SVOLTE. NEL DISCORSO DI INVESTITURA IL PRIMO MINISTRO PROMETTE UNA LEGISLATURA DI DIALOGO E ACCORDI
Zapatero scende a patti: con la Nato si può restare
«Mucho ruido pocas nueces» (molto fumo e poco arrosto o semplicemente tanto rumore per nulla), così si potrebbe riassumere il giudizio di Mariano Rajoy, leader del Partido popular, intervenuto in parlamento subito dopo il discorso di investitura pronunciato da Zapatero. E non è inverosimile che anche i molti sostenitori del lodo che porta il suo nome, nella sinistra italiana, siano rimasti altrettanto delusi dalle parole del neo primo ministro circa il famoso «ritiro entro il 30 giugno». La Spagna assumerà le responsabilità internazionali che le competono nella difesa della pace e della sicurezza, ha detto Zapatero, lo farà sempre e a una sola condizione: che prima vi sia una decisione dell'Onu «o de cualquier otra organización de carácter multinacional».
E se può essere cualquier otra, vuol dire che può essere anche la Nato. Così infatti sono state subito interpretate le parole del premier, e lo stesso ex segretario del Psoe, Joaquín Almunia, ha confermato che in effetti, rispetto alla questione del ritiro, c'è stato un «cambiamento nel messaggio». Quanti in Italia si attendevano di vedere il leader socialista farsi alfiere della richiesta di una svolta immediata devono essere rimasti piuttosto delusi. Né verosimilmente sarà di grande consolazione la battuta con cui Zapatero ha replicato all'intervento di Rajoy, affermando che manterrà la parola data sulle truppe spagnole e che toglierà la Spagna «dalla foto delle Azzorre» (quella del vertice Bush, Blair, Aznar, all'inizio della guerra in Iraq) ma senza aggiungere né togliere nulla all'ambiguità della sua precedente affermazione.
In una camera in cui saltava agli occhi la massiccia presenza di donne e di giovani, il discorso di Zapatero ha definitivamente chiarito che la Spagna non assomiglia poi tanto all'Italia. Dopo avere ricordato i 192 morti nell'attentato dell'11 marzo, il primo ministro ha tenuto un discorso di alto profilo incentrato sul dialogo con l'opposizione e la necessità di un approccio bipartisan nella lotta al terrorismo, confermando e proponendo anzi di ampliare il patto siglato nel 2000 da socialisti e popolari e convocando subito una riunione urgente con tutti i gruppi che ne fanno parte; sulle riforme costituzionali ha rilanciato la proposta di un senato delle autonomie e ha proposto di modificare le norme sulla linea di successione per abolire, anche qui, la discriminazione delle donne nella possibilità di accedere al trono; in politica interna ha annunciato una «legislatura dell'accordo e del dialogo» con l'opposizione e con le forze sociali, all'insegna di un «cambiamento tranquillo».
Zapatero sembra dunque aver tenuto bene a mente quella che secondo molti è stata la vera ragione della sconfitta di Aznar: il rifiuto degli spagnoli per qualsiasi forma di «utilización partidista». Soltanto a scorrere il rosario di «patti» confermati, rispolverati o proposti ex novo (Pacto antiterrorista, pacto de Estado sobre la inmigración, accordo sulle riforme costituzionali e sulla politica delle autonomie) sembra davvero incredibile che si tratti dello stesso Zapatero indicato a esempio di intransigenza rivoluzionaria da tanta parte della sinistra dura e pura italiana. Ma certo in questo ha un peso la mancanza di una maggioranza assoluta in parlamento, che lo costringe a cercare il consenso (sembra ormai definitivamente acquisito) di formazioni nazionaliste come Esquerra republicana. L'intervento del leader dell'opposizione lo denuncia apertamente, visto che la formazione catalana non ha sottoscritto il patto antiterrorista, incalzando il premier sull'ambiguità e la vaghezza delle sue proposte. Passando dal ritiro delle truppe senza l'Onu al ritiro delle truppe senza qualsiasi altra organizzazione multinazionale; cercando il voto dei nazionalisti con una mano e invitando a rilanciare il patto antiterrorista con l'altra; parlando di unità nazionale e minacciando di manomettere la costituzione e la stessa unità nazionale con il senato delle autonomie (altra rilevante differenza con l'Italia: qui è la sinistra che vuole le riforme costituzionali ed è accusata di flirtare con gli indipendentisti), davanti a Zapatero si profila nuovamente l'ombra di «Vacuoman».
Tuttavia, con tutta la sua retorica, le sue ambiguità e le sue vaghe dichiarazioni di principii come «el amor al bien» con cui chiude il suo discorso, il primo ministro spagnolo ha già annunciato un viaggio diplomatico in Marocco (perché anche lì, va da sé, vuole aprire una nuova stagione di dialogo) e intende ottenere la firma della nuova costituzione europea a Madrid. Citando Cervantes, dice di volere un governo «de meollo y sustancia». Sulla sostanza è ancora più che lecito dubitare, sul midollo no.