacimento nostalgico da non assecondare. «Non è abbattendo i simboli che si cambiano le coscienze», ha commentato qualcuno.
Temo che abbia torto : anche abbattendo i simboli di una dittatura tutt’altro che «benevola» (5.000 processi politici, 27.000 anni di condanna irrogati, migliaia di italiani ebrei mai più tornati, ecc.) si cambiano, eccome, le coscienze. Compiacersi di quel passato così lontano e però ancora tanto vicino non mi sembra per niente il caso. Ad ogni modo lasciamo tanta affettuosa indulgenza all’attuale presidente del Consiglio.
L’abetaia DUX di Antrodoco si tira subito dietro la ricostruzione del profilo ducesco sopra il Passo del Furlo, disegnato con muretti a secco sul Monte Pietralata nel 1936, e che anch’io ricordo vagamente negli anni di guerra. Sbucando da quella gola le quadrate (quelle sì) legioni romane di Claudio Nerone e Livio Salinatore, giuntevi a marce forzate dalla capitale, sorpresero e annientarono sul fiume Metauro nel 207 a.C. l’esercito di Asdrubale in procinto di portare ingenti rinforzi ad Annibale. Semmai è questo il ricordo storico autentico del Furlo. Non quell’artificioso profilo del Mascelluto, che si vorrebbe resuscitare dalle demolizioni del ’45. In paese c’è sempre stato, nel Ristorante Albergo Furlo, una sorta di sacrario mussoliniano che ricorda ai clienti intenti a gustare ottime tagliatelle al tartufo bianco il transito rombante e le soste del duce in viaggio verso la Rocca della Caminate o verso la villa di Riccione. Un fatto privato dell’albergatore-ristoratore, un suo culto personale. Che si amplierebbe invece a culto pubblico – col solito pretesto del richiamo turistico (c’è ben altro nella zona da valorizzare, il Parco del Furlo, per esempio) – col rifacimento del roccioso mussoliniano profilo.
Era così, cioè privato, anche il pellegrinaggio di anni fa al tombone dei mussolinidi nel Cimitero di Predappio. Finché non è comparsa una Guardia d’onore in divisa consentita dal prefetto di Forlì, finché non sono dilagate per Predappio le rivendite di souvenirs fra il tetro e il grottesco (lo shampoo “Me ne frego”) dove dalla nostalgia si scivola abbondantemente nell’apologia dichiarata del Male Assoluto e dei suo capo indiscusso. Il tutto in un paese che ebbe l’ultimo sindaco prefascista, Ciro Farneti, socialista, ammazzato di botte nel 1925. Poi, anche lì, acquistare e restaurare, come ha giustamente fatto il Comune (amministrato ininterrottamente, dal ’46, dalle sinistre), la casa natale dei Mussolini, che cadeva a pezzi, o presentare – come feci anch’io con parlamentari del centrosinistra – la proposta per recuperare monumenti locali quali la ex Casa del Fascio di buona architettura razionalista, mi sembra, ripeto, utile, anzi doveroso. Dentro la tolleranza democratica ci stanno tante cose, ma chiudere gli occhi sull’apologia, o essere indulgenti verso di essa, no, francamente no. Se ne può sorridere, ma per impedirne la coltivazione di massa.