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    Lightbulb L'Islam 'creatura' giudaica

    Tra le gambe pendevan le minugia ;
    la corata pareva e 'l triste sacco
    che merda fa di quel che si trangugia.
    Mentre che tutto in lui veder m'attacco
    guardommi, e con la man s'aperse il petto
    dicendo : "Or vedi com'io mi dilacco!
    Vedi come storpiato è Maometto !
    Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
    fesso nel volto dal mento al ciuffetto".
    (dalla "Divina Commedia",Inferno, canto XXVIII, 25-33 )

    CONOSCERE L'ISLÀM

    CAPITOLO I

    INTRODUZIONE GENERALE



    1. ATTUALITÀ DELL'ISLÀM



    L'islàm è in piena espansione; dal Senegal alla Nuova Guinea, per un raggio di circa 20.000 Km, i paesi islamici cinturano il globo; diverse centinaia di milioni di musulmani, (400 secondo alcuni, 800 secondo il giornale Le Point del 13 marzo 1984) ricchi del petrolio racchiuso nei loro deserti, ricchi dei figli che mettono al mondo, osteggiano la loro volontà di potenza, malgrado le guerre intestine che li dividono. In Francia, la presenza di parecchi milioni di immigrati di origine musulmana è un fenomeno che ci concerne direttamente.



    «(...) 400.000 di essi sono naturalizzati, e circa 40.000 francesi si sono convertiti all'Islàm. In Francia, fino a cinque anni fa, non si contavano che 23 moschee, mentre ora ne esistono 51; se si chiamano moschee, come è stato fatto con superficialità, anche le sale di preghiera ove si raccolgono questi musulmani, tale numero sale a circa 500 unità»[1].



    Ora, cosa incredibile, malgrado questi fatti, l'islàm è quasi sconosciuto. Certamente, a riguardo di questo soggetto, le opere abbondano, e forse la vita di un uomo non basterebbe per esaurirne la bibliografia. Una tale profusione scoraggia la persona non specializzata che desiderebbe disporre di una documentazione facilmente accessibile sui punti chiave dell'islàm... In qualche modo, la foresta nasconde l'albero...





    2. OBIETTIVO E LIMITI DI QUESTO STUDIO



    L'islàm: che cosa si deve intendere con questo termine? Quale religione? Quale ideologia? Quale organizzazione della società? Quale volontà di conquista politica? Quali punti in comune - e quali differenze - con il cristianesimo? Quale specificità di fronte all'Occidente? Il presente studio vorrebbe dare a queste domande delle risposte elementari, qualche dato fondamentale, e alcune spiegazioni basilari che costituiscano un bagaglio minimo sull'argomento. Joseph Hours ha scritto:



    «Per studiare l'islàm, occorre stabilirsi al centro della sua ispirazione, e cioè nella sua nozione di Dio. Privi di questa luce, molti non-credenti hanno applicato a questa nuova materia dei metodi troppo vecchi. Essi si sono immersi nella filosofia e nella lingua araba, prestandovi eccessiva importanza, e si sono persi nei dettagli del diritto islamico (...). Troppo spesso il loro ateismo gli ha impedito di capire il fatto fondamentale che l'islàm è innanzitutto una religione»[2].



    La storia della sua propagazione, delle sue conquiste e dei suoi riflussi, quella delle dinastie successive dei califfi, dell'arte e della letteratura islamiche... costituiscono sicuramente tanti aspetti degni di interesse, ma che non affronteremo in questo breve studio essenzialmente incentrato sul fatto religioso, e sul suo impatto sulle mentalità, sui costumi e sulle strutture attuali del mondo musulmano.





    3. PRINCIPALI FONTI UTILIZZATE



    Nel corso di questo studio, ci appoggeremo essenzialmente sui seguenti testi:



    Il Corano[3]



    In effetti, quale fonte più obiettiva che il libro sacro dei musulmani (dall'arabo «muslim»=participio del verbo arabo «salima»=«sottomettersi», il cui infinito sostantivo è appunto «islàm»)? Citeremo dunque il più sovente possibile molti tra i suoi versetti più idonei ad illustrare un determinato dogma, un determinato atteggiamento, o una determinata opzione dell'islàm. Per far ciò, utilizzeremo una delle traduzioni più apprezzate, ovvero quella di Arnaldo Fracassi.



    L'islàm, credo e istituzioni»[4]



    Avendo compiuto i suoi studi nel seminario di Gazir, ed essendo quasi sempre vissuto in Libano, il gesuita H. Lammens ha consacrato allo studio dell'islàm una lunga vita di ricerche e di contatti prolungati con l'ambiente musulmano. Inoltre - ed è questa una delle ragioni della nostra scelta - Padre Lammens s.j. è considerato dagli specialisti come un critico distaccato ed imparziale; ancora oggi, non esiste in materia un'autorità migliore per abbordare questo argomento.



    Il «Dialogo islamico-cristiano sotto il califfo Al Mamùn»



    Le più grandi biblioteche mondiali (Città del Vaticano, Beirut, Damasco, Dublino, Il Càiro, Leningrado, Parigi e Yale) conservano i manoscritti in lingua araba o in karsunì (arabo in caratteri siriaci) di uno scambio epistolare avvenuto sotto il regno di Al Mamùn, califfo di Baghdad, nel lasso di tempo che va dall' 813 all'834 della nostra era, ossia ad appena due secoli dalla nascita dell'islàm. Esso è composto da due lettere; nella prima, un musulmano (Al Hashimi) convinto scrive ad un suo amico cristiano (Al Kindi), esponendogli la dottrina dell'islàm e invitandolo a convertirsi. Nella seconda, il cristiano riprende punto per punto gli argomenti dell'amico per confutarli, ed espone a sua volta il cristianesimo, invitandolo ad aderirvi. Fin dal 1141, questi manoscritti furono tradotti in latino da Pietro di Toledo, su richiesta di Pietro il Venerabile, abate di Cluny. Essi furono successivamente tradotti in francese dal pastore Georges Tartar, professore di arabo. Oltre a queste fonti principali, citeremo, strada facendo, quegli autori che ci sembreranno utili per migliorare la comprensione di un determinato punto che analizzeremo.





    CAPITOLO II





    LA CULLA DELL'ISLÀM





    1. IL QUADRO GEOGRAFICO



    L'islàm è nato nell'Arabia occidentale, e precisamente nella regione che costeggia la penisola arabica ad est del Mar Rosso chiamata Hegiaz, una zona accidentata e montuosa, con qualche oasi generalmente poco fertile, caratterizzata da un calore opprimente e da lunghi periodi di siccità interrotti da piogge torrenziali, e che appartiene all'attuale Arabia Saudita.



    2. IL QUADRO UMANO



    q I beduini



    Come ai nostri giorni, a quel tempo i beduini costituivano l'immensa maggioranza della popolazione. Di razza e di lingua araba, essi erano dei pastori nomadi. Tuttavia, una parte di essi si era sedentarizzata nelle oasi ed in tre città di quell'epoca: Medina, La Mecca e Taif[5].



    «Malgrado le sue apparenze rozze, il beduino non è né un primitivo, né un barbaro. Egli apprezza la poesia. A partire dal VI secolo dell'era cristiana, il poeta occupa nella tribù, a fianco del capo, un posto a parte. Nondimeno, questa poesia è povera di immagini originali, di motivi religiosi o morali»[6].



    Per ciò che concerne le qualità morali, il Lammens reagisce contro «l'infatuazione delle ammirazioni romantiche»; egli vede nell'individualismo del beduino la fonte principale dei suoi difetti, e la causa della sua incapacità di fondare una forma stabile di potere e di organizzarsi.



    «Qualcuno ha detto che il beduino è coraggioso. Alcuni eruditi hanno attribuito i successi delle prime conquiste musulmane alla qualità eccezionale del suo valore»[7].



    Padre Lammens s.j. non condivide senza riserve tale opinione e sottolinea che, a questo riguardo, l'Autore del Corano non si fa alcuna illusione. Il beduino prova ripugnanza a combattere allo scoperto, e vede nel coraggio un'imprudenza gratuita, preferendo cogliere di sorpresa il suo nemico e facendo uso della fuga come di un semplice stratagemma bellico. Esso non pratica che la razzia, sempre che la razzia possa essere definita guerra. Ciò nonostante, la tenacità è la sua più incontestabile qualità. Essa gli ha forgiato un temperamento d'acciaio che gli permette di vivere e di prosperare ove tutto inaridisce.





    q Gli ebrei



    Essi si insediarono ripartendosi nelle diverse oasi (di cui possedevano la maggior parte), e nelle tre già citate grandi città; in particolare, essi erano molto numerosi a Medina, dove costituivano oltre la metà della popolazione. Proprietari a Medina delle migliori tenute, del commercio e dell'industria, essi avevano come clienti gli arabi che guardavano dall'alto, come dei «gentili», dei «non-scritturali», nel senso che gli arabi non possedevano, al pari di essi, un libro rivelato.





    q I cristiani



    Meno numerosi e meno favoriti degli ebrei, i cristiani intrattenevano buone relazioni con gli arabi; si trattava in buona parte di monaci ed eremiti, i quali godevano di una certa popolarità, e il Corano stesso riporterà persino l'eco di questa simpatia.



    «Tuttavia, essi appartenevano ad alcune sette eterodosse, e principalmente al giacobitismo8 , ed in seguito al nestorianesimo9, e a quel cristianesimo d'Abissinia fortemente intriso di elementi giudaici. Alla Mecca, Maometto sembra aver ricercato la loro compagnia. I contatti con questo genere di informatori, spiriti rozzi che parlavano una lingua straniera, e che conoscevano assai male la loro religione, i loro successivi disaccordi, le loro divisioni dottrinali ed altre circostanze, contribuirono a formare le idee che Maometto si fece dei dogmi e del valore del cristianesimo»10.





    3. IL QUADRO RELIGIOSO PREISLAMICO PRESSO I BEDUINI DELL'HEGIAZ





    Qual'era il contesto religioso alla vigilia dell'entrata in scena di Maometto? Abbiamo appena visto le minoranze ebraica e cristiana. Per l'arabo, grazie anche ad alcune osservanze locali, la religione presentava due tratti caratteristici:



    q Politeismo e litolatria



    - Politeismo: esso venerava una dozzina di divinità, tra cui figurava una triade femminile (Allàt, Al'Uzzà e Manàt), elemento questo che denota una certa arguzia per una società in cui la donna era già tenuta in disprezzo ed in uno stato di inferiorità. Più oltre, vedremo come il Corano ironizzi su «coloro che attribuiscono figli ad Allàh (contrazione del vocabolo arabo al-ilàh=«la divinità» per eccellenza)».



    - Litolatria: (dal greco «culto delle pietre») essa consisteva nell'adorazione , molto popolare e predominante, delle «pietre sacre», ovvero di monoliti o blocchi erratici modellati dalle erosioni.





    q Un tempio pagano recuperato dall'islàm: la Caàba



    Situata alla Mecca, la Caàba (il «cubo» o il «dado») è un edificio rettangolare in pietra lavica di circa 10 metri di lunghezza, 12 di larghezza e 15 di altezza, che sembra essere stato oggetto di un vero culto fin dagli inizi del primo millennio. In un angolo di questo edificio, è incastonata la «Pietra Nera» (probabilmente un meteorite di circa 30 cm. di diametro raccattato in passato tra le sabbie del deserto, che - secondo la tradizione musulmana - sarebbe stato posto nella Caàba dallo stesso Abramo), anch'essa venerata dai beduini litolatri di cui abbiamo già parlato. L'islàm si appropriò di questo santuario (la Caàba costituisce in un certo senso il cardine del pellegrinaggio rituale dei musulmani alla Mecca), facendone il perno e l'unico punto di incontro dei pellegrini musulmani di tutto il mondo.





    4 IL QUADRO ECONOMICO E POLITICO



    q La Mecca, crocevia commerciale



    La «sterile vallata» della Mecca costituiva il passaggio obbligato per innumerevoli carovane che trasportavano pelli, spezie e diverse derrate provenienti da Oriente e dall'Arabia, dirette verso l'Africa del Nord.



    «Paradiso dei carovanieri, dei mediatori, dei cambiavalute, dei prestatori a pegno e dei banchieri usurai, [...] febbre di lucro, furore di speculazione... così condiviso che ben poche carovane o tutta la popolazione, uomini e donne compresi, non vi erano coinvolte».



    Così Padre Lammens s.j. descrive questa piazza «borsista» ed il suo ronzio di alveare umano.





    Nessuna struttura politica



    Metropoli religiosa e commerciale dell'Hegiaz, essa vide dominare una tribù: i Coreiscìti (dall'arabo «Qurays»). Nessun governo propriamente detto, ma solo la «Mala», una sorta di assemblea di notabili, i più ricchi ed i più influenti. Notiamo anche l'esistenza di una specie di sindacato dei mercanti. Ma di fatto non esisteva nessuna struttura politica reale, giacché anche La Mecca era dominata dai costumi e dai pregiudizi dell'arabo individualista.









    CAPITOLO III





    il fondatore: Maometto





    1. Le fonti storiche



    La vita di Abùl-Kàsim ibn Abd-Allàh, detto Maometto (dall'arabo Muhammad=«il glorificato») ci è nota:



    - Tramite il Corano (dall'arabo al-quràn=«recitazione ad alta voce», scritto nel 657 - ossia 25 anni dopo la sua morte - da Zàid ben Tabit, un suo discepolo), sebbene in maniera eccessivamente allusiva (non una sola volta il nome di Maometto vi è citato);



    - Tramite la «Sirah» o «Vita di Maometto» (scritta da Ibn Isham, morto nell'anno 833), di cui i musulmani hanno iniziato a raccogliere il materiale un secolo circa dopo la morte di quest'ultimo, e che è stato considerevolmente arricchito nel corso degli anni e dei secoli.





    q Lacune ed incertezze



    In effetti, la nostra conoscenza della personalità e della carriera del fondatore dell'islàm, non si fonda su alcuna certezza storica. La stesura della «Sirah», come abbiamo appena visto, è iniziata non meno di un secolo dopo la sua morte, e la maggior parte di essa è stata elaborata a partire da alcune vaghe quanto enigmatiche allusioni del Corano. Un gran numero di storici arabi, quali ad esempio Lahbani e Mahsudi, hanno raccontato la vita di Maometto. In Occidente, le prime opere su questo argomento sono apparse solamente verso la fine del secolo scorso (Krehl, Noldecke, ecc...). Tuttavia,



    «[...] lo studio critico delle tradizioni più antiche sembra dover modificare alquanto l'idea che fin qui ci si è fatti della vita e del carattere del profeta arabo»11.



    Noldecke, al termine di lunghi anni di studio, dichiarò di «rinunciare a scrutare il mistero della personalità storica di Maometto». Goldziher, un altro illustre islamologo, nella sua opera «Muhammadische studien» (1889-1890), dopo aver sottoposto i racconti della vita di Maometto ad una critica scientifica rigorosa, mise in luce



    «[...] il carattere tendenzioso di questi scritti, la cui unica fonte risiede in un'interpretazione più o meno esaustiva di versetti più o meno oscuri del Corano».





    q Realtà, leggende ed estrapolazioni



    Se gli autori musulmani della «Sirah» hanno spesso dato prova di possedere una viva immaginazione estrapolando a partire da «versetti più o meno oscuri del Corano», anche alcuni specialisti occidentali, dai quali pertanto ci si aspettava una più esigente obiettività, non sono stati risparmiati da questa stessa inclinazione. Tale fenomeno è sufficientemente frequente nella letteratura occidentale consacrata all'islàm, per cui ci attardiamo un istante citando un paio di esempi:



    - Primo esempio



    Sura LXXIV (Il mantello)

    1. «Tu che sei coperto col mantello!12 »

    2. «alzati ed istruisci...» (F).



    Partendo da questi versetti, la tradizione musulmana conclude:



    «Un giorno Maometto si trovava sul Monte Hirà, allorché intese una voce che lo chiamava; non vedendo nessuno, egli alzò gli occhi e vide l'angelo Gabriele. Spaventato, rientrò in casa e disse alla sua donna: «Avvolgimi in un mantello». Fu allora che Gabriele discese nuovamente e lo chiamò: «Tu che sei coperto col mantello!...».



    Così R. Blachère commenta questo versetto:



    «Colui che è coperto con un mantello»: senza alcun dubbio possibile, questa espressione designa il profeta in stato di estasi».



    Senza alcun dubbio possibile, in stato di estasi! Sulla traccia di Padre Théry, citato da don Bertuel13, e al quale dobbiamo questo esempio, ci si può interrogare circa il rigore scientifico di un tale commento.



    - Secondo esempio


    1. «Non ti abbiamo scaricato di un fardello?»

    2. «Esso opprimeva le tue spalle col suo peso» (F).



    Così la «Sirah»:



    «Un compagno di Maometto che con lui custodiva gli armenti, vide un giorno due angeli gettare a terra il giovane Maometto, aprirgli il petto e togliere dal suo cuore una macchia nera».



    Ed ecco il commento di Emile Dermenghem14:



    «[Si tratta di una] morale basata su di un senso erroneo [...], ma la cui importanza sta a significare che ad appena 4 o 5 anni di vita il profeta venne lavato dal peccato originale, da cui solo Gesù e Maria15 erano stati preservati sin dalla nascita».

    È' lecito domandarsi chi, tra l'autore arabo della leggenda ed il Dermenghem, si spinga più lontano nell'audacia interpretatrice. E', dunque, alla luce di questi elementi e con le dovute riserve che ora andremo a passare in rivista i punti principali di ciò che si sa - o si ritiene di sapere - sulla personalità e sulla carriera del fondatore dell'islàm.



    3. LE PRINCIPALI TAPPE DELLA VITA DI MAOMETTO



    q Dalla nascita alla predicazione



    Secondo Padre Lammens s.j., la data di nascita di Maometto dovrebbe porsi verso il 580 (sempre che risponda a verità che egli non abbia superato la cinquantina), anziché verso il 570, data comunemente ritenuta giusta dalla maggior parte degli islamologi. A quell'epoca, la tribù araba dei Coreiscìti costituiva alla Mecca una specie di oligarchia commerciale, con un consiglio di notabili. La famiglia di Maometto - quella degli Hasimìti - pur facendone parte, era piombata nell'indigenza. Secondo la tradizione musulmana, tradizione che si fonda sul Corano, Maometto nacque «povero ed orfano»:



    Sura XCIII (IL SOLE AL PIÙ ALTO DELLA SUA CARRIERA)

    1. «Non eri tu orfanello? Non ti accolse nell'infanzia?»

    2. «Ti ha trovato nell'errore; egli ti ha illuminato».

    3. «Tu eri povero; egli ti ha arricchito» (F).



    - Infanzia e giovinezza



    L'orfano sarebbe stato raccolto dal nonno Abd-al-Mutallib (custode alla Mecca della «Sacra fonte di Zamzam», una sorgente che sgorga presso la Caàba, la cui acqua possederebbe, secondo i musulmani, qualità miracolose), ed in seguito dallo zio Abù Tàlib (il cui figlio Alì sposò più tardi Fàtima, una delle figlie di Maometto). Come mai Maometto, nato e cresciuto nell'ambiente politeista dell'epoca, giunse ad intraprendere una carriera come la sua? Cosa predispose tale evoluzione? Secondo Padre Lammens s.j.,



    «[Maometto] possedeva uno spirito riflessivo. Egli si interessava alle questioni religiose che lasciavano indifferenti i suoi scettici concittadini. Lo si scopre alla ricerca di un ideale religioso superiore a quello dei suoi contemporanei»16 .



    Torneremo in seguito su questo punto.



    - Maometto era analfabeta?



    Sì, afferma la tradizione musulmana, ed i musulmani vi intravedono una prova dell'origine divina del Corano; se Maometto non sapeva né leggere né scrivere, l'autore del Libro non può che essere stato lo stesso Allàh... Ecco un punto molto importante meritevole della nostra attenzione. Ancora una volta, l'islàm si basa su alcuni passi del Corano, di cui presentiamo la traduzione di M. Kasimirski:



    Sura VII (ELARAF)

    157. «Dì: sono l'interprete del cielo; la mia missione é divina. essa abbraccia tutto il genere umano. Non c'è che Allàh, il sovrano del cielo e della terra, che da la vita e la morte. Abbracciate l'islamismo; seguite il profeta analfabeta, che crede in Allàh, e camminerete sulla via della salvezza» (K).



    Sura LXII (IL VENERDÍ)

    2. «È lui che suscitò, fra un popolo di illetterati, un apostolo scelto tra loro per spiegargli la fede, purificarlo ed insegnargli la dottrina del Libro della sapienza. Prima di lui, gli arabi erano sepolti in profonde tenebre» (K).



    E' dunque chiaro che la versione di Kasimirski degli estratti di queste due Sure, non solo non contraddice la tradizione musulmana sull'origine divina del Corano, ma, al contrario, la rafforza. Ma ecco che tutto cambia con la versione di Régis Blachère, arabista contemporaneo, la cui traduzione da a questi versetti un senso ed una portata completamente diversi:



    Sura VII (ELARAF)

    157-158. «Dì: «Uomini! Io sono l'apostolo di Allàh [inviato] a voi tutti».

    158. «[Da Allàh] che ha la sovranità dei cieli e della terra. Nessuna divinità eccetto lui! Egli è [colui che] fa vivere e fa morire. Credete in Allàh e nel suo apostolo, il profeta dei gentili che crede in Allàh e nei suoi decreti! Seguitelo! Forse sarete sulla retta via» (B).



    Sura LXII (IL VENERDÌ')

    2. «E' lui che ha inviato, tra i gentili, un apostolo uscito da essi, che comunica loro i suoi «aya», li purifica, gli insegna la Scrittura e la saggezza. In verità [questi gentili] si trovavano prima in uno smarrimento evidente» (B).



    Così, secondo Blachère, non bisogna leggere «il profeta analfabeta», ma «il profeta dei gentili», o meglio, «degli analfabeti», e cioè dei «non-scritturali», dei beduini che, a differenza degli ebrei e dei cristiani, non avevano ancora ricevuto le Scritture e non possedevano un Libro Santo... Per certi versi, seguendo questa tesi, Maometto, profeta dei «gentili», sarebbe stato il San Paolo dell'islàm. Numerosi islamisti occidentali hanno seguito Blanchère in questa traduzione. Occorre tuttavia sottolineare che l'ortodossia musulmana, nella sua stragrande maggioranza - ed è questo che ci interessa - si attiene ancora a quanto si diceva poc'anzi: Maometto era analfabeta; dunque, il Corano è di origine divina.



    - Difficoltà di traduzione dalla lingua araba



    Com'è possibile che due arabisti così quotati come Kasimirski e Blachère possano aver attribuito allo stesso vocabolo arabo un senso radicalmente diverso? Dopo il paragrafo precedente, non è possibile ignorare tale questione. Evidentemente, per un coranista occidentale razionalista (come del resto - anche se per ragioni ben diverse - per un cristiano), la tesi dell'origine divina del Corano è inaccettabile, e quindi, la traduzione di R. Blanchère dei summenzionati versetti soddisfa maggiormente lo spirito [dell'uomo moderno]. Nondimeno, non è lecito dubitare circa l'«onestà» intellettuale dei traduttori in questione, e, di conseguenza, il problema rimane irrisolto. Il Prof. E. F. Gautier ha riassunto il problema in questi termini:



    «Lo spirito orientale è completamente diverso dal nostro. I vocaboli della lingua araba ed i concetti che essi rendono, non corrispondono mai esattamente ai nostri vocaboli e ai nostri concetti. Tradurre dall'arabo al francese, o in qualunque lingua occidentale è una fatica che non può essere minimamente rapportata ad una traduzione da una lingua occidentale ad un altra lingua occidentale. Gli orientalisti sono fin troppo coscienti di questa difficoltà, con la quale sono in perpetuo contatto, e la evitano per prudenza limitandosi ad una traduzione letterale. Ciò premesso, è evidente che gli storici arabi sono doppiamente inaccessibili: sia in sé stessi, che tramite i loro traduttori»17.



    E. F. Gautier, ci fornisce quindi una spiegazione (anche se di parte) circa le innumerevoli oscurità che ci confondono nel Corano, opera già intrinsecamente confusa, e spesso incoerente in innumerevoli passi. Egli ci illumina anche sulle diversità, talvolta considerevoli, che constatiamo tra le differenti traduzioni del Corano attualmente in commercio. Ci si può domandare se alcuni traduttori non usino, o non abusino un po', onde adeguare a loro piacimento il senso e la portata dei versetti alle loro tendenze personali, o all'immagine che essi vogliono dare del messaggio islamico... E' per tale motivo che, a nostro avviso, quando si esamina questo o quest'altro concetto del dogma musulmano, occorre sempre sforzarsi di verificare se il senso fornito dalla traduzione concorda con i fatti, e cioè, nel modo in cui il musulmano percepisce, vive concretamente e mette in pratica questo punto del dogma. La constatazione di E. F. Gautier spiega infine, più in generale, la difficoltà esistente ad intendersi in maniera chiara e precisa con interlocutori arabi, dal momento che si tratta di parlare di tutt'altra cosa che della pioggia o del bel tempo, difficoltà che, per esempio, conoscono bene coloro che, per via della loro professione, sono abituati a trattare con degli arabi, e ad accordarsi sui termini e sulle clausole di un contratto.





    - Primo matrimonio di Maometto



    Maometto si sposò nell'anno 595 all'età di 25 anni. In un paese in cui le ragazze vengono considerate nubili molto presto, si rimane sorpresi nell'apprendere che il giovane beduino sposò in prime nozze Cadìgia (555-620), una ricca vedova della Mecca che aveva già passato la quarantina. Come osserva Padre Lammens s.j., i beni portati in dote dalla sua sposa lo liberarono dalle preoccupazioni materiali che, sin dalla nascita, sembravano dover essere il suo destino. Il manoscritto di Al Kindi descrive questa fase della carriera di Maometto in questi termini:



    «Poi, egli crebbe in questa situazione (povero ed orfano), fino al momento in cui entrò come cammelliere al servizio di Cadìgia, figlia di Huwaylid, alle cui dipendenze lavorava. In seguito, tra lui e Cadìgia nacque qualcosa, ed egli'|`O¡Ýçsò per la ragione che tu ben conosci»18



    E' piccante notare che in una società in cui la donna era già ritenuta di gran lunga inferiore all'uomo, e nella quale la nascita di una figlia veniva considerata una sventura, il padre dell'islàm non abbia generato che figlie; ciò nonostante, egli riaffermò questa convinzione anche nella religione da lui più tardi fondata. In realtà, la coppia ebbe anche dei figli maschi (sembra due o tre), ma che morirono alla nascita, e solo quattro figlie sopravvissero, tra cui Fàtima. Torneremo più avanti sulla discendenza di Maometto e sul suo legame con lo scisma sciita.





    q Gli inizi della carriera religiosa di Maometto



    - La vocazione



    E' verso l'età di trenta, o forse quarant'anni che, secondo Padre Lammens s.j., prende inizio la carriera religiosa di Maometto. Su questo punto, la tradizione si fonda sul seguente versetto del Corano:



    Sura X (GIONA)

    17. «Se Allàh avesse voluto, non vi avrei letto i suoi comandamenti, e non ve li insegnerei. Non ho forse vissuto tra di voi senza farlo fino all'età di quarant'anni?» (K)



    Più cauto in merito all'età in cui Maometto iniziò la sua carriera, R. Blachère così traduce questi versetti:



    «Dì: Se Allàh avesse voluto, io non vi avrei trasmesso questa predicazione, ed egli non ve l'avrebbe fatta conoscere. Ho abitato con voi per una vita, prima di dare inizio a questa predicazione. Come? Non capite?»

    E così - nota Padre Lammens s.j. - a riguardo delle circostanze precise che hanno gradualmente condotto Maometto a considerarsi come investito di una missione di predicatore e di moralista, elevato in seguito al rango di profeta, non possediamo che le vaghe e misteriose allusioni del Corano, trascritte ed arricchite di dettagli in seguito, negli innumerevoli e pittoreschi aneddoti della «Sirah».



    «Disgustato dal grossolano feticismo e dal materialismo dei Coreìsciti, egli abbracciò il monoteismo e la fede nel dogma della resurrezione della carne. Su questi dogmi si trovava d'accordo con gli ebrei e con i cristiani, persuaso che, come non esiste che un unico Dio, non deve sussistere che un'unica rivelazione, al di fuori della quale non potevano certamente essere stati lasciati proprio gli arabi; egli si credette dunque chiamato a predicare la verità tra i suoi compatrioti e nella loro lingua. Si trattava di un ruolo modesto che si limitava nel dare una redazione araba della rivelazione universale, adattata ai bisogni di ciascun popolo».19





    - Le influenze: giudaismo e nestorianesimo





    «Maometto fu nutrito di spirito ebraico».



    Questa asserzione dello storico ebreo Bernard Lazare20, diventa subito lampante a chiunque sfogli il Corano, un libro profondamente ispirato - se non impregnato - dal giudaismo. E' fuor di dubbio che Maometto frequentò a lungo ed interrogò, soprattutto agli inizi della sua carriera religiosa e grazie anche ai suoi viaggi, degli ebrei o dei rabbini, dai quali cercò di trarre degli elementi per dare un fondamento alle sue nascenti convinzioni. Perché, ed in seguito a quali circostanze egli fu in seguito condotto a prendere le distanze da costoro, per poi finalmente creare un sistema religioso tutto suo? Questo rimane uno dei punti non ancora ben chiariti di questa storia. Tuttavia, l'impronta ebraica contrassegnò in modo indelebile sia contenuto religioso dell'islàm, che le pagine del Corano. Per convincersene, sarà sufficiente seguirà quanto via via esporremo nelle pagine a seguire. Il lettore interessato a questo aspetto primordiale di questo tema, potrà consultare con profitto le opere di Padre Théry. Ai nostri giorni, le sue opere sono pressoché introvabili, anche in biblioteca, ma l'essenziale delle sue tesi sulle origini giudaiche dell'islàm, è stato ripreso da don Bertuel21 in una forma accessibile al grande pubblico, pur restando ricca e documentata. Il manoscritto di Al Kindi non fa mistero della presenza di alcuni ebrei al fianco di Maometto, e di un monaco nestoriano22 che avrebbe cercato di conquistare alle sue idee Maometto. Questo monaco si faceva chiamare Nestorio, come il suo maestro, ma...



    «[...] quando la causa del cristianesimo si sviluppò e fu sul punto di riuscire, Nestorio morì. Allora, sorsero Abd Allàh ben Sallàm e Kab, soprannominato Al-Akbar, due ebrei che agirono con astuzia e malizia al fianco di Maometto, lasciando credere che lo avrebbero seguito e che avrebbero adottato la sua dottrina. Essi perseverarono nella loro scaltrezza e nel loro stratagemma, dissimulando il loro vero pensiero e tenendolo segreto fino alla prima occasione favorevole dopo il suo trapasso. In effetti, alla morte di Maometto, quando le genti abbandonarono l'islàm, ed il potere pervenne ad Abù Bakr (che Alì b.Abì Talib non volle riconoscere), questi due ebrei compresero che alla fine avevano ottenuto ciò che avevano cercato e voluto segretamente»23.

    Questi due ebrei - prosegue Al Kindi - avrebbero allora mostrato ad Alì il suo brillante avvenire di «profeta» sulla scia di Maometto, ma Alì, influenzato da Abù Bakr, rinunciò.



    «[Allora] i due ebrei si impadronirono del libro che possedeva Alì, che aveva avuto dal suo maestro, e che era stato scritto nel senso del Vangelo. Essi vi introdussero dei racconti della Toràh24 , ed alcune delle sue leggi»25.



    q Principali tappe della carriera religiosa di Maometto



    La carriera religiosa di Maometto propriamente detta, può essere suddivisa in tre fasi:



    10-622............................................... ........................ ... Primo periodo meccano.

    22-629............................................... .................. ......... Periodo medinese.

    29-632............................................... ........................... Secondo periodo meccano.





    - Primo periodo meccano



    Uomo maturo, ormai nell'agiatezza dovuta alle ricchezze di Cadìgia, avendo acquisito, come si direbbe oggi, un certo standing mediante questo matrimonio che gli permise di entrare a far parte della borghesia meccana, Maometto acquistò sicurezza, e, le sue prime convinzioni religiose si fecero più chiare e forti. Egli si sforzò dunque di propagarle e di farne partecipi i suoi concittadini. Come abbiamo visto in precedenza, egli incentrò la sua predicazione sul monoteismo e sulla resurrezione della carne; ma, assai presto, egli si scontrò con lo scetticismo dei meccani... Certamente, egli godeva ancora di un certo rispetto, dovuto alla considerazione di cui godevano Cadìgia e la sua famiglia, ma non è difficile immaginare il coro dei sogghigni e delle burle alle sue spalle; non lo avevano forse conosciuto come un piccolo e misero orfano, ed in seguito, come un semplice commesso di Cadìgia che, prima del suo matrimonio, percorreva le piste con le sue carovane? In poche parole: chi era costui? Chi lo autorizzava a prendersi gioco dei predicatori (pagani)? Chi si credeva di essere? Il sarcasmo dei suoi avversari fu principalmente diretto contro la sua tesi sulla resurrezione dei corpi e contro le sue predicazioni riguardanti gli increduli meccani. Tuttavia, a questo scetticismo subentrò ben presto una vera e propria crescente ostilità. Su questo periodo della vita di Maometto, il manoscritto di Al Kindi ci illumina più crudamente:



    «Allorché divenne potente, grazie agli averi della sua donna, egli bramò di regnare e di dominare sulla sua tribù e sul suo paese. Poi, constatò che ciò non era possibile, in quanto, essendo vissuto per molto tempo nell'indigenza, poche erano le persone che lo seguivano [...]. Quando si stancò di aspettare che si avverasse quanto anelava, egli pretese di essere un profeta ed un apostolo inviato dal Padrone dell'Universo [...]. Essi erano degli arabi nomadi, e non capivano nulla né dell'apostolato, né dei segni di profezia, poiché nessun profeta era mai stato inviato loro: Fu lì che si svolse l'insegnamento di un uomo che li istruiva, di cui noi diremo il nome e racconteremo la storia in u altro punto della nostra lettera [...]. In seguito, egli scelse per compagni delle persone oziose, dedite alla razzia, di quelli che taglieggiano i viaggiatori [...]. Cominciò ad inviare delle spedizioni nei luoghi dove vanno le carovane cariche di merci [...]. Queste persone le intercettavano lungo il tragitto, si impossessavano delle merci e massacravano gli uomini. La situazione divenne critica: cosa sarebbe successo?»26







    - Il periodo medinese



    Secondo Padre Lammens s.j.,



    «[...] alcuni incontri occasionali misero Maometto in comunicazione con degli arabi di Medina27, di passaggio alla Mecca, i cui rapporti con i loro concittadini ebrei avevano reso più ben disposti verso le sue idee religiose»28.



    Forse che Maometto pensava di trovare a Medina un uditorio più interessato alla sua predicazione, e un clima più favorevole alle sue tesi? Decise di lasciare spontaneamente La Mecca, o ne fu cacciato dai suoi concittadini? Secondo la lettera di Al Kindi,



    «[...] la sua prima partenza fu dovuta a questa ragione (ovvero, come abbiamo visto più sopra, a causa delle razzie e delle aggressioni che avevano provocato l'ostilità dei meccani)... [Maometto] aveva a quel tempo 53 anni, dopo che alla Mecca aveva preteso per tredici anni di essere un profeta. Egli partì con i suoi compagni che lo frequentavano e si erano legati a lui in numero di quaranta uomini. Egli aveva subito tutti i generi di tribolazioni e di angherie da parte di quei meccani che lo conoscevano e che adducevano come scusa la sua pretesa profezia, ma nel loro intimo lo facevano a causa del fatto certo che, sulle strade, egli si dava al brigantaggio»29.



    Sia quel che sia, Maometto ed i suoi primi compagni lasciarono la loro città natale nel 622 per andare a Medina. Ma tralasciamo per un istante questo rapido sguardo alla carriera del fondatore dell'islàm, per soffermarci su quest'episodio di capitale importanza.





    - L'anno 1 dell'islàm: l'«égira»



    L'esodo dalla Mecca inaugurò l'«égira»30. Essa rappresenta il punto di partenza dell'era musulmana, istituito ufficialmente 17 anni dopo dal califfo31 Omar, e che si ritiene abbia avuto inizio il 16 luglio dell'anno 622. Riteniamo, dunque, che il 622 sia l'anno 1 del calendario musulmano32, ma ciò che conta è sottolineare che con l'«egira» si ha un'evoluzione importantissima. Secondo Padre Lammens s.j., più che una semplice emigrazione geografica, l'«égira» assegnò a Maometto un nuovo ruolo:



    «Nella carriera di Maometto, l'égira segna un cambiamento... interessante: l'evoluzione politica dell'islàm. Maometto, dapprima predicatore monoteista, ed in seguito profeta, diventa capo di stato. Nel vecchio diritto arabo, l'égira non significava solamente la rottura con la sua città natale, ma equivaleva ad una specie di dichiarazione di guerra. Su questo punto, il sindacato meccano non si ingannava. Fino a quel momento la parola d'ordine per i discepoli di Maometto era stata quella di «tenere duro» in mezzo alle contrarietà, e di non fare uso che di mezzi pacifici di persuasione. La gihàd33 era una guerra spirituale. A Medina si aprì un periodo di azione, e venne raccomandato di lottare con le armi sino che l'islàm non avesse preso il sopravvento»34.



    A Medina, la predicazione di Maometto ottenne maggior successo, e raccolse rapidamente tra i pagani un certo numero di discepoli (sembra numerose centinaia): erano gli Ansar (=gli «ausiliari») mentre i meccani convertiti che avevano seguito il maestro a Medina erano i Muhagirun (=gli «emigrati»). «Emigrati» e «Ausiliari» formavano i ranghi della futura aristocrazia dell'islàm. A Medina, dunque, mentre le conversioni andavano moltiplicandosi, Maometto, la cui influenza cresceva di giorno in giorno, tentò di consolidare la sua autorità nascente; egli cercò per mezzo di un trattato abilmente redatto, di farsi arbitro tra i musulmani, gli ebrei ed i pagani di Medina, e di far confluire tutte le contestazioni davanti al suo tribunale. In tal modo, egli preparò gli animi ad accettare la sua supremazia religiosa e politica. Tuttavia - prosegue Padre Lammens s.j. - ciò significava non tenere conto dell'ostinazione e dell'orgoglio degli ebrei, che egli aveva cercato di avvicinare alle sue tesi, in quanto fortemente convinto di attingere alla loro stessa fonte della rivelazione35. Ciò nonostante, i disaccordi dottrinali si fecero presto strada, in quanto gli ebrei professavano il principio secondo cui la profezia era un privilegio esclusivo di Israele, rifiutando pertanto le pretese del profeta «gentile».



    Alla fine, Maometto li dichiarò «i peggiori nemici dell'islàm», lottò apertamente contro di essi, espulse i clan più deboli, di cui uno - quello di Banù Quràyza - vide i suoi 600 uomini validi, massacrati fino all'ultimo, e donne e bambini venduti come schiavi36. Un'intesa non fu nemmeno possibile con i cristiani: Maometto, dopo averne lodato le benevole disposizioni d'animo e l'assenza di orgoglio - il Corano ne conserva l'eco - ruppe anche con essi, non avendoli trovati più arrendevoli degli ebrei. Ma Maometto non aveva dimenticato La Mecca, la sua città natale; è contro di essa che egli scagliò in seguito i più portentosi ardori della «gihàd». Da semplici raid, gli attacchi contro i meccani e contro le loro carovane si mutarono con il tempo in vere e proprie battaglie; dopo la vittoria di Badr37 (nel gennaio del 624), e gli insuccessi di Uhud38 e Mouta (nella primavera del 625), in cui circa 3.000 razziatori furono completamente sbaragliati dagli arabi cristiani della Siria, Maometto giudicò senza dubbio giunto il momento di prendere il controllo della città natale. Riallacciando segretamente i contatti con il coreìscita più qualificato, Abù Sofian, di cui aveva sposato la figlia, Maometto promise un'amnistia ed il rispetto dei costumi e del culto meccano, pur assicurandosi dei complici sul posto. Si realizzò quindi la «fath Makka», la «conquista della Mecca», in cui Maometto alla testa di 10.000 uomini penetrò senza colpo ferire nel mese del ramadàn del 629. L'unica mancanza alla promessa fatta, fu costituita dall'uccisione di alcuni tra i suoi più acerrimi nemici. Quanto alla popolazione, essa si sottomise. Da allora, la Mecca è la città santa per eccellenza, quella nella cui direzione il fedele deve orientarsi durante le preghiere e gli atti devozionali.





    - Secondo periodo meccano



    Tuttavia, è solamente per un bisogno di semplificare che abbiamo chiamato «meccana» questa terza fase della carriera di Maometto. In realtà, sembra che dopo la resa della mecca, Maometto non si sia fermato affatto nella sua città natale, ma si sia reinsediato assai rapidamente a Medina; nel 631, egli condusse alcuni raid in direzione della Siria, ed inviò delle bande a taglieggiare le città della Nabatea ed i piccoli porti del Mar Rosso. Il pellegrinaggio alla Mecca esisteva già; da quel momento egli decretò che gli infedeli (i non-musulmani) non ne avrebbero mai più preso parte, e, all'inizio del 632, decise di recarvisi personalmente e di assicurarne egli stesso la direzione.



    «La conversione dell'Arabia aveva fatto grossi progressi unicamente nell'Hegiaz. Solo Medina poteva essere considerata come definitivamente assoggettata alla nuova dottrina. D'altronde, ovunque l'islamizzazione non era che iniziata: nondimeno, tutti riconoscevano soprattutto la potenza politica dell'islàm»39.





    q Morte e successione di Maometto



    - Morte



    L'8 giugno dell'anno 632, ossia tre mesi dopo il suo ritorno a Medina, Maometto morì di malattia. Secondo Padre Lammens s.j., egli non aveva ancora superato i cinquant'anni, o, secondo l'opinione più corrente, la sessantina. Secondo la tradizione musulmana, Maometto aveva ordinato ai suoi compagni di non seppellirlo dopo la morte, in quanto egli sarebbe asceso al cielo.



    «I suoi compagni erano talmente persuasi di ciò che, quando egli morì lunedì 12 rabì-al-awwal, all'età di 63 anni, in seguito ad una malattia durata 14 giorni, lo lasciarono, credendo che sarebbe salito in cielo come aveva predetto. Dopo un'attesa di 3 giorni, il suo odore mutò, e la loro speranza di vederlo salire in cielo si dissolse. Delusi da queste premesse illusorie, e constatando la sua menzogna, essi lo seppellirono il mercoledì»40.



    Alcuni musulmani sostengono che Maometto sapeva che, dopo la sua morte, avrebbe avuto il privilegio di essere elevato in cielo, ma che vi rinunciò liberamente, scegliendo la sorte comune ad ogni mortale.





    - La successione: le mogli di Maometto



    Maometto scomparve dunque dalla scena. Aveva forse preparato la sua successione? Chi, tra i suoi discepoli, doveva riprenderne la missione, organizzare e consolidare la struttura politico-religiosa che, come abbiamo appena visto, era nata ed era cresciuta tra mille difficoltà? I problemi posti dalla successione di Maometto, e le circostanze in cui essa avvenne, non possono essere compresi con chiarezza se prima di tutto non si prende conoscenza, almeno a grandi linee, di quella che fu la vita coniugale e la discendenza di Maometto. Così, prima di esaminare quest'ultima e postuma fase della vita di Maometto, cerchiamo di redigere uno stato di famiglia del fondatore dell'islàm. Maometto rimase fedele a Cadìgia - e dunque ufficialmente monogamo - fino alla morte di quest'ultima. In seguito, la tradizione musulmana gli attribuì 17 spose legittime (Cadìgia compresa), di cui 15 donne libere e 2 schiave, ed un numero imprecisato di concubine41. Il cognome, la filiazione e certi tratti particolari di ciascuna delle 17 spose, costituiscono dei dettagli che non possiamo qui riportare per motivi di spazio, ma che si possono ritrovare, per esempio, nella lettera di Al Kindi42. Notiamo che il Corano limita a 4 il numero delle spose legittime che il musulmano può avere; e così, alcuni versetti «derogatori» regolarizzano il «caso» di Maometto43 . In effetti, la donna, e più in generale la sessualità, hanno occupato un posto particolare nella vita e nelle preoccupazioni di Maometto. Al Kindi non fa che riprendere la tradizione islamica, allorché ricorda al suo amico musulmano che Maometto



    «[...] dichiarò che era infiammato dall'amore, dal profumo e dalle donne, e che uno dei segni della sua profezia (della sua missione profetica) era costituito dal fatto che gli era stata donata una potenza sessuale pari a quella di quaranta uomini per copulare con le donne»44.



    Questo aspetto della personalità del fondatore dell'islàm, sembra mettere a disagio certi commentatori o autori occidentali, i quali si sforzano di ridurlo, di idealizzarlo, o molto semplicemente, di cancellarlo. Questo modo di procedere è prova di una profonda misconoscenza del musulmano, per il quale la sessualità esuberante del padre dell'islàm non è affatto incompatibile con la missione religiosa di cui si credette investito, ma è esattamente vero il contrario! Ma ritorniamo alle alleanze e alla discendenza di Maometto, elementi che giocarono in seguito un ruolo decisivo nel processo della sua successione politico religiosa.





    - La successione: discendenza di Maometto



    Abbiamo già rilevato come Maometto ebbe da Cadìgia 4 figlie, tra cui Fàtima, che sposò Alì, figlio di Abù Tàlib (zio di Maometto, che lo aveva raccolto orfano), che fu per giunta uno dei primi e più fedeli compagni di Maometto. Lo schema sottostante (albero genealogico abbreviato) ci permetterà di capire meglio: per non complicarlo inutilmente, non facciamo figurare a fianco di Cadìgia che quelle mogli di Maometto (Àiscia e Hafsa) che, come vedremo tra breve, furono implicate nel processo di successione.







    Abù Tàlib Omar Abù Bakr





    Maometto __________ Cadìgia ( ___ Hafsa __________ Àiscia ____________ ecc...)





    Alì Fàtima Um Kesùn Erkia Zineb





    Hasan Husayn





    Questo schema ci servirà dunque come illustrazione e come punto di riferimento per la seguente breve relazione.



    - La successione: intrighi e discordie



    I primi califfi sono nell'ordine:



    632: Abù Bakr 656: Alì

    634: Omar 661: Moawia

    644: Uthman

    La morte inattesa di Maometto - ci dice Padre Lammens - creò disordini e dissapori nel suo entourage, prima ancora che si iniziasse a sotterrare il suo cadavere. Alì, cugino di Maometto45, che fu poi uno dei suoi primi e più fedeli compagni, e a cui Maometto concesse la mano di sua figlia Fàtima - che gli diede una discendenza maschile (Hasan e Husayn) - sembrava designato a succedere al maestro, ed accedere al primo califfato46. Ma Àiscia, la sposa favorita di Maometto, riuscì con i suoi intrighi e con l'appoggio di Omar a far imporre suo padre Abù Bakr, con grande disappunto di Alì, con il quale essa era in pessimi rapporti47. Nel 634, Abù Bakr morì designando come suo successore Omar, padre di Hafsa, un'altra moglie di Maometto. Alì rimase dunque tagliato fuori dalla corsa per la conquista del potere. Allorché Omar venne assassinato nel 644, fu eletto Uthman, genero di Maometto, di cui aveva sposato la figlie Erkia e Um Kesun. Nel 656, Uthman fu a sua volta assassinato; Alì, attraverso mille intrighi e lotte, che non possiamo per ovvi motivi riportare, potè così infine accedere al califfato, ma non vi rimase che faticosamente per essere anch'egli assassinato nel 661. Gli succedette Moawia, ex-governatore della Siria, e nemico di Alì, che, a quanto pare, fu promosso califfo grazie in parte anche all'appoggio di Aiscia. Il suo successore fu il figlio Yésid. Ma ritorniamo ad Alì: Hasan - suo figlio maggiore, che inaugurò la dinastia degli «sceriffi»48 - abdicò e si ritirò a Medina, dove morì avvelenato. Husayn, il secondogenito, si ribellò contro Yésid, ma venne massacrato dai suoi uomini nel corso di una battaglia presso Kerbelah. Più avanti49, vedremo come questi dissensi attorno alla successione di Maometto diedero vita allo scisma sciita. Come abbiamo già scritto all'inizio di questo opuscolo, lo studio delle successive dinastie islamiche non sarà oggetto di trattazione, limitandoci alla presente breve relazione. Tuttavia, fin da ora, prima di chiudere questa rapida carrellata sulla carriera del fondatore dell'islàm, possiamo fare alcune riflessioni.





    4. Brevi note su Maometto e sulla nascita dell'islàm



    q Fin dalla sua nascita, l'islàm si caratterizzò



    - Per la forza legata all'apostolato;

    - Per il potere sia politico, che religioso.

    La forza «legittimamente» utilizzata per la conversione: ecco un concetto che non ci è affatto familiare... Confusione tra lo spirituale ed il temporale; nessuna frontiera marcata, nessuna distinzione tra il dominio di Cesare e quello di Dio... In realtà, questi due aspetti caratteristici che abbiamo appena sottolineato, non sono che un'unica cosa, o più esattamente, sono così intimamente legati che è impossibile concepire uno senza l'altro. L'islàm li ha trovati nella sua culla; Maometto glieli ha imposti allo stesso modo in cui, nel corso della sua carriera - come abbiamo appena visto - utilizzò tutti i mezzi coercitivi (razzie, battaglie, uccisioni, ecc...), con la propagazione della nuova religione che era stata via via elaborata dallo spirito del suo fondatore. I sanguinosi episodi che segnarono questa carriera, e le lotte per la successione di Maometto, mostrano bene come in gioco non c'era solamente il potere religioso, ma il potere stesso, civile, militare, economico, ecc... Dei primi 4 califfi, 3 (Omar, Uthman e Alì) morirono assassinati. Quale contrasto con i primi papi della Chiesa cattolica, di cui il canone della Messa venera, dopo quella di Pietro, la memoria di:

    Lino, 2° papa, martirizzato verso l'anno 79;

    Cleto, 3° papa, martirizzato verso l'anno 90;

    Clemente, 4° papa, martirizzato verso l'anno 97.

    Predicatore, Maometto divenne contemporaneamente capo di una banda, poi capo di una guerra, ed infine capo di Stato; più sopra, abbiamo sottolineato il fatto che nell'Hegiaz preislamico non esistesse né una struttura politica, né uno Stato organizzato. Alla morte di Maometto, la conversione alla nuova dottrina non aveva ancora varcato i confini dell'Hegiaz - forse solo Medina e La Mecca - ma tutta l'Arabia conosceva già la potenza politica dell'islàm.





    q Maometto fu un «profeta»?



    Diciamo subito che la maggior parte delle opere o degli articoli dedicati all'islàm - anche quelli che portano la firma di autori cattolici - impiegano correntemente il termine di «profeta» per designare Maometto, e generalmente con una «P» maiuscola, come per sottolinearne la portata. Il dizionario «Robert» da, come significato improntato la latino ecclesiastico, «interprete di Dio», e per esteso, «colui che predice l'avvenire e pretende, in nome di Dio, di rivelare delle verità nascoste». Il dizionario «Larousse» aggiunge che in termini assoluti, Profeta è il «titolo che i i musulmani attribuiscono a Maometto». (D'altronde, ciò non è esatto, in quanto il significato della corrispondente parola araba rasùl, è piuttosto quello di «inviato»). Molto bene, ma per il musulmano è in senso proprio (quello fornito più sopra dal «Robert») che si tratta di sapere se il titolo di «Profeta» conviene o meno al fondatore dell'islàm. Maometto è stato l'«interprete di Dio»? Ha forse predetto l'avvenire e rivelato, in nome di Dio, alcune verità nascoste? Undici secoli prima di noi, il cristiano Al Kindi pose questa domanda all'amico musulmano, e gli diede una risposta:



    «Profeta» significa «annunciatore», e cioè colui che informa di un fatto sconosciuto o che annuncia un evento futuro che si deve realizzare [...]. Si crede che ciò che egli annuncia è vero mediante i segni che confermano le sue parole, e che attestano la verità di ciò che egli dice e racconta»50.





    In seguito, Al Kindi cita, ad esempio, Mosè, Isaia, Geremia, Daniele, le loro profezie ed i segni che le accompagnarono, evocando infine Cristo, di cui sottolinea, in onore del suo amico musulmano, la posizione a parte, in quanto



    «[...] la sua condizione è al di sopra della profezia, poiché il suo rango è infinitamente più elevato, più nobile e più degno di quello dei profeti».



    Ed il cristiano interroga Al Hashimi:



    «Facci dunque conoscere, a riguardo del tuo maestro, cui tu attribuisci (il dono della) profezia, ciò che egli profetizzò, la profezia che proferì, e perché egli meriterebbe da te e dalla tua gente sensata il titolo di profeta, e quale prova diede di esserlo. Se tu dici che egli ci ha insegnato i racconti dei profeti [...] come Noè, Abramo, Isacco [...], io ti rispondo che egli ci ha insegnato ciò che noi conoscevamo già, e che i nostri bambini imparano...».



    In effetti, il Corano contiene numerosi racconti estratti direttamente dall'Antico Testamento, ed alcuni se ne fanno meraviglia, ritenendo che ciò costituisca un fattore di unione tra cristiani e musulmani. Senza dubbio, non si tratta di cose false; ma allora, in che cosa consiste la novità dell'islàm?



    «Se tu pretendi - prosegue Al Kindi - che egli abbia annunciato degli avvenimenti futuri, noi esigiamo che tu ci dica quali. Ecco che in effetti sono ormai trascorsi oltre duecento anni51 dalla sua epoca, nel corso dei quali si sarebbe dovuto realizzare o verificare qualcosa annunciato da lui. Ora, tu sai che su questo punto egli non annunciò assolutamente nulla, né disse una sola parola e non articolò neppure una lettera, il che chiaramente non soddisfa la «seconda condizione necessaria ad autenticare la profezia».



    Ed i segni? Prosegue Al Kindi: ha forse compiuto dei miracoli? No, il Corano non ne menziona nemmeno uno, e Maometto non ne ebbe mai la pretesa52, mentre riconobbe (nel Corano stesso) quelli di Gesù Cristo. Riprendiamo dunque la definizione del Dizionario «Robert», e ripetiamo la domanda: Maometto è stato l'«interprete di Dio»? Ha egli predetto l'avvenire e rivelato delle verità nascoste in nome di Dio? In breve: fu (letteralmente parlando) un «Profeta»? La critica di Al Kindi risponde negativamente, e non senza una logica, a questo interrogativo. Per il musulmano, Maometto è sicuramente l'interprete di Dio e, a questo titolo, egli è certamente un «Profeta» (o, più precisamente, un rasùl, un «inviato»). Per il non-musulmano, nulla gli impone di seguire gli islamici su questo terreno. E per il cristiano? L'ammiraglio Auphan53 faceva notare nel resoconto di un colloquio cristiano-islamico, tenuto sotto la direzione di un religioso del Segretariato delle relazioni con l'islàm a Versailles il 10 maggio 1979, questa frase:



    «Si dice che Maometto sia un falso profeta; peccato, perché il messaggio coranico contiene il messaggio biblico»54.



    Si tratta - commentò l'ammiraglio Auphan - di una presa di posizione teologica, di cui lascio la responsabilità agli organizzatori del colloquio, poiché la Chiesa insegnava ed insegna ancora, che non esiste altra Rivelazione che quella della Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento), illuminata dalla Tradizione, completamente priva di alcuna «continuazione» da attendere, che se non ciò che l'intelligenza, penetrata dalla fede, o le grazie accordate ad alcune anime privilegiate, che permettono di fare precisazioni sull'insieme teologico così circoscritto. Il paragrafo n. 4 della Costituzione dogmatica «Dei Verbum» sulla Rivelazione divina (Concilio Vaticano II) si esprime in questi termini: «L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (Cfr. 1 Tm 6, 14 e Tt 2, 13)55.



    Non potendo dire di meglio, cerchiamo dunque di concludere. Personaggio sicuramente fuori del comune, Maometto presenta a distanza di 13 secoli una statura storica sufficientemente di rilievo perché ci sia il bisogno di aggiungervi qualcosa. Ci sembra che l'appellativo di «Profeta», con tutto ciò che esso significa nella nostra lingua, sia improprio per qualificare il fondatore dell'islàm. Inoltre, dal punto di vista cristiano, questa improprietà va evitata, in quanto essa contribuisce a perpetuare un'opinione falsa, secondo cui il messaggio islamico si inscriverebbe nell'insieme della «Rivelazione».



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    [1] Cit. in Le Point del 13.03.84.



    [2] Cfr. J. HOURS, La conscience chrètienne devant l'islam, 1962, ristampato a parte sui nn. 60 e 65 della rivista Itinéraires, 4 rue Garancière, 75006 Parigi, Francia, pag. 8. Il grassetto è nostro.



    3 Cfr. Il Corano, G. Brancato Editore, Catania 1989, pagg. 467. Di volta in volta, per la traduzione di alcuni particolari versetti, oltre alla traduzione italiana di A. Fracassi, verranno usate altre due versioni: quella di M. Kasimirski (Maisonneuve et Larose, Parigi 1980) e quella di R. Blachère (Editions Baudoin, Parigi 1980) , che a seconda del traduttore saranno contrassegnati con la sigla (K) o con la sigla (B), mentre quelli di A. Fracassi con la sigla (F).



    4 Cfr. H. LAMMENS, L'islam, Croyances et institutions, Libraire Orientale, Beirut 1943.



    5 Vedi tavola geografica in Appendice a pag.



    [6] Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 11.



    7 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 15.



    8 Setta monofisita fondata in Siria dal monaco Giacomo Baradeo († 578) vescovo di Edessa. Il monofisismo (unità di natura) predicava una dottrina che negava la distinzione delle due nature, umana e divina, di Gesù Cristo, e pretendeva che la prima avesse assorbito la seconda; il Concilio di Calcedonia (451) definì che queste due nature sono unite, ma non confuse e condannò quesata eresia.



    9 Dottrina della setta di Nestorio (380-440), Patriarca di Costantinopoli ed eretico, secondo il quale Gesù Cristo non era che un uomo in cui il Verbo di Dio risiedeva come in un tempio; essa distingueva in Lui due persone: una umana e l'altra divina. Maria doveva essere chiamata «Madre di Cristo» e non «Madre di Dio». Tale dottrina fu condannata dal Concilio di Efeso (431).



    10 Cfr. H. LEMMANS, op. cit., pag. 30.


    11 Cfr. CARRA DE VAUX, Dictionnaire Théologique, pag. 1138.



    12 Il grassetto è nostro. Questa disposizione del testo verrà usata ogniqualvolta useremo, nel corso di questo opuscolo, un versetto del Corano. «Le rivelazioni coraniche [...] erano accompagnate da fenomeni impressionanti: la tradizione musulmana narra che quando Maometto le sentiva venire era scosso da forti brividi, cadeva a terra febbricitante gridava: «Avvolgetemi in un mantello!» Alla fine restava esausto, madido di sudore e con fortissimi dolori al capo (Cfr. C.M. GUZZETTI, Il Messaggio di Allah, Leumann, Torino 1979, cit. in J.M. DE LA CROIX, Le religioni e la religione, Mimep-Docete, Milano 1990, pag. 123).



    13 Cfr. J. BERTUEL, L'islam, ses véritables origines, N.E.L. 1981 T.L.



    14 Cfr. E. DERMENGHEM, Mahomet et la tradition islamique, Seuil 1955, pag. 14.



    15 Sic!


    16 Cfr. H. Lammens, op. cit., pag. 33.



    17 Cfr. E.F. Gautier, Le passé de l'Afrique du Nord, Payot, 1952, pag. 67.



    18 Cfr. G. TARTAR, Dialogue islamo-chrètien, N.E.L. 1985, pag. 138. Al Kindi è quel cristiano in contatto epistolare con un amico musulmano a cui accennavamo i apertura nell'introduzione generale (vedi a pag.) citando le fonti che avremmo utilizzato.



    19 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 34.



    20 Cfr. B. LAZARE, Documents et tèmoignages, 1969, pag. 51.



    21 Cfr. J. BERTUEL, op. cit..



    22 L'eresia nestoriana negava la persona divina di Gesù Cristo; come dunque stupirsi di ritrovare questa stessa negazione, ripetuta con forza e veemenza, anche nel Corano (vedi più oltre Cap. V)?



    23 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 181.




    24 Termine ebraico (Toràh=insegnamento) designante la Legge, e che comprende i cinque libri del Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.



    25 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 182. A sostegno della tesi della giudaizazione dell'islàm nascente, si è espresso anche Hanna Zacharias (pseudonimo di Padre G. Théry), autore del libro Vrai Mohammed et faux Coran, secondo il quale Maometto divenne il genero del rabbino della Mecca (Cfr. E. LATOUR, Le quattro cause della rivoluzione, Ed. Gotica, Ferrara 1990, pag. 13). Non è quindi affatto azzardato supporre che, come avvenne a causa delle influenze nestoriane, giacobite, manichee e gnostiche, l'islàm abbia mutuato dal giudaismo il rifiuto radicale della divinità di Gesù Cristo, ed il conseguente odio per il cristianesimo.



    26 Cfr. G: TARTAN, op. cit., pag. 138.



    27 A quel tempo, la città si chiamava ancora Yatrib, e solo in seguito all'esilio di Maometto fu denominata Medina (dall'arabo Madìnat an Nabì=la città del profeta).



    28 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 36.



    29 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 140.



    30 Higra, termine arabo che significa «emigrazione», ma in tono vendicativo.



    31 Con questo termine, che significa «successore del messaggero di Allàh», vengono designati i successori di Maometto.



    32 Il calendario musulmano è iniziato, secondo la data comunemente ritenuta, il 16 luglio del 622. Da notare che l'annata musulmana, che si conta in mesi lunari, è più corta di 10 giorni circa dell'annata gregoriana. Ciò spiega perchè vediamo ogni anno le feste musulmane avanzare progressivamente nel nostro calendario. A titolo di esempio, il 6 settembre 1986 è stato per l'islàm il Giorno dell'Anno dell'annata egiriana 1407.



    33 Gihàd, termine arabo significante «guerra santa» (vedi capitolo V a pag.).



    34 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 36.



    35 Inizialmente, onde captare la benevolenza degli ebrei, Maometto aveva ordinato che la preghiera islamica fosse fatta in direzione di Gerusalemme. In seguito all'atteggiamento ostile dei giudei, Maometto ordinò di pregare in direzione (qibla) non più di Gerusalemme ma della Caàba, sceglie che fosse il venerdì il giorno deputato al servizio divino e sostituì al giorno di digiuno (Áshùrà) - che era stato introdotto sul modello giudaico - con il mese di digiuno (Ramadàn) (Cfr. N. SARALE, op. cit., pag. 103; Encicolpedia delle religioni, Garzanti 1989, pag. 485).



    36 Cfr. H. LAMMENS, op. cit. pag. 42. Secondo altri autori, gli ebrei decapitati pubblicamente nel 627 nella piazza di Medina in ottemperamento al comando del Corano (Sura VIII, 12-13) furono dai 700 ai 900 (Cfr. J.M. DE LA CROIX, op. cit., pag. 124), mentre le altre due comunità ebraiche della città di Medina furono costrette all'esilio.



    37 A proposito del copioso bottino catturato in questa battaglia, il Corano (Sura VIII, 1) assegnò tutto a Maometto, ma poi in seguito alle rimostranze della gente, gliene assegnò solo una quinta parte (Cfr. J.M.DE LA CROIX, op. cit., pag. 125).



    38 Durante questa battaglia, Maometto venne ferito: una pietra gli tagliò le labbra, una freccia gli passò da parte a parte una guancia e perse due denti (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 486).



    39 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 45.



    40 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 166.



    41 «Tra le mogli di Maometto, la più amata fu Áiscia, figlia di Abù Bakr, che sposò ancora bambina all'età di & anni e tra le cui braccia morì 12 anni dopo; ma amò molto anche la bella Zàynab, moglie del figlio adottivo Zàyd, il quale, dietro intervento del Corano si affrettò a divorziare da lei per darla al profeta» (Cfr. J.M. DE LA CROIX, op. cit., pag. 125). Ed ecco i versetti Corano (Sura XXXIII, 37) che «autorizzarono» Maometto a sposare la nuora: «Quando tu dicevi a colui che Allàh aveva arricchito delle sue grazie, che tu avevi colmato di beni, conserva la tua sposa e temi il Signore, nascondevi in fondo al tuo cuore un amore che il cielo stava per manifestare [...]. Zàyd ripudiò la sua sposa. Ti abbiamo unito con lei, affinché i fedeli abbiano la libertà di sposare le mogli dei loro figli adottivi, dopo averle ripudiate. Il precetto divino deve ottenere il suo effetto. Il profeta non è colpevole di aver usato di un diritto autorizzato dal cielo, conforme alle leggi divine stabilite prima di lui».



    42 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 151.





    43 Vedi Cap. VII, pag.



    44 Cfr. G. Tartan, op. cit., pag. 149.



    45 Abbiamo precedentemente visto come Abù Tàlib, padre di Alì e zio di Maometto, aveva araccolto quest'ultimo quando era orfano (vedi a pag.)



    46 Dall'arabo hàlifa=successore.



    47 Secondo alcuni racconti, Alì l'avrebbe sorpresa mentre essa «amoreggiava» con un compagno di Maometto, ed avrebbe invano fatto pressioni su quest'ultimo affinché se ne separasse; ma egli ne era troppo innamorato.



    48 Vocabolo che sta ad indicare la discendenza da Maometto per questa stirpe.



    49 Vedi Cap. VII a pag.



    50 Cfr. G. TARTAN, op. cit., pag. 153 e ss.



    51 Come abbiamo visto (vedi a pag. ), si tratta di un manoscritto che risale all'inizio del IX secolo.





    52 «[...] Maometto [...] sembrava disprezzare i miracoli. La frequenza con cui nel Corano ritorna sull'obiezione di quelli che gli chiedevano prodigi, lascia intravedere un'opposizione persistente. Alcune volte egli si accontenta di affermare con forza di essere mandato da Allàh (Sura VI, 4-11; 19-21; 25-28; Sura X, 94-97; Sura XII, 8-27, ecc...). Altre volte osserva che Allàh da il potere dei miracoli a chi vuole (Sura X, 21), e che i miracoli non servono a nulla con gli ostinati (Sura III, 121-123). Infine che Allàh, dal quale deriva la sua missione, è una garanzia sufficiente (Sura IV, 152-164; Sura XV, 89-95). Egli insiste soprattutto sul fatto che Allàh gli ha dato,come ad ogni altro dei suoi inviati,un libro (Sura XIII, 37-38; XVII, 46, ecc...) e che questo libro, il Corano, per la sua trascendenza, rende inutile ogni altro miracolo (Sura VI, 114-159; Sura XVIII, 47-50). (Cfr. C. FALCONI, Gli pseudo-rivelatori di Cristo, in AA.VV. Mondo Cattolico, Soc. An. Editrice, Bergamo 1941, pagg. 54-55). Inoltre, «[...] Maometto riconobbe di non essere che un semplice uomo mortale: «Io non sono che un uomo... incaricato di predicare a voi credenti» (Sura VII, 188, e Sura XVII, 93); riconobbe di essere peccatore (episodio del cieco di La Mecca, Sura LXXX, 1-11); riconobbe di non saper fare i miracoli (Sura VII, 188), neppure per comprovarela verità del Corano (Sura II, 23) (Cfr. J.M. DE LA CROIX, op. cit., pagg. 126-127). Ciononostante, «[...] alla naturale venerazione (verso Maometto), si aggiunse presto l'aureola miracolosa [...] Sulla base di elementi folcloristici, di leggende talmudiche e rabbiniche, di racconti degli apocrifi cristiani circolanti in Oriente, d'arbitrarie interpretazioni di passi coranici, e anche di concetti derivanti dal Parsismo e da dottrine gnostiche e neoplatoniche, a partire già dal primo secolo dell'ègira, le successive generazioni musulmane andarono elaborando la leggenda miracolosa di Maometto, in parte anche per fare di lui un contrapposto alla figura di Gesù presso i cristiani. Scrittori del secolo XIII fanno salire a più di 3.000 i suoi miracoli e li classificano in varie categorie secondo l'oggetto su cui si esercitavano. Notevoli per la loro popolarità e per il posto loro dato in catechismi moderni, sono i vari portenti che preannunziarono la sua nascita, i miracoli della sua infanzia (calcati soprattutto sugli apocrifi cristiani), il viaggio notturno a Gerusalemme sulla cavalcatura portentosa al-Bura, la successiva salita al cielo nel periodo meccano e la scissione della luna operata da Allàh in seguito a una preghiera di Maometto per convertire alcuni fedeli (un quarto di luna si sarebbe staccato egli sarebbe entrato nella manica; da ciò deriva la mezzaluna, il simbolo islamico per eccellenza N.d.T.) (Cfr. C. FALCONI, op. cit., pag. 54).



    53 Dalla prefazione del già citato libro L'islam, ses véritables origines.



    54 Citato dalla rivista Neuf, del 12 giugno 1979.



    55 Cfr. Costituzione dogmatica Dei Verbum, sulla divina Rivelazione, del 18 novembre 1965.

  2. #2
    Non sono d'esempio in nulla
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    CAPITOLO IV

    FONTI PRINCIPALI DELLA DOTTRINA E DELLA DISCIPLINA DELL'ISLÀM



    Le fonti dottrinali e disciplinari dell'islàm sono contenute nel Corano, nella Sunna (dall'arabo sunnàh=tradizione), ed infine nella legge o sharìa. Esaminiamole in successione.





    1. IL CORANO



    q Introduzione



    - Le scritture



    Nelle pagine del Corano, gli ebrei ed i cristiani vengono designati come gli «scritturali», o «genti della Scrittura», e cioè - in trasparenza - coloro che, prima dell'islàm, furono favoriti da Dio con una Rivelazione scritta; l'Antico Testamento per gli ebrei e per i cristiani, completato dal Nuovo testamento per questi ultimi. «O voi che riceveste le Scritture!» Vedremo più oltre il Corano interpellare così gli «scritturali», prima di esortarli ad aderire all'islàm. O voi che avete ricevuto prima di noi questi «assaggi» della Parola divina, come potete restare sordi al messaggio di Maometto? dell'Ispirato?



    - Il libro



    Secondo Padre Lammens s.j., la parola «Corano», più che «recitazione» significherebbe «lettura». Ma per i musulmani, la parola «Libro» designa a priori il Corano; se si afferma di un uomo che egli «legge», l'uso di questo verbo senza complemento indica che quest'uomo legge il Corano, altrimenti bisognerebbe precisare che «egli legge il tal libro...». Se il beduino preislamico era ghiotto di poesia, ed usava una lingua ricca ed evoluta che impedisce di classificarlo tra le nazioni primitive, al contrario, la tradizione nell'Hegiaz era essenzialmente orale e la letteratura pressoché inesistente. Ricordiamoci anche che gli ebrei, questi «scritturali» - e come tali favoriti - guardavano con disprezzo questi beduini politeisti e litolatri. Ma ora, ecco che con Maometto, con la rivelazione del Corano e con la verità dell'islàm, il beduino entra a sua volta a far parte della casta degli «scritturali»; anche a lui, e specialmente a lui, Dio ha parlato e ha dettato un libro... Forse era l'unico libro dell'arabo dell'Hegiaz, ma che libro!!! Alla luce di questi rilievi, andiamo ora ad affrontare il tema trattato nel capitolo che segue.





    q Origine del Corano: il suo autore



    - Per i musulmani



    Secondo la tradizione, mentre Maometto se ne stava a meditare in una grotta del Monte Hira, gli apparve l'angelo Gabriele (in arabo Jabrà), messaggero di Allàh, e gli trasmise tutto il contenuto del Corano. Fu la «notte della rivelazione». Riavutosi da questa specie di estasi, e ridisceso a valle in mezzo ai suoi, Maometto, durante i giorni e le settimane successive, trasmise loro questa rivelazione mano a mano che, in modo frammentario, questi gli ritornavano alla memoria; i suoi compagni si affrettavano poi ogni volta a metterli per iscritto. Tutto ciò non ci rammenta nulla? Ma sì, è evidente!! Mosè che scende ancora sfolgorante dal Monte Sinai verso il suo popolo, con le tavole della Legge. Eccoci dunque in presenza di un'analogia caratteristica, di cui, nel corso di questo studio, evocheremo molti altri esempi. Ogni cosa accadde come se Maometto volesse in qualche modo rafforzare la credibilità della dottrina e della tradizione che stava elaborando, ricorrendo ad alcuni precedenti storici attinti dall'eredità degli «scritturali», accaparrandoseli liberamente come se fossero stati ricevuti da lui per grazia divina.



    - Autore probabile per i non-musulmani: Maometto



    Padre Lammens s.j.56 considera il Corano come l'opera personale di Maometto, stimando che ciò non sarebbe mai stato rimesso in questione, e pensa che la composizione delle diverse parti del Corano sia avvenuta tra il 610 ed il 632. Tuttavia, ciò non esclude affatto le mutuazioni dall'Antico Testamento e dal Talmùd57, mutuazioni alle quali ha massicciamente provveduto il redattore del Corano. I lavori di Padre Théry58 hanno messo in evidenza in modo impressionante la realtà di questi plagi, e la somiglianza pressoché letterale che talvolta esiste tra alcuni versetti del Corano e diversi passi dell'Antico Testamento. Altrove, si rimano sorpresi nel constatare nel Corano il ruolo che occupano i precetti - minuziosamente dettagliati - relativi alle donne; ora, questi stessi precetti occupano circa una settima parte del contenuto del Talmùd...





    q Forma materiale del Corano



    - Sure e versetti



    Il Corano è diviso in 114 capitoli, detti Sure (dall'arabo srah=«capitoli» o «parti»), ma per designarli i musulmani non impiegano i numeri, ma dei nomi (Sura «La Vacca», Sura «La Luce», ecc...) che generalmente si ispirano al tema principale trattato in quel capitolo. A loro volta, le Sure sono suddivise in versetti (in arabo àyàt=«versi» o «righe»), ognuno dei quali termina con un'assonanza, tenendo conto della rima. Il Corano contiene in totale 6.200 versetti (circa, perché il modo di troncare i versetti varia a seconda delle diverse edizioni).



    - Classificazione delle Sure in ordine decrescente



    Nella sua forma materiale, il libro sacro dei musulmani presenta una prima singolarità: le Sure sono classificate in ordine decrescente di lunghezza, ad eccezione della prima di esse, detta «fatihat-el-kitab» («che apre il libro» o la «Preliminare»), la quale non contiene che 7 versetti.



    - Mancanza di ordine logico e cronologico nel Corano



    La seconda particolarità più sconcertante per il lettore del Corano, è costituita dal disordine che vi regna. Manca di ogni ordine logico: l'insegnamento su questo quel tema preciso (la donna, il paradiso, l'inferno, ecc...) è spezzettato a caso; oltre a ciò, si aggiunga che nella stessa Sura i discorsi senza capo né coda, da un versetto all'altro, sono legione. Manca anche un ordine cronologico: sebbene la redazione del Corano abbia richiesto tre decenni e contenga numerose allusioni a fatti storici precisi riguardanti la carriera di Maometto, lo svolgimento dell'opera stessa è una «carambola... una vera sfida alla storia e all'intelligenza del testo»59.



    - La recensione del califfo Uthman



    L'edizione del Corano, nella sua forma esteriore di cui abbiamo or ora sottolineato le peculiarità, viene attribuita al califfo Uthman (644-656).



    «[Uthman] comprese la necessità di fermare in tempo la pericolosa diffusione di redazioni e copie di carattere privato, contenenti una caterva di imprecisioni e varianti»60.



    Il manoscritto di Al Kindi aggiunge alcuni ulteriori particolari sulle circostanze che motivarono la decisione del califfo Uthman:



    «Quando il potere passò nelle mani di Uthman [...], le genti leggevano diversamente gli uni dagli altri [...]. In quel tempo, qualcuno leggeva il tal versetto, ed un altro lo leggeva in un modo diverso, e l'uno diceva all'altro: «la mia lettura è migliore della tua». Ognuno faceva riferimento al maestro presso cui leggeva, dimodoché il testo veniva allungato o abbreviato, cambiato o alterato. A Uthman venne dunque riferito che la gente leggeva il testo in modi diversi; che essa aggiungeva qualcosa o lo toglieva a piacimento, e che su questo punto si facevano delle dispute; che l'inimicizia andava propagandosi, e che le persone finivano per dividersi in partiti opposti; che se la situazione si fosse prolungata ed aggravata, si rischiava di vedere gli uomini uccidersi gli uni gli altri, alterarsi il libro, e ricominciare l'apostasia»61.



    Per dirla in breve, Uthman fece riunire tutti i rotoli e le pergamene, e designò una commissione incaricata di dare forma ad una redazione definitiva, dopodiché,



    «[...] scrisse ai prefetti ordinando di raccogliere tutto ciò che potevano e di distruggere tutto quanto, e che si fosse appreso che qualcuno avesse tentato di custodire una copia del libro, di minacciarlo e di punirlo. Tutti i testi raccolti furono gettati nell'aceto bollente ed inzuppati fino ad essere completamente distrutti»62.



    Questo fatto ci sembra fornire lo spunto per una riflessione: da queste contese, alle quali il califfo mise fine, ognuno dei protagonisti era indubbiamente animato dalla volontà di far prevalere la propria versione della parola del Maestro, giudicata come sicuramente la più fedele all'originale. Poc'anzi, abbiamo però dimostrato che ciò che si era impiantato nell'Hegiaz non era un potere unicamente religioso, ma era anche una supremazia politica, legislativa, militare, ed anche finanziaria... Ci si può dunque domandare se ciascuno degli adepti rivali non fosse anch'egli spinto dal movente di provare di essere stato - più di ogni altro - vicino al Maestro e suo intimo, e che quindi detenesse legittimamente ed in maniera incontestabile anch'esso una parte di questo potere. La nostra storia non manca di esempi di situazioni analoghe, in cui, immediatamente dopo la dipartita di qualcuno, scoppiavano delle rivalità che, sotto le apparenze di una difesa della purezza del messaggio, celavano dei contrasti tra arrivisti... Non si vede quindi perché l'islàm avrebbe dovuto essere risparmiato da tali situazioni.



    - Tentativo di riclassificazione delle Sure



    Riprendendo gli studi di Padre Théry, don Bertuel sottolinea che qualsiasi studio del Corano esige che, prima possibile, sia restituito l'ordine cronologico delle Sure, al fine di poter fissare le diverse tappe della predicazione di Maometto, prima alla Mecca ed in seguito a Medina. Verso la fine del secolo scorso e all'inizio del nostro, numerosi esegeti occidentali hanno cercato di ristabilire quest'ordine; tra di essi, ricordiamo Grimme (1892), Hirschfeld (1902), o ancora Noldeke-Schwally (1909), la cui classificazione fu accolta con maggior favore dagli eruditi63. Queste riclassificazioni poggianti su alcune analisi stilistiche, letterarie o concettuali, permettono di distinguere una prima serie di 90 Sure detta meccana, ed una seconda di 24 detta medinese, posteriore quindi alla prima. Naturalmente, il nuovo ordine delle Sure, così stabilito, non ha più nulla in comune con quello del Corano uthmaniano ufficiale, ed una tale manipolazione del loro libro, non potrebbe essere considerata dai musulmani che con riprovazione.





    q Ciò che il Corano è per i musulmani



    - Libro divino ed «increato»



    Per i musulmani, il Corano è il Libro e la Parola di Allàh, tanto che ogni citazione coranica viene sempre introdotta dal preambolo «Allàh ha detto»64.



    «L'ortodossia musulmana considera il Corano come increato nel senso che non solo esso riproduce una copia conforme al prototipo della rivelazione divina - Omm-al-kitab65 - conservata in Cielo fin dall'eternità (Sura XIII, 39; Sura XLIII, 3), ma che nella sua forma attuale, nella sua riproduzione fonetica e grafica, e nel suo rivestimento linguistico arabo, esso è identico e coeterno all'originale celeste»66.



    - Rivelato a Maometto



    Più avanti, nel corso di questo opuscolo, si comprenderà meglio l'importanza del seguente concetto: è a Maometto, e a lui solo, che Allàh, con la mediazione dell'angelo Gabriele, ha rivelato il Corano. Non che Maometto abbia ricevuto l'esclusiva del Messaggio divino (giacché l'islàm ammette la realtà, ma non l'integrità del contenuto), ma è a lui solo che Allàh ha rivelato il Messaggio per eccellenza, quello che contiene tutti gli altri, che li perfeziona e che li supera. Su quest'ultimo punto, è necessario riportare una considerazione che ci pare caratteristica. Scrive Mohammed Arkoun:



    «Si tratta, oggi, di rendere possibile una riflessione religiosa scevra di preconcetti teologici e aperta a tutte le esperienze religiose dell'umanità»67.



    A tal fine egli cita Al-Hasan El Basri, intellettuale musulmano (morto nel 728):



    «Allàh ha incluso nel Corano le scienze dei Libri anteriori, ed ha poi incluso le scienze del Corano nella Fatiha68; chiunque dispone del commento di quest'ultima, assomiglia a colui che possiede l'esegesi di tutti i libri rivelati».



    M. Árkoun stima che questo testo «ci metta in guardia contro ogni lettura riduttrice» (del Corano). Si potrebbe contestare a questi autori il diritto a tali affermazioni; tuttavia, tali riflessioni ci sembrano alquanto scarne perché il lettore possa trarne motivo di convinzione.



    - Scritto in lingua araba



    Come abbiamo visto in precedenza, l'originale celeste del Corano, custodito dagli Angeli in Cielo, è scritto in arabo. Difficilmente si immagina la portata di un simile concetto, motivo per cui addurremo ora alcuni esempi. Innanzitutto, va sottolineato che, per il musulmano, ogni traduzione del Corano in un'altra lingua che non sia l'arabo, è in qualche modo un pratica peccaminosa, «harâm»69, ovvero sulla linea di confine della liceità, e quindi impensabile. Tempo addietro, una giovane coppia di nostri amici, all'uscita dalla Messa davanti alla chiesa di Rueil, è stata avvicinata da un musulmano di circa vent'anni, alla ricerca di un indirizzo. Dopo che i nostri amici gli fornirono le indicazioni necessarie, si passò a discutere di altre cose. Questo ragazzo studiava presso una facoltà universitaria parigina, ed anche suo padre, immigrato marocchino, abitava a Parigi. Avendo inteso dei canti all'uscita della chiesa, egli ne chiese il significato e l'origine, e si iniziò così a parlare di temi religiosi:



    AMICI - «E voi, signore, conoscerete certamente il Corano!»

    MAROCCHINO - «No - rispose un po' confuso l'interessato - confesso di no averlo mai letto, poiché non conosco l'arabo...»

    AMICI - «Ma esistono numerose traduzioni francesi... - obiettarono con prudenza i nostri amici...»

    MAROCCHINO - «No; ho posto tale questione a mio padre, ed egli mi ha risposto che il Corano in francese non esiste!»



    Aggiungiamo che, nello spirito musulmano, si tratta di un'inesistenza, di un non-essere, quasi nel senso filosofico del termine... Uno dei nostri amici, aveva sentito dire che presso la grande moschea di Parigi, era possibile reperire - gratuitamente ed in formato tascabile - alcuni esemplari «di volgarizzazione» del Corano. Mosso dalla curiosità, si recò alla moschea; alcuni impiegati, tanto gentili quanto perplessi, lo mandarono da un ufficio all'altro, finché alla fine gli venne mostrato quasi con reticenza tutto ciò che era disponibile: una lussuosa edizione in due volumi, formato «Larousse», dal prezzo molto elevato, contenente - sembra - le Sure del Corano, ma anche tante altre cose, il tutto vivacemente miniato. Ma del Corano in francese per il proselitismo non vi era assolutamente nessuna traccia. E' fuor di dubbio che l'islàm sia conquistatore e cerchi di convertire. Ciò nonostante, esso stenta a diffondere in grande scala il Corano tradotto in un'altra lingua che non sia l'arabo. Nondimeno, esso dovrebbe avere presente questi problemi e tenere conto di certe evoluzioni: è certo, infatti, che la maggior parte dei musulmani del Marocco - tranne le ultime generazioni - quando sono in grado di leggere, leggono il francese, ed un po', o per nulla, l'arabo. Com'è dunque possibile in queste condizioni insegnare la loro religione alle giovani generazioni senza troppo derogare dai principi? Una risposta a questo interrogativo può essere trovata nel modo in cui è stata presentata l'edizione del 1983 dell'«Istruction islamique», utilizzata negli istituti dell'insegnamento secondario in Marocco70. Tutto il testo, composto da 600 pagine, è praticamente in francese, ma tutte le citazioni estratte dal Corano sono in arabo, e seguite dalla traduzione in francese. Oltre a ciò, tali menzioni sono stampate su fondo verde (il colore prediletto dell'islàm) e circondate da miniature, per mettere maggiormente in risalto il testo sacro e staccarlo così dal resto dell'opera. Resta il fatto che la lingua araba è, in un certo qual modo, il passaggio obbligato di chi voglia abbracciare l'islàm, visto che generalmente ogni neofita è tenuto ad apprendere in arabo le Sure più importanti. Non si può forse affermare che, in una certa maniera, nell'islàm l'arabo occupa lo stesso ruolo che occupava il latino presso il cattolicesimo fino a qualche decennio fa (anche se è sempre stato possibile convertirsi al cattolicesimo senza passare obbligatoriamente per il latino), e che l'islàm ha saputo conservare questo fattore d'unità abbandonato con tanta leggerezza dall'Occidente cristiano? Occorre perciò aggiungere che - parallelamente all'espansione dell'islàm - il mondo arabo dispone così di un efficace strumento per l'espansione mondiale della sua lingua, e quindi, della sua influenza.





    - Somma di tutte le conoscenze «lecite»



    Affronteremo ora uno degli aspetti più essenziali dell'islàm; se non lo si afferra in modo corretto, è meglio rinunciare a comprendere la mentalità del musulmano, la sua storia, la sua civiltà ed alcuni dei suoi atteggiamenti odierni. A tale scopo, iniziamo citando dal Professor E.F. Gautier una delle migliori analisi che conosciamo su questo punto-chiave dell'islàm:



    «Il Corano non è, come il Vangelo, un semplice libro sacro su cui si basa la vita religiosa; esso è il Codice, la raccolta di tutti codici, e la base unica della vita giuridica. Esso è la costituzione, la fonte teorica di ogni potere politico, ed il principio di ogni amministrazione di qualsiasi Stato islamico [...]. Ma il colmo per noi occidentali è costituito dal fatto che il Corano è perdipiù il compendio stabilito una volta per sempre di ogni conoscenza. Abbiamo già una certa dimestichezza con alcune conseguenze derivanti da questa concezione. Per esempio, la mancanza di interesse del musulmano di fronte ai prodigi della scienza; «Djenun fih», c'è di mezzo il diavolo, e «tutto ciò è sospetto d'eresia»71.



    Fin dalla sua tenera età, la scuola coranica radica nell'animo del musulmano questo concetto e questa inclinazione: il Corano contiene tutto, assolutamente tutto, ciò che è necessario e sufficiente alla conoscenza umana, sia per condurre la sua vita terrena, che per guadagnare il Paradiso. Di conseguenza, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è privo di reale e profondo interesse per l'uomo. Il Corano, dunque, libro sacro dei musulmani, racchiude certamente tutte le scienze, ma anche tutte le scienze «permesse» al conoscere umano da Allàh, l'Onnisciente. Conseguentemente, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è macchiato di sospetto, «hâram»... o, come sostiene il Gautier, al limite del diabolico. Per finire, questo libro divino, questo Corano coeterno, raccolta necessaria e sufficiente di tutto ciò che l'uomo deve conoscere, è scritto in arabo, ed è stato rivelato a Maometto, e a lui solo. Da ciò ne deriva che l'islàm detiene il monopolio non solamente del Vero, ma anche del Vero «Utile».





    - Una conoscenza chiusa



    Come abbiamo appena visto, per i musulmani il Corano contiene la somma di tutte le scienze, e che «nulla è stato omesso». A questo punto, non si può fare a meno di constatare come interi settori della conoscenza, laboriosamente edificati in millenni dal genio infuso nell'uomo dal suo Creatore, siano totalmente assenti dal Corano. In esso, infatti, non si fa menzione della fisica, della chimica, della metallurgia, delle scienze agrarie, della medicina, della biologia, ecc... e - non certo in misura maggiore - dell'insegnamento o dei contributi esistenti nell'immenso dominio delle arti: musica, pittura, scultura, ecc... A questo proposito, scrive J. Hours:



    «[Questo atteggiamento] è la negazione di ogni sforzo scientifico, di ciascuna scienza particolare, della «Scienza» stessa. Non c'è nulla di inspiegabile quindi nell'inerzia dell'islàm sia di fronte a qualsiasi sforzo scientifico, che ad ogni tipo di applicazione delle scoperte della scienza»72.



    Ciononostante, siccome siamo convinti che lo spirito dell'arabo musulmano non sia minimamente inferiore a quello dell'uomo occidentale, ci poniamo questa domanda: com'è possibile che a 13 secoli dalla nascita dell'islàm, che i popoli musulmani, compresi quelli più ricchi, siano ancora tributari dell'Occidente per qualsiasi applicazione delle scoperte scientifiche? Possiamo forse fare menzione di almeno un'automobile, di una macchina-utensile, di un farmaco o di un prodotto industriale un tantino evoluto, concepiti e prodotti da un paese arabo islamico? Nel constatare che ciò non è possibile, insistiamo sul fatto che non si tratta di intelligenze inferiori, ma di un profondo disinteresse, spesso leggermente tinto di un sospettoso disprezzo per tutte queste cose.



    E per chiudere queste brevi note, richiamiamo con J. Hours un'obiezione che viene spesso sollevata:



    «Come negare l'attitudine dell'islàm all'attività scientifica , quando è proprio lui che in un periodo lungo 5 secoli, che va dall'Alto Medio Evo ai nostri giorni, ha ricevuto dai Greci la fiaccola della ricerca per poi trasmetterla a noi? Come negarlo, dal momento che tutti i campi, dalla filosofia alla matematica e all'«algebra», dalle scienze naturali alla medicina e all'«alchimia», li dobbiamo con riconoscenza proprio all'islàm, e che la nostra stessa lingua conserva ancora il ricordo di questo debito? Già molto tempo fa (e precisamente nel corso di una conferenza tenuta alla Sorbona il 29 marzo 1883), Renan73 ha dato una risposta a tale obiezione. Infatti, egli dimostrò che se l'estendersi delle conquiste arabe permise agli islamici di entrare in contatto con civiltà diverse [...], e che se questi contatti favorirono su numerosi punti l'accrescimento delle reciproche conoscenze, essi non furono generalmente l'opera di arabi propriamente detti, e che l'elemento arabo fornì unicamente a questa attività una lingua per comunicare[...]».



    «Tale attività continuò non per effetto dell'islàm, ma indipendentemente da esso e senza godere della sua simpatia; la potente reazione musulmana [...] finì in seguito per arrestare questo movimento e per estinguerlo ben presto radicalmente. E Renan concludeva: [in realtà] i liberali che difendono l'islàm non lo conoscono affatto. L'islàm è la coesione indivisibile dello spirituale con il temporale, è il regno di un dogma, è la catena più pesante che l'umanità abbia mai portato. Nella prima metà del Medio Evo [...] l'islàm [...] ha tollerato la filosofia perché non ha potuto fare altrimenti. Ma quando esso ha avuto a sua disposizione delle masse ardentemente credenti, l'ha completamente distrutta».



    Questa citazione ci sembra costituire un interessante sviluppo della constatazione di E.F. Gautier sull'atteggiamento dell'islàm di fronte alla scienza.



    - Le arti figurative sono proscritte dall'islàm



    Il giudaismo riteneva che, onde evitare ogni ritorno a qualsiasi ritorno all'idolatria, occorresse proibire la rappresentazione di uomini e di animali; l'islàm ha ereditato dall'ebraismo questa e molte altre cose, l'ha interpretata a modo suo, e l'ha inoltre amalgamata con un concetto che gli è proprio:



    «Rappresentare un essere vivente, equivale a voler scimmiottare il Creatore (pretesa diabolica)».



    Ecco un apologo che dimostra questo concetto: un uomo scolpì una statua d'uomo e se ne inorgoglì; egli morì, ed il Giorno del Giudizio, Allàh lo interrogò alla presenza degli Angeli:



    - «Dimmi: cos'hai fatto di buono sulla terra?»

    L'uomo esibì la sua statua e rispose: - «Ho fatto questa, Signore!»

    E Allàh gli chiese: - «E tu ne sei fiero?»

    - «Sì, Signore, ne sono fiero!»

    E Allàh gli ordinò: - «Dona la vita a questa immagine!»

    E l'uomo confessò vergognosamente: - «Non ci riesco! Tu solo, o Signore, ne hai il potere!»

    Siccome egli aveva voluto imitare Allàh, fu ridicolizzato davanti a tutto l'Universo!



    Come stupirsi di tutto questo visto che l'islàm (del quale tuttavia numerosi storici attestano il ruolo decisivo svolto a suo tempo nello sviluppo delle arti architettoniche, e che non è assente - benché fino ad un certo grado - in altre arti come la musica, o la ceramica) non ha mai partorito un Michelangelo o un Rubens?



    - Tentativi musulmani di correggere questa immagine



    Attualmente, alcuni pedagoghi musulmani stanno tentando di inculcare nelle giovani generazioni la convinzione che, lungi dall'essere una religione antiscientifica o ascientifica, l'islàm è al contrario la religione non solo della ragione, ma anche della scienza. E' interessante osservare il modo in cui essi spingano in questa direzione; si tratta certamente di elemento rivelatore. Ecco ciò che chiunque può leggere nella summenzionata Instruction islamique pubblicata in Marocco nel 1983:



    L'islàm è la religione della scienza:

    «[...] è suo dovere (dell'uomo) [...] contribuire allo sviluppo di tutte le scienze. A questo proposito, leggiamo nel Corano: «Il Signore eleverà a dei ranghi privilegiati i credenti tra voi; difatti, per coloro ai quali Egli avrà rivelato la scienza» ... ed il profeta Maometto ha detto in un hâdìt: «L'acquisizione della scienza è un dovere per ogni musulmano»74.



    La scienza non è la conoscenza esclusiva della religione:

    «L'islàm [...] ci esorta ad apprendere ciò che ci è utile. [In questo modo], Allàh ci ordina di studiare la biologia (eccone la prova) nei seguenti versetti: «Che l'uomo consideri ciò con cui egli fu creato. Egli è stato creato da una goccia d'acqua (il seme) uscita dallo spazio tra i lombi e le costole».



    Lo steso manuale affronta in seguito il tema dell'agricoltura:



    «Il fatto che l'islàm inviti ad occuparsi dell'agricoltura è manifesto nelle parole dell'Altissimo: «Che l'uomo consideri il suo nutrimento; abbiamo solcato profondamente la terra, e ne abbiamo fatto uscire dei cereali, delle vigne, dei legumi...75».



    Poi è la volta dell'industria: l'islàm la conosce, la pratica e la prova:



    «Nel Corano è detto: «Noi abbiamo appreso a fabbricare delle cotte d'armi per premunirvi contro il pericolo»76.



    Bisognerebbe citare tutto...

    L'autore non si basa su delle constatazioni, su dei fatti, o su dei ragionamenti . Tutta la forza di convinzione - tipicamente musulmana - risiede nell'affermazione , e l'unica fonte su cui poggiare le proprie argomentazioni rimane il Corano. La scoperta dell'elettricità ha rivoluzionato il pianeta, e questa forma di energia occupa ormai nelle nostre esistenze un posto di primaria importanza. Cosciente di questo, e anche del fatto che tale scoperta non deve nulla né agli arabi, né all'islàm, un dottore musulmano scrisse alcuni anni fa che l'islàm conobbe l'elettricità prima di tutti gli altri popoli.



    «La prova - sentenziava - sta nel fatto che cercando nel Corano, ho trovato la parola «folgore».



    Non c'è forse qualcosa di patetico in questo goffo tentativo dell'islàm, che cerca di trarsi d'impaccio da un peso, ricorrendo allo stesso peso per tentare di dimostrare il contrario? Per concludere, citiamo un altro estratto del succitato testo scolastico:



    L'islàm combatte l'ignoranza:

    «[...] Alcune branche della scienza furono esplorate ed approfondite, ed è per questo che numerosi musulmani possedevano biblioteche ricche di opere in persiano, in greco e in indiano che trattavano temi di filosofia, matematica, astronomia, medicina, chimica, ecc... In seguito, queste scienze divennero arabe e furono trasmesse all'Europa»77.





    - Il Corano si iscrive nella Rivelazione?



    Non di rado, si legge o si sente parlare di «Corano rivelato», o di «Rivelazione» a proposito del libro sacro dei musulmani, o del suo contenuto religioso. Dal punto di vista del cristiano, che cos'è esattamente il Corano? Il cristiano deve forse ammettere che l'insieme del messaggio coranico faccia parte della Rivelazione divina? Per non incorrere nel rischio di ripeterci, rinviamo il lettore al Capitolo III, al paragrafo intitolato «Maometto fu un «profeta?», dove si troverà che l'insegnamento costante della Chiesa cattolica esclude (implicitamente, ma senza alcuna ombra di ambiguità) il messaggio coranico dalla Rivelazione divina.





    2. LA «SUNNA»78



    q Definizione



    La «Sunna» è un insieme di regole di vita religiosa, morale e sociale estratto dalla vita di Maometto e dal suo insegnamento.





    q Composizione



    Pare che l'elaborazione della «Sunna» sia stata iniziata già durante il primo secolo dell'égira, per poi arricchirsi considerevolmente nel corso dei secoli successivi. Essa viene confermata dagli «hâdìt»; l'hâdìt consiste in una frase o in una sentenza attribuita a Maometto o ai suoi compagni, mediante la quale si cerca di giustificare o confermare una pratica della «Sunna».



    «Le fazioni politiche e religiose che crebbero in seno all'islàm primitivo, cercarono ben presto di utilizzare il metodo dell'hâdìt per raggiungere le loro rispettive mire particolari. Omayyadi, Abbasidi e Alidi poterono così combattere e polemizzare tra loro avvalendosi degli hâdìt»79.



    Padre Lammens s.j. ci rivela che, fin dal v secolo, la ricerca di nuovi hâdìt era divenuta un vero e proprio «sport»:



    «Alcuni Mohadditi si vantavano di conoscerne a memoria 100.000, o persino 1.000.000 [...]. E' in questa situazione - mal vista dai sapienti ufficiali - che si giunse ad attribuire a Maometto questo aforisma: «Se incontrate una bella frase, non esitate ad attribuirmela: devo averla sicuramente detta»80.





    - Utilità



    La «Sunna» ha lo scopo di completare e spiegare il Corano (il cui testo - quantunque il suo autore affermi «di non avere omesso nulla» (Sura VI, 38) - contiene molte oscurità e lacune). Così, ad esempio, il Corano raccomanda la preghiera, ma senza fissarne le modalità (numero, riti, ecc...), ed i dettagli che si trovano invece sulla «Sunna», ottenuti dall'esempio o dalle indicazioni di Maometto.



    «In tutti i casi, dunque, in cui nessuna usanza era stata prestabilita, o laddove il testo del Corano non aveva stipulato alcunché, ci si rivolgeva alla Sunna, all'Usanza del Profeta [...] , talvolta anche per pia finzione non si esitava a supporre o a presentare come realmente accaduto - o in altri termini - ad inventare ciò che si era deciso trovandosi di fronte a nuove situazioni»81.





    q Infallibilità



    Maometto agì sotto l'ispirazione dell'Altissimo; e così anche la «Sunna», insegnata da lui o tracciata sul suo esempio, beneficiò del privilegio dell'infallibilità, comportando quindi per i fedeli l'obbligo a sottomettervisi. E' per tale motivo che i musulmani ortodossi si auto-definiscono «gente della Sunna» (o «Sunniti»).





    3. LA LEGGE DELL'ISLÀM («SHARÌA» E GIURISPRUDENZA)



    q Origine: il diritto o «fiqh»



    «L'espansione dell'islàm al di fuori dell'Arabia, la fondazione e l'organizzazione del califfato, determinarono la formulazione del diritto o fiqh, che letteralmente significa «saggezza», ed equivale alla «prudentia» dei romani. Come presso questi ultimi, ma in senso molto più stretto, il fiqh è [...] la conoscenza e la definizione delle leggi divine ed umane. [...] La teoria ortodossa afferma che sostanzialmente non esistono azioni buone o cattive, indipendentemente dalla legislazione rivelata. Il loro valore morale dipende dalla volontà divina, iscritta nelle rivelazione coranica. L'islàm è essenzialmente una religione legale. Nulla viene lasciato né all'arbitrio, né all'iniziativa del fedele. Il fiqh abbraccia dunque l'insieme degli obblighi che la legge (in arabo «sharìa») coranica impone al musulmano, nella sua triplice qualità di credente, di uomo e di cittadino di una teocrazia. Il Corano rappresenta per lui il «discorso sulla storia universale». Da esso egli ha appreso il mistero dei destini religiosi delle società umane e la preminenza della collettività islamica. Ecco dunque che la «sharìa», proponendosi come l'interpretazione della rivelazione, gli detta lo statuto familiare, il diritto penale, il diritto pubblico ed internazionale, le relazioni con i non-musulmani, ed infine regola la sua vita religiosa, politica e sociale, di cui essa si riserva di sorvegliare le molteplici manifestazioni e di dirigerne il complicato ritmo»82.





    q Le diverse scuole giuridiche



    Principalmente, si distinguono 4 scuole giuridiche ortodosse, ciascuna delle quali porta un nome derivante da quello del suo fondatore: scuola sciaffiita (fondata dall'imàm [=«guida», «modello» o «esempio»] al-Shàfiì-Abù-Abd-Allàh Muhammed ibn Idris, 767-820), scuola malikita (fondata dall'imàm Màlik ben Anas, 710-795), scuola hanifita (fondata dall'imàm iracheno Abù Hanìfa, 696-767), e scuola hanbalita (fondata dall'imàm Ahmed ibn Hanbal, 780-855). Ognuna di esse previlegia una fonte piuttosto di un'altra, ed è proprio questo aspetto che le differenzia; tuttavia, tali diversità non poggiano che alcuni dettagli. Eccone un esempio: si può dire «io sono credente» senza aggiungere «Insh'Allàh»? Sì, dice la scuola hanifita; no, dicono le altre.





    q Gli uléma



    Essi, come ci dice Padre Lammens s.j., sono gli interpreti autorizzati del «consensus», e cioè dell'«idjma» (l'accordo tra i dottori qualificati e gli uléma di un certo periodo su tale o su talaltra interpretazione dei testi della «Sunna»). In caso di dubbio, i semplici fedeli debbono ricorrere ad essi. Il loro responso - scritto - costituisce una «decisione».





    q Il cadi



    Scelto nella classe degli uléma, egli è il titolare di una magistratura giudiziaria.



    --------------------------------------------------------------------------------



    56 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 49.



    57 Il Talmùd (dall'ebraico lamad=«apprendimento», «dottrina», «ammaestramento») è, dopo la Bibbia, l'opera principale della letteratura ebraica. Si tratta di un'ampia raccolta di materiale tradizionale ebraico (in diversi punti con accenti fortemente anticristiani N.d.T.) che va dal I secolo a.C. al V secolo d.C. (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 343).



    58 Cfr. J. BERTUEL, op. cit..







    59 Cfr.J. BERTUEL, op. cit., tomo I, pag. 22.



    60 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 50.\



    61 Cfr. G. TARTAR op. cit., pag. 185.



    62 Ibid., pag. 188.



    63 Cfr. J. BERTUEL, op. cit..



    64 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 48.



    65 Omm-al-kitab=«madre della scrittura», o se si preferisce, «matrice».



    66 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 49.



    67 Citato da M. BergÉ, Les Arabes, Lidis, Parigi 1978, pag. 284.



    68 Come abbiamo visto, la Fatiha è la prima Sura del Corano, contenente 7 versetti. Ne riporteremo il testo al § 2 Cap. V (vedi a pag.).



    69 Hâram=«interdetto», «sospetto», «proibito», «vietato», ecc...



    70 Instruction islamique, per il 1°, 2°, 3° e 4° anno delle scuole secondarie, Librerie El Maârif, rue Bab Challah, Rabat 1983, pubblicato sotto l'egida del Ministero dell'Educazione nazionale del Regno del Marocco.



    71 Cfr. E.F.GAUTIER, Mœurs et coutumes des musulmans («Usi e costumi dei musulmani»), Club du meilleur livre, 3 rue de Grenelle, Parigi 1959, pag. 7. Il grassetto è nostro.



    72 Cfr. J. HOURS, La conscience chrétienne devant l'islam, editato a parte da Itinéraires, nn. 60-65, pagg. 19-20.







    73 Ernest Renan (1823-1892), esponente del positivismo celebre per la sua Vita di Gesù (1863), in cui la personalità e la predicazione di Cristo vengono considerate in termini soltanto umani e storici. Spretato e apostata, Renan negava la divinità di Gesù Cristo, motivo per cui gli fu interdetto l'insegnamento al Collegio di Francia per diversi anni. Per questa sua viscerale prerogativa anticlericale ed anticristiana, ci pare veramente preziosa la sua testimonianza, visto che si tratta di un personaggio certamente non di parte, e quindi al di sopra di ogni sospetto.



    74 Cfr. Instruction islamique, 4° anno secondario, pag. 18.



    75 Ibid., 1° anno secondario, pag. 32.



    76 Ibid.









    77 Cfr. Instruction islamique, 4° anno secondario, pag. 18; si noti l'impavida affermazione: «In seguito queste scienze divennero arabe...».



    78 Dall'arabo sunnàh=«la tradizione».



    79 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 94.



    80 Ibid., pagg. 94-95.



    81 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 90.

  3. #3
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    capitolo V

    TEOLOGIA DELL'ISLAM


    1. introduzione



    q Nota preliminare



    Ricordiamo che lo scopo del presente opuscolo è semplicemente quello di mettere in rilievo i punti-chiave dell'islàm nel quadro di una sua conoscenza di tipo elementare. Non è dunque nostra intenzione compiere uno studio approfondito della teologia dell'islàm, il che tra l'altro, andrebbe aldilà dei limiti assegnati a questo piccolo studio, e della nostra competenza. Ciononostante, come scriveva il già citato J. Hours, «l'islàm è innanzitutto una religione». Iniziando quindi questo capitolo, entriamo nel cuore del problema stesso, sforzandoci di mettere in evidenza con chiarezza ciò che costituisce l'essenziale della teologia dell'islàm.





    q Ricercare la specificità dell'islàm



    Un atteggiamento frequente tra coloro che si avvicinano all'islàm, consiste nel ricercare preferibilmente i punti che esso può avere in comune con le altre religioni monoteiste, ed in particolare con il cristianesimo. Tale comportamento procede da un'intenzione certamente lodevole, quella cioè di facilitare un avvicinamento tra i credenti. Tuttavia, è stato constatato che i sostenitori di questo metodo di approccio cadono troppo spesso nella tentazione di edulcorare questo o quest'altro versetto del Corano, e di sfrondare l'islàm dalle asperità, ed in breve, di rendere insipido o di cancellare tutto ciò che può apparire imbarazzante per lo scopo «ecumenicamente»82 ricercato. Più avanti, avremo occasione di illustrare alcuni esempi di questo modo di ragionare. Quanto a noi, siamo convinti che quando si tratta di definire un problema o un soggetto, e di mettere in luce l'originalità che gli è propria, sia opportuno mettere piuttosto in rilievo ciò in cui esso si differenzia da un soggetto dello stesso genere. Questo è il metodo che ci sforzeremo di conservare nelle pagine a seguire; lungi dal testimoniare una qualsiasi ostilità verso quegli uomini di cui studiamo i fondamenti della fede, esso, al contrario, tende innanzitutto ad usare dei riguardi verso di essi. Il primo di essi non consiste forse nello sforzarci di conoscere i punti-chiave dell'islàm, così come vengono appresi e vissuti dai musulmani - nostri fratelli - e non come vorremmo che essi fossero?





    q Il nostro metodo



    Come avevamo già detto nelle prime pagine di questo scritto, ci avvaleremo essenzialmente di alcuni versetti del Corano stesso, e di citazioni di autori sicuri. Talvolta, faremo seguire all'esame di questi punti teologici musulmani un commento che mira - senza alcuna pretesa - a sottolinearne o ad illustrarne il carattere proprio, confrontandolo occasionalmente con quello del cristianesimo. Tali note saranno intitolate «osservazioni complementari». Chiuderemo questo capitolo con una tavola comparativa che riassume in modo semplice e schematico ciò che avremo esaminato più dettagliatamente in precedenza.





    2. I PRINCIPALI PUNTI DEL DOGMA



    q Dio «Allàh»



    Secondo don Bertuel83, il termine «Il» o «Ilàh», o anche «Hailàh», si ritrova spesso presso gli antichi semiti, e nelle vecchie iscrizioni aramaiche o fenicie, ed è sempre con un termine derivato da «El» o «Il» che gli ebrei designavano il loro Dio: «El-Ohim» (la «Divinità»). M. Kasimirsky annota tuttavia:



    «[...] affermano i commentatori [musulmani], gli idolatri chiamano i loro idoli «dio» (Ilàh), ma non «Allàh», il Dio Unico»84.



    Rinviamo qui il lettore all'interessantissima opera di J. Bertuel che, partendo dal passo appena citato, sviluppa la seguente idea: nel Corano, il termine «Allàh» designa essenzialmente il Dio degli ebrei, del quale possiede tutti gli attributi: Unico, Creatore, Onnipotente e Dispensatore di tutti i beni, e che venne ripreso dall'islàm. Tali attributi si ritrovano nella bella Sura I, detta «Fàtiha-el-Kitab» (=«Che apre il libro», o la «Preliminare»):



    1. «Lode ad Allàh, sovrano dei mondi!

    2. La misericordia è la sua eredità.

    3. Egli è il re del giorno del giudizio.

    4. T'adoriamo, o Signore, e imploriamo la tua assistenza.

    5. Guidaci nella via della salvezza,

    6. Nella via di coloro che hai ricolmato di benefici,

    7. Di quelli che non meritarono la tua collera e si sono preservati dall'errore» (F).



    M. Kasimirsky nota che bisogna intendere la parola araba «misericordia» in senso ristretto, ossia che non abbraccia tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione, ma solamente i buoni, i fedeli, coloro che meritano la sua grazia, e che la «via della salvezza» designa unicamente l'islamismo. Commentando la «teodicea poco complicata» del Corano, Padre Lammens s.j. rileva anche che «Allàh è il Creatore, il Sovrano Unico e senza uguali. Egli ha creato - solamente lui e dal nulla - il mondo in sei giorni ed ha insufflato nell'uomo il suo spirito»85.



    - Osservazioni complementari



    La concezione islamica di Allàh e dei suoi attributi non sembra in opposizione con quella del Dio del cristianesimo, salvo forse per ciò che concerne il carattere restrittivo della divina misericordia.





    q La Trinità



    - Il Corano predica un monoteismo anti-trinitario



    E' ancora dal giudaismo che l'islàm ha mutuato questa violenta ostilità verso il dogma cristiano della SS.ma Trinità.



    Sura V (LA TAVOLA)

    77. «Infedele è colui che dice: Allàh è il terzo della Trinità: Non vi è che un solo Allàh, e questo Allàh è unico: Se essi non ritrarranno ciò che affermano, un doloroso castigo attenderà gli infedeli»86 (K).



    Sura IV (LE FEMMINE)

    169. «O voi che riceveste le Scritture! Non varcate i limiti della fede87; non dite di Allàh che la verità. Gesù è il figlio di Maria, l'inviato dell'Altissimo ed il suo Verbo. Egli l'ha fatto scendere in Maria. Esso è il suo soffio. Credete in Allàh e nei suoi apostoli; non dite esservi una Trinità; egli è uno. Questa credenza vi riuscirà più utile. Lungi che egli abbia un figlio, ma governa da solo il cielo e la terra, e basta a sé stesso» (F).



    Come abbiamo visto, la predicazione di Maometto era risolutamente diretta contro il politeismo dei beduini dell'epoca che adoravano una decina di dei diversi. Sembra che Maometto abbia inglobato la Trinità dei cristiani agli dei del politeismo, accomunandoli agli idolatri beduini in un'unica e vigorosa riprovazione. Ecco, in proposito, il parere di Padre Lammens s.j.:



    «Allàh non conosce degli «Associati», o delle divinità rivali simili a quelle che gli associavano i pagani, motivo per cui il Corano li definì «associatori». Prima dell'égira, Maometto prese di mira i pagani Coreìsciti ed i beduini. A Medina, dopo la rottura con Israele, si accese la polemica anche con le «genti del Libro», e cioè con gli ebrei ed i cristiani»88.





    - I cristiani sono degli «associatori»



    I cristiani sono dunque degli associatori e con questo termine sono frequentemente bersagliati:



    Sura LXXII (I GENI)

    2. «[Il Corano] contiene una dottrina meravigliosa; essa conduce alla vera fede. Crediamo in essa e non assoceremo un eguale ad Allàh. [...] . Allàh non ha sposa, non ha figliato» (F).



    Sura IV (LE FEMMINE)

    51. «Allàh non perdonerà gli idolatri; farà giustizia a chi gli parrà. Essi solo non hanno nulla da sperare dalla sua misericordia. Associare un eguale all'Altissimo è il colmo dell'accecamento» (B).



    L'autore del Corano chiama in causa anche Abramo, il padre dei credenti:



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    60. «Abramo non era né giudeo, né cristiano; era ortodosso musulmano e non associava altri esseri ad Allàh» (F).

    «Maometto fu nutrito di spirito ebraico», affermò il già citato storico ebreo Bernard Lazare; nulla di sorprendente, dunque, in questa constatazione: «Maometto fu espressamente ostile alla Trinità»89.



    - Osservazioni complementari



    Ai versetti che abbiamo appena letto, è sufficiente affiancare il Prefazio della SS.ma Trinità, estratto dal messale romano:



    «[...] Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, che con l'Unigenito tuo Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell'unità di una sola persona, ma nella Trinità d'una sostanza. Infatti, quello che, per tua rivelazione, crediamo della tua gloria, lo stesso, senza alcuna distinzione, lo crediamo del tuo Figlio e dello Spirito Santo. Così confermando la vera e sempiterna Divinità, si adora la proprietà nelle persone, l'unità nell'essenza e l'uguaglianza nella maestà, che è lodata dagli Angeli e dagli Arcangeli...».



    Prima di inoltrarci nella succinta analisi della teologia islamica che ci siamo prefissati di compiere, meditiamo e queste righe e già percepiremo l'insormontabile abisso che separa l'islàm dal cristianesimo! Dopodiché, quando leggiamo - talvolta dalla penna di ecclesiastici! - che in fondo... è ben poca cosa ciò che separa l'islàm dal cristianesimo, e che entrambi adorano lo stesso Dio90, ci domandiamo: di quale cristianesimo (o di quale islàm) si sta parlando? Permetteteci, per concludere questo paragrafo con una nota di attualità, raccontando un aneddoto vissuto da uno dei nostri amici. Giovedì 25 maggio 1985, verso le ore 7,00, sul sagrato della chiesa di Notre Dame di Parigi, migliaia di pellegrini con zaini, bagagli e stendardi, si apprestavano a compiere una marcia di tre giorni verso la cattedrale di Chartres. Uno di essi, dopo aver scaricato la sua macchina, decise di depositarla in un parcheggio attiguo, il cui custode era un marocchino di una cinquantina d'anni. Quest'ultimo, gli chiese che cosa significasse questo insolito e mattutino viavai che causava disagio alla circolazione; il nostro amico, che non perde mai occasione di fare una chiaccheratina con i musulmani, pensò fosse bene informarlo:



    Amico - «Si tratta di cattolici, giovani e vecchi, che cammineranno per 3 giorni fino alla grande chiesa, la loro grande moschea; 100 chilometri a piedi: ti rendi conto?»

    MAROCCHINO - «Sai che alla mia età - rispose con orgoglio - ho percorso in un sol giorno 50 chilometri sulle montagne del Marocco? Ma dimmi: per quale motivo lo fanno?»

    Il nostro amico gli spiegò che essi stavano andando a chiedere alla Madre di Gesù la sua protezione per le famiglie minacciate, ed il suo aiuto per la rinascita della fede religiosa in Francia. Prima la stupefazione, poi l'entusiasmo si impadronirono di questo padre di famiglia musulmano che scoprì esservi ancora dei francesi ancora attaccati, come lui, a dei valori tradizionali! Infiammandosi a sua volta, denunciò crudamente gli stessi mali che non risparmiano neppure le famiglie musulmane che vivono in Francia: la libera unione, il rilassamento dei costumi, la perdita di rispetto per gli anziani, ecc... Al termine di uno scambio divenuto calorosamente amichevole, al momento di lasciarlo, il nostro amico promise di pregare Dio, nel corso del pellegrinaggio, per la famiglia del marocchino che, ringraziando, replicò immediatamente: «Il tuo Dio è il mio Dio, ma non ve n'è che uno, amico mio, uno solo!» Il braccio alzato, l'indice teso, la fermezza del tono, sottolineavano con forza questa unicità, indispensabile richiamo compiuto amichevolmente a questo simpatico cattolico, ma, malgrado tutto, ancora nell'errore...





    q Il Padre



    - Allàh non è Padre



    «Allàh non è generato e non ha generato» (Sura CXII, 1). Con questa formula l'islàm impugna contemporaneamente il falso contro la nozione di un Dio Padre, e più fermamente ancora contro quella della filiazione di Gesù, aspetto quest'ultimo che esamineremo più oltre. L'Onnipotente è certamente il Creatore dell'uomo, ma da lì a stabilire tra Allàh e l'uomo una relazione da Padre a figlio, c'è una soglia che il musulmano non saprebbe oltrepassare. Il musulmano sta prosternato con infinito rispetto davanti ad Allàh, il Potente, il Dispensatore di tutti i beni, il Misericordioso, ma sarebbe un errore intravedere in questo atteggiamento una nozione d'amore filiale che sarebbe completamente fuori luogo. Allàh è infinitamente troppo alto ed inaccessibile perché la sua creatura si possa permettere di vedere in lui un padre. Ecco come J. Hours commenta questo aspetto dell'islàm:



    «Senza soccorso divino, senza nessun altro punto d'appoggio permanente che la nozione naturale, l'uomo si ritrova solo davanti a sé stesso con tutta la sua fragilità. A malapena, la sua personalità si costruisce. Il Dio dispotico che regna in Cielo non lo aiuta in quest'opera, ma piuttosto lo schiaccia...»91.



    Ma questo aspetto caratteristico dell'islàm può essere maggiormente compreso tramite un effetto di contrasto con la seconda Persona della SS.ma Trinità: il Figlio.





    q Il Figlio



    - Il Corano condanna la fede nell'Incarnazione



    Sura XXIII (I FEDELI)

    92. «Allàh non ha figli; egli non divide il suo impero con un altro Dio. Se così fosse, ognuno di essi vorrebbe appropriarsi della sua creazione ed innalzarsi sopra il suo rivale. Lode all'Altissimo! Lontano da lui queste bestemmie!» (F).





    - Gesù Cristo stesso è chiamato in causa come testimone



    Sura V (LA TAVOLA)

    76. «Quelli che dicono che il Messia, figlio di Maria, è Dio, pronunciano una bestemmia. Non ha egli stesso detto: «Figli d'Israele, adorate Allàh, mio e vostro Signore»? Chiunque associa altri dei ad Allàh non entrerà nel giardino delle delizie [il Paradiso N.d.R.], e la sua dimora sarà nel fuoco...» (F).

    Sura V (LA TAVOLA)

    116 «Allàh chiese a Gesù (in arabo Ìsà), figlio di Maria, se avesse comandato agli uomini di adorare lui e sua madre come dei; «Signore, rispose, avrei loro ordinato un sacrilegio? Se ne fossi colpevole, non lo saresti tu pure? Tu conosci ciò che è nel mio cuore, ed io ignoro ciò che vela la tua maestà suprema. La conoscenza dei misteri non spetta che all'Altissimo» (F).



    E altrove:



    Sura XXXIX (LE SCHIERE)

    6. «Se Allàh avesse voluto avere un figlio, lo avrebbe scelto tra gli esseri che ha voluto creare. Ma che questa bestemmia sia lontana dalla sua gloria! Egli è unico e potente» (K).



    E questa imprecazione dal tono apocalittico:



    Sura XIX (MARIA)

    92. «Essi [gli infedeli N.d.R.] dicono che Allàh ha un figlio, e proferiscono così una bestemmia. Poco manca che i cieli non si schiantino a queste parole, che la terra non si spacchi e che le montagne spezzate non crollino!»

    93. «Essi attribuiscono un figlio al misericordioso, e non potrebbe averne» (F).



    Sura IX (LA CONVERSIONE)

    30. «I giudei dicono che Ozai è figlio di Dio; i cristiani dicono lo stesso del Messia92 . Parlano come gli infedeli che li precedettero; il cielo punirà le loro bestemmie. Chiamano signori i loro pontefici, i loro monaci ed il Messia, figlio di Maria, ed è loro imposto di servire un solo Dio; non ce n'è un altro. Anatema a quelli che si associano al suo culto!» (F).



    Si rimane veramente colpiti per la veemenza con cui si esprime in questi versetti - osiamo dire astiosamente - il rifiuto del Figlio del Dio vivente.





    - Osservazioni complementari



    L'islàm rigetta dunque l'Incarnazione93; alla stessa constatazione è giunto anche J. Beraud-Villars, il redattore della nota sotto riportata, che si trova nel libro «Islam d'hier et de toujours»:



    «Infatti, l'islàm si avvicina molto più al giudaismo che al cristianesimo. In effetti, chiunque considera Gesù come un grande profeta o un Precursore, respinge con energia sia l'idea di Incarnazione, che la necessità di un Salvatore»94.



    Peccato che a questa osservazione pertinente, l'autore abbia aggiunto questo strabiliante commento:



    «In effetti, la nozione di peccato originale è estranea ai musulmani che, al contrario, considerano sacrosanto l'atto generativo...».



    E' esatto dire che l'islàm non crede nella dottrina del peccato originale, o più esattamente, sembra essere dell'opinione che, oltre ad Adamo, esso non sia stato trasmesso all'umanità. Ma affermare che il peccato originale sia l'atto generativo rivela la più completa ignoranza di questo dogma da parte dell'autore! Ecco un ennesimo esempio che lascia intravedere le deficienze che possono intaccare certi studi pubblicati su questo soggetto. Infine, per ben sottolineare la specificità dell'islàm in queste nozioni di Padre e di Figlio, è sufficiente confrontare le summenzionate citazioni del Corano con la Professione di Fede dei cristiani...:



    «Credo in un solo Dio,

    Padre onnipotente,

    Creatore del cielo e della terra,

    di tutte le cose visibili ed invisibili.

    Credo in un solo Signore Gesù Cristo,

    Unigenito Figlio di Dio,

    nato dal Padre prima di tutti i secoli;

    Dio da Dio, Luce da Luce,

    Dio vero da Dio vero,

    generato, non creato, della stessa sostanza del Padre.

    Per mezzo di lui tutte le cose sono state create...»



    ... o con il prologo del Vangelo di San Giovanni (Gv I, 1-14):



    «In principio era il Verbo,

    e il Verbo era presso Dio

    e il Verbo era Dio.

    Egli era in principio presso Dio:

    tutto è stato fatto per mezzo di lui,

    e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.

    In lui era la vita

    e la vita era la luce degli uomini;

    la luce splende nelle tenebre,

    ma le tenebre non l'hanno accolta.

    [...] E il Verbo si fece carne

    e venne ad abitare in mezzo a noi;

    e noi vedemmo la sua gloria,

    gloria come di Unigenito dal Padre,

    pieno di grazia e di verità».







    q Lo Spirito Santo



    - Viene confuso con l'Arcangelo Gabriele



    Nel Corano, il termine «rouh» (Spirito-di-Allàh, Spirito Santo, oppure semplicemente Spirito) designa sia l'Arcangelo Gabriele, considerato come l'intermediario autorizzato delle rivelazioni profetiche95, sia Cristo, «il Messia, il Verbo e lo Spirito di Allàh»96, sia lo Spirito di Allàh. Ma in nessun caso, il vocabolo «rouh» corrisponde nel Corano allo Spirito Santo in qualità - permetteteci questa espressione - di terza Persona della SS.ma Trinità. Il Corano è dunque muto per ciò che concerne questa terza Persona; se ne sconfessa l'esistenza, lo fa implicitamente e attraverso la negazione degli «associati» vista poc'anzi. Ecco, dunque, come il Corano liquida la SS.ma Trinità: niente Padre, niente Figlio, e quanto allo Spirito Santo, esso è - come vedremo - sia confuso con l'Arcangelo Gabriele, che del tutto assente.

    q Gesù Cristo



    - Il suo posto nel Corano



    Più sopra, abbiamo visto come il Corano rifiuti la filiazione e la persona divina di Cristo. Tuttavia, benché ciò sia essenziale, tutto questo non è sufficiente per apprezzare in maniera pressoché esatta l'idea che l'islàm si sia fatta di Gesù Cristo, della sua natura, della sua missione, e della sua storia terrena. Nel Corano, Gesù Cristo occupa un posto molto importante; per non essere noiosi citando tutti i passi del Corano che parlano di Cristo, ci limiteremo ad evocarne i più caratteristici e significativi tra essi.



    - La nascita di Gesù Cristo fu miracolosa



    Sura XXI (I PROFETI)

    91. «Canta la gloria di Maria, che conservò la sua verginità intatta. Soffiammo su di lei il nostro Spirito; essa ed il proprio figlio formarono la meraviglia dell'universo» (F).



    - Gesù Cristo fu istruito da Allàh e sostenuto dal suo Spirito



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    43. «Egli insegnerà la Scrittura e la Sapienza, il Pentateuco ed il Vangelo. Gesù sarà suo inviato [di Allàh] presso i figli d'Israele» (F).



    Sura II (LA VACCA)

    254. «Accordammo a Gesù, figlio di Maria, il potere dei miracoli: lo fortificammo con lo Spirito di santità» (F).



    - Gesù Cristo ha compiuto dei miracoli67



    Sura V (LA TAVOLA)

    110.«Allàh dirà a Gesù, figlio di Maria: ricordati delle grazie che sparsi sopra te e sopra colei che ti ha generato; ti ho fortificato nello Spirito di santità, onde tu istruisca gli uomini dalla tua culla alla tua vecchiaia. [...] Tu guaristi un cieco nato ed un lebbroso per voler mio; facesti uscire i morti dai loro sepolcri» (F).



    «Per voler mio»: in questo versetto, il Corano accentua la subordinazione di Gesù ad Allàh, e la sua non-divinità.



    - Gesù Cristo è salito al Cielo



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    48. «Allàh disse a Gesù: ti manderò la morte, e ti solleverò fino a me. Sarai separato dagli infedeli» (F).



    - Gesù Cristo sarà uno degli intimi di Allàh



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    40. «L'Angelo disse a Maria: «Allàh ti annuncia il suo Verbo. Egli chiamerà Gesù il Messia, figlio di Maria, grande in questo mondo, e nell'altro confidente dell'Altissimo» (F).



    - Gesù Cristo sarà un Segno per tutti gli uomini



    Sura XIX (MARIA)

    21. «Egli [Gesù] sarà il nostro segno davanti agli uomini, e la prova della nostra misericordia...» (K).



    Come si potrà notare, il Libro sacro dei musulmani concede nella creazione un posto privilegiato a Gesù Cristo. Esistono tuttavia versetti che ne parlano in tutt'altro tono:



    - Gesù Cristo non è né Dio, né il Figlio di Dio



    Vedere più sopra i versetti che lo affermano in maniera categorica98.



    - Gesù Cristo è un profeta: egli annuncia Maometto



    Sura LXI (L'ORDINE)

    6. «Sono l'apostolo di Allàh, ripeteva ai giudei Gesù, il figliolo di Maria. Vengo a confermare la verità del Pentateuco che mi precedette e ad annunciarvi la felice comparsa del profeta che verrà dopo di me. Ahmed99 è il suo nome» (F).



    R. Blachère aggiunge che «l'identificazione AhmEd-Maometto si impone con evidenza alla coscienza musulmana». I musulmani sostengono che il Vangelo sia stato «manipolato», e che sono state fatte scomparire le parole di Gesù relative al suddetto passo del Corano. Tale accusa è stata recentemente riconfermata da un personaggio musulmano affatto trascurabile100:



    «Il Libro dell'Antico e del Nuovo Testamento, attualmente in circolazione, è stato falsificato. Esso è stato deliberatamente modificato ed amputato del nome del profeta Maometto, e di molte altre cose, poiché Gesù nella vera Bibbia disse...»101.





    - Osservazioni complementari



    È implicito che tale accusa, frutto di una grossolana ignoranza, non merita nemmeno la nostra considerazione. Approfittiamo tuttavia di questa occasione per ricordare ai cristiani che Gesù Cristo non dovrebbe essere collocato tra i profeti, che egli supera infinitamente! Egli non è affatto il «Profeta di Dio» - titolo irriverente di un capitolo di un noto «catechismo»102 - ma il Dio dei profeti!!!



    - Gesù Cristo è un semplice mortale



    Sura V (LA TAVOLA)

    79. «Il Messia, figlio di Maria, non è che il ministro dell'Altissimo: altri inviati lo precedettero. Sua madre era giusta. Vivevano e mangiavano in comunione» (F).



    Per farla breve - annota M. Kasimirsky - Gesù e Maria non erano che esseri umani, e che quindi, non potevano fare a meno di cibarsi.



    Sura V (LA TAVOLA)

    19. «Quelli che dicono che il Cristo, figlio di Maria, è Dio, sono degli infedeli. Rispondi loro: «Chi potrebbe fermare il braccio dell'Onnipotente, se volesse annientare il Messia, figlio di Maria, sua madre e tutti gli esseri creati?»



    - Gesù Cristo è un semplice mortale; ce lo dice lui stesso



    Sura V (LA TAVOLA)

    116. «Allàh chiese a Gesù, figlio di Maria, se avesse comandato agli uomini di adorare lui e sua madre come dei; «Signore, rispose, avrei loro ordinato un sacrilegio? Se ne fossi colpevole, non lo saresti anche tu? Tu conosci ciò che c'è nel fondo del mio cuore, ed io ignoro ciò che vela la tua maestà suprema. La conoscenza dei misteri non spetta che all'Altissimo» (F).



    - Gesù Cristo viene messo allo stesso livello di Adamo, semplice creatura



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    52. «Agli occhi dell'Altissimo, Gesù è un uomo come Adamo. Adamo fu creato dalla polvere. Allàh gli disse: «Sii», ed egli fu» (F).



    - Lucifero si rifiutò di adorare... Adamo!



    Sura II (LA VACCA)

    28. «Allàh disse agli Angeli: «Manderò il mio vicario sulla terra». Risposero gli spiriti celesti: «Manderete un uomo che si avvolgerà nell'iniquità e spargerà il sangue, mentre noi celebriamo le vostre lodi e vi glorifichiamo?» Rispose il Signore: «Io so, quello che voi non sapete».

    29. «Allàh insegnò ad Adamo il nome di tutte le creature, e disse agli Angeli, ai cui sguardi le espose: «Nominatele, se siete veraci!»

    30. «Lodato sia il tuo nome», risposero i celestiali spiriti. «Non abbiamo altre conoscenze che quelle che ci vengono da te. La scienza e la saggezza sono tuoi attributi».

    31. «Egli disse ad Adamo: «Nomina loro tutti gli esseri creati»; e quando li ebbe nominati, il Signore riprese: «Non vi ho forse detto che conosco i segreti dei cieli e della terra? Le vostre azioni manifeste e segrete sono svelate ai miei sguardi».

    32. «Ordinammo agli Angeli di adorare Adamo, ed essi l'adorarono. L'orgoglioso Iblìs (o Saytan=«Satana» o «Lucifero» N.d.T.) si rifiutò di obbedire e fu annoverato tra gli infedeli» (F).



    In questo punto, sembra che l'autore del Corano mescoli e confonda, da una parte due episodi distinti (Adamo che da un nome alle creature, e Lucifero che rifiuta l'Incarnazione103), e dall'altra Gesù ed Adamo. Volute o meno, queste confusioni - frequenti nel Corano - manifestano sempre un medesimo fine: ridurre alla semplice umanità la natura divina di Gesù Cristo.



    - Nessun peccato originale trasmesso; inutilità di in Redentore



    L'islàm non accetta il dogma della trasmissione a tutta l'umanità del peccato originale, il quale colpì dunque solo Adamo. Il Corano è quindi in perfetta coerenza con questo rifiuto allorché afferma:



    - Gesù Cristo non è stato crocifisso (e - implicitamente - non è risorto)



    Sura IV (LE FEMMINE)

    156. «Essi [gli ebrei] dissero: «Abbiamo fatto morire Gesù, il Messia, figlio di Maria, mandato da Dio». Essi non l'hanno assolutamente messo a morte, e non l'hanno crocifisso; un corpo fantastico ingannò la loro crudeltà. Quelli che altercano a questo proposito, non hanno che dubbi. La vera scienza non li rischiara; essi non seguono che una semplice opinione. [Gli ebrei] non hanno messo a morte Gesù. Allàh lo ha sollevato a sé, perché egli è potente e saggio» (F).



    Secondo la traduzione di R. Blachère, «un sosia fu sostituito ai loro occhi» (degli ebrei). Ma a parte queste sfumature dovute alle diverse traduzioni, dal testo in esame non si può che trarre un'unica conclusione: La crocifissione di Gesù Cristo è un mito, un'illusione, se non un'impostura.



    - Gesù Cristo ritornerà alla fine dei tempi?



    Trattando del «mahdì»104 dei sunniti, che si pensa ritornerà alla fine dei tempi per restaurare ed unificare l'islàm, Padre Lammens s.j. rievoca le vaghe tradizioni sunnite concernenti la Parusia di Gesù Cristo, alla quale il Corano avrebbe - si pensa - fatto allusione:



    Sura XLIII (L'ACCONCIAMENTO)

    61. «Gesù sarà il segnale certo dell'avvicinarsi del giudizio. Badate a non mettere in dubbio la sua venuta. Seguitemi, è la via della salvezza» (F).



    Sura IV (LE FEMMINE)

    157. «Tutti i giudei ed i cristiani credettero in lui prima di morire. Nel giorno della resurrezione [della carne] egli sarà testimone contro di essi» (F).



    Dobbiamo quindi concludere, come fanno alcuni, che l'islàm è in perfetto accordo con il cristianesimo nel proclamare che «Cristo ritornerà nella gloria per giudicare i vivi ed i morti...»? L'estrapolazione ci pare azzardata, ed è per tale motivo che abbiamo messo un punto interrogativo al termine del titolo di questo paragrafo.



    - Osservazioni complementari



    In questo capitolo consacrato alla teologia dell'islàm, abbiamo cercato di dare un posto preponderante alla persona di Nostro Signore Gesù Cristo, e di mettere in evidenza, più fedelmente possibile, il tono ed il modo in cui l'islàm la presenta a milioni di uomini da oltre 13 secoli. Per concludere citeremo due autori, le cui considerazioni ci sembrano riflettere in maniera più che esatta la posizione che dovrebbe assumere su questo tema ogni cristiano; la prima è di Padre Lammens s.j.:



    «Incontestabilmente, la cristologia del Corano accorda a Gesù - la tradizione ortodossa vi aggiunge le sue relazioni con l'Anticristo (in arabo «al-Dajjàl»), che egli ucciderà - malgrado i chiaroscuri forse intenzionali, un posto a parte tra tutti i profeti. Tuttavia, essa evita con sollecitudine- ma con poca logica - tutto ciò che lo metterebbe al di sopra dell'umanità a detrimento del dogma del monoteismo, così come lo intende il Corano»105.



    Aggiunge M. Joseph Hours:



    «Non c'è altra salvezza che quella che viene da Cristo. Rifiutare Cristo non è cosa da farsi impunemente, né senza terribili conseguenze. Conviene quindi soffermarsi, almeno per qualche istante, onde soppesare tali conseguenze. Essendo Gesù Uomo-Dio, e possedendo entrambe le due nature, egli è essenzialmente il Mediatore. Cristo instaura tra il Creatore e la sua creatura delle relazioni che permettono a quest'ultima di intendere la chiamata del Signore, e di conoscere la sua propria vocazione all'Amore divino. Sopprimendo qualsiasi mediazione, l'islàm rende Dio inaccessibile all'uomo. Esso fa di Allàh l'arbitro puro ed inconoscibile con il quale ogni rapporto è impossibile, e più di ogni altro, l'Amore. Non è dunque affatto per un semplice caso che, nell'Iraq del XI secolo, Al Halladj fu giustiziato per avere proclamato il suo amore per Dio; nella logica musulmana, questo amore non è nient'altro che una bestemmia. Tra l'uomo e Allàh, nessun consorzio è possibile»106.



    Ecco infine, estratti dal medesimo articolo, alcuni brani che ci sembrano decisivi per chi voglia comprendere la posizione dell'islàm di fronte a Cristo:



    «L'islàm è la religione che, avendo conosciuto Cristo, ha rifiutato di conoscerlo come Dio. Se è vero, come dice Henri Rambaud, che la peggiore forma di menzogna è quella che - almeno apparentemente - contraddice di meno la verità, la menzogna che consiste nel dire di Cristo tutto il bene possibile, salvo che Egli è Dio, è la più terribile di tutte»107.



    q Maria



    Dopo Gesù Cristo, conviene ora parlare della Vergine Maria sua Madre, tanto più che - secondo un'opinione corrente - Maria (in arabo «Lalla Myriem»), sarebbe oggetto di una venerazione tutta particolare da parte dei musulmani. Infatti, in più di un'occasione abbiamo visto - prima del 1962 - alcune donne musulmane accorse, ad esempio, ad implorare questa o quest'altra grazia, o la protezione della Vergine nella chiesa di Nostra Signora d'Africa ad Algeri!



    - Il posto di Maria nel Corano



    Nel Corano, la Vergine Maria viene - come del resto suo Figlio - più volte citata. Esso presenta un certo numero di dettagli inerenti l'infanzia di Maria, la sua formazione religiosa, la sua gravidanza, la nascita e l'infanzia di Gesù, i miracoli che l'accompagnarono (miracolo della palma, Gesù che parla fin dalla culla, ecc...), e che invano si cercherebbero sui Vangeli canonici. In realtà, l'autore del Corano si è abbondantemente ispirato ai vangeli apocrifi, i quali non sono riconosciuti dalla Chiesa che, come abbiamo visto, li rifiuta per varie ragioni. Onde evitare di sovraccaricare il presente capitolo, il cui oggetto è la teologia del Corano, ci asterremo dal rievocare questi passi, limitandoci ad alcune citazioni tra le più caratteristiche.



    - La famiglia di Maria (le due Marie)



    Secondo il Corano, Maria sarebbe stata sia la figlia di Amram (il padre di Mosè e di Aronne), che quella di un altro Amram, sposo di Anna. Si tratta di una delle numerose confusioni ed oscurità che popolano questo libro, e che alimentano la perplessità degli esegeti.



    - Maria eletta di Allàh



    Sura III (LA FAMIGLIA AMRAM)

    37. «L'Angelo disse a Maria:«Allàh ti ha prescelta e ti ha purificata. Tu sei stata eletta fra tutte le donne» (F).



    - L'Annunciazione



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    40. «L'Angelo disse a Maria: «Allàh ti annuncia il suo verbo. Egli si chiamerà Gesù il Messia, figlio di Maria, grande in questo mondo e nell'altro, e confidente dell'Altissimo» (F).



    «Confidente»: questo termine non è gratuito; esso riconduce Cristo alle dimensioni tollerate dal Corano.

    - La concezione di Gesù Cristo fu virginale



    Ciò è affermato a più riprese dal Corano:



    Sura XXI (I PROFETI)

    91. «Canta la gloria di Maria, che conservò la sua verginità intatta. Soffiammo su di lei il nostro spirito; essa ed il proprio figlio formarono la meraviglia dell'Universo» (F).



    L'episodio della Visitazione non viene riportato dal Corano, e non si parla di Maria nemmeno in occasione dell'annuncio della nascita di Giovanni Battista:



    Sura XIX (MARIA)

    7. «Zaccaria, ti annunciamo un figlio chiamato Giovanni».

    8. «Nessuno prima di lui portò questo nome».

    9. «Signore, rispose Zaccaria, come mai otterrò questo figlio? Mia moglie è sterile, ed io sono decrepito».

    10. «Disse il Signore: «Così sarà. Questo prodigio non supera il mio potere; sono io che ti ho creato dal nulla».

    13. «Giovanni lesse le scritture con indicibile trasporto. Gli demmo la sapienza fin dalla sua più tenera infanzia» (F).



    - Osservazioni complementari



    Senza alcun dubbio, il Corano riserva un posto di rilievo a Maria, ne parla e ne tratta con rispetto, sottolineando la sua purezza, la sua verginità e l'attenzione particolare che Allàh ha avuto nei suoi riguardi. Il cristiano non può che rallegrarsi nel trovare nell'islàm un simile atteggiamento che apre la via al «dialogo» e ad una convergenza con i musulmani almeno su questo punto. Ma ciò significherebbe mancare di realismo, e attendersi troppo da questa «base di partenza», poiché ben presto ci si troverebbe in un vicolo cieco. In effetti, per quanto benevolenti siano le disposizioni di spirito che l'islam testimonia nei confronti di Maria, non possiamo affatto dare per scontato che esse portino aldilà delle frontiere che gli sono state assegnate. L'islàm, finché tale sarà, non acconsentirà mai a riconoscere alla SS.ma Vergine Maria alcuni dei suoi attributi: Corredentrice, e soprattutto, Madre di Dio Salvatore, ossia precisamente quelli che sono i gioielli più preziosi della sua corona.





    q Il profetismo nell'islàm



    - Il profeta è un trasmettitore, più che un ispirato



    «La nozione di profetismo è pressappoco la stessa espressa nella Bibbia, ma concepita in modo più brutale e semplicista. Un Angelo - nella fattispecie l'Angelo Gabriele - parla al profeta e gli insegna, da parte di Allàh, ciò che egli deve dire. Quando si trova in difficoltà nelle discussione, Maometto chiede tempo per avere una risposta da Allàh. Questa idea del profetismo è dunque oggettiva ed esterna. Non è certamente quella di uno spirito divino che penetra l'anima del profeta, agendo in essa dal di dentro, ed elevandola ad una scienza sovrumana»108.



    - Il Corano ignora i principali profeti biblici



    «Allàh non ha mai cessato di richiamare gli uomini alla professione del monoteismo tramite il ministero degli inviati («rasùl») e dei profeti («nabì»). Il Corano non ne indica il numero, ma la tradizione ne conta a migliaia. Ciò che sorprende nella lista del Corano, è l'assenza dei più eminenti profeti biblici (Isaia, Geremia, ecc...), e la menzione di profeti sconosciuti alla letteratura biblica (Sâlih, Shaïb, ecc...). Le loro leggende, instancabilmente riprese e rimaneggiate, affollano le Sure»109.



    - Maometto, «suggello» dei profeti



    Scrive Padre Lammens s.j.:



    «Ininterrotta da Adamo, passando per Noè, per Abramo, per Lot, per Ismaele, per Mosè, per Giobbe, per Salomone, per Zaccaria, per Giovanni Battista e... per Gesù Cristo, la serie termina con Maometto, il «suggello» dei profeti. Generalmente, questo «apax legomenon» coranico, si traduce con «l'ultimo dei profeti», nel senso - l'unico ammesso dall'islàm - che dopo di lui non ne verranno più»110.



    Padre Lammens s.j. immagina un'altra interpretazione possibile: Maometto, cronologicamente l'ultimo dei profeti, avrebbe apposto come un sigillo alla predicazione dei suoi predecessori, confermandola senza innovarla.



    - L'islàm è la migliore delle religioni perché è l'ultima



    Si tratta di un concetto familiare all'islàm, tanto che, nel 1983, un'eminente personalità musulmana - se non vado errato, il gran Muftì della moschea di Parigi - nel corso di una trasmissione radiofonica dedicata ai convertiti all'islàm, affermò:



    «Senza alcun dubbio, la religione musulmana è la più grande; voi ricorderete che il profeta Maometto è il sigillo dei profeti; lungo tutto il corso della storia sono esistiti, o esistono, numerosi profeti, alcuni dei quali certamente falsi, ed altri impostori; ad ogni modo, la religione musulmana è l'ultima in ordine cronologico, ed il profeta Maometto è il sigillo dei profeti. Di conseguenza, questa religione racchiude tutta l'umanità, tutto ciò che l'umanità vuole fare, e, come abbiamo già detto, l'islàm è l'ultima religione, ed il profeta è il sigillo dei profeti».



    Questa ripetizione, questo martellamento sullo stesso argomento, rappresenta inoltre un tratto tipico dell'espressione religiosa araba.





    q Immortalità dell'anima



    - L'anima è immortale, ma il significato arabo attribuito al termine «anima» è diverso dal nostro



    L'immortalità dell'anima fa parte del dogma islamico; occorre tuttavia porsi questa domanda: qual'è il significato esatto della parola «anima» (nafs) per il musulmano? M. Kasimirsky ci aiuta a scoprirlo:



    «Nel testo arabo, le parole «io stesso», o «la mia persona», corrispondono al vocabolo «nafs», ed in questa occasione facciamo osservare che quando in generale si traduce con «anima» la parola «nafs», ci si riferisce piuttosto al significato di «principio della vita», o di sangue, che non a quello di anima immortale, di spirito di rouh»111.



    - Ciò è conforme all'idea di un paradiso «materiale»



    In questo caso, M. Kasimirski mette in luce più di una sfumatura di inerente la traduzione; cerchiamo di ricordarci della sua annotazione quando più avanti affronteremo la visione musulmana del paradiso. Grazie ad essa infatti, capiremo in maniera più chiara questo aspetto puramente materiale del paradiso dell'islàm, aspetto che non manca di sorprendere lo spirito cristiano.





    q La resurrezione degli uomini



    - Gli uomini risorgeranno



    Incurabili fatalisti, i beduini non avevano conservato nessuna precisa nozione di una vita futura o dell'immortalità dell'anima. L'islàm gli offrì dunque la speranza in una vita ultraterrena: la Resurrezione ed il Giudizio sono evocati almeno in 25 Sure, quantunque in forma interrogativa:



    Sura XXXII (L'ADORAZIONE)

    9. «Dicono gli increduli: «Quando la terra ricoprirà le nostre ceneri, saremo rianimati ancora?» (F)

    In maniera più allusiva:



    Sura XIX (MARIA)

    69. «Lo giuro per il tuo Dio, raduneremo tutti gli uomini e i demoni; ne formeremo un recinto nell'inferno, e li obbligheremo a starsene in ginocchio» (F).



    In modo affermativo:



    Sura XXX (I GRECI)

    49. «Fermate i vostri sguardi sulle orme della sua divina misericordia. Osservate come fa sbocciare dal seno della terra sterile i germi della fecondazione; così chiamerà a nuova vita i morti. La sua potenza non ha confine» (F).





    q Il giudizio



    - Giudizio particolare? Giudizio universale?



    L'islàm afferma l'esistenza di un giudizio particolare e di un giudizio finale? Tutto ciò non sembra cosa facile da stabilire con chiarezza.



    «Ma come rappresentarsi la sorte delle anime durante il periodo che le separa dal giudizio (finale)? Questo problema ha fortemente messo in imbarazzo alcuni scolastici musulmani, e ciò indubbiamente per il fatto che nessuna Sura ne fornisce una chiara soluzione [...]. Alcuni versetti suppongono che i morti si siano come addormentati, o come intorpiditi nella tomba. La tradizione [...] si è impossessata di questa suggestione e ne ha tratto la sua teoria del «tormento della tomba», seguito da un giudizio particolare presieduto sommariamente dagli Angeli Monkir e Nakîr, Angeli del sepolcro»112.



    Tuttavia, nell'escatologia musulmana, la fine del mondo annuncerà il giudizio finale:



    «Alcune catastrofi, ed alcuni singolari fenomeni precederanno ed annunceranno la fine del mondo; [...] allora avrà inizio il giudizio generale, che il Corano chiama con nomi assai diversi: «L'Ora, il Giorno del Giudizio, della Resurrezione, ecc...» [...]. Tutti gli uomini saranno soggetti al giudizio finale, in cui la loro sorte eterna sarà definitivamente stabilita»113.



    Particolare o generale, il giudizio comporterà per l'uomo una sanzione: l'inferno, il purgatorio o il paradiso.





    q La retribuzione: purgatorio, inferno o paradiso



    - L'inferno e il purgatorio: una frontiera non ben definita



    Si trattava forse di terrorizzare i meccani scettici al fine di conquistarli alle proprie convinzioni? Sia quel che sia, rimane il fatto che il Corano descrive con molto realismo i tormenti dei reprobi:



    Sura IV (LE FEMMINE)

    59. «Coloro che rifiutano di credere alle verità che annunciamo, verranno precipitati nelle fiamme. La loro pelle appena consunta, si rinnoverà, e saranno in balia di nuovi tormenti. Allàh è potente e saggio» (F).



    Sura XIV (ABRAMO)

    19. «L'inferno li ha inghiottiti. L'acqua infetta sarà la loro bevanda.

    20. Essi l'ingoieranno goccia per goccia, ed essa stenterà a passare. La morte si presenterà da tutte le parti, e tuttavia essi non moriranno. Questo abbeveramento sarà seguito da orribili tormenti» (F).



    Ma questo inferno è eterno? Ciò non è certo, poiché Allàh, in tutta la sua onnipotenza, può ritrarne i dannati:



    Sura VI (LE GREGGI)

    128. «Risponderà Allàh: «Il fuoco sarà il vostro giaciglio; vi rimarrete a mio arbitrio». L'Altissimo è dotto e saggio» (F).



    Sura XI (HOD)

    108. «Gli sventurati precipitati nelle fiamme manderanno grida e sospiri.

    109. Vi rimarranno così lungamente sino a che i cieli e la terra sussisteranno; così lungamente come piacerà all'Onnipotente, poiché egli fa ciò che vuole» (F).



    Questo inferno, provvisorio per alcuni, equivale al purgatorio? In questo caso, «i veri credenti non faranno che attraversare il fuoco»114?



    Sura XIX (MARIA)

    71. «Conosceremo quelli che hanno meritato maggiormente il tormento delle fiamme.

    72. Ivi saranno precipitati; è un decreto pronunciato dall'Eterno.

    73. Libereremo quelli che temettero il Signore, e lasceremo i colpevoli in ginocchio» (F).



    Notiamo infine che questi luoghi vengono descritti come materiali, così come lo sono i tormenti - esclusivamente corporali - inflitti ai reprobi115.



    - Un paradiso materiale



    La ricompensa dei credenti sarà il paradiso, presentato nel Corano in modo molto immaginario, come un luogo di refrigerio, di delizie, di pace e d'amicizia tra gli uomini, e di piaceri carnali. Numerose sono le Sure che contengono tali descrizioni; noi ci limiteremo a due esempi:



    Sura LV (IL MISERICORDIOSO)

    53. «Quale dei benefici di Allàh negherete?

    54. Gli ospiti di questo soggiorno, coricati su letti di seta frangiati d'oro, godranno a loro piacimento di tutti questi vantaggi.

    55. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    56. Ivi saranno giovani vergini dallo sguardo pudico, che giammai uomo o genio qualsiasi ne ha mai profanato la bellezza.

    57. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    58. Esse assomigliano al giacinto e alla perla.

    59. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    60. Il premio della virtù non dev'essere magnifico?

    61. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    62. Vicino a questi luoghi incantevoli si apriranno altri due giardini.

    63. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    64. Una verzura eterna formerà il loro abbigliamento.

    65. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    66. Due sorgenti zampillanti ne saranno l'ornamento.

    67. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    68. Datteri, melograni e frutti diversi vi saranno raccolti.

    69. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    70. Le hùri di una bellezza stupenda abbelliranno questo soggiorno.

    71. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    72. Queste vergini dai begli occhi neri saranno chiuse in superbi padiglioni.

    73. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    74. Mai nessun uomo né genio attentò al loro pudore.

    75. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    76. I loro sposi riposeranno su tappeti verdi e letti magnifici.

    77. Quale dei benefici di Allàh negherete?

    78. Benedetto il nome dell'Eterno circondato di gloria e di maestà!»



    Sura XXXVII (GLI ORDINI)

    39. «Ma i veri servi di Allàh,

    40. avranno un diverso destino:

    41. godranno un nutrimento scelto, frutta squisita.

    42. I giardini della voluttà saranno il loro asilo.

    43. Pieni ad esuberanza di mutuo amore, riposeranno sul letto nuziale.

    44. Si offriranno loro coppe piene di acqua pura,

    45. limpida, di un gusto delizioso.

    46. Essa non turberà la loro ragione e non li renderà stolti.

    47. Vicino ad essi vi saranno vergini intatte116; i loro grandi occhi neri saranno modestamente abbassati117;

    48. si volgeranno gli uni verso le altre e converseranno insieme.

    49. «Ospiti del paradiso, dirà uno di essi: io ero legato come un incredulo. Credi tu, mi chiese egli, alla resurrezione?» (F).



    Don Bertuel ha dimostrato come queste descrizioni del paradiso siano simili a quelle del biblico Cantico dei Cantici, e come tale paradiso rassomigli all'Eden del Talmud che, con i suoi ruscelli, i suoi fiori e le sue miriadi di alberi diversi, può essere identificato con il Paradiso terrestre. Tuttavia, sottolinea l'autore,



    «[...]la sensualità dei meccani non si accontentava dei piaceri della tavola e del fresco riparo fornito dall'ombra; [in questo Eden talmudico] mancava l'amore, l'amore sotto tutte le sue forme, le più concrete e le più carnali»118.



    E così, prosegue l'autore, bisognava adattare il messaggio allo stato d'animo e ai costumi di questa regione. Ecco, quindi, la promessa di vergini eternamente tali (e... di «efebi» evocati in altri versetti!!!) fatta dal Corano agli eletti. Come ha evidenziato don Bertuel, queste descrizioni paradisiache mettono a disagio alcuni coranologi, i quali, «ad onta del testo e del contesto, e a dispetto degli stessi musulmani, non accordano ad esse che un valore puramente simbolico»!



    «Che si vada dunque - prosegue l'autore - a raccontare ai musulmani di oggi, nei diversi paesi ove essi vivono secondo la loro religione e loro leggi, che in paradiso non ci sarà alcuna donna!! Ciò costituirebbe una vera e propria mazzata per la loro fede».



    E don Bertuel cita un articolo apparso sul Time del 23 novembre 1959, che raccontava gli ultimi momenti di vita di un condannato a morte in Iran, il quale condotto alla forca da una macchina della polizia, cantava le «fresche hùri» che l'attendevano nell'altro mondo. Ma questa visione puramente materiale del paradiso promesso alle anime degli eletti musulmani, non è forse in perfetta armonia con la loro nozione di anima così come l'ha tradotta più sopra il Kasimirsky119?



    - Nessuna visione beatifica120 paradiso



    In paradiso, il musulmano non potrà contemplare Allàh; in proposito, scrive Padre Lammens s.j.:



    «In nessun punto del Corano si parla con chiarezza della visione beatifica. Allàh rimane «inaccessibile agli occhi degli uomini»121



    Sura VI (LE GREGGI)

    103. «Gli sguardi [degli uomini] non potranno coglierlo. Egli coglie tutti gli sguardi: il sagace, l'istruito» (F).



    Il fatto che il Corano abbondi di contraddizioni, ha indotto numerosi esegeti, nel disperato tentativo di salvaguardare un'apparenza di coerenza di quest'ultimo, a fissare una distinzione tra i «versetti abroganti» e i «versetti abrogati»122. Stando così le cose, non ci si deve stupire se nel Corano compaiono parole che sembrano contraddire in pieno il versetto testé citato:



    Sura LXXV (LA RESURREZIONE)

    22. «[In quel giorno] la fronte dei giusti sarà raggiante di gloria.

    23. I loro sguardi saranno rivolti al Signore» (F).



    Alcuni commentatori musulmani interpretano questo versetto nel senso di una visione materiale, mentre altri non vi intravedono che una raffigurazione simbolica:



    «Allàh non conosce limiti: come potrai tu, con i tuoi occhi di carne che non possono abbracciare che uno spazio ristretto, vedere l'Illimitato? O forse tu puoi fissare dei limiti ad Allàh»?



    Ecco dunque un altro esempio in perfetta coerenza con i concetti musulmani: se l'anima («nafs», vedi a pag.) è unicamente l'io fisico e carnale, e se il paradiso è realmente, come il dice il Corano, un paesaggio unicamente materiale, allora l'occhio umano degli eletti non potrà contemplare il suo Creatore.



    q La predestinazione, dogma dell'islàm ortodosso



    A rischio di scoraggiare il lettore, dobbiamo ancora una volta convenire sul fatto che le questioni che stiamo esaminando non sono affatto semplici; in effetti,



    «Allàh ha predestinato la sorte temporale ed eterna degli uomini. D'altra parte, egli viene anche rappresentato come se si lasciasse muovere a compassione dal pentimento e dalle buone opere, «le quali cancellano quelle cattive». Il Corano contiene dei testi a favore e dei testi contrari al determinismo, a seconda che il suo autore si proponga di dimostrare la piena responsabilità dell'uomo, o voglia insistere sull'onnipotenza del Creatore»123.



    - Esempi di versetti «a favore» della predestinazione



    Sura XXXVI (I. S.)

    6. «La nostra sentenza, relativa alla maggior parte di essi, è già stata pronunciata, ma essi non credono» (K).



    Sura XXXV (GLI ANGELI)

    9. «Chi è abbagliato dall'iniquità crede di essere sul retto sentiero? Allàh sparge a suo piacere l'errore o la luce. Il tuo cuore non si turbi per essi; l'Eterno conosce le loro azioni» (F).



    Sura XVI (LE API)

    38. «Noi abbiamo inviato degli apostoli ad ogni popolo per dire: «Adorate Allàh ed evitate Thagut124». Ci sono alcuni tra loro che Allàh ha guidato, ed altri che sono stati destinati alla perdizione. Percorrete le terra, e vedete qual'è la fine di coloro che hanno trattato gli apostoli da menzogneri» (K).



    Talvolta viene tirata in ballo anche quest'argomentazione a sostegno della predestinazione: «Allàh è l'Onnipotente; se dunque si assegna una parte di libertà all'uomo, si amputa quindi inevitabilmente l'onnipotenza di Allàh».



    - Esempi di versetti «contro» la predestinazione



    Sura VI (LE GREGGI)

    35. «Per quanto doloroso ti riesca il loro odio, scoprirai tu una strada per scendere in seno alla terra? O una scala per salire ai cieli, onde svelare ad essi [agli increduli N.d.R.] qualche prodigio? Se Allàh volesse, non li chiamerebbe tutti sulla via della salvezza? Non persistere dunque nel numero degli ignoranti» (F).



    Sura XXXII (L'ADORAZIONE)

    13. «Noi possiamo rischiarare tutti gli uomini; ma bisogna che si compia questo decreto di Allàh: «Riempirò l'inferno di demoni e di uomini scellerati» (F).



    Ma questo versetto non contiene esso stesso una contraddizione? L'uomo è libero, e tuttavia «riempirò l'inferno di demoni e di uomini scellerati». Vediamo se un altro traduttore è riuscito a rendere intelligibile questo passo:



    13. «Se avessimo voluto, avremmo data ad ogni anima la sua direzione, ma occorre che si realizza la parola (emanante) da me: Io riempirò certamente la Genna contemporaneamente di geni e di uomini» (B).



    Eccoci dunque ancora al punto di partenza. Come si potrà notare, il senso reale di alcuni passi del libro sacro dei musulmani, non è sempre immediatamente percettibile, o almeno non lo è per il non-musulmano. Carra de Vaux stima che «il Corano insista molto sulla potenza di Allàh, e parli poco della libertà umana, e per nulla della Grazia»; dunque, «non è affatto giusto sostenere che questa religione sia teoricamente fatalista», poiché «i versetti del Corano che danno questa impressione a viva forza, possono essere interpretati»125. «Così - prosegue lo stesso autore - quando Maometto proclamava che Allàh perde e salva chi vuole, voleva in realtà mettere in risalto la difficoltà del peccatore indurito a convertirsi»; sempre secondo Carra de Vaux, alcuni passi analoghi figurerebbero anche tra i salmi.



    «È altrettanto vero - continua Carra de Vaux - che anche ai nostri giorni si può constatare, presso i popoli musulmani, una certa depressione della volontà. Tali popolazioni danno attribuiscono scarsa considerazione al lavoro, e misconoscono lo sforzo, tranne quello militare. Essi si abbandonano, senza darsene pena, all'alternarsi della buona e della cattiva sorte. La stessa parola «islam» significa infatti «abbandono» o «rassegnazione».



    Nondimeno, l'autore fa risalire questa disposizione d'animo ai popoli d'Oriente dell'antichità, in cui essa veniva rappresentata dal concetto di «Destino». Padre Lammens s.j., la cui scienza coranica si è radicata nel corso di una lunga esperienza vissuta tra i popoli musulmani, ci fornisce quella che sembra essere la migliore conclusione di questo paragrafo:



    «I testi sfavorevoli al libero arbitrio sono, se non i più numerosi, sicuramente i più impressionanti, e sembrano riflettere in modo migliore il pensiero intimo di Maometto. La tradizione musulmana, su questo punto, non si inganna; l'ortodossia sunnita si è formalmente pronunciata in favore di questa interpretazione. Essa considera come un articolo di fede la predeterminazione assoluta di tutti gli atti umani. Tutti questi atti sono «creati» - come dicono i pensatori musulmani - e non si tratta che di un semplice corollario della potenza di Allàh. Solamente i Kadariti126 e i Mutaziliti127 si rifiutano di aderire a questa conclusione. Per essi, la giustizia di Allàh suppone la libertà della creatura e la sua intera responsabilità morale, responsabilità che d'altronde è affermata dallo stesso Corano»128.



    q Gli Angeli



    - Essi sono considerati come i messaggeri di Allàh



    Sura XXXV (Gli Angeli)

    1. «Gloria ad Allàh, architetto dei cieli e della terra! Gli Angeli sono i suoi messaggeri. Li ha provvisti di due, tre, o anche quattro ali [...]» (K).



    Nel Corano, si parla spesso dell'Arcangelo Gabriele, intermediario ufficiale delle rivelazioni profetiche:



    Sura II (LA VACCA)

    91. «[...] chi si dichiara nemico di Gabriele? È lui che, per concessione di Allàh, depose il Corano sul tuo cuore per confermare i libri santi venuti prima di lui, onde essere la regola della fede ed inondare di gioia i fedeli» (F).



    - Essi intercedono per gli uomini



    Sura XL (IL CREDENTE)

    7. «Gli spiriti che sostengono il trono sublime e lo circondano, celebrano le grandezze dell'Eterno, e gli rivolgono questa preghiera: «Signore, perdona ai credenti» (F).



    In alcuni casi, essi sono inviati per soccorrere i credenti:



    Sura VIII (IL BOTTINO)

    9. «Quando imploraste l'aiuto dell'Altissimo, egli rispose: «Vi manderò l'aiuto dei miei Angeli» (F).



    - Gli Angeli della morte (il cui capo è Izràil)



    Sura VI (LE GREGGI)

    61. «[Allàh] signoreggia sopra i suoi servi. Egli vi assegna come custodi taluni Angeli incaricati di condurre a termine i vostri giorni nel momento stabilito. Essi eseguono accuratamente l'ordine del Cielo» (F).



    q I demoni



    «Satana (Iblìs o Saytan) figura ovunque come il nemico dell'uomo ed il tentatore per eccellenza. La sua caduta data dal giorno in cui si rifiutò di prosternarsi con gli Angeli dinanzi ad Adamo. Il suo castigo all'inferno avrà termine alla fine del mondo. Non è lui, ma uno spirito - Mâlik - che comanda all'inferno e ai guardiani di questo luogo di tormenti»129.



    Altri demoni figurano nel Corano.



    - Le stelle impediscono ai demoni di avvicinarsi al Cielo



    Sura XXXVII (GLI ORDINI)

    6. «Abbiamo ornato il cielo più vicino alla terra con lo splendore delle stelle.

    7. L'abbiamo assicurato dai tentativi degli spiriti ribelli. Essi non udranno più la voce degli Angeli»130 (F).



    q I Geni



    Il Corano ha adottato la credenza nei geni (in arabo «ginn»):



    Sura VI (LE GREGGI)

    100. «Essi eguagliarono i geni ad Allàh, mentre essi non sono che creature» (K).



    - Essi sono stati creati di fuoco



    Sura XV (HEGR)

    27. «Prima di lui [dell'uomo N.d.R.] abbiamo creato i geni di fuoco puro» (F).



    - Alcuni di essi hanno abbracciato l'islàm



    Sura XLVI (HACAF)

    28. «Ti mandammo alcuni geni per ascoltare il Corano. Al principio della lettura, essi si dissero tra loro: «Ascoltiamo attentamente, e quando essa fu finita, andarono ad istruire il loro popolo»131 (F).

















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    82 Bisogna forse ricordare che il termine «ecumenismo», in senso religioso, non concerne che la cristianità, quando lo si vede impropriamente e di frequente usato nel campo delle relazioni tra essa e l'islàm (ed altre religioni non-cristiane)? (La presente nota, così come le virgolette con cui noi racchiuderemo questo aggettivo , dovranno costituire per il lettore delle circostanze attenuanti al flagrante delitto d'improprietà che commetteremo a nostra volta).



    83 Cfr. J. BERTUEL, op. cit., vol. I, pagg. 37-39.



    84 Cfr. M. KASIMIRSKY, Le Coran, Garnier 1855, pag. 246, nota n. 1.



    85 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 63.



    86 Il neretto è nostro; tale evidenzizione del testo sarà nostra ogniqulvolta la si troverà mentre verranno citati versetti del Corano.



    87 In questo caso, il Corano identifica i cristiani come coloro che hanno ricevuto le Sacre Scritture.



    88 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 63.



    89 Cfr. CARRA DE VAUX, Dictionnaire Théologique, pag. 1140. Aggiunge don Bertuel: «Quanto alle leggi coraniche ed islamiche, esse paragonano semplicemente i cristiani all'impurità: «Articolo 1. Undici cose sono impure: l'urina, l'escremento, lo sperma, le ossa, il sangue, il cane, il maiale, l'uomo e la donna non-musulmani, la Trinità... Articolo 2. Chi crede nella Trinità è impuro come l'escremento e l'urina...» (Cfr. J. BERTUEL, op. cit., vol. I, pag. 187; cit. in D. LE ROUX, Pietro mi ami tu?, Ed. Gotica, Ferrara 1986, pag. 138).



    90 Molti cattolici sostengono ostinatamente questa tesi erronea, credendo che il fatto di essere monteisti o di appartenere alla stirpe (carnale) di Abramo costituisca una garanzia sufficiente per poter affermare che i cristiani, i musulmani e gli ebrei adorino lo stesso Dio; in realtà, tale figliolanza comune può essere accettata solo per via naturale, ovvero come uomini, figli del medesimo Creatore (e ciò vale non solo per i musulmani o gli ebrei, ma per qualsiasi essere umano); ma da un punto di vista della grazia soprannaturale ciò è inammissibile: la Trinità di Dio non è una specie di optional aggiuntivo alla sua unità, quasi che Egli prima sia Uno, e successivamente anche Trino; Egli è Uno e Trino inscindibilmente e essenzialmente, per cui non si può accettare la sua unicità e rifiutare la sua Trinità come se essa fosse un accessorio del tutto secondario. Tale incompatibilità trova conferma anche nelle dichiarazioni del «rettore dell'università del Cairo, Ain-Shamns, il Professor Muhammad Kamel Hussein, personalità di rilievo nel mondo orientale e che ha partecipato a numerosi congressi ecumenici, [il quale] afferma infatti che «la Trinità [...] è il più importante dei punti di divergenza fra le due religioni. Ogni tentativo di forzare i testi per un avvicinamento è per me votato all'insuccesso» (cit. in C. GASBARRI, Cattolicesimo e Islàm oggi, pag. 173). Da parte sua, Muhammad Hamidullah, intelletuale musulamno vicino al noto islamista ecumenico cattolico Louis Massignon, sostiene che «dire ai musulamni essi adorano lo stesso Dio dei cristiani non è esatto, perchè il cristiano è trinitario e il musulmano non adora come Dio, né Gesù né lo Spirito Santo, e ancor meno dei simboli concreti come la croce; non abbiamo il culto dei santi e delle immagini» (ibid., pag. 173; entrambe le citazioni sono state estratte da S. NITOGLIA, op. cit., pagg. 10-11). Si aggiunga inoltre che la Chiesa cattolica ha sempre inteso la discendenza in Abramo non come qualcosa di carnale o genetico, ma come una parentela spirituale, tramite la persona di Cristo, per cui gli islamici sono figli di Abramo carnalmente (mediante Ismaele, figlio di Agar), ma non lo sono spiritualmente, perchè rifiutando la divinità di Gesù Cristo, sono stati diseredati dalle promesse fatte ad Abramo per la su fede nel Messia che sarebbe venuto.



    91 Cfr. J. HOURS, op. cit., pag. 20. Aggiunge B. Schlink: «Un altro fatto significativo è che nell'elenco delle caratteristiche di Allàh nella tradizione islamica, ci sono i 99 «nomi di Dio», però manca l'espressione «amore».[...] In questo elenco delle caratteristiche manca anche la parola «padre». [...] Leggiamo in una Sura (Sura XIX, 33) del Corano: «Tutti coloro che sono nei cieli e sulla terra s'accostano al Misericordioso come servi al Signore». Nessuno può avvicinarsi ad Allàh con l'amore di un figlio verso suo padre, così come possiamo noi con Dio, nostro Padre» (Cfr. B. SCHLINK, op. cit., pag. 15).



    92 «Per il Corano, Gesù è pure Messia (nasìh). Gli esegeti musulmani, tuttavia, gli danno un significato diverso da quello ebraico-cristiano. Messia, infatti (come in greco Christòs, da cui il nostro Cristo) non significa per loro «Unto»o «Consacrato» da Dio come salvatore del suo popolo, ma semplicemente «uno che tocca» oppure in senso passivo «uno che è toccato». In questa prospettiva, Gesù è Messia perchè «tocca» i malati e li guarisce, o ancora perchè è «toccato» ed arricchito dalla bàraka o benedizione divina. Si noti che in ogni caso l'islàm ignora il concetto cristiano di Gesù Redentore dell'umanita, il che non è poco!» (Cfr. D. MARIANO, op. cit., pag. 19).



    93 «A proposito del dogma dell'Incarnazione [...], il prof. Hamidullah sostiene : «La concezione islamica della giustizia divina non ammette la punizione di un innocente come condizione per il perdono dei peccati colpevoli ».(Cfr. C. GASBARRI, op. cit., pag. 176; cit. in S. NITOGLIA, op. cit., pag. 13).



    94 Cfr. BERAUD-VILLARS, Islam d'hier et de toujour, Arthaud, 1969, pag. 21, nota n. 1.



    95 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 64.



    96 Ibid., pag. 67.



    67 A conferma del fatto che Maometto abbia subito influenze gnostiche ed ereticali, il Corano riporta un miracolo (compiuto per puro esibizionismo) attribuito a Gesù dai vangeli apocrifi (mai riconosciuti dalla Chiesa perchè di redazione anonima e tardiva, e perché spesso contenenti vere e proprie eresie), sommamente diffusi tra gli gnostici, i nestoriani, ed i monofisiti: (Sura V, 110) «Tu formasti con il fango una figura di uccello, ed il tuo soffio lo animò per mia concessione».



    98 Secondo Hussein «l'affermazione che nel Corano vi è la possibilità di un'interpretazione circa la divinità di Gesù è inaccettabile da qualsiasi musulmano, chiunque sia, evoluto o meno, moderno o no» (Cfr. S. NITOGLIA, op. cit., pag. 13).



    99 Aggiunge in nota il Fracassi: «Maometto aveva un doppio nome: Ahmed, e Mohammed. Entrambi derivano dal verbo hamad, egli ha lodato. Il primo è superlativo e significa lodatissimo; l'altro è un participio e significa lodato: è il più glorioso che egli assume nel Corano».



    100 «E' superfluo ricordare che Gesù, nei Vangeli, non ha mai detto tali cose. E' Maometto che, nel Corano, le mette in bocca a Gesù. Il passo della Toràh in cui - sempre secondo il Corano - sarebbe predetta la venuta di Maometto, e che invece va riferito indiscutibilmente a Gesù, è il seguente: [Dio disse a Mosè]: «Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto!» (Dt XVIII, 15).... «Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto» (Dt XVIII, 18-19). Ad onor del vero passo biblico non può riferirsi assolutamente a Maometto: Infatti Dio parla all'ebreo Mosè, dicendogli che susciterà tra i suoi fratelli (gli ebrei) un Profeta (che perciò stesso, deve essere ebreo). Maometto, invece, era arabo!... In realtà questo Profeta ebreo predetto quì, è l'ebreo Gesù. S. Pietro infatti, dopo aver guarito nel nome di Gesù uno storpio (At III, 10), predica a tutti gli ebrei che il Profeta predetto da Mosè nel Deuteronomio è Gesù (Atti IV, 11-21), nel nome del quale aveva guarito lo storpio. [...] Ma c'è di più! Gesù stesso dice che la profezia di Mosè si riferisce a lui stesso. Dice, infatti, Gesù agli ebrei che non volevano accettarlo come Messia: «Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me, perché egli di me ha scritto» (Gv V, 46). Il brano del Vangelo, poi, in cui - sempre secondo il Corano - sarebbe predetta da Gesù la venuta di Maometto, è il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù promette il Paràclito (o Consolatore), cioè lo Spirito Santo: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza» (Gv XV, 26). Vari esegeti musulmani hanno accusato i cristiani di aver falsificato il testo greco di questo versetto evangelico, sostituendo il termine paràklytos (consolatore), al termine perìclytos (famoso), cioè in arabo Ahmad, altro nome di Maometto. E' talmente ingenua questa teoria, che gli esegeti musulmani più accorti non la sostengono più e dichiarano (senza prova alcuna, però) che Maometto vi è preannunciato anche senza ricorrere alla teoria della corruzione del testo evangelico» (Cfr. D. MARIANO, op. cit., pagg. 23-24; più oltre (pagg. 37-42), lo stesso autore, avvalendosi dei papiri e dei codici ritrovati dagli archeologi che risalgono ai primi secoli dell'era cristiana, dimostra in modo inconfutabile come i Vangeli attiualmente in circolazione siano assolutamente identici a quelli scritti nel I secolo, e che quindi non siano mai stati manipolati).



    101 Dal Messaggio del Colonnello Gheddafi ai Capi di Stato del Mondo di gennaio del 1984, cit. in L'homme nouveau del 15.04.84 (vedi Mesaggio completo in Appendice pag. )



    102 L'Autore si riferisce al discusso catechismo francese Pierres Vivant (=«Pietre viventi»).



    103Secondo la teologia cattolica (ed in particolare, secondo l'autorevole opinione di San Tommaso d'Aquino, la ribellione di Lucifero e degli altri spiriti celesti che lo seguirono, avvenne a causa del fatto che Dio rivelò ad essi che, onde salvare il genere umano e redimerlo, la seconda persona della SS.ma Trinità si sarebbe incarnata in un uomo. Lucifero, il più bello degli Angeli, montò in superbia e si ribellò rifiutandosi di adorare una creatura di natura inferiore alla sua: Non serviam tibi! («Non ti serviremo») fu il grido empio di colui che divenne il principe dei demoni.



    104«Tradizioni estranee al Corano parlano di un personaggio, il mahdì («il ben diretto da Allàh»), un discendente di Maometto che purificherà l'islàm e lo innalzerà a religione egemone» (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 506).



    105 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 68.



    106 Cfr. J. HOURS, op. cit., pag. 19.



    107 Ibid., pag. 18. Il grassetto è nostro.



    108 Cfr. CARRA DE VAUX, Dictionnaire Théologique, pag. 1140.



    109 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 66.



    110 Ibid.



    111 Cfr. M. KASIMIRSKY, Le Coran, Charpentier, 1855, pag. 187, nota n. 1.



    112 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 70.



    113 Ibid.



    114 Cfr. H. LAMMENS. op. cit., pag. 69.



    115 Oltre alla pena dei sensi, la religione cattolica, poggiando ovviamente sulla divina Rivelazione, insegna che il dannato patisce nell'inferno un altra pena immateriale di gran lunga più straziante della prima: la pena del danno. Essa consiste nel tormento puramente spirituale dell'anima causato dalla consapevolezza di aver perduto per tutta l'eternità l'unico vero e sommo Bene per cui essa era stata creata: Dio. Inoltre essa patisce a causa del rimorso della colpa che non le da mai pace, il rimorso di avere perduto per tutta l'eternità l'amplesso con il suo Creatore, e tutto questo a causa del peccato che ha coscientemente commesso.



    116 Secondo la tradizione musulmana, le hùri (le «bianche»), le vergini pronte a saziare ogni desiderio dei «beati», «saranno cocenti di passione e, dopo l'unione carnale, la loro verginità verrà restaurata» (Cfr. J. BERTUEL, op. cit., vol. I, pag. 187; cit. in D. LE ROUX, op. cit., pag.138).



    117 Come precisa M. Kasimirsky, questo versetto indica che le hùri non porteranno mai i loro sguardi aldilà dei loro sposi.



    118 Cfr. J. BERTUEL, op. cit., vol. I, pag. 185.



    119 Vedi a pag. il paragrafo intitolato IMMORTALITÁ DELL'ANIMA.



    120 Secondo la teologia cattolica, la visione beatifica consiste nell'«atto di intelligenza con cui gli eletti conoscono Dio in sé stesso in modo chiaro ed immediato («Lo vedremo così come Egli è» 1 Gv. III, 2) La visione beatifica esclude ogni specie di conoscenza mediata ed analogica di Dio, come quella che si ha in terra, e consiste in un contatto diretto dell'intelletto dei beati con l'essenza divina. Trattandosi di cosa radicalmente irraggiungibile con le sole forze della natura, essa fa parte dell'ordine soprannaturale, assolutamente gratuito, ed importa un'elevazione proporzionata dell'intelletto mediante il lume di gloria» (Cfr. Dizionario Ecclesiastico, Ed. Torinese, pag. 1333, vol. III, voce visione beatifica).



    121 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 69.



    122 «Il Corano prevede che eventuali contraddizioni in esso contenute possano venire corrette dai cosiddetti versetti abroganti, giustificandoli col fatto che l'onnipotente Allàh è libero di cambiare idea (Sura II, 106). «Ed effettivamente - scrive Mircea Eliade - il Corano è l'unico libro sacro che conosca la libertà di abrogare taluni passi della rivelazione» (Cfr. M. ELIADE, Storia delle credenze e delle idee religiose, Firenze 1983, vol. III, pag. 82). Esempio famoso è l'abrogazione del versetto delle tre dée, dettato da Maometto per accattivarsi i coreìsciti idolatri, ma poi abrogato: «La tradizione narra che inizialmente, dopo il versetto 20 della Sura LIII, a proposito delle tre dée Allat, Al'Uzza e Manat, seguivano questi versetti: «Esse sono dée sublimi e la loro intercessione è certamente desiderabile». Ma più tardi Maometto si rese conto che quelle parole gli erano state ispirate da Satana, e allora le sostituì con le seguenti: «Veramente non sono altro che nomi che voi ed i vostri padri avete loro attribuito. Allàh non ha concesso loro alcun potere» (Cfr. M. ELIADE, op. cit., pag. 82; cit. in J.M. DE LA CROIX, op. cit., pagg. 128-129).



    123 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 65.



    124 Thagut era il nome di una divinità adorata presso gli arabi.



    125 Cfr. CARRA DE VAUX, op. cit., pag.1140.



    126 Setta che proclama la dottrina secondo cui l'uomo resta libero di fissare il suo «qadar», il suo destino eterno.



    127 Setta a tendenza razionalsta, che nega tra le altre cose anche la visione beatifica.



    128 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 65.



    129 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 64.



    130 «Prima della nascita di Maometto, i demoni [...] si slanciavano nelle sfere celesti, ascoltavano i discorsi di Allàh e degli Angeli e li riferivano ai maghi e agli indovini; ma da allora, Allàh li scacciò con dardi di fuoco e non poterono più penetrare i cieli. Così opinano i dottori musulmani» (Cfr Il Corano, pag. 329, nota n. 3).



    131 M. Kasimirsky intravede in questo versetto un episodio della vita di Maometto. Quest'ultimo venne accolto malamente dagli abitanti di Taif, una città dell'Hegiaz, ma una legione di ginn di Nisibis, che si trovava in quel luogo, ascoltò la dottrina del Corano e si convertì all'islàm. Inoltre, secondo la tradizione musulmana, i ginn avrebbero aiutato re Salomone nella costruzione di una città.

  4. #4
    Non sono d'esempio in nulla
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    CAPITOLO VI



    CULTO ED ISTITUZIONI



    1. INTRODUZIONE



    Dopo le difficoltà che abbiamo incontrato nel tentativo di definire la teologia dell'islàm (molto più complessa e, allo stesso tempo, molto più confusa di quel semplice monoteismo che talvolta si tenta di far credere), questo capitolo dovrebbe apparire meno arduo al lettore. In effetti, il culto, gli obblighi religiosi dell'islàm, e - in una certa misura - le sue istituzioni, sembrano molto più semplici da presentare.



    2. IL CULTO - GLI OBBLIGHI RELIGIOSI



    q I cinque pilastri dell'islàm



    I doveri religiosi essenziali del musulmano sono cinque. Data la loro gravità, essi vengono chiamati i «pilastri» (in arabo «arkàn») dell'islàm. Essi obbligano il musulmano sotto pena d'infedeltà, e sono:



    La professione di fede («shahàda»);

    La preghiera rituale («salàt»);

    L'elemosina («zakàt»);

    Il digiuno nel mese di ramadàn («sawàn»);

    Il pellegrinaggio alla Mecca («hagg»).



    A questi conviene aggiungere «il sesto pilastro»:



    La guerra santa («gihàd»).



    - La professione di fede



    Si tratta di una formula: «Allàh è Allàh (Allàh è unico) e Maometto è il suo profeta» (in arabo «rasùl»=il suo inviato). La prima parte di questa breve formula, colloca l'islàm nel gruppo delle religioni monoteiste, mentre la seconda lo contraddistingue affermando la missione profetica di Maometto. Pronunciarla con fede è il primo atto di ogni convertito132.



    - La preghiera rituale



    Essa è di tre specie:

    La preghiera individuale libera.

    Ogni credente può, in qualsiasi momento, indirizzarsi ad Allàh, senza formule o riti particolari.



    Le preghiere rituali («salàt»).



    «La tradizione ha fissato il numero di 5 «salàt» quotidiane: quella dell'alba, quella di mezzogiorno, quella tra mezzogiorno ed il tramonto, quella del tramonto, e quella della notte fonda»133.



    Dovendo essere eseguite in stato di purezza rituale, esse sono precedute da abluzioni ed accompagnate da riti la cui minuzia è indubbiamente imparentata con il ritualismo cavilloso e farisaico del giudaismo. Il fedele dev'essere girato in direzione della Mecca («qibla»). Egli si inginocchia e si prosterna su di un tappeto, su cui vengono spesso ricamati alcuni versetti del Corano134.



    La preghiera collettiva del venerdì

    Essa viene fatta alla moschea, a mezzogiorno, ed è obbligatoria per ogni maschio adulto (le donne non vi partecipano, benché l'accesso alle moschee non sia loro interdetto). Essa è preceduta da allocuzioni pronunciate in arabo dal presidente dell'assemblea (in arabo «khatib»=«portavoce» o «oratore»). Negli stati musulmani, tale compito viene assolto dal capo di Stato.



    - L'elemosina



    È una specie di tassa sul patrimonio, il cui importo è soggetto ad una precisa regolamentazione. Essa dev'essere destinata a scopi umanitari (ai poveri e agli orfani), ai volontari della guerra santa, o ai potenziali convertiti all'islàm. È forse tale obbligo che ha contribuito ad inculcare nei musulmani questa disposizione d'animo che ben conoscono coloro che li hanno frequentati: in un contesto normale, nella routine della vita quotidiana abituale, quando nessun disordine (terrorismo, agitazione politica, ecc...) viene a turbare i rapporti umani, il musulmano è per sua natura caritatevole, accogliente e generoso.



    - Il digiuno



    Il digiuno dura un mese. Esso è unicamente diurno. Il credente deve astenersi totalmente dal cibo, dal bere, dal tabacco e dai rapporti coniugali. Giunta la notte, tutto ridiventa permesso. Esso comincia all'alba e termina al tramonto; diversi mezzi vengono impiegati («i muezzin», i colpi di cannone, ecc...) per dare il segnale dell'inizio e della fine della giornata di digiuno135. Alcune dispense temporanee sono previste per i casi di malattia, di viaggio, di guerra santa, ecc..., ma si deve poi recuperarli con altrettanti giorni di digiuno supplementare136.



    - Il pellegrinaggio



    Esso si effettua nell'Hegiaz, e in special modo alla Mecca. Salvo dispensa (per i minorenni, per le donne prive di accompagnatore, o se incombono gravi pericoli), il pellegrinaggio è obbligatorio. Vestito di un indumento speciale, il pellegrino, costretto a determinate astinenze, effettua un itinerario rituale che lo porta in diversi santuari (al piccolo villaggio di Minà e alla valle di Arafat), compresi alcuni giri da farsi attorno alla Caàba. L'ottemperanza a quest'obbligo religioso gli consentirà, in seguito, di fregiarsi dell'invidiato titolo di «haggi» (=«pellegrino»), che egli potrà anteporre al proprio cognome. Il pellegrinaggio alla Mecca costituisce il solo centro di raduno e di coordinamento dell'islàm ortodosso mondiale, e si stima sia compiuto da circa il 10 % dei musulmani.



    q Il sesto pilastro: la guerra santa o «gihàd» (=«sforzo», «impegno»)



    - Il suo posto nell'islàm merita un approfondimento particolare



    Al termine del nostro breve escursus sulla vita di Maometto, abbiamo sottolineato l'originalità dell'islàm, che ammette - anzi esalta - l'impiego della forza, della «gihàd», a scopo proselitistico. Essendo un elemento tipico dunque dell'islàm, la guerra santa merita che le consacriamo questo capitoletto, nel tentativo di comprendere più capillarmente il suo reale significato e le condizioni necessarie per il suo esercizio; ciò tanto più che la «gihàd» continua ad essere sempre più un argomento di estrema attualità di cui spesso parlano anche i media.



    - Un pleonasmo nocivo: la «gihàd islamica»



    Da alcuni anni a questa parte, e specialmente con l'avanzare del terrorismo internazionale, si sente sempre più frequentemente parlare di «gihàd islamica». In realtà, non si tratta di «gihàd islamica», ma di gihàd senza aggettivi, in quanto questa particolarità è specifica unicamente dell'islàm . Che degli adepti dell'islàm siano - o meno - dietro a questi attentati terroristici non è cosa che ci interessi ai fini di questo studio. Ciò che vogliamo mettere in rilievo è che la banalizzazione di questo pleonasmo annida a poco a poco negli spiriti l'idea che la «gihàd» (in realtà, la gente ne ha un concetto molto grossolano) sia una pratica comune a tutte le religioni; la prova di questa asserzione sta nel fatto che si parli di «gihàd» musulmana. Da una tale argomentazione, scaturisce la necessità di una precisazione da parte nostra su questo punto.



    q Nozioni preliminari: il quadro della «gihàd»



    Per meglio comprendere il concetto musulmano di «gihàd», conviene enunciare subito tre concezioni proprie dell'islàm, che costituiscono in qualche modo le condizioni nelle quali grava l'obbligo della guerra santa. Esse sono:



    La divisione del mondo in «Dar el-islàm» ed in «Dar el-harb»;

    La «ummàh» (la comunità islamica mondiale);

    I rapporti con gli scritturali (gli ebrei ed i cristiani).



    - La divisione del mondo in Dar el-islàm ed in Dar el-harb



    Per l'islàm, il mondo è diviso in due parti:



    Il «Dar el-islàm» («dar»=«dimora», o, per esteso, «paese»): sono le regioni del mondo in cui regna già il diritto musulmano (Arabia Saudita, Algeria, Libia, Marocco, Egitto, Iran, ecc...).



    Il «Dar el-harb» («harb»=«guerra»): è costituito dalle altre regioni, considerate dai musulmani territorio di guerra. Tali zone, così come i beni dei loro abitanti, appartengono per diritto all'islàm, e si dovrà tentare tutto il possibile per farle rientrare nel Diritto non appena le circostanze lo permetteranno. Si tratta di una semplice questione di opportunità137. In realtà, si tratta dello stesso concetto attuato nelle colonie e nei protettorati europei (di un tempo); è evidente che questi territori, il regime non-musulmano è un'anomalia. Non si deve tollerarlo che per quel lasso di tempo in cui non si potrà fare altrimenti138.



    - L'«ummàh», comunità mondiale islamica



    Con «ummàh» (termine arabo che significa «madre» in senso carnale, e quasi uterino), viene designata la comunità mondiale islamica dei musulmani; la sua unificazione è, come abbiamo appena visto, la grande ambizione dell'islàm. La riunificazione mondiale dell'islàm urta contro due ostacoli che ne impediscono la realizzazione:



    Il risveglio dei nazionalismi:

    Musulmani entrambe, nazioni come, per esempio, il Marocco e l'Algeria sono separate da interessi economici, politici, militari diversi ed opposti.



    Le differenze etniche:

    Esse sono più sensibili mano a mano che l'islàm si estende a delle razze non arabe; che cosa c'è in comune - fuorché la religione - tra un musulmano dell'Arabia Saudita ed un suo correligionario dell'Indonesia? Non certamente il sangue arabo, né gli usi ed i costumi, per esempio. L'«ummàh» è una forma di solidarietà «contro i non musulmani» piuttosto che tra i musulmani stessi. Divisi tra loro, i musulmani si ritrovano uniti per combattere un avversario comune, soprattutto se essi lo annoverano nel numero degli «infedeli»; è il caso, ad esempio, del Libano, i cui Stati confinanti musulmani, nonostante siano divisi a causa di alcune divergenze, fanno - apertamente o subdolamente - causa comune contro i cristiani o, nel migliore dei casi, si astengono dal condannare le violenze di cui sono vittime. Tale fenomeno fu riscontrato anche in certi conflitti sociali esplosi all'interno dell'industria automobilistica francese alcuni anni fa; mosaico etnico a prevalenza musulmana, il personale era costituito prevalentemente da marocchini, tunisini, algerini, mauritani e turchi, spesso divisi nella vita di tutti i giorni da gelosie e da antipatie ancestrali. La C.G.T. (un sindacato francese N.d.R.) riuscì così bene nel realizzare l'unione utilizzando il catalizzatore religioso (sic!), che tutti gli operai si schierarono contro la direzione della fabbrica139, contro i quadri direttivi, contro la maestranza e, più o meno consciamente, contro il cattolicesimo.



    - I rapporti con gli «scritturali» (ebrei e cristiani)



    Il Corano è talvolta testimone della simpatia accordatagli



    Sura II (LA VACCA)

    59. «Certo, i musulmani, i giudei, i cristiani e i sabei140, che credono nel Signore e all'estremo giorno e operano il bene, ne riceveranno la ricompensa dalle sue mani: essi saranno esenti dal timore e dai supplizi» (F).



    M. Kasimirsky da sfoggio, in una lunga nota, della sua erudizione per dimostrare che bisogna guardarsi dal concludere da questo versetto che tutti gli uomini saranno salvi, purché essi credano nell'unità divina, nella vita futura e compiano buone opere, ma al contrario:



    «Qualunque sia il vero significato del versetto in esame, il sentimento generale dei dottori musulmani è che esso sia abrogato dal versetto III, 79141, e da altri passi del Corano in cui la fede in Allàh, nella vita futura e nella missione di Maometto è considerata indispensabile per conseguire la salvezza».



    Ancora una volta, sottolineiamo che ciò che conta nel farsi un'idea esatta di ogni punto-chiave dell'islàm, è conoscere la percezione che ne hanno i musulmani stessi, e non ciò che possiamo soggettivamente dedurre dai versetti del Corano, spesso così difficili da interpretare e da tradurre (o «abrogati» da altri versetti N.d.T.).



    Tuttavia, l'ostilità verso gli ebrei e verso i cristiani domina nel Corano



    Sura III (LA FAMIGLIA D'AMRAM)

    106. «[Voi musulmani] siete il popolo migliore dell'universo intero. Ordinate la giustizia, punite il delitto e credete in Allàh. Se i giudei ed i cristiani sposassero la vostra fede, avrebbero un destino migliore. Taluni di loro credono, ma la maggior parte sono perversi» (F).



    Sura V (LA TAVOLA)

    56. «O credenti! Non stringete legami con i giudei e con i cristiani. Lasciate che essi si uniscano. Chi li accetterà come amici diverrà simile ad essi, e Allàh non è la guida dei malvagi» (F).



    Sura V (LA TAVOLA)

    62. «O credenti! Non collegatevi con i cristiani, con i giudei e con gli empi che fanno del vostro culto l'oggetto delle loro beffe. Temete Allàh, se siete fedeli» (F).



    Dopo queste citazioni, affrontiamo il tema della «gihàd».



    q La Guerra Santa



    - Obbligo per i credenti



    «La guerra contro i non-musulmani [...] ha finito col diventare il «sesto pilastro» dell'islàm. Quest'ultimo deve ad essa la sua espansione, nella quale «la missione» o propaganda regolarmente organizzata ha giocato un ruolo pressoché irrilevante [...]. Essa continua ad essere considerata - al contrario del «dovere personale» - come un «dovere di sussiego», [...] un obbligo non individuale, ma che lega collettivamente la collettività»143.



    La «gihàd» diviene un dovere personale allorché tutti i fedeli vengono invitati a farne parte.



    «In teoria - prosegue Padre Lammens s.j. - la gihàd non dovrebbe mai essere interrotta, né terminare prima della sottomissione del mondo all'islàm, del quale tutti dovrebbero riconoscere la supremazia politica. Questo concetto è uno dei più incontestabilmente popolari dell'ideale islamico».



    - La guerra santa è spesso ordinata dal Corano

    Sura IX (LA CONVERSIONE)

    29. «Fate la guerra a coloro che non credono in Allàh e nell'ultimo giorno, che non vietano ciò che Allàh ed il profeta hanno proibito, e a coloro tra gli uomini della Scrittura (gli ebrei e i cristiani N.d.R.) che non professano la fede nella verità. Fate la guerra sino a che essi paghino il tributo, tutti senza eccezione, e che siano umiliati»143.



    30. «I giudei dicono che Ozai è il figlio di Allàh; i cristiani dicono lo stesso del Messia. Parlano come gli infedeli che li precedettero; che Allàh gli faccia la guerra! Essi sono dei mentitori»! (K).



    - Lo sconfitto non è obbligato a convertirsi all'islàm, che gli fissa in quel caso lo stato di «dhimmi»



    Al versetto 29 della Sura IX, abbiamo già sottolineato l'opzione teoricamente offerta all'infedele uscito sconfitto dalla «gihàd», che consiste in:



    sia convertirsi all'islàm, nel qual caso si ritiene che egli debba diventare «cittadino a pieno titolo»144;



    sia conservare la sua religione, nel qual caso gli verrà attribuito lo statuto di «dhimmi», e cioè l'aggravio di un'imposta speciale («dîme») da una parte, e dall'altra l'assoggettamento ad alcune misure discriminatorie od umilianti (vietato l'accesso alle funzioni ufficiali, proibizione di detenere un'arma, di montare a cavallo, ecc...). È il caso, ad esempio, dei cristiani copti in Egitto, dei siriaci nell'Iraq e dei greci nella Siria.



    - È dunque possibile parlare di un islàm tollerante?



    Se la storia è ricca di esempi sanguinosi di guerre sante musulmane, non mancano altre situazioni in cui l'islàm, trionfante e saldamente installato, ha dato prova di magnanimità verso i popoli cristiani assoggettati, o ha chiesto il loro concorso per la realizzazione di alcuni progetti di cui non possedeva le capacità tecniche. Questo fu, ad esempio, il caso della Spagna. Carra de Vaux, dopo aver scritto che,



    «[...]l'apostolato facendo uso della forza è dunque ammesso da questa religione, e ciò costituisce uno dei tratti che gli conferisce un aspetto molto barbaro...»



    minimizza la sua precedente affermazione aggiungendo che,



    «[...] bisogna tuttavia riconoscere che, in pratica, le autorità musulmane hanno spesso usato molta tolleranza nei confronti di quei cristiani che avevano sconfitto...»145



    Senza dubbio, non si deve generalizzare abusivamente; resta tuttavia da domandarsi se il termine «tolleranza» sia esatto per qualificare - in ogni epoca - una condiscendenza verso i non-musulmani che esiga comunque le contromisure viste poc'anzi. È anche altrettanto vero che, ai nostri giorni ed in certe regioni del mondo, tale coercizione è stata apparentemente attenuata, ed è stata adottata una forma di persecuzione più insidiosa e larvata. Così, in alcuni Stati centrafricani passati sotto il governo islamico, il cristiano (o l'animista) che desidera ottenere un posto nell'amministrazione, o che si appresta a sostenere un esame universitario, ha doppiamente interesse - come ci è stato spesso riportato - a convertirsi per tempo o almeno esteriormente all'islàm. Infine, quando si viene a conoscenza dei divieti cui sono soggette le più piccole manifestazioni di appartenenza cristiana in quei paesi arabi in cui l'islàm regna incontrastato - come, per esempio, in Arabia Saudita - non ci si può astenere dal sorridere sentendo parlare di «tolleranza»!! Per non citare che qualche esempio, riporto ora alcuni fatti basati sulla testimonianza di persone degne di fede e, per di più, non particolarmente praticanti: il divieto assoluto di portare un crocifisso, di portare nei bagagli una Bibbia, di festeggiare il Santo Natale mettendo delle ghirlande di lampadine alle finestre, e persino di fare il cenone natalizio al ristorante, ecc... Che si smetta dunque una volta per tutte di alterare l'immagine dell'islàm; il vero volto che esso porta è quello che esso stesso si è dato e che intende certamente conservare146.



    - Non c'è martirio che nella «gihàd»



    La nozione di martirio non è concepita che nel quadro della «gihàd»: «martire («shaìd») è quel musulmano che cade durante la «gihàd», e che «è ucciso dopo aver ucciso»147. L'islàm trae questo concetto di martirio dal seguente versetto del Corano:



    Sura IX (LA CONVERSIONE)

    112. «Allàh ha ricomprato la vita e gli averi dei fedeli, il cui prezzo è il paradiso. Combatteranno e uccideranno i loro nemici, e cadranno sotto i loro colpi» (F).



    3. LE ISTITUZIONI



    Come faceva notare Padre Lammens s.j., «l'islàm è essenzialmente una religione legale»147. La fede basta a tutto. Essa non ha bisogno che di interpreti (dottori, uléma, ecc...) e di un potere temporale che la mette in pratica. Così, non ci si stupisce nel non trovare nella religione islamica né una liturgia, né un clero e né una gerarchia ecclesiastica; in una parola, nulla che assomigli ad un potere spirituale distinto dal potere temporale.



    - Niente liturgia



    «Questa lacuna viene particolarmente dissimulata da un rituale minuzioso che regola l'esercizio della preghiera e del pellegrinaggio, mediante delle complicate prescrizioni relative alla purezza legale»148.



    Molto meno prescrizioni regolano, ad esempio, la preghiera collettiva del venerdì.



    - Niente sacramenti



    L'islàm non conosce né il battesimo, né la Comunione, né la confessione, ecc... La circoncisione è un semplice atto rituale che non esige l'intervento di alcun ministro del culto; al limite, un barbiere è più che sufficiente. Il matrimonio musulmano è privo di carattere religioso: il cadî basta alla sua registrazione. Di conseguenza:



    - Niente clero



    L'islàm non può ammettere un sacerdozio intermediario, gerarchico ed unico dispensatore di grazie spirituali. Quest'ultimo concetto, così come la necessità di una gerarchia ecclesiastica, gli sembrano inconciliabili con i diritti imprescrittibili e con il dominio assoluto di Allàh sulle sue creature150. Anche il protestantesimo più rigido, messo a confronto con questo monoteismo intransigente, che esclude ogni intermediario tra l'uomo ed il suo Dio, sembra una religione quasi sacerdotale151.



    I ministri che esercitano presso le moschee (muftì, imàm [=«modello», «esempio» o «guida»] e muezzin) non possono essere paragonati ad un clero; essi non sono che dei semplici funzionari (che in Marocco, ad esempio, vengono stipendiati dallo Stato). Secondo l'Enciclopedia «Robert», il califfo è «un sovrano musulmano, successore di Maometto». Questa definizione sottolinea adeguatamente l'assorbimento dello spirituale nel temporale; è un sovrano - ossia un capo politico - che viene considerato come un successore di Maometto. «Sentinella avanzata dell'islamismo», egli non è un pontefice, ma il difensore laico della «sharìa».



    - Nell'islàm, il temporale assorbe lo spirituale



    O più esattamente, come scrisse Ernest Renan - un personaggio, come abbiamo visto, certamente non sospetto di simpatie verso la Chiesa - «per il musulmano, spirituale e temporale sono inseparabili». Alcuni esempi attuali, illustrano questo concetto così tipico dell'islam. È il Ministero dell'Educazione Nazionale del Regno del Marocco che ha fatto pubblicare l'«Istruzione islamica» ad uso delle scuole secondarie; v'immaginate l'attuale ministro della Pubblica Istruzione nell'atto di promuovere un catechismo ad uso dei licei francesi? Porre una domanda, comporta anzitutto darle una risposta! Un «telegiornale» della televisione ufficiale di uno Stato musulmano africano è stato recentemente mandato in onda da una emittente televisiva francese; lo schermo si è illuminato, ed è apparso il volto bruno del presentatore che, prima di tutto, ha recitato in arabo la seguente formula: «Lodato sia Allàh, Potente e Misericordioso», seguito dal «buonasera» ai telespettatori e dal notiziario; sui nostri schermi, un simile preambolo avrebbe provocato una sommossa telefonica!! In precedenza, abbiamo parlato del «Messaggio per l'Anno Nuovo» che Gheddafi ha creduto di dover indirizzare ai capi di Stato del mondo intero all'inizio del 1984; vistane l'importanza, tale documento è riportato in Appendice al termine del presente studio152. Come si potrà constatare, questo messaggio non contiene nient'altro che un'esortazione a leggere il Corano - citato spesso dallo stesso Colonnello - per conoscere la verità... su Cristo e sul Vangelo! Certamente, altri capi di Stato - come ad esempio l'ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan - non hanno esitato in più occasioni a parlare di Dio nei loro discorsi ufficiali. Tuttavia, Gheddafi fa del tema religioso il motivo centrale e quasi esclusivo del suo «messaggio» e - aldilà degli atteggiamenti eccessivi, e talora paranoici del noto leader libico - resta che solo un capo di Stato musulmano può, soprattutto ai nostri giorni, permettersi il lusso di un tale gesto senza esporsi al rischio di essere universalmente ridicolizzato dai mezzi di comunicazione.







    CAPITOLO VII





    LA DONNA NELL'ISLÀM



    Il lettore non rimarrà certamente sorpreso dal fatto che consacriamo un intero capitolo di questo opuscolo alla condizione della donna musulmana. Una civiltà si caratterizza anche dalla maniera in cui essa concepisce il ruolo assegnato alla donna nella società. Andiamo dunque ad esaminare il posto e lo statuto riservati alla donna nel Corano, il quale le attribuisce numerose prescrizioni, limitandoci a citare alcuni esempi.



    1. SUPERIORITÀ DELL'UOMO SULLA DONNA



    - Fondamento dottrinale di questa superiorità



    Il dogma della superiorità maschile è enunciato dal Corano al seguente versetto:



    Sura IV (LE FEMMINE)

    38. «Gli uomini sono superiori alle donne perché Allàh diede loro il predominio sopra di esse, ed essi le dotino dei loro beni. Le donne devono essere obbedienti e tacere i segreti dei loro sposi, poiché il cielo le ha destinate alla loro custodia. I mariti che abbiano a soffrire la loro disubbidienza possono castigarle, abbandonarle sole nel loro letto ed anche picchiarle. La sottomissione delle donne deve porle al sicuro dai maltrattamenti. Allàh è grande e sublime» (F).



    Così, questa superiorità153 si fonda su due cause di ordine decrescente:



    La volontà divina, che conferisce all'uomo - se così si può dire - una superiorità «essenziale»;

    Il fatto che il fidanzato versi la dote al padre della sua futura sposa, contrariamente a ciò che accadeva fino a pochi anni fa nella nostra società.



    Nella logica musulmana, è dunque normale che l'uomo goda di una certa superiorità - e di diritto - sull'essere che ha acquistato pagandolo.



    - Le donne sono imperfette



    Sura XLIII (L'ACCONCIAMENTO)

    17. «L'Eterno sarà forse il padre di un essere capriccioso, di una figlia la cui giovinezza trascorre tra gli ornamenti e tra i vezzi?»154



    - Lo «shadòr» (il velo portato sul viso) è prescritto dal Corano



    Sura XXX (I GRECI)

    57. «O profeta! Prescrivi alle tue spose, alle tue figlie e alle mogli dei credenti di lasciar cadere un velo sul loro volto. Esso sarà il segno della loro virtù, ed un ritegno contro i discorsi della gente. Allàh è buono e misericordioso» (F).



    - La nascita di una figlia è considerata come una disgrazia



    Insorgendo contro il politeismo dei suoi contemporanei, Maometto si indignava specialmente per il fatto che il loro Pantheon comprendesse tre divinità femminili!!! Da qui, le sue invettive contro i meccani:



    Sura XLIII (L'ACCONCIAMENTO)

    15. «Allàh avrebbe preso delle figlie tra le sue creature, e vi avrebbe scelto come suoi figli?

    16. E tuttavia, quando si annuncia ad uno di voi la nascita [di una figlia] la sua figura si copre di tristezza ed egli è oppresso dal dolore» (K).



    Nell'Hegiaz preislamico, vigeva l'usanza presso certe tribù di uccidere le figlie dalla nascita, bruciandole o seppellendole vive155. La venuta dell'islàm mise fine a queste pratiche, evocate e condannate dal Corano.



    - Le donne avranno accesso in Paradiso?



    Il solo fatto che gli obblighi religiosi siano imposti anche alle donne, permette di pensare che, contrariamente ad un'opinione diffusa presso alcuni studiosi occidentali, l'accesso al Paradiso musulmano non sia affatto riservato ai soli uomini. Tuttavia, ci chiediamo: come può l'islàm conciliare ciò con la presenza delle hùri, di queste vergini perenni promesse ai credenti maschi? Si tratta di una questione alla quale siamo incapaci di dare una risposta, e che, a dire il vero, saremmo tentati di porre a un musulmano.



    2. MATRIMONIO E POLIGAMIA



    - Le donne sono state create da (e per) gli uomini



    Sura XXX (I GRECI)

    20. «La creazione delle vostre femmine, formate con il vostro sangue, perché dimoriate insieme, [...] annunciano la sua bontà a quelli che riflettono» (F).



    - Essi ne dispongono a loro piacimento



    Sura II (LA VACCA)

    223. «Le vostre donne sono il vostro campo. Coltivatelo ogniqualvolta vi piacerà» (F).



    - La poligamia è autorizzata, ma limitata a quattro mogli



    Nell'Hegiaz, la poligamia preesisteva all'islàm, il quale la conservò e regolò nel Corano:



    Sura IV (LE FEMMINE)

    3. «Se temete di essere ingiusti verso gli orfani, temete di esserlo anche verso le vostre donne. Non sposatene che due, tre o quattro»156.



    Nonostante il carattere relativamente condizionale di questo versetto, è su esso che si fonda la regola che limita a quattro (più le concubine che non si contano157) il numero delle spose che può avere simultaneamente un musulmano. Molti sono i versetti che trattano del matrimonio; vediamoli brevemente.



    - Il Corano proibisce il matrimonio entro certi gradi di parentela



    Il versetto 27 della Sura IV (LE FEMMINE), proibisce al credente di sposare sua madre, le sue figlie, le sue sorelle, le sue sorelle, le sue zie, le sue nipoti, le sue nutrici, le sue matrigne, e di sposare due sorelle.



    - Ma Maometto beneficiò di alcune deroghe



    Sura XXXIII (I CONGIURATI)

    47. «O Profeta! Ti è concesso di sposare le femmine che avrai dotate, le prigioniere che Allàh fece cadere nelle tue mani, le figlie dei tuoi zii e delle tue zie che fuggirono con te, ed ogni femmina fedele che ti aprirà il suo cuore. È un privilegio che noi ti concediamo. Conosciamo le leggi del connubio che stabilimmo per i credenti. Non temere di essere colpevole usando dei tuoi diritti. Allàh è buono e misericordioso»158 (F).



    - Come bisogna trattare le spose



    Sura IV (LE FEMMINE)

    23. «O credenti! (...se ripudiate una donna, non riprendetevi la sua dote...) Siate buoni nel vostro modo di agire verso di loro. Se tra le vostre donne ve n'è una per la quale provate indifferenza, può darsi che proviate indifferenza per una cosa nella quale Allàh ha deposto un bene immenso» (K).



    - Il castigo delle donna adultera



    Sura IV (LE FEMMINE)

    19. «Se qualche vostra moglie è caduta in adulterio, chiamate quattro testimoni. se le loro testimonianze concordano contro di lei, chiudetela in casa vostra, sino a che la morte consumi la sua carriera mortale» (F).



    - Esso è meno severo per la donna schiava



    A quest'ultima, infatti, il Corano prescrive di non infliggere che la metà della pena, il che dimostra che la sanzione per l'adulterio non sia affatto la morte.

    - Ma è più severo per le spose di Maometto



    Sura XXXIII (I CONGIURATI)

    28. «O spose del Profeta! Se qualcuna di voi si macchia di un delitto, subirà un castigo più rigoroso. Tale vendetta è facile per Allàh» (F).



    - Il ripudio (in arabo «talaq») è autorizzato



    In effetti, «Allàh non vi castigherà per una parola sfuggita nei vostri giuramenti» (Sura II, 225). Esso è oggetto di meticolose prescrizioni, delle quali ne riportiamo alcune:



    Sura II (LA VACCA)

    228. «Le donne ripudiate lasceranno passare il tempo di tre mestrui prima di risposarsi. Esse non devono nascondere di essere gravide, se credono in Allàh e nel giorno del giudizio. È più equo allora che il marito le riprenda, se desidera una sincera riconciliazione. Bisogna che le femmine si contengano con conveniente decenza e i mariti abbiano superiorità su di loro».

    229. «Il ripudio non avverrà che due volte. I mariti custodiranno le loro donne con umanità e le rinvieranno con giustizia».

    230. «Chi ripudierà tre volte una donna non potrà riprendersela se non dopo che essa avrà giaciuto con un altro sposo che l'avrà ripudiata» (F).



    3. La situazione della donna musulmana è cambiata?



    La donna è ancora ritenuta inferiore all'uomo? La sua condizione nei paesi islamici è ancora regolata dalle norme che abbiamo appena letto? Nelle sue manifestazioni esteriori, la concezione musulmana dello stato della donna (lo «shadòr», le relazioni con l'esterno, la partecipazioni ad attività salariate, ecc...) varia sensibilmente da uno stato all'altro. Presso alcuni di essi, essa tende - anche se fino ad un certo punto - a divenire meno rigida e più liberale. Se da una parte rimane molto difficile distinguere tra l'evoluzione apparente e l'immobilismo reale di fondo, dall'altra, determinate correnti tendono a ripristinare le regole coraniche e tradizionali laddove sembrava che si fossero attenuate. Lo studio caso per caso di queste situazioni ci porterebbe oltre i limiti assegnati a questo studio. Ecco tuttavia qualche esempio che ci aiuterà a farcene un'opinione.



    q All'estero



    - Evoluzione verso uno statuto più liberale?



    In Tunisia, esso è già stato realizzato; nondimeno, alcuni giovani tunisini esponevano di recente - e non senza veemenza - ad un nostro amico di passaggio a Sfax, che essi contestavano il lassismo dei costumi europei, e che intendevano agire in favore di un ritorno alle regole dell'islàm autentico. Essi aggiungevano: «Non vogliamo che le nostre donne diventino delle p... come le francesi del Club Méditerranée sulle nostre spiagge». In Algeria, si dice che il nuovo Codice della famiglia sia più liberale per la donna; questo è almeno ciò che leggevamo su di una piccola rivista parrocchiale dell'Est della Francia, che salutava questo avvenimento. Tuttavia, un mese dopo ci venne mostrata una vigorosa protesta di un club algerino di donne (esistono dunque dei club femminili?) che denunciava l'ipocrisia dei compilatori «maschilisti» di questo nuovo Codice! Sotto apparenze liberali - esse accusavano - questo Codice rappresenta in realtà per la donna musulmana un balzo indietro di molti secoli!! Dobbiamo credere alla rivista parrocchiale o a queste contestatrici? A nostro avviso, più alle seconde, molto più addentro alla questione della prima...



    q Immobilismo, status-quo coranico?



    In uno Stato dell'Arabia, la tariffa delle indennità che il responsabile di un incidente mortale automobilistico deve versare alla famiglia della vittima è stato recentemente reso noto; ciò che ci ha colpito maggiormente non è stata né la moneta corrente, né le cifre precise, ma le seguenti proporzioni:



    Vittima musulmana uomo: 1.000

    donna: 500



    Vittima non-musulmana uomo: 250

    donna: 125



    Un giovane industriale francese, di ritorno dalla Giordania, dove aveva trascorso qualche settimana, ci raccontava: «Alcune ragazze francesi hanno sposato dei giordani molto simpatici, conosciuti a Parigi alla facoltà universitaria. Ma, ahimè, arrivate ad Amman (capitale di questo Stato), ebbero una terribile delusione: esse furono immediatamente rifiutate dalla famiglia (in quanto sono e resteranno cattoliche); nessuna relazione o amici furono tollerati, che non fossero donne. Così isolate, esse si consacrarono ai loro bambini (messi al mondo in serie, uno all'anno), ma ahimè un'altra volta, non gli furono lasciate che le figlie, mentre i figli maschi gli furono sottratti per essere cresciuti nell'islàm»; casualmente, alcune di queste ragazze scoprirono all'arrivo «che il loro marito era già sposato, senza che egli le avesse messe al corrente».



    q In Francia



    - Un'evoluzione apparente



    A contatto con la nostra società, tali concezioni si indeboliscono nell'immigrato musulmano? In effetti, sembra che ci sia stata un'evoluzione, naturalmente più profonda in quelli della 2ª generazione159 e, ancor di più, in quelli della 3ª. Sempre più spesso, si vedono delle donne musulmane svolgere all'esterno mansioni, o commissioni che i loro mariti, al lavoro, non possono portare a termine: fare un vaglia postale, spingere un carrello in un supermercato, ecc... ma ciò avviene in Francia, al di fuori del contesto religioso familiare e tribale del luogo di provenienza; le stesse donne, ricondotte in questo contesto, oserebbero comportarsi in questo modo? È lecito dubitarne, quando si sentono alcuni immigrati raccontare i loro ricordi di soggiorno. Laggiù, non si permette ciò che invece qui è permesso, perché mal visto dalla famiglia.



    - Ma la situazione di fondo ed i riflessi sussistono



    Ecco, tra i tanti, un esempio significativo. In occasione di un conflitto sociale che interessò uno stabilimento della Renault della regione parigina, un'emittente televisiva francese invitò un membro del personale di questa industria - un marocchino di circa 35 anni, delegato sindacale della C.G.T. - a venire ad esprimere le proprie opinioni di fronte alle telecamere. Trattandosi di una trasmissione molto seguita (mandata in onda alle 20,00), la C.G.T. aveva scelto accuratamente il suo uomo: egli diede prova di una perfetta disinvoltura e si espresse molto bene. Si assistette, dunque, alla solita requisitoria contro i vice-responsabili, contro i responsabili, contro la Renault, contro la Francia, ecc.... Niente di più normale. Poi l'intervistatore entrò nell'ambito familiare:



    Intervistatore - «Parliamo di voi, signore: siete sposato»?

    MAROCCHINO - «Sì».

    INTERVISTATORE - «Avete dei figli»?

    MAROCCHINO - «Sì, tre...»

    INTERVISTATORE - «Dei maschi o delle femmine»?

    Il volto del musulmano si incupì bruscamente:

    MAROCCHINO - «Tre femmine - rispose seccato - di 11, 13 e 15 anni».

    INTERVISTATORE - «Le lasciate uscire dopo la scuola»?

    MAROCCHINO - «Ah, no»!!!

    Il grido accorato - riflesso - sgorgò istantaneamente senza che egli riuscisse a controllarsi, facendo una gaffe davanti a milioni di telespettatori francesi. Eppure egli stato «addestrato» ed aveva seguito i corsi della C.G.T. (registratore e dialettica); qualche attimo di esitazione, ed il meccanismo funziona:

    MAROCCHINO - «Ah, no!!!... perché... perché... se ci sono dei vetri rotti nella casa, si dice ancora che «sono sale arabe»!!



    In uno studio realizzato dalla rivista Documentation Française160 sono stati segnalati come «spesso drammatici e pertanto offesa ai diritti della persona» i casi di adolescenti musulmane sottratte dopo i 15 anni d'età, alla scuola dell'obbligo su presentazione di un certificato medico attestante che la madre affaticata aveva bisogno di un aiuto in casa. È facile intuire che lo stato della madre non sia altro che un pretesto, e che in realtà si tratti di un'applicazione della tradizione musulmana; la figlia deve restare in casa finché resta nubile161.



    q La condizione della donna non sembra evolversi



    Alcuni autori si danno molta pena per convincersi che, contrariamente ad un'immagine molto diffusa, l'islàm ha fatto molto per la liberazione della donna. Così, ad esempio, scrive Marc Bergé:



    «L'islàm ha liberato la donna, ma l'ha protetta eccessivamente [...]. Tuttavia, l'uguaglianza di base tra l'uomo e la donna, e tra tutti gli esseri umani, è suggerita nel Corano quando si parla della creazione: «Temete Allàh che vi ha creati con lo stesso soffio, e che con questo stesso soffio ha creato una coppia da cui derivano molti uomini e molte donne»162. Nondimeno, qualunque sia il bisogno di liberazione che ancora oggi prova la donna musulmana, è importante misurare tutto ciò che l'islàm ha apportato all'essere umano - uomo o donna che sia - quanto a dignità ed uguaglianza. Le prescrizioni riguardanti la donna «rappresentano, nel momento, nel momento in cui il Corano fu rivelato, la legislazione più «femminista» del mondo civilizzato»163. [...] In nessuna civiltà si può affermare che, sul piano del diritto, la donna e l'uomo siano stati definitivamente liberati»164.



    La lettura dei versetti del Corano, oltre all'osservazione costante dei fatti, porta a delle conclusioni sensibilmente diverse da quelle formulate da questo autore. L'islàm è una religione fatta da un uomo, regolamentata da lui e da altri uomini, a beneficio di altri uomini. Nessuno stupore, dunque, quando constatiamo la naturale ripugnanza di questi stessi uomini a modificare la condizione della donna, e che l'evoluzione dell'islàm a questo riguardo sembri così lenta rispetto a ciò che avviene nelle altre società.





















    CAPITOLO VII





    LA PRINCIPALE SETTA DELL'ISLÀM:

    GLI SCIITI





    Lo studio delle numerose sette165 che dividono l'islàm ci sembra oltrepassare i limiti di questo studio. Ad ogni buon conto, l'importanza dello scisma sciita merita che gli consacriamo questo breve capitolo. Il principale gruppo ad essersi distaccato dall'islàm ortodosso all'indomani della sua costituzione, più che una setta costituisce una delle maggiori tendenze dell'islàm. Il mondo musulmano è in effetti tagliato in due tronconi: i sunniti, ovunque in maggioranza (tranne che nell'Iran e in Iraq), e gli sciiti. Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in sette e sotto-sette. A grandi linee, ci limiteremo ad analizzare quelle che si oppongono al sunnismo.



    1. Origini degli sciiti



    Il termine «sciita» deriva dalla parola «shìa», che in arabo significa «partito». Originariamente, si trattava dei seguaci di Alì, della «shìa Alì».



    q All'origine, dissensi sulla successione



    «Al contrario di quello che è accaduto per il cristianesimo, non si tratta di diatribe dottrinali, ma di dissensi politici che hanno immediatamente dato vita agli scismi e alle eresie in seno all'islàm»166.



    Per gli sciiti, l'«imàm»167 (l'equivalente sciita del califfo) dev'essere scelto non solo nella parentela, ma nella filiazione diretta di Maometto, che riservò tale dignità ai soli discendenti di Alì e e di Fatìma. Ora, (come abbiamo visto al Capitolo III) il gruppo di fedeli incaricato di designare i primi successori di Maometto scartò per ben tre volte la candidatura di Alì. A causa di questo, i califfi vengono considerati dagli sciiti degli usurpatori. Tali divisioni diedero a loro volta origine a lotte sanguinose durante i primi due secoli dell'ègira, lotte che ebbero le loro ripercussioni anche sul piano religioso.



    q Le ripercussioni religiose



    Gli sciiti fecero degli «alidi» uccisi in combattimento dei veri e propri martiri; la morte di Husayn (morto nel 680), nipote di Maometto, caduto in combattimento durante gli scontri di Kerbela, nei paesi sciiti, è ricordata con un giorno di lutto nazionale. La sua tomba - e quella di Alì - sono per gli sciiti dei luoghi di pellegrinaggio sacri allo stesso modo in cui lo sono tutte le città sante dell'Hegiaz. Ma questa non fu l'unica ripercussione.



    3. TRATTI CARATTERISTICI DEGLI SCIITI



    q Credenza sciita nell'«imàm invisibile»



    Secondo la tradizione sciita, il secondo discendente di Husayn sarebbe misteriosamente scomparso in un sotterraneo all'età di 10-12 anni, senza lasciare discendenti. Onde sopperire a questa «vacanza», gli sciiti hanno inventato la teoria dell'«occultamento»: essi credono nell'esistenza di un «imàm» invisibile, immortale e presente, al quale giurano fedeltà oltre che ad Allàh e a Maometto. Tale fedeltà è posta allo stesso livello dei «cinque pilastri». Nel libro168 scritto da Khomeiny durante il suo soggiorno a Neauphle-le-Chateau, che costituisce un sorta di Mein Kampf, il termine «occultamento» ritorna spesso sotto la penna dell'ayatollàh. Inoltre, le assemblee sciite iniziano con preamboli di questo genere: «In presenza dell'imàm invisibile, ci riuniamo...». Recentemente, un dignitario sunnita si faceva beffa di questi sciiti arretrati che «tutti i venerdì portano un cavallo bianco sellato alla moschea di Kerbela, in attesa dell'imàm; poi, siccome l'imàm non arriva, si riconduce il cavallo alla scuderia, e ciò accade ormai da secoli».



    q A parte questa, le differenze sono minime



    Le diversità o i disaccordi tra i sunniti e gli sciiti - eccetto il problema della successione - si limitano ad alcuni dettagli relativi alle abluzioni rituali e ai funerali.



    q Ripartizione mondiale degli sciiti



    Essi sono disseminati un po' ovunque, e principalmente nello Yemen del Nord, ma sono ampiamente in maggioranza in Iraq ed in Iran. Il territorio di questi due paesi ricopre grosso modo quello dell'antica Persia. Alcuni storici ritengono che i persiani subirono l'islamizzazione, ma rifiutarono di essere «arabizzati», e dunque non accettando che un imàm-califfo discendente autentico del fondatore dell'islàm, e non gli intriganti meccani. La dottrina sciita avrebbe costituito per essi una forma di protesta e di originalità. Da notare che Husayn, l'eroe degli sciiti, annoverò fra le sue spose una figlia dello scià di Persia.



    «Il movimento dei «musulmani neri» (Black Muslims) venne fondato nel 1932 a Detroit, negli Stati Uniti, da Eliyah Poole, alias Eliyah Mohammed (1897-1975). Oltre a Eliyah Mohammed, due altre persone hanno avuto un ruolo di grande importanza per la nascita del movimento: si tratta dell'ex pugile Cassius Clay, alias Mohammed Alì e di Malcom Little, alias Malcom X (la X sta per «ex slave»=«ex schiavo»). Fine comune di tutti musulmani neri è comunque il governo della terra da parte dei neri. Motivazione religiosa di questo obiettivo è il fatto che Allàh, all'origine del mondo, creò solo uomini neri. Solo più tardi, quando egli promise agli «eruditi degli inferi» di compiere esperimenti, vennero creati da Yakub (=Satana) i cosiddetti «diavoli bianchi», la cui origine risale a circa 6.000 anni fa. Scopo della storia è quindi quello di reintegrare i neri negli originali diritti facendo di loro i «signori permanenti della terra». L'avversione ai bianchi si traduce anche in attacco frontale alla loro religione, il cristianesimo. Malcom X disse: «Persino la religione manifesta la supremazia che i bianchi ritengono di possedere: il loro Gesù è bianco! La Madonna è bianca, gli angeli sono bianchi! Tutto è bianco! Solo il diavolo è nero»! E in un altra occasione aggiunse: «Tutto ciò che il cristianesimo ha fatto per i neri è questo: li ha tenuti in schiavitù»!



    (Cfr. Enciclopedia delle religioni, v. MUSULMANI NERI, pagg. 599-601).







    CAPITOLO IX



    ASCETISMO E MISTICA NELL'ISLÀM:

    IL SUFISMO



    Tutto quanto abbiamo fin qui visto porta a pensare a priori che l'islàm non incoraggi il musulmano ad allontanarsi dal quadro del dogma stretto e da un ritualismo rigoroso, per poter sviluppare l'unione spirituale dell'anima con Allàh; tale cammino - passando per l'ascesi - costituisce il fondamento di molte religioni, e com'è noto, anche del cristianesimo. Occorre tuttavia chiedersi se, ed in quale misura, alcuni musulmani abbiano tentato di provare quest'esperienza mistica.



    1. L'ISLÀM È UNA RELIGIONE MISTICA?



    q L'islàm condanna la vita monastica



    Sura LVII (IL FERRO)

    27. «... sono loro [i cristiani] che hanno inventato la vita monastica; noi non abbiamo prescritto che di piacere ad Allàh...» (K).



    Aggiunge M. Kasimirsky:



    «Come abbiamo visto, Maometto condanna la vita monastica; si tratta di un aforisma ripetuto spesso dai musulmani: Là rahabaniïeta fil-islàmi, punto di vita monastica dell'islàm»169 .



    q Nel Corano non si parla affatto di mistica



    «Il Corano non tratta per nulla la questione mistica. A dire il vero, Maometto ed i suoi primi discepoli non furono dei mistici, ma semplicemente degli uomini animati da una viva fede, sensibili a due o tre concetti fondamentali: l'unità e la potenza divina, la sopravvivenza dell'anima e la retribuzione nell'aldilà. Essi non erano affatto abituati a coltivare la vita interiore, ma erano dei guerrieri»170.



    q L'islam non è una religione interiore



    «Il Corano, con le sue stipule legali, con i suoi inviti alla guerra santa, e con le sue invettive contro gli infedeli, non sembra eccitare la sensibilità interiore e propriamente spirituale. La sharìa - prosegue Padre Lammens s.j. - non legifera per il foro interno. Essendo una disciplina sociale ed una sorta di legge superiore, essa si limita a riunire tutti i fedeli attorno ai riti e alle osservanze della comunità islamica, senza curarsi di entrare nei dettagli della vita interiore [...]. Essa non esamina e non sorveglia che l'adempimento delle forme esteriori e delle modalità rituali»171.



    2. IL SUFISMO



    q Origini del sufismo



    Alcune spiriti reagirono alla rigidità imposta dall'islàm; fu così che nacque la disciplina del sufismo.



    «Questi fedeli aspiravano ad un'esperienza personale più intensa delle verità religiose, che avrebbe dovuto facilitare l'ascesa graduale dell'anima verso Allàh. Tali tendenze, quasi per nulla soddisfatte dall'islàm ufficiale, sfociarono nella nascita di una disciplina mistica, il «Tasawwuf», o sufismo»172.



    q Misticismo ed influenze cristiane. Ghàzàlì



    Il più celebre dei rappresentanti del sufismo ortodosso è Abù-Hàmid al-Ghàzàlì (1058-1111), teologo, giurista e filosofo. Il sufismo, così come egli lo preconizzò, presenta strane analogie con il cristianesimo, di fronte al quale egli non esitò a proclamare la propria simpatia. Esso esortava il credente alla vita interiore, proclamava la necessità di «vincere sé stessi», consigliava la scelta di un direttore spirituale, la pratica della penitenza, l'esame di coscienza quotidiano, e tutti quei metodi che concordano in maniera singolare con quelli che più tardi applicò il fondatore della Compagnia di Gesù, Sant'Ignazio di Loyola (1491-1556)! Tale conversione interiore non poteva operarsi che grazie all'esercizio della meditazione, ed i consigli di Ghàzàlì si avvicinavano molto a quelli di Sant'Ignazio, tanto nella forma, quanto nella sostanza; vi si ritrova lo stesso incitamento alla prudenza e alla diffidenza verso sé stessi.



    «Secondo Ghàzàlì, la vita spirituale trova il suo alimento più sostanziale nella meditazione, o «tafakkor». Si applicano le tre potenze dell'anima: memoria, intelligenza e volontà [...]; essa inizia con la «composizione di luogo» [...]. Si consiglia di evitare di perdersi in inutili speculazioni teologiche [...]. L'importante è trarne risoluzioni pratiche [...]. Se si vogliono evitare le illusioni o i dubbi contro la fede, si raccomanda anche di non scegliere come materia di contemplazione l'Essenza divina»173.



    q Il sufismo; eccessi e deviazioni



    In assenza di una qualsiasi gerarchia, la temperanza consigliata dal saggio Ghàzàlì non venne osservata ovunque:



    «Ciò che mancò al sufismo - afferma Maurice Barrès - fu la sorveglianza da parte di una gerarchia debitamente autorizzata. Come nel cattolicesimo, il suo intervento avrebbe captato la fonte, e l'avrebbe incanalata prima che essa divenisse un torrente fangoso in piena. Essa avrebbe inoltre imposto il rispetto di regole morale, scoraggiando un'estasi sterile che non fosse un mezzo di perfezione»174.



    q Le sanzioni dell'islàm ortodosso



    Fin dal 922, dato che le confraternite di questa natura si moltiplicavano, l'ortodossia islamica decise di colpire inesorabilmente questa setta, condannando a morte Husayn ibn Mansur al-Hallàg (858-922), il più celebre degli adepti del sufismo, secondo il quale la sofferenza è la grande forza nella quale si manifesta lo stesso Allàh; flagellato, mutilato ed appeso ad una croce, egli fu infine decapitato, ed il suo cadavere venne bruciato. Tuttavia, il sufismo non tardò ad inoltrarsi contemporaneamente nell'esoterismo e nella ricerca della più stravagante illuminazione (vedi, ad esempio, le pratiche dei dervisci ai nostri giorni175). Tali deviazioni servirono come pretesto ai musulmani ortodossi, e gli permisero di adottare delle misure contro il sufismo (e contro le diverse confraternite mistiche che ne erano derivate), troppo nettamente colorate di cristianesimo. Così, ad esempio, in Egitto, i sultani, oltre a sorvegliare la dottrina dei sufi, nominarono uno «sceicco» supremo onde evitare la loro entrata nella vita politica. L'Impero ottomano li ha sempre trattati con diffidenza, anche se li ha utilizzati per la propaganda panislamica. L'attuale governo dell'Egitto ha mantenuto l'istituzione dello «sceicco» supremo delle confraternite sufi.



    q Regressione attuale del sufismo



    Ma Padre Lammens s.j., osservando questo declino, evidenzia il fatto che esso è soprattutto accentuato nei paesi musulmani aperti agli influssi occidentali.



    q Influenza della massoneria in questa regressione



    È noto il ruolo determinante della setta massonica nella laicizzazione della Turchia con l'avvento del kemalismo176, di cui essa fu l'ispiratrice e l'organizzatrice:



    «Furono le logge del Partito «Unione e Progresso» che prepararono il Movimento della Giovane Turchia e l'avvento del kemalismo. La massoneria penetrò profondamente l'élite musulmana, senza tralasciare i circoli dei Salafyya, pilastri portanti dell'ortodossia ufficiale di tutte le confraternite e organizzazioni sufi, confiscando i loro beni»177.



    q Sull'essenziale, il sufismo resta radicalmente separato dal cristianesimo



    Dopo ciò che abbiamo appreso circa le ispirazione iniziali del sufismo e sul metodo «pre-ignaziano» preconizzato da Ghàzàlì, il lettore cristiano non è forse preso da una dolorosa emozione? Non vede forse nel sufismo la grande «occasione mancata» dall'islàm? Percependo punti in comune con la propria fede, non è forse tentato di dire fra sé che, poiché questi fratelli sembrano così vicini, forse un giorno il sufismo li condurrà alla verità integrale? Al fine di essere più obiettivi possibile, bisogna fare attenzione, e ben misurare quanto l'ostacolo che sbarra questa strada sia, almeno per ora, insormontabile. Esso è stato posto da Ghàzàlì stesso, ahimè, insufficientemente illuminato, il quale lo ha eretto allorché la simpatia e l'attrazione che provava verso il cristianesimo, gli hanno ispirato queste parole:



    «Il cristianesimo potrebbe essere l'espressione assoluta della verità, se non fosse che per il suo dogma della Trinità, e per la sua negazione della missione divina di Maometto»178.



    Si noti come Ghàzàlì, con questa frase, sia rimasto interamente fedele alla «shahàda», la professione di fede dell'islàm.



    «... Allàh è Unico» (niente Trinità).

    «... Maometto è il suo inviato» (Il Corano è la rivelazione).



    Proposizioni, come abbiamo visto in precedenza, radicalmente inaccettabili per un cristiano.













    «Voi, porci cristiani, che offendete il vostro dio onnipotente, pretendendo che abbia una moglie ed un figlio, voi che lo bestemmiate dicendolo uno e trino, siatene certi: la vostra punizione sarà severa. Sappiate che, a più o meno breve termine, giovani e vecchi, preti e monaci, voi vi condannate con i vostri atti alla perdita di ogni vostra ricchezza. Il vostro sangue sarà, a pieno diritto, versato dai musulmani ed i vostri soldi ci appartengono [...]. Non resteremo senza far niente davanti alla vostra immoralità e alle vostre congiure abominevoli. Sappiamo molto bene come terrorizzare la gente come voi e come preparare una degna fine agli adoratori della croce quali voi siete [...]. Non sfuggirete alla nostra spada assetata di vendetta».



    (Cfr. da una lettera di un estremista egiziano citata in Veritas, Anno V, n. 22, Marzo-Aprile 1933, pag. 6).







    «Maria deve risplendere più che mai in misericordia, in forza ed in grazia, in questi ultimi tempi: in misericordia, per ricondurre a ricevere amorosamente i peccatori ed i traviati che si convertiranno e ritorneranno alla Chiesa cattolica; in forza contro i nemici di Dio, gli idolatri, gli scismatici, maomettani, giudei e gli empi induriti, che si ribelleranno in modo terribile, onde sedurre e far cadere, con promesse minacce, tutti quelli che saranno loro contrari. Infine Ella dovrà risplendere in grazia per animare e sostenere i propri soldati e fedeli servi di Gesù Cristo, i quali combatteranno per i suoi interessi. Infine Maria dev'essere terribile al diavolo e ai suoi seguaci come un esercito schierato in battaglia, specialmente in questi ultimi tempi, poiché il diavolo, ben sapendo che gli rimane poco tempo per far perdere le anime, raddoppia più che mai ogni giorno gli sforzi e gli attacchi, susciterà ben presto crudeli persecuzioni e metterà gravi impedimenti ai servi fedeli e ai veri figli di Maria, contro i quali deve fare maggiori sforzi per vincerli».



    (Cfr. San Luigi Maria Grignon de Montfort, Il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, Ed. Paoline, Catania 1977, pagg. 53-54).





    CONCLUSIONE



    Eccoci finalmente giunti al termine di questo brevissimo studio; ci chiediamo: dopo questa lettura, è possibile formulare un giudizio globale dell'islàm? No, senza dubbio, per chiunque desiderava - prima di emettere un verdetto d'insieme su quest'ultimo - esaminare e prendere in considerazione non solamente il contenuto religioso dell'islàm, ma anche l'aspetto economico, storico, ecc... No, indubbiamente, per il lettore semplicemente agnostico e che non si accontenta di uno studio incentrato principalmente sul fatto religioso. Ma nell'immediato, il presente studio, destinato innanzitutto ad un pubblico cattolico, voleva essere il più conciso possibile. In effetti, se «l'islàm è innanzitutto una religione», è evidente che le «esitazioni» - ed è il meno che si possa dire - si moltiplicano, soprattutto tra molti cattolici disorientati, quando si tratta di valutare l'islam da un punto di vista religioso, ed in rapporto alla propria religione. È per tale motivo che occorreva lasciare innanzitutto la parola all'islàm, affinché ci rivelasse lui stesso il suo contenuto dogmatico, quello in cui crede, quello che nega, quello che rigetta e quello che combatte. Nelle pagine precedenti, abbiamo potuto vedere l'islàm reale prendere le distanze, in modo sempre più impressionante, dal cristianesimo. Trattando, per esempio, della paternità e della misericordia divine, del peccato originale e della redenzione, della resurrezione, del paradiso o della visione beatifica, è emersa la profondità incolmabile di queste divergenze che non finiremmo mai di analizzare in maniera esauriente. Ma, in qualche modo, tale analisi diventa superflua nell'istante i cui si prende atto del fatto che l'islàm nega in modo radicale la divinità di Gesù Cristo, e che la rifiuta senza ambiguità, fermamente, facendo di questo diniego, così spesso riaffermato nel Corano, la chiave di volta del suo edificio dottrinale.



    «Io sono la Via, la Verità e la Vita...»



    Queste parole - occorre qui ricordarlo - sono di Nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ne consegue ineluttabilmente che ogni dottrina che rifiuta Gesù Cristo porta alla cecità, all'errore e alla morte spirituale.



    «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati», afferma solennemente San Pietro, il Principe degli Apostoli179.



    «Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e nell'inferno», gli fa eco San Paolo.80



    «Poco manca che i cieli non si schiantino a queste parole, che la terra non si spacchi e le montagne spezzate non crollino. Essi attribuiscono un figlio al Misericordioso, e non potrebbe averne»181.



    «Quelli che dicono che il Cristo, figlio di Maria, è Dio, sono infedeli»182.



    ... replica l'islàm.



    Quell'islàm che - rigettando Cristo - guida da tredici secoli centinaia di milioni di uomini verso la cecità, verso l'errore e verso la morte spirituale. Salvo a voler contraddire l'insegnamento di Cristo stesso, riaffermato dai suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo e dalla Sua Santa Chiesa, ogni cristiano non può considerare diversamente l'islàm che una falsa religione, come «l'ombra della morte», seguendo la terribile formula di Padre Charles de Foucauld183. Ci duole di dover rammentare queste verità così evidenti, ma non è certamente senza un motivo che lo facciamo. Anche se Dio, nella Sua bontà e misericordia infinita, accoglie gli uomini che l'hanno cercato in buona fede, o che hanno semplicemente vissuto nel rispetto della legge naturale, resta il fatto che sarebbe un terribile errore per il cristiano far leva su questa argomentazione per accreditare l'islàm elevando al rango di religione salvifica. Di fronte ai suoi fratelli fuorviati dell'islàm, il cristiano può far molto di meglio che tentare di penetrare, in modo quasi sacrilego, nel mistero della misericordia divina, a dispetto degli insegnamenti fermi e privi di ambiguità che abbiamo appena rievocato. In realtà, il cristiano deve incaricarsi di un duplice dovere:



    pregare per la conversione dei musulmani;

    operare perché questa conversione divenga possibile.



    Nessuna autorità al mondo ha il diritto di distoglierlo da questa duplice mansione che scaturisce direttamente dall'ordine dato da Cristo stesso ai Suoi Apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura»! «Ad ogni creatura»! Abbiamo mai pienamente misurato la portata di questo comando? Forse che qualcuno ha mai potuto leggere nel Vangelo che Gesù abbia ordinato ai Suoi Apostoli: «Andate, predicate la Buona Novella, ma se incontrate dei popoli che professano già una religione - una religione monoteista, almeno - allora lasciateli in pace! Fate marcia indietro... essi sono già serviti!...». No, il mandato del Signore è stato molto chiaro: «ad ogni creatura». Questo ordine si impone al cristiano. Nessuno ha il diritto di dispensarlo da questo obbligo; dopo questa vita, gli sarà chiesto conto del suo compimento. Certo - specialmente quando si cerca di convertire dei musulmani - si tratta di un compito difficile, e la strada è irta di ostacoli. Ma su questa via, il peggiore scoglio non è quello che si immagina. Il peggiore impedimento sarà quello di credere che, per un non si sa qual nuovo e lassista decreto divino, d'ora in avanti, noi siamo dispensati dal prendere per mano i nostri fratelli musulmani e di condurli nell'unica vera luce, quella di Cristo Gesù.



    «È vero che le conversioni dei musulmani sono rare, ma è anche certo che essi, come gli altri, sono chiamati al Vangelo e hanno sia il dovere che la possibilità di abbracciarlo; è certo che la Chiesa deve predicare in tutto l'universo e ad ogni creatura la religione di Gesù. Di conseguenza, non c'è che da aggiungere, sforzo su sforzo, per unire le nostre opere a quelle dei nostri predecessori; quale sarà il successo? È il segreto di Dio: ma quanto al dovere, è chiaro ed evidente [...]. Se i cristiani della Francia non comprendono il loro dovere di evangelizzare le loro colonie, è un errore di cui renderanno conto e sarà la causa di una perdita di anime che sarebbero potute essere salvate [...]. Sta in noi costruire l'avvenire di questi popoli. L'avvenire, il solo avvenire, è la vita eterna: questa vita non è che una breve prova che prepara l'altra. La conversione di questi popoli dipende da Dio, da loro e da noi cristiani. Dio dona sempre con abbondanza la grazia; essi sono liberi di ricevere o di non ricevere la fede. La predicazione nei paesi musulmani è difficile, ma i missionari di tanti secoli passati hanno superato ben altre difficoltà. Sta in noi essere i successori dei primi apostoli, dei primi evangelisti».



    (Cfr. P. CHARLES DE FOUCAULD, Oeuvres Spirituelles, Ed. du Seuil, 1958, pagg. 739-722-715).











    APPENDICE I





    CARTA GEOGRAFICA DELL'ARABIA







    APPENDICE II







    rapporti tra l'islam ed i cristiani







    Le principali date



    580 Nascita di Maometto

    622 Égira: inizio dell'era musulmana (data della partenza di Maometto per Medina)

    629 Conquista della Mecca



    La grande espansione dei secoli VII ed VIII



    632 Morte di Maometto

    632-661 I quattro primi califfi (Abù Bakr, Omar, Uthman, Alì) strappano ai Bizantini una parte dell'Oriente cristiano (Siria, Mesopotamia, Egitto e Armenia) e la Persia

    636 Vittoria musulmana di Yarmuk (in Libano) sui Bizantini

    638 Presa di Gerusalemme da parte dei musulmani

    642 Presa di Alessandria

    660-710 Conquista dell'Africa del Nord

    710-720 Conquista della Spagna e della Narbonese (zona nel Sud della Francia) da parte dei Berberi islamizzati (i cosiddetti «Mori»)

    721-732 Penetrazione musulmana nella Gallia merovingia (Tolosa, Bordeaux, valle del Rodano e Autun)

    732 La vittoria di Carlo Martello (685-741) a Poitiers ferma l'espansione musulmana in Gallia

    739 I Mori che avevano invaso la Gallia sono ricacciati nella Narbonese



    La «Reconquista» spagnola sui Mori



    1085 Ripresa di possesso di Toledo da parte di Alfonso VI detto il Valoroso (1030-1109), re di Castiglia e di León

    1212 Vittoria di Las Navas de Tolosa sui Mori

    1248 Ripresa di possesso di Siviglia da parte del re San Ferdinando di Castiglia (cugino di San Luigi IX, re di Francia)

    1492 Ripresa di possesso di Granada da parte dei re cattolici Ferdinando ed Isabella. Fine della «Reconquista»



    Le crociate (per riconquistare i Luoghi santi)



    1096-1099 Prima crociata

    1099 Ripresa di possesso di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione (1060-1100) detto il «Difensore del Santo Sepolcro». Costituzione del Regno Franco di Gerusalemme

    1187 I musulmani, con Saladino (1138-1193), riprendono Gerusalemme (che occuperanno fino al 1918)

    1271-1291 I musulmani conquistano le ultime roccaforti cristiane in terra Santa



    Il flusso ed il riflusso dei turchi



    1453 Presa di Costantinopoli da parte dei Turchi: fine dell'Impero cristiano d'Oriente

    1456 Una prima offensiva turca in Europa viene fermata a Belgrado da San Giovanni da Capestrano (1386-1456; il Santo guidò l'ala sinistra dell'esercito cristiano) e da Giovanni Uniade

    1521-1562 Seconda offensiva dei Turchi in Europa Centrale; essi riprendono Belgrado (1521) e mettono il loro accampamento di fronte a Vienna (1529)

    1571 Una forza navale cristiana, costituita su richiesta di Papa San Pio V (Michele Ghislieri, 1504-1572) e comandata da don Giovanni d'Austria, vince la flotta turca nella battaglia di Lepanto

    1683 I Turchi tornano ad assediare Vienna. Le truppe di Carlo di Lorena e di Giovanni Sobiesky (Giovanni III), re di Polonia, liberano la città.

    1827 Vittoria a Navarino delle squadre navale della Triplice Alleanza (Inghilterra, Francia e Russia) sulla flotta turco-egiziana. Due anni più tardi, la Grecia si libera dal giogo turco

    1830 Presa di Algeri da parte della flotta dell'Ammiraglio Duperré e delle truppe del Generale de Bourmont. Fine della signoria turca in Algeria



    Avvenimenti contemporanei



    Nel XIX secolo e nella prima metà del XX secolo, la colonizzazione europea fece cessare la dominazione musulmana in numerosi paesi dell'Africa e dell'Asia. l'influenza islamica, che attraversò in quel periodo un momento di declino, ritrovò la sua forza di espansione con l'avvento della decolonizzazione, a partire cioè dal 1940.



    1915-1918 La nazione cristiana d'Armenia è in gran parte distrutta dai Turchi (genocidio che fece circa 1.5.00.000 vittime)

    1962 L'Algeria passa di nuovo sotto la dominazione islamica. Esodo di più di 1.000.000 di piedi-neri. Massacro di più di 100.000 di harkis

    1967-1970 Guerra del Biafra; gli Ibos, in maggioranza cattolici, e che hanno ottenuto la loro indipendenza, vengono schiacciati dai musulmani del Nord della Nigeria.

    1974 Attacco turco contro l'isola di Cipro (Operazione Attila). La parte a Nord dell'isola passa sotto la dominazione turca

    1975-1993 La nazione cristiana del Libano resiste ad un'offensiva generale delle forze islamiche (profughi palestinesi e forze armate siriane) che la vogliono eliminare







    APPENDICE III





    MESSAGGIO DEL COLONNELLO GHEDDAFI AI CAPI DI STATO DEL MONDO

    (GENNAIO 1984)





    «Mi rallegro con voi in occasione del nuovo anno che cade millenovecentottantatre anni dopo la nascita di Gesù - la pace sia su di lui - di cui non sapremmo nulla se la rivelazione non fosse discesa su Maometto - le preghiere e la pace di Allàh siano su di lui - al quale Allàh ha raccontato tutta intera la storia di Gesù, e quella di su madre Maria, figlia di Amram; da allora, noi musulmani abbiamo creduto - tramite il Corano disceso su Maometto - che, purtroppo per voi (cristiani), non avete riconosciuto - alla nascita miracolosa di Gesù e alla sua profezia che non ci erano pervenuti con chiarezza né dalla Toràh, né dal Vangelo, poiché il libro dell'Antico e del Nuovo Testamento, attualmente in circolazione, è stato falsificato. Esso è stato modificato e deliberatamente amputato del nome del profeta Maometto, e di molte altre cose, in quanto nella vera Bibbia, indirizzandosi ai figli d'Israele che lo hanno rinnegato e che lo volevano uccidere, Gesù disse:



    «Sono l'apostolo di Allàh, ripeteva ai giudei Gesù, figliolo di Maria. Vengo a confermare la verità del Pentateuco che mi precedette e ad annunciarvi la felice comparsa del profeta che verrà dopo di me. Ahmed è il suo nome»184.



    In questa sacra circostanza, invito dunque le nuove generazioni del mondo cristiano ad orientarsi verso la lettura del Corano per conoscere la verità sul Messia Gesù - la pace sia su di lui - e su sua madre Maria, sorella di Aronne185; come Gabriele sia venuto ad annunciarle la nascita di Gesù quando ella era vergine; come essa abbia partorito in un luogo lontano; come Allàh le abbia procurato bevanda e nutrimento da un ruscello e da una pianta di datteri; come la sua tribù l'abbia denigrata; come Gesù neonato abbia parlato dalla culla e convinto le genti che egli era profeta - benedetto e leale - e che Maometto sarebbe stato profeta dopo di lui... Poi, come i figli d'Israele lo abbiano rinnegato, abbiano tentato di ucciderlo, e come abbiano crocifisso un sosia credendo di averlo crocifisso, mentre invece Allàh lo aveva elevato a sé... Come egli abbia resuscitato i morti con il permesso del suo Signore, guarito i lebbrosi ed il cieco, tra tante prove miracolose... ed altrettante precisazioni che hanno fatto sì che - noi musulmani - credessimo alla nascita miracolosa di Gesù, alla sua profezia, alla sua venuta e alla sua scomparsa, alla guerra che gli hanno fatto gli israeliti e al sostegno che gli hanno dato gli apostoli. Tutto ciò, noi (musulmani) lo abbiamo appreso unicamente mediante il Corano... quel Corano che voi (cristiani) non avete mai letto e a cui non avete prestato fede a causa del fanatismo cieco contro al nazione araba, a causa della fuorviante propaganda israeliana... a causa dell'ignoranza derivante dal fatto che non avete preso conoscenza della verità del Corano e della verità del profeta Maometto, al quale Allàh ha dettagliatamente raccontato la storia di Gesù Cristo e quella degli altri profeti del santo Corano. È per tale motivo che faccio appello alle nuove generazioni del mondo cristiano al fine di provocare una rivoluzione culturale nel pensiero e nei concetti del mondo cristiano, il quale ha registrato una regressione e comincia a disgregarsi... E in questo caso, esso ha nuovamente bisogno di un Savonarola, di un Martin Lutero, o di un Calvino. La pace sia su colui che segue il giusto cammino»186.





    Colonnello Moammar Gheddafi

    Guida della Gloriosa Rivoluzione del Primo Settembre







    APPENDICE III





    L'ISLÀM ED IL CONCILIO VATICANO II





    Il 28 ottobre 1965, ovvero a poco meno di due mesi dalla chiusura del Concilio Vaticano II, i Padri conciliari riuniti in quell'assise approvavano quasi all'unanimità la «Dichiarazione NOSTRA AETATE sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane», un documento basilare per chi voglia comprendere la portata del cosiddetto «dialogo ecumenico» e la direzione impressagli a viva forza e portata avanti a tutti i livelli dalle massime autorità ecclesiastiche in questi ultimi trent'anni. Nel secondo paragrafo, i Pastori della Chiesa, dopo aver ricordato che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni», e che «essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini», passano ad esaminare singolarmente prima la religione musulmana (§ 3), indi quella ebraica (§ 4). Rileggendo alla luce dei fatti e delle conclusioni che via via sono emersi nel corso di questo breve compendio, quanto questa Dichiarazione affermi a proposito della religione di Maometto, non si può fare a meno di chiedersi se la religione di cui questa Dichiarazione parla con tanta «stima» - del tutto immotivata - sia la stessa di cui parla il Corano, o se si tratti di un altro credo, frutto di fantasie ecumeniche di insignificante valore teologico e storico. Certi del fatto che la lettura del paragrafo relativo all'islàm costituisca il primo passo per cogliere in profondità l'attuale modus operandi della gerarchia e di buona parte del clero, ed il conseguente smarrimento di non pochi buoni cristiani, riportiamo per intero la parte che questa Dichiarazione dedica ai seguaci di Allàh.





    La religione musulmana



    3. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del Cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri vi si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come un profeta; onorano la sua Madre Vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».





    Roma, 11 dicembre 1984: «Si è svolta la posa della prima pietra della moschea di Roma. La Santa Sede era rappresentata da Padre Marcellon Zago del Segretariato per le opere non-cristiane che ha dichiarato: «Siamo molto contenti che a Roma si apra un nuovo luogo di culto». (Cfr. da La Croix del 14.12.1984).





    TAVOLA DELLE MATERIE



    CAPITOLO I - INTRODUZIONE GENERALE



    Attualità dell'islàm

    Obiettivi e limiti di questo studio

    Principali fonti utilizzate

    Il Corano

    Islam, credo ed istituzioni

    Dialogo islamico-cristiano



    CAPITOLO II - LA CULLA DELL'ISLÀM



    1. IL QUADRO GEOGRAFICO



    2. IL QUADRO UMANO

    q I beduini

    q Gli ebrei

    q I cristiani



    3. IL QUADRO RELIGIOSO PREISLAMICO PRESSO

    I BEDUINI DELL'HEGIAZ

    q Politeismo e litolatria

    q Un tempio pagano recuperato dall'islàm: la Caàba



    4. IL QUADRO ECONOMICO E POLITICO

    q La Mecca, crocevia commerciale

    q Nessuna struttura politica



    CAPITOLO III - IL FONDATORE: MAOMETTO



    1. Le fonti storiche

    q Lacune ed incertezze

    q Realtà, leggende ed estrapolazioni



    2. LE PRINCIPALI TAPPE DELLA VITA DI MAOMETTO

    q Dalla nascita alla predicazione

    Nascita

    Infanzia e giovinezza

    Maometto era analfabeta?

    Difficoltà di traduzione dalla lingua araba

    Primo matrimonio di Maometto

    q Gli inizi della carriera religiosa di Maometto

    La vocazione

    Le influenze: giudaismo e nestorianesimo

    q Principali tappe della carriera religiosa

    Primo periodo meccano

    Periodo medinese

    L'anno I dell'islàm: l'égira

    Secondo periodo meccano

    q Morte e successione di Maometto

    Morte

    La successione: le donne di Maometto

    La successione: discendenza di Maometto

    La successione: intrighi e discordie



    4. BREVI NOTE SU MAOMETTO E SULLA NASCITA DELL'ISLÀM

    q Fin dalla sua nascita l'islàm si caratterizzò per

    q Maometto fu un profeta?







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    132 Secondo il consigliere dell'arcivescovado di Parigi per gli affari musulmani, è stato necessario ricordare che, nei matrimoni misti, il coniuge cattolico, che non vuole abbracciare l'islàm, non potrebbe - anche solamente per migliorare la convivenza del momento - pronunciare questa formula, perchè essa ha la portata di un'iniziazione. Questo richiamo è stato reso necessario in seguito ad alcuni comportamenti erronei.



    133 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 77. Il Corano non specifica quante devono essere le salàt quotidiane: due sicuramente, e forse tre.



    134 Se manca l'acqua per le abluzioni il musulamano può purificarsi con la sabbia, mentre in mancanza di un tappeto, egli utilizzerà, come succede in moltissime fabbriche francesi, un semplice pezzo di cartone da imballaggio, il quale simbolizza - come il tappeto - il «sacro suolo della Mecca».



    135 Come farà quel credente che non può disporre di questi segnali? Abbiamo conosciuto delle tribù che vantavano il «trucco» del filo e nero e del filo bianco: «Tu li metti vicino l'uno all'altro: al mattino, quando potrai distinguerli, significa che è il momento di iniziare il digiuno. Al calare della notte, ovvero quando non sarà più possibile distinguerli, allora sarà finita la giornata di digiuno».



    136 Così, una donna delle pulizie che, mentre che tutti i suoi correligionari festeggiavano l'ìd-al-fitr (la fine del Ramadàn), si rifiutò ostinatamente di pranzare. «Perché Erkia? Non sai che il Ramadàn è finito? Sì, ma tu sai bene che sono stata ammalata un giorno e che quindi devo recuperarlo»!



    137 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 82.



    138 Cfr. S. HUGROGNE, citato da H. LAMMENS, op. cit., pag. 83.



    139 In certi stabilimenti, la pratica religiosa musulmana, scesa dopo diversi anni al 3 o al 4%, ritornò nel giro di alcuni mesi al 100% o quasi, in occasione di avvenimenti simili a quello appena descritto.



    140 M. Kasimirsky precisa in nota che si tratta della setta cristiana dei sabei, e non dei sabei adoratori degli astri, e dunque politeisti.



    141 Sura III, 79: «Chi professerà un culto che non sia l'islamismo, non ne caverà alcun frutto e sarà nel novero dei riprovati. Come mai Allàh illuminerebbe quelli che, dopo aver creduto, e resa testimonianza alla verità del profeta, dopo esser stati testimoni dei divini oracoli ritornano all'infedeltà? Allàh non guida i malvagi. Loro mercede sarà la maledizione di Allàh degli angeli e degli uomini. Ne saranno eternamente coinvolti. Il loro supplizio non si addolcirà e Allàh non li guarderà mai».



    142 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 82.



    143 Nella nuova edizione del Corano di M. Kasimirsky, si è creduto opportuno di sotituire il termine «umiliati» con «sottomessi», rendendone così insipido il significato.



    144 L'esperienza mostra, tuttavia, che il cristiano che si è convertito all'islàm viene raramente accettato nella comunità in modo del tutto completo.



    145 Cfr. CARRA DE VAUX, op. cit., pag. 1142.



    146 A ciò si aggiunga, ad esempio, che a quelle poche chiese presenti in Arabia Saudita è assolutamente proibito suonare le campane o esporre sulla loro sommità la croce.



    147 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 82.



    148 Cfr. Ibid., pag. 108.



    149 Cfr. Ibid., pag. 136.



    150 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 140.



    151 Ibid., pag. 140.



    152 Vedi Appendice a pag.



    153 «La donna è inferiore all'uomo o, per essere più precisi, ne vale la metà. Perciò, in tribunale, due testimoni di sesso femminile ne valgono uno di sesso maschile» (Cfr. B. M. SCARCIA, Corriere della Sera del 12.02.91, cit. in S. NITOGLIA, op. cit., pag. 26).



    154 «La donna, a causa della sua ragione difettosa, è sempre disposta a cercare dei guai senza motivo» (nota di M. Kasimirsky presente nella sua traduzione di questo versetto).



    155 Uno dei nostri interlocutori si indignò retrospettivamente di queste pratiche abominevoli. Gli facemmo tuttavia notare che, dopo venti secoli di cristianesimo, la Legge Veil (che in Francia regola l'interruzione volontaria della gravidanza N.d.T.) ha fatto molto meglio in seguito.





    156 «Quando questo versetto scese dal cielo, la maggior parte degli arabi aveva otto o anche dieci donne che spesso trattavano brutalmente» (Cfr. Il Corano, nota n. 1 di A. Fracassi, pag. 61).



    157 La stessa Sura, al versetto seguente appena citato così prosegue (Sura IV, 4): «Scegliete quelle che vi saranno piaciute. Se non potete mantenerle degnamente, non pigliatene che una o limitatevi alle vostre schiave».



    158 Così continua la medesima Sura al versetto successivo (Sura XXXIII, 48): «Ti è concesso di ricevere nel tuo letto quella che avevi rifiutata, onde ricondurre la gioia in un cuore preso dalla tristezza (povero Maometto, che sacrificio eroico!!!). Il tuo volere sarà la loro legge. Essi vi si adatteranno. Allàh conosce il fondo della vostra anima. Egli è saggio e vigilante. Non ne aggiungerai al numero presente delle tue spose; non potrai cambiarle con altre la cui avvenenza ti abbia rapito, ma la frequentazione delle tue schiave ti è sempre concessa. Allàh osserva tutto».



    159Il ricorso - del tutto circostanziale e in mancanza di meglio - all'espressione «immigrato della 2ª generazione» non ci dispensa dal rilevarne di sfuggita l'assurdità.



    160 L'insertion des jeunes d'origine étrangère dans la societé française, Parigi, pag. 58.



    161 Gli articolisti della Documentation Française giudicarono illegale questa pratica, auspicando l'intervento del Ministero dell'Educazione nazionale al fine di far cessare questo fenomeno, e proposero di creare dei centri per ricevere le fuggitive musulamane le cui reintegrazione nella famiglia apparisse impossibile... Dieci righe più sotto, gli stessi articolisti - affinché i bambini d'origine straniera possano «valorizzare la loro identità culturale» - proposero che l'insegnamento di queste culture, «civiltà, arte, storia e religione (il grassetto è nostro) venga inserito nei programmi delle nostre scuole»!!



    162 Ciononostante, la superiorità dell'uomo sulla donna non viene solamente suggerita, ma viene a più riprese chiaramente affermata nello stesso Corano.



    163 Cfr. G. TILLON, Les cousins et le harem, Seuil 1966, pag. 170; cit. da M. BERGÉ. Ma in questo caso, bisognerebbe constatare che questo progresso decisivo dell'islàm segna il passo dopo 13 secoli!



    164 Cfr. M. BERGÉ, Les Arabes, Ed. Lidis, Parigi 1978, pagg. 571-572. A dimostrazione della totale infondatezza dell'immagine contraffatta e idilliaca dell'islàm che Bergé ed altri autori cercano di diffondere ed imporre in Occidente, riportiamo di seguito alcuni pareri o citazioni di quotati arabisti sulla condizione femminile e sul concetto della donna presente nel mondo islamico: «In un mercato si acquista la merce, nel matrimoni si acquista la zona genitale della donna» (Cfr. O. BUCCI, La donna comprata nel matrimonio islamico, su Il Tempo del 10.02.92); «Questa concezione piuttosto brutale dell'unione dei sessi si colora maggiormente di materialismo ove si accetti l'opinione, che è l'affermazione dei giuristi più antichi, di ch pensa essere il matrimonio null'altro che una compera della donna» (Cfr. E. BUSSI, Princìpi di diritto musulmano, pag. 93); Secondo l'islamista Bianca Maria Scarcia, il matrimonio islamico, a differenza di quello cristiano, «non è finalizzato alla procreazione. Sposarsi è innanzitutto la legalizzazione dell'atto sessuale. Il Corano insiste sull'importanza del piacere e il paradiso che prevede si fonda su gioie simili» (Cfr. B.M. SCARCIA, intervista su Il Corriere della Sera del 10.02.91); «È normale che il personale femminile dell'harem (in arabo la parola «harem» significa «famiglia» N.d.T.) si rinnovi per divorzio annuale, perfino mensile o settimanale». [...] «Quando l'uomo muore quello che era il suo harem, e di cui la sua autorità era il solo legame, si dissolve all'istante; inizia un altro harem, senza rapporto di continuità con quello che è scomparso. La famiglia musulmana è vitalizia. Non è mai la famiglia di Un Tale; è semplicemente l'harem di un tale» (Cfr. E.F. GAUTIER, Moeurs et coutumes musulmans, pagg. 36 e 42; tutte le citazioni in S. NITOGLIA, op. cit., pagg. 25-27).



    165 Ecco i nomi delle principali sette islamiche: i Sunniti, gli Hanifiti, i Malikiti, gli Sciafiiti, gli Hanbaliti, i Zaiditi, gli Ismailiti, i Qarmati, i Fatimidi, i Nizariti (il cui «imàm» porta il titolo di «aga khan»), i Khojas, i Bohora, gli Imamiti, i Nusairiti, i Khàrijiti, gli Ibaditi, i Wahhàbiti (considerati non a torto tra i più intolleranti ed a anti-cristiani), gli Yazidi, i Drusi (che credono nella trasmigrazione delle anime), gli Ahmadìya, ecc... (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pagg. 489-497).



    166 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 181.



    167 «Secondo l'insegnamento della «shìa», Maometto, poco prima di morire avrebbe iniziato ai più profondi misteri dell'islàm il cugino e genero Alì, il quale avrebbe poi trasmesso questo «sapere esoterico» alla sua famiglia. I suoi diretti discendenti vengono perciò considerati imàm, ovvero «guide» e custodi di questa segreta sapienza» (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 491).



    168 Si tratta di un'opera non certamente priva d'interesse, ma le cui ripetizioni ne rendono la lettura straordinariamente noiosa.



    169 Cfr. Le Coran, nota n. 1, pag. 450.



    170 Cfr. CARRA DE VAUX, Dictionnaire Théologique, pag. 1144.



    171 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 148.





    172 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 151. La parola «sufismo» deriva dal termine arabo «suf», (=«stoffa di lana grezza»), materiale utilizzato per confezionare le vesti di quesgli asceti e mistici da cui il movimento prese avvio (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 511).



    173 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 157.



    174 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 163.



    175 «La confraternita dei Mawlawìya deve la sua origine al celebre poeta e mistico persiano Gialàlùd ad-Dìn Rùmì (1207-1273); essa fu fondata in Asia Minore, a Konya, e viene designata come Confraternita di Nostro Signore. Gli appartenenti a quest'ordine - chiamati anche «Dervisci danzanti» - eseguono tutti venerdì, come esercizio spirituale, danze rituali finalizzate al raggiungimento dell'estasi. [...] Oggi la confraternita è diffusa in tutta l'Africa Settentrionale. I suoi membri, che nutrono sentimenti ostili nei confronti dei cristiani e degli europei, hanno un forte spirito missionario. [...] I Sufi, per il raggiungimento graduale dell'estasi, hanno dei metodi («tarika») che, se utilizzati in modo scorretto, possono portare all'annientamento dell'io («fanà»), mentre la loro giusta utilizzazione conduce all'unione mistica con Allàh («tauhìd»). È a questo scopo che vengono praticati gli esercizi spirituali e liturgici, singoli e collettivi, consistenti in abluzioni, musiche e danze. Presso i già citati «Dervisci danzanti», i religiosi, disposti in un doppio cerchio, ruotano in una specie di girotondo - spesso con l'accompagnamento di strumenti musicali - tenendo le braccia allargate, mentre uno di essi balla al centro del cerchio, muovendosi in senso antiorario. Presso alcune confraternite, le danze sono accompagnate, oltre che dalla musica di flauti e tamburi, pure da invocazioni sussurrate, che altro non sono se non la ripetizione ossessiva del termine «Hu» (=«Egli», ovvero Allàh)» (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pagg. 513-514).



    176 Questa corrente deve il suo nome a Kemal Atatürk Mustafa (1881-1938) uomo politico turco che promosse la modernizzazione e la laicizzazione del suo paese abolendo il califfato e riconoscendo la parità dei sessi ed il suffragio universale.



    177 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 182. Quanto alla massiccia presenza della setta massonica in terra musulmana, sarà utile ricordare l'esistenza di un rito particolare proprio della massoneria turca, e di una Grande Loggia in Iran, fondata da Sayed Jamal al-Din, il padre del panislamismo, che annovera tra i suoi affiliati buona parte dei membri del Governo di quel paese (compresi molti parenti ed amici del defunto ayatollàh), i cui nomi sono apparsi in una lista che si trova in una lettera indirizzata dal segretario della Grande Loggia al Gran Maestro della stessa (Cfr. Tutti i massoni dell'ayatollàh Khomeiny, in Chiesa Viva, n. 199, settebre 1989, pag. 8).



    178 Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 182.



    179 Atti degli Apostoli IV, 8-12.



    180 Lettera ai Filippesi, II, 10-11.



    181 Sura XIX, 92-93.



    182 Sura V, 19.



    183 «Esploratore ed eremita francese (1858-1916); dopo una gioventù dissipata come brillante ufficiale e dopo aver a lungo viaggiato per le montagne dell'Atlante, Charles de Foucauld si convertì a vita religiosa ed entrò nei Trappisti (1890), e per alcuni anni visse come frate Alberico in monasteri di Francia, Siria ed Algeria. Uscito poi dall'Ordine per desiderio di maggiori penitenze, fu eremita a Nazaret e a Gerusalemme; sacerdote nel 1901, se ne andò a vivere come anacoreta in Algeria, dove la sua santa vita e carità apostolica verso gli indigeni gli fecero dare il soprannome di «marabù cristiano». Fu ucciso dai Tuareg nel deserto. Progettava una Congregazione di Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù per le missioni tra i maomettani, che fu realizzata soltanto più tardi» (Cfr. Dizionario Ecclesiastico, Ed. Torinese, Torino 1953, pagg. 1159-1160, v. FOUCAULD).



    184 Cfr. Il Corano, Sura LXI, 6; per tutto quello che riguarda la questione di Gesù Cristo precursore di Maometto, vedi a pag.



    185 Come abbiamo già illustrato al lettore alla pag. di questo opuscolo, nella Sura XIX, il Corano sotiene che Maria fosse la figlia d'Amram, padre di Mosé ed Aronne e contemporaneamente sposo di Anna. Ci dispiace per il «profeta» Maometto, ma Miriam, la sorella di Mosè e di Aronne, è vissuta circa 4.000 anni prima di Maria, Madre di Gesù Cristo.



    186 Cfr. dal settimanale L'Homme Nouveau, del 15.04.1984.

  5. #5
    Non sono d'esempio in nulla
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  6. #6
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    Esatto. L'islam è uno dei tanti "frutti avvelenati" prodotti dal giudaismo talmudico.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    ISLÀM E GIUDAISMO
    di C. Nitoglia


    Nel 1955 il famoso teologo domenicano Padre Théry (1), sotto lo pseudonimo di Hanna Zakharias, pubblicava De Moïse à Mohammed, due ponderosi volumi compendiati poi nell'unico tomo Vrai Mohammed et faux Coran (2), in cui studiava approfonditamente la questione delle origini dell'Islàm. Nel presente articolo cercherò di riassumere e illustrare le tesi contenute nei suoi libri, corroborandole anche con altri seri studi ed avvalendomi della consulenza di un noto orientalista dell'Università di Torino. I testi del Padre Théry non si trovano più in commercio, ma l'essenziale della sua tesi è stato ripreso dall'abbé J. Bertuel, la cui opera è ancora reperibile nelle librerie francesi (3). Del Théry scrive Bonnet-Eymard che «deve essere considerato come il fondatore dell'"esegesi scientifica" del Corano., benché resti. il grande assente da tutte le bibliografie sul tema. È certo che l'anonimato [o lo pseudonimo di H. Zakharias n.d.r.] e l'edizione privata, voluti per non esporre a rappresaglie i religiosi e i sacerdoti che lavoravano nei territori dell'Islàm, hanno danneggiato le sue opere. Se fosse stata pubblicata sotto il vero nome dell'autore, medievalista ben conosciuto nell'ambiente della ricerca scientifica, avrebbe senza dubbio goduto di un'accoglienza più favorevole da parte degli Islamisti, ma li avrebbe forzati a controbattere apertamente. Facendo finta di ignorare l'identità di Hanna Zakharias che, molto rapidamente, non fu più un segreto per nessuno, essi poterono presentarlo senza rischio "sottovoce, come un imbroglione e un ignorante; il disprezzo per l'autore ricadeva evidentemente sulla sua opera"» (4). Fu solo nel 1960 (5), un anno dopo la sua morte, che la rivista dei domenicani di Roma Angelicum tolse ufficialmente l'anonimato all'opera del Théry, riassumendo concisamente ma con esattezza il contenuto dei primi due volumi (6).

    Le conclusioni cui perviene l'eminente teologo e storico domenicano possono essere così riassunte:

    1) l'Islàm è soltanto la religione giudaica postmessianica, spiegata agli arabi da un rabbino.

    2) Maometto non è mai stato ispirato da Dio. Si convertì al Giudaismo talmudico, spinto da sua moglie Khadigia, ebrea di nascita, ed aiutò il suo maestro, il rabbino della Mecca, ad attuare il suo progetto di giudaizzazione dell'Arabia.

    3) Il Corano è stato composto e redatto dal rabbino della Mecca e Maometto era solo un "proselite della porta".

    4) Il Corano primitivo (traduzione e compendio arabo del Pentateuco di
    Mosè) è stato redatto da un rabbino ebreo, ma dopo Maometto andò smarrito (VII sec.). L'attuale Corano non contiene più, come il primo, la traduzione e l'adattamento della storia sacra d'Israele; è soltanto un libro di aneddoti, di storie, quasi una sorta di rapporto stilato dallo stesso autore sulle sue vicende apostoliche, per cui bisognerebbe chiamarlo più correttamente "Gli Atti dell'Islàm". Tali "Atti" costituiscono la sola fonte autentica che ci consenta di conoscere le origini dell'Islàm, cioè in sostanza la giudaizzazione dell'Arabia, di cui il rabbino della Mecca, Maometto e sua moglie Khadigia furono i primi autori. Solo lo studio critico degli "Atti dell'Islàm" (o attuale
    Corano) ci può fornire una solida base per una ricostruzione delle origini dell'Islàm, ovvero della conversione dell'Arabia al Giudaismo talmudico. Gli ebrei erano presenti in Arabia e abitavano tra le diverse oasi del deserto arabico e le tre città di Medina, La Mecca e Taif. Erano particolarmente numerosi a Medina (più di metà della popolazione). I cristiani erano meno numerosi degli ebrei, ma non erano cattolici romani; appartenevano invece a sette eretiche, quali il Giacobitismo e il Nestorianesimo, e al Cristianesimo d'Abissinia, fortemente mischiato di elementi giudaici.

    5) Gli "Atti dell'Islàm", proprio perché scritti da un rabbino, sono essenzialmente anticristiani. I musulmani non sono nient'altro che arabi convertiti al Giudaismo talmudico a partire dal VII sec.

    LA MECCA
    Nel VI sec. La Mecca divenne uno dei più importanti centri commerciali della penisola araba. Qui fin dal II secolo, secondo il Padre Théry, esisteva il tempio della "Ka'ba", una specie di cassa attualmente lunga 12 metri, larga 10 e alta 15, posta su un piedestallo di marmo di 25 cm. e coperta da un tappeto nero cambiato annualmente. Nella "Ka'ba" si trova una pietra nera, visibile ancor oggi (7), di cui si ignora la provenienza e la datazione; secondo i musulmani vi fu portata direttamente dall'arcangelo Gabriele. Nel VI secolo la "Ka'ba" era anche ripiena di sassi grezzi raccolti nei deserti d'Arabia, ritenuti divinità e adorati come tali; la gran massa di persone che la frequentava era formata da arabi politeisti, che veneravano oltre la pietra nera incastonata nella "Ka'ba" anche i sassi e gli idoli in essa raccolti (8). A La Mecca, secondo la tesi del Padre Théry, viveva anche una comunità ebrea, guidata da un rabbino molto preparato, fine conoscitore del Talmùd, il quale avrebbe concepito il progetto di convertire gli arabi politeisti alla religione giudaica post-biblica. Per raggiungere il suo scopo si sarebbe servito di un giovane arabo, Maometto, sposato con l'ebrea Khadigia; questa è in sintesi, secondo il Padre Théry, la storia delle origini dell'Islàm: la conversione dei politeisti arabi al Giudaismo talmudico.

    NASCITA E MATRIMONIO DI MAOMETTO
    Si ritiene comunemente che Maometto sia nato nel 580, anche se non si ha una documentazione certa. La sua famiglia era povera, come attesta il rabbino della Mecca negli "Atti dell'Islàm" (l'attuale Corano) (9), ed egli, rimasto orfano assai presto, pare sia stato accolto dallo zio Abu Tàlib, carovaniere della Mecca. Era un bambino sveglio ed intelligente, e lo zio lo portava spesso con sé nelle carovane che conduceva a Gaza. Maometto si sposa con Khadigia (10), una donna più anziana di lui ma molto ricca, dal carattere forte e intraprendente, se è vero, come afferma il Padre Théry, che fu lei a prendere l'iniziativa del matrimonio, e comunque volitiva e dominatrice di un marito timoroso di perdere la sua posizione. "All'età di 25 anni Maometto si sposa" (11). Questo matrimonio con un'ebrea spiega l'evoluzione del giovane arabo, perché sua moglie lo spingerà ad abbandonare gli idoli della "Ka'ba" per aderire alla religione giudaica post-biblica; dopo di lei sarà il rabbino della Mecca a formarlo alla religione d'Israele e a lanciarlo tra gli arabi come suo portavoce.

    LA CONVERSIONE DI MAOMETTO AL GIUDAISMO
    Il culto degli idoli è ancora molto diffuso a La Mecca quando una voce comincia a predicare un messaggio nuovo per le orecchie dei politeisti arabi. "Lo giuro per Allah (leggi: Yahwé), che ha creato il maschio e la femmina. Chi fa l'elemosina e chi teme Dio sarà ricompensato. Quanto a chi è avaro e ripieno di sé, sarà precipitato nell'abisso. A cosa gli servirà la sua ricchezza? Io vi avverto fin d'ora che vi è un fuoco divorante per coloro che non temono Dio" (12). Come conosce bene l'Antico Testamento questo oratore della Mecca, che divide l'umanità in due categorie: coloro che temono Dio e che credono alla Resurrezione, al Giudizio, al Cielo e all'Inferno e gli infedeli, gli avari, gli orgogliosi! Nelle sue prediche ritroviamo reminiscenze vetero-testamentarie e talmudiche: "Lo giuro per il fico e per l'olivo, lo giuro per il monte Sinai .Coloro che credono e fanno il bene riceveranno retribuzione" (13). Ma chi è questo predicatore che ridicolizza gli idoli della "Ka'ba", che annuncia l'esistenza di un Dio unico ("Yahwé" in ebraico, "Allah" in arabo), che giura sul fico e sull'olivo, i due alberi della felicità terrestre dell'Antico Testamento? È certo uno che conosce e annuncia la religione d'Israele. Se si applica la critica storica, poi, si è obbligati a concludere, secondo il Padre Théry, che questo predicatore è un ebreo.

    È l'oratore stesso a porgerci questa conclusione con le sue
    affermazioni: "Tutto quello che vi annuncio è contenuto nelle pagine venerate" (14), "le pagine di Mosè e d'Aronne" (15). "Idolatri della Mecca, non sapete che Dio ha parlato, sul Monte Sinai, a Mosè? È proprio Yahwé (il Dio unico) che ha rivelato a Mosè il "Corano ebraico", il solo Corano (Libro Santo) che sia mai esistito, il Corano glorioso del Monte Sinai" (16). A partire da questo testo il rabbino della Mecca darà una traduzione in arabo e sarà il primo Corano arabo scritto, poi smarrito e sostituito dall'attuale "Corano", che forse andrebbe chiamato con maggiore esattezza "Atti dell'Islàm". I discorsi che vi si trovano non contengono nulla che non sia giudaico, o meglio vetero-testamentario, e convalidano la tesi che l'autore sia un ebreo che conosce in modo approfondito l'Antico Testamento e il Talmùd, cioè il rabbino de La Mecca.

    L'uditorio del rabbino tuttavia non vuole rinunciare ai propri idoli ancestrali per convertirsi al Dio unico "Yahwé". Tra gli astanti vi è però un giovane arabo che ha sposato un'ebrea: e la sera Maometto, clandestinamente, spinto dalla moglie, va alla casa del rabbino per conoscere la nuova religione. Apprende così che vi è un solo Dio, che le sue parole sono state raccolte da Mosè sul Monte Sinai e sono state scritte in un Libro (il Pentateuco), in arabo chiamato CORANO. Dato che Maometto non è in grado di leggere e capire il Corano ebraico, sarà il rabbino a leggerglielo e spiegargli oralmente le vicende di Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè. Maometto impara anche la nuova professione di fede dettatagli dal rabbino: "Yahwé è unico: è il solo. NON HA GENERATO e non è stato generato. NESSUNO È EGUALE A LUI" (17). Che bella professione di fede giudaicotalmudica e anticristiana (il Padre NON HA GENERATO il Figlio; in Dio NON vi sono TRE PERSONE EGUALI e distinte)! Maometto non nasconde più la sua conversione, la rende pubblica, rompe ogni legame con l'idolatria della "Ka'ba". La Mecca è
    scossa: questo arabo sposato con un'ebrea non rischia forse di rovinare il vecchio Panteon della città? La "Ka'ba" è uno dei santuari più ricchi del paese, e Maometto sta per rovinarlo! A fronte di queste accuse lanciategli dai suoi compatrioti vi era la protezione del rabbino sul suo discepolo: "Dillo, o Maometto: Infedeli! Io non adorerò ciò che voi adorate. E voi non adorate ciò che io adoro. . A voi la vostra religione, a me la mia" (18). Secondo il Padre Théry, a fianco di Maometto non vi è mai stato "Allah" rivelatore, ma soltanto un ebreo, che gli ha raccontato le storie dei Patriarchi contenute nel Pentateuco di Mosè. Il padre domenicano arriva a tale conclusione dopo aver provato che la conversione di Maometto al Giudaismo, è avvenuta sotto la forte pressione della moglie al limite del ricatto psicologico, conversione che doveva servire alla giudaizzazione della razza araba, come era nell'intento del rabbino della Mecca."Un fatto è certo, leggendo gli "Atti dell'Islàm". un arabo, Maometto, marito di Khadigia, dopo aver preso lezioni da un rabbino, s'è convertito al Giudaismo, primo tra gli arabi. Maometto non sarà nient'altro che il portavoce di un ebreo, l'allievo di un rabbino, per un'impresa strettamente e assolutamente ebraica" (19).

    LA FORMAZIONE RELIGIOSA DI MAOMETTO E IL SUO APOSTOLATO Maometto ora sa che gli idoli della "Ka'ba" sono muti, che Dio non ha parlato. "Oh! Che notte solenne la notte della Rivelazione!" (20). Avvenne sul Monte Sinai, Mosè era accompagnato da tutto il popolo eletto ai piedi della montagna, una voce lo chiamò e Dio gli rivelò la Legge, gli consegnò un Codice, il Corano, che è sia un libro religioso sia un codice legislativo, in ebraico "Toràh" (il messaggio religioso di "Yahwé" e la sua legge). E il Corano ebraico o "Toràh" avrebbe dovuto dirigere tutti gli uomini (21). In conclusione per il Théry, non è "Allah" che ha rivelato a Maometto la storia di Israele, Maometto non è un profeta ma solo l'allievo devoto di un rabbino, il monte Hirà, come duplicato del Sinai non esiste: Maometto, in sostanza, è solo il canale attraverso il quale filtra l'insegnamento rabbinico per la giudaizzazione dell'Arabia. Gli arabi che poi hanno seguito Maometto hanno gradatamente messo da parte l'origine giudaico-rabbinica dell'Islàm, per affermare e marcare sempre di più la rivelazione di "Allah" a Maometto per la gloria degli arabi stessi, che hanno quindi soppiantato gli ebrei nella loro missione.

    GLI INSEGNAMENTI DEL RABBINO A MAOMETTO
    Con la conversione di Maometto al Giudaismo, secondo il Théry, il lavoro del rabbino non è finito, perché il suo vero fine era la conversione di tutti gli arabi alla Sinagoga giudaica. Il suo compito adesso è quello di formare lo spirito del neofita, di farne un apostolo del Giudaismo tra i suoi connazionali; Maometto sarà così istruito profondamente sulla storia di Israele, imparerà a pregare come gli ebrei, a prosternarsi verso l'oriente, ad invocare il nome del Dio Unico (ma non Trino!). Nell'ambito delle conoscenze religiose, "Gli Atti dell'Islàm" non portano nulla di nuovo alla letteratura giudaico-talmudica e alla storia sacra dell'Antico Testamento: un paradiso terreno, o meglio carnale, è promesso a coloro che si sottometteranno al Dio Unico d'Israele. L'apologetica usata per la conversione degli arabi si fonda non sui motivi di credibilità e sui "preambula fidei", ma sugli istinti più elementari dell'uomo, sulla promessa di una vita futura di piaceri appetibili in cambio della conversione al Giudaismo (22). Spinto dalla moglie, ammaestrato dal rabbino, il giovane cammelliere non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione che gli si presentava: divenne l'apostolo del Giudaismo tra gli arabi.

    REAZIONE DEGLI ABITANTI DELLA MECCA DI FRONTE ALLA PREDICAZIONE DI MAOMETTO Di fronte alla predicazione della storia sacra di Israele, gli abitanti della Mecca rispondono malamente e con animosità. Non vogliono seguire il giovane arabo convertitosi alla religione della moglie. Anche se confortato dal rabbino, Maometto è scoraggiato ed è tentato di ritornare alla sua vecchia idolatria. "Sono stati sul punto di sedurti e di allontanarti da ciò che ti abbiamo insegnato" (23).

    IL CORANO ARABO: IL "CORABÒR" E IL "CORABSCRÌT"
    Secondo il Padre Théry l'obiezione degli abitanti della Mecca, che il Corano rivelato da Dio a Mosè è scritto in ebraico e che pertanto essi non possono né leggerlo né capirlo, induce il rabbino a riscriverlo in arabo. Nella prima fase dell'apostolato del rabbino non si trova traccia di un testo religioso per gli arabi; nella seconda, invece, che inizia con la sura LXXX, il rabbino racconta agli idolatri che esiste un libro di Verità e di direzione, composto di fogli molto antichi, scritti da Abramo, Mosè, Aronne. Questi fogli formano il Corano, cioè un Libro o libro di Mosè. Tuttavia quando il rabbino, nella sura LXXXV, 21, parla per la prima volta di un Corano glorioso "su una tavola conservata", si riferisce ancora al Corano di Mosè (o Pentateuco) in lingua ebraica. Solo negli "Atti dell'Islàm" si farà allusione ad un Corano in lingua araba (24): "Lo abbiamo reso facile per la tua lingua", ed anche "L'abbiamo rivelato sotto forma di rivelazione araba" (25). In conclusione, il Corano in arabo appare come l'opera di un rabbino che ha tradotto e adattato in lingua araba il Pentateuco mosaico e non contiene nessun nuovo dogma, nessuna originalità, nessuna nuova Rivelazione. "Allah" non è nient'altro che la traduzione araba di "Jahwé" (il Dio Unico). Il Corano ha per autore "Jahwé ", che lo ha consegnato in lingua ebraica a Mosè nel 1280 a. C. ed è stato fatto conoscere agli arabi con una traduzione del VII sec. d. C. Secondo il Padre Théry, Maometto consegnerà il Corano arabo ai suoi connazionali in due momenti successivi, dapprima oralmente e in un secondo tempo per scritto. La prima tappa è quella del "CORABÒR" (CORano AraBo ORale), la seconda quella del "CORABSCRÌT" (CORano AraBo SCRITto), traduzione in arabo del Corano ebraico di Mosè.

    LA COMPOSIZIONE DEL CORANO E L'ATTIVITÀ LETTERARIA DEL RABBINO DELLA MECCA Recitano i versetti 86-87 della sura XV: "In Verità il tuo Signore è il Creatore, l'Onnisciente. Noi t'abbiamo già portato I SETTE (VERSETTI) DELLA RIPETIZIONE e DEL CORANO SUBLIME". Questi due versetti sono indirizzati dal rabbino a Maometto per dirgli che il suo Signore è il Creatore, e non gli idoli della "Ka'ba". Il loro autore è colui che ha già composto i sette versetti della Ripetizione ed il Corano sublime, cioè il medesimo rabbino che ha composto gli "Atti dell'Islàm"e il Corabscrìt.

    1) LA "PREGHIERA DELLE LODI" OVVERO "I SETTE VERSETTI DELLA RIPETIZIONE". L'autore è evidentemente un ebreo: "Il tuo Signore è l'Onnisciente", non quindi gli idoli della "Ka'ba". Nell'affermare poi di aver già "portato i sette versetti della Ripetizione", ricorda all'allievo di aver già composto "sette versetti" speciali prima del Corabscrìt. Questi versetti infatti sono ben diversi da quelli contenuti nel Corabscrìt, e formano un tutto molto netto, concreto, breve: sono destinati ad una ripetizione frequente; da qui il nome di "Versetti della Ripetizione". Sono brevi, recitati frequentemente, quindi sono una preghiera; sono la preghiera in sette versi che i musulmani premettono alla loro raccolta di sure. Per arrivare a tale conclusione il Padre Théry si fonda sull'esegesi del versetto 87 della Sura XV degli "Atti dell'Islàm", che recita: "T'abbiamo già portato i sette (versetti) della Ripetizione e del Corano sublime". Egli dimostra che tale preghiera è stata composta già all'epoca della sura XV ed è posteriore al Corabòr, che il rabbino raccontava a Maometto. Durante tale periodo non vi è alcuno scritto arabo del rabbino della Mecca, che si serve unicamente del "Corano" di Mosè (o Pentateuco) in ebraico, per fare "catechismo" a Maometto in lingua araba, trasformandolo così in Corabòr. Inoltre il rabbino parla prima dei "Sette Versetti della Ripetizione" e poi del "Corano Sublime", dando una priorità cronologica alla "preghiera delle lodi" rispetto al Corabscrìt, redatto con fine apologetico per consentire agli arabi, ostili alla predicazione di Maometto, di conoscere direttamente da un testo scritto la Rivelazione di Yahwé sul Monte Sinai. La "Preghiera delle Lodi", invece, contemporanea del "Corabscrìt" non è un'opera apologetica, e, rivolgendosi agli arabi GIÀ convertiti al Giudaismo, presuppone l'esistenza di una comunità di musulmani ormai convertiti al Dio d'Israele, dopo aver abbandonato gli idoli della "Ka'ba".

    2) IL CORANO ARABO SCRITTO (CORABSCRÌT).
    Mentre componeva la "Preghiera delle Lodi", il rabbino lavorava anche alla traduzione in arabo del Corano di Mosè, il Corabscrìt o Corano sublime di cui parla la sura XV, vers. 87. Ma che cosa significa esattamente Corano? È uno scritto destinato alla recita, un libro che si legge ad alta voce e che si salmodia, ed è anche un libro di insegnamenti. Traducendo e adattando in arabo il Pentateuco mosaico il rabbino aveva come scopo unico quello di insegnare agli arabi la rivelazione sinaitica; è per questo che il Corabòr ed il Corabscrìt non sono altro che una ripetizione (orale e scritta) del Corano di Mosè. Negli "Atti dell'Islàm" (l'attuale Corano) si legge: "Il libro di Mosè è un modello (una guida) della Misericordia divina" (26). Dio è l'autore delle verità che contiene, avendole rivelate a Mosè nel 1280 sul Monte Sinai, come confermano le sure del Corano arabo: "Esso (Corano) è la conferma di ciò che era prima di lui (Pentateuco). Non è che la spiegazione del libro del Signore dei Mondi" (27). "Prima di questo qui (Corano arabo) vi era il libro di Mosè: è un libro che conferma l'altro, in lingua araba" (28).

    3) GLI ATTI DELL'ISLÀM.
    Oggi conosciamo un libro chiamato impropriamente "Corano", che comprende 114 capitoli o sure e 6.226 versetti. Non vi è identità - afferma il Padre Théry - tra il Corano arabo, composto dal rabbino della Mecca nel VII secolo, ed il Corano ufficiale che possediamo oggi (che sarebbe meglio definire "Atti dell'Islàm"); in definitiva il "Corano" attuale non è quello originale. In effetti ai vv. 86-87 della XV sura l'autore ricorda a Maometto che ha già composto due opere, una "Preghiera delle Lodi" e il "Corano Sublime": questa affermazione mostra che è quindi anche autore di una TERZA OPERA, quella attuale che comprende la XV sura. Perciò ci troviamo in presenza di tre opere distinte:

    1. La Preghiera delle Lodi o Sette versetti.
    2. Il Corano arabo (orale o scritto) [smarrito].
    3. Un terzo scritto (che include la sura XV, i cui vv. 86-87 ci parlano delle due opere precedenti).

    Soltanto leggendo i vv. 86-87 si può concludere che l'opera alla quale appartengono, chiamata volgarmente o erroneamente Corano, è nettamente diversa dal "Corabòr" o dal "Corabscrìt", e andrebbe chiamata Pseudo-Corano o "Atti dell'Islàm". Le differenze esistenti tra le due opere, il Corano arabo e il "Corano attuale" sono di tre tipi.

    1° DIFFERENZA CRONOLOGICA.
    All'epoca della sura XV, il "Corabòr" e il "Corabscrìt" sono già
    ultimati: "Ti abbiamo già portato il Corano Sublime". Si può quindi affermare che il "Corabscrìt" sia stato composto all'inizio del secondo periodo della Mecca: "Ti abbiamo reso facile, per la tua lingua araba, il Corano di Mosè". L'adattamento del Corano di Mosè è ormai terminato quando il rabbino scriveva gli "Atti dell'Islàm" che contengono la sura XV; ma il libro cui questa appartiene non è ancora compiuto interamente: iniziato con l'apostolato del rabbino, ne racconta le peripezie e lo segue finché è in vita. Sarà compiuto solo con la fine dell'apostolato del rabbino per la conversione di Maometto e tramite lui dell'intero popolo arabo. Per la sua natura questo libro, che è come un diario della vita apostolica del rabbino della Mecca, ed ha somiglianze con "Gli Atti degli Apostoli" di noi cristiani, è stato definito dal Padre Théry gli "Atti dell'Islàm", probabilmente ultimato nella sua stesura definitiva a Medina, anche se iniziato a La Mecca.

    2° DIFFERENZA DI SCOPI.
    IL Corano arabo è essenzialmente:

    a) un libro di preghiere ebree, destinate a far prendere coscienza della Provvidenza di Dio agli arabi della Mecca, a far loro abbandonare il politeismo per abbracciare la fede in Yahwé.
    b) È anche un libro liturgico: come si recita la Toràh (o Corano
    ebraico) in ebraico nelle sinagoghe, così i giudeo-arabi o musulmani (sottomessi a Yahwé, Dio Unico di Israele) dovranno nelle loro assemblee recitare il Corano arabo, in lingua araba. Gli Atti dell'Islàm, al contrario, non sono né un libro di preghiere, né un libro liturgico, ma la cronaca del lavoro apostolico del rabbino della Mecca e di Maometto.

    3° DIFFERENZE LETTERARIE.
    - Il Corano arabo doveva essere essenzialmente un libro dogmatico, di insegnamento, stabile ed immutabile.
    - Gli Atti dell'Islàm ci raccontano, invece, le mille peripezie dell'affermarsi, a La Mecca, della religione giudaico-rabbinica e le violente lotte del periodo medinese. È una vera CRONACA che ci narra le reazioni degli abitanti della Mecca i quali non vogliono rinunciare ai loro idoli e alle gesta di Maometto, sotto l'influsso di Khadigia e del rabbino. «In breve - conclude il Padre Théry - il libro degli "Atti", che tutti chiamano oggi "il Corano", non è il Corano arabo, o l'adattamento in arabo del Corano di Mosè. Delle tre opere composte in arabo dal rabbino della Mecca, si sono conservate, fino ad oggi, la "Preghiera delle Lodi" e "Gli Atti dell'Islàm"» (29).

    LA SORTE DEL CORANO ARABO

    IL CORANO ARABO È PERSO. Sorge spontanea una domanda: "Che fine ha fatto?" Bisognerebbe cercare nella massa di manoscritti arabi per vedere se esiste una versione araba del Pentateuco ed una volta trovatala confrontarla con i racconti brevi della storia sacra di Mosè che troviamo negli "Atti dell'Islàm". Il fatto certo - secondo il Padre Théry - è che il vero Corano arabo è smarrito. Esso non era altro che la spiegazione delle principali storie dell'Antico Testamento scritte in ebraico. Oggi nessuno possiede tale libro. I musulmani contemporanei di Maometto e del suo maestro lo possedevano; quelli attuali non lo possiedono più. L'unico scritto del VII secolo ancora in loro possesso è la "Preghiera delle Lodi" o i "Sette versetti della Ripetizione", posta come prologo ai loro "Atti", anch'essi del VII secolo. Tuttavia negli "Atti dell'Islàm" si trovano degli ESTRATTI (oltre alla storia della giudaizzazione dell'Arabia) del Corano arabo vero. Gli "Atti" hanno quindi un'enorme importanza per la conoscenza dell'esistenza della data dell'autore del "Corabscrìt" e, parzialmente, del suo contenuto. È quasi come se, per assurdo, si fossero smarriti i quattro Vangeli, ma si fossero conservati gli "Atti degli Apostoli". Grazie agli "Atti dell'Islàm" siamo in grado di conoscere qualcosa sull'origine
    dell'Islàm: anche gli "Atti" sono un libro giudaico, ma di un Giudaismo DILUITO, per non urtare la suscettibilità degli arabi idolatri. Il rabbino, secondo il Théry, si accontenta di parlare dell'esistenza di un Dio Unico, della sua bontà, della Resurrezione. Quanto alla storia sacra che costituiva l'essenza del vero Corano, negli "Atti" è appena accennata, perché dei personaggi dell'Antico Testamento (Mosè, Abramo, Noè, ecc.) vi sono solo richiami e vaghi ricordi. La perdita del Corano è un fatto grave, ma è attenuato dalla presenza degli "Atti", che ne permettono una parziale ricostruzione. Quanto poi alle congetture sulla sorte del Corano arabo autentico, si può pensare che sia stato distrutto a Medina da Othmàn o Abu-Bakr, oppure che sia andato perso. ma non si possono avere certezze in tal senso.

    I PRIMI MUSULMANI
    Il primo periodo della Mecca è caratterizzato dall'apostolato del rabbino e dalla conversione di Maometto al Giudaismo; il secondo dalla presenza del Corano arabo orale con il quale Maometto catechizzerà i suoi connazionali. Egli ormai fa parte dei "prosternati" (30), che nella letteratura rabbinica sono gli adoratori di Yahwé, cioè gli ebrei. Maometto prega prosternato come loro, frequenta la sinagoga, ha la loro 'fede'. Riunisce gli arabi per farli diventare anch'essi prosternati. Qui occorre analizzare una parola fondamentale, che basta da sola a farci capire l'essenza dell'Islàm. I grandi dell'Antico Testamento furono grandi perché SOTTOMESSI A DIO e il Corano arabo li presenta come modelli da seguire: il musulmano perciò (o l'arabo che accetta il Corano
    arabo) è un SOTTOMESSO a Dio, un MUSLIM (o musulmano). E i Patriarchi furono sottomessi alla volontà di Dio e quindi "musulmani". All'epoca del rabbino maestro di Maometto, i termini musulmano e Islàm non rappresentano una nuova religione, ma la religione del passato rispetto al Cristianesimo, la religione mosaico-talmudica che rifiuta proprio la divinità del Cristo. I musulmani per eccellenza sono quindi gli ebrei; gli arabi li dovranno imitare, sono musulmani per partecipazione. La religione dei musulmani (o dei sottomessi a Dio) si chiama ISLÀM e non è nient'altro che la religione della Sinagoga giudaico-talmudica esportata in Arabia: Islàm quindi significa SOTTOMISSIONE TOTALE ALLA VOLONTÀ DI DIO. "Colui che Yahwé (o Allah, in arabo) vuole salvare / dilata il suo cuore fino all'Islàm [alla sottomissione totale della sua volontà a Dio]" (31). Verrà un tempo in cui gli arabi, volendo far dimenticare le loro origini giudaiche (quanto alla religione che abbracciarono nel VII secolo con Maometto), si dichiareranno i soli ed autentici MUSULMANI e non più i MUSULMANIZZATI; i soli rappresentanti dell'ISLÀM e non gli ISLAMIZZATI. Sarà questo l'inizio della grande montatura religiosa del bacino mediterraneo (32), la quale ci presenterà "Allah" che rivela al suo profeta Maometto il Corano, ossia la religione musulmana o islamica come un qualcosa di proprio degli arabi, nuovo popolo eletto da Dio, totalmente "sottomessi" alla sua Volontà.

    DISPUTE TRA I CRISTIANI DELLA MECCA ED IL RABBINO
    I cristiani che vivevano a La Mecca, secondo il Théry, avevano sottovalutato gli inizi della predicazione del rabbino, ma cominciarono ben presto ad inquietarsi quando videro i progressi del Giudaismo tra il popolo arabo. Maometto aveva già convinto qualcuno dei suoi compatrioti e il rabbino aveva già tradotto in arabo il Pentateuco e vi aveva aggiunto le integrazioni talmudiche ed anticristiane. I cristiani si decisero allora ad entrare pubblicamente nella disputa che vedeva opporsi gli idolatri ai giudaizzanti. Come il rabbino aveva predicato a Maometto i personaggi dell'Antico Testamento, così i cristiani dovettero predicare loro i personaggi del Nuovo Testamento e specialmente San Giovanni Battista, la Madonna e Nostro Signor Gesù Cristo. Non possediamo naturalmente il testo delle prediche dei cristiani della Mecca, ma negli "Atti dell'Islàm" leggiamo le risposte del rabbino, e a partire da queste possiamo risalire a quelle. Naturalmente i cristiani non rifiutano la rivelazione sinaitica. Come ogni buon cristiano accettano l'Antico Testamento, perfezionato nel Vangelo di Gesù Cristo; rifiutano però le favole talmudiche che hanno storpiato la Rivelazione sinaitica. Il punto nodale che separa il cristiano dall'ebreo (e quindi dal musulmano) è il dogma dell'Unità e Trinità di Dio e della Incarnazione, Passione e Morte di Nostro Signor Gesù Cristo. I cristiani della Mecca predicavano la SS. Trinità e l'Incarnazione del Verbo eterno, Nostro Signor Gesù Cristo crocifisso dai giudei, per mantenere gli arabi al Cristianesimo e liberarli dal Talmudismo. La conversione di Maometto al Giudaismo era assai pericolosa per il Cristianesimo, che in Arabia aveva già conosciuto momenti di fortuna e di successi. Sulla base delle risposte fornite dal rabbino della Mecca negli "Atti dell'Islàm", si può evincere che i cristiani della Mecca avessero incentrato la loro predicazione (per convertire gli idolatri al Cristo, mantenere cristiani gli arabi già convertiti ed impedire che l'apostolato di Maometto tra i suoi compatrioti portasse frutti) su tre temi principali: San Giovanni Battista, la Madonna SS. e Nostro Signor Gesù Cristo. E sono proprio questi tre temi che il rabbino riprende, contrattaccando, negli "Atti dell'Islàm" allorché mischia ai suoi racconti sui Patriarchi dell'Antico Testamento (che sono i veri muslim, cioè sottomessi) alcune storie del Nuovo Testamento, svuotate di ogni sapore cristiano, anzi con un contenuto essenzialmente anti-cristiano. Le storie del Battista, di Maria e di Gesù negli "Atti dell'Islàm", sono soltanto la risposta del Giudaismo alla predicazione dei cristiani della Mecca e avevano come unico scopo quello di convertire gli arabi al Giudaismo. Non è vero che il Corano attuale ha dei punti di contatto col Cristianesimo! Al contrario! Se il rabbino parla di Gesù è solo per dire che non era Dio, era un grand'uomo, ma non Dio e questo - evidentemente - non è un punto di contatto col Cristianesimo, ma di rottura. I tre personaggi del Vangelo, il Precursore di Gesù, la Madre di Gesù e Gesù stesso non sono presentati come oggetto di fede musulmana, ma sono confutati, svuotati di ogni valore cristiano. In breve Gesù Cristo, negli "Atti dell'Islàm", non è il Cristo del Vangelo, la seconda Persona della SS. Trinità incarnatasi nel seno di Maria, per cui il Battista non è il Precursore del Messia né Maria è la Madre di Dio. Queste figure hanno perso del tutto nell'attuale Corano ogni significato cristiano, anzi esse sono l'opposto del Cristianesimo che è la Religione della divinità di Gesù Cristo. Se il rabbino ha contrattaccato, lo ha fatto per rispondere alle obiezioni mosse al suo apostolato dai cristiani della Mecca, che annunciavano il Cristo crocefisso "follia per gli idolatri e scandalo per i giudei". È quindi ora di smettere di presentare l'attuale Corano, ecumenicamente, come un libro rispettoso del Cristianesimo! (Tali proposizioni non vengono da "Allah" e da Maometto suo profeta, ma dal rabbino della Mecca successore dei crocefissori di Nostro Signor Gesù Cristo).

    Gli "Atti dell'Islàm" ci parlano del Battista (33), ma totalmente separato da Gesù Cristo (di cui invece è il Precursore), come uno dei tanti miracoli che Yahwé ha fatto ad Israele: è una persona dell'Antica Alleanza che non ha nulla a che fare con la Nuova ed Eterna. Anche la Madonna SS. negli "Atti dell'Islàm" (34) non ha nulla in comune con la Vergine Maria, Madre di Dio. Come già aveva fatto per il Battista, il rabbino sposta Maria nell'Antica Alleanza ed ignora ogni rapporto di Maria con la Nuova ed Eterna. Nonostante ciò si trovano sempre, purtroppo, dei cristiani ammalati di sincretismo che vogliono a tutti i costi vedere nel "Corano" un rispetto ed una devozione mariana che non esiste assolutamente se non nella loro fantasia. Ad esempio secondo il rabbino Maria SS. è la Maria sorella di Mosè ed Aronne, vissuta 1200 anni prima della Madonna (35): "O sorella d'Aronne, tuo padre non era un padre indegno, né tua madre una prostituta". Infine veniamo a Gesù, "pietra d'angolo e d'inciampo". Lo pseudo-Corano cercherà di distruggere la sua Persona divina, che fa sussistere in Sé due nature, quella divina ab æterno e quella umana, assunta nel seno della Beata Vergine Maria. Gesù, per il rabbino, non è che un Profeta ebreo e sarebbe blasfemo chiamarlo Dio. Ma qualcuno, come ci narra il Vangelo, aveva già gridato alla bestemmia quando sentì Gesù stesso affermare di essere Dio: e costui era Caifa, sommo sacerdote della religione giudaica! E lo pseudo-Corano mette specialmente in guardia contro questa, secondo loro, pericolosa eresia di fare del Cristo Dio: "Yahwé ha dato a Mosè la Scrittura, per avvertire coloro che dicono: 'Dio ha preso per sé un figlio'. Mostruosa parola che esce dalle loro bocche. Non dicono che bugie" (36); "In verità Yahwé. non ha preso né compagna né figlio" (37). Per il Corano attuale Gesù non è che un servo di Yahwé, un buon profeta, ma non è assolutamente il Figlio di Dio, consustanziale al Padre

    ALTRE AUTORITÀ
    Vi sono altre autorità, che possono essere citate come controprova della conclusione a cui giunge il Padre Théry. Eccone alcune. Secondo Edouard Pertus, Maometto avrebbe frequentato a La Mecca alcuni cristiani-giudaizzanti, e ciò spiegherebbe la falsa interpretazione del Cristianesimo contenuta nel Corano, quale, ad esempio, la negazione della divinità di Nostro Signor Gesù Cristo e della divina maternità di Maria, professata già da Nestorio (38). Anche lo storico ebreo Bernard Lazare afferma che "Maometto fu nutrito dello spirito giudaico" (39). La posizione di uno dei più famosi Islamologi attuali, Bernard Lewis (anch'egli ebreo) è la seguente: "Gli ebrei, compresi quelli 'convertiti' al Cristianesimo, restavano degli orientali; nello scontro sulla questione orientale, prendevano le parti dell'Asia contro l'Europa, del mondo islamico contro quello cristiano.

    L'AMICIZIA FRA EBREI E MUSULMANI ERA UN FATTO SCONTATO
    Per molti secoli, più in passato che ora, ovviamente [dopo la creazione dello Stato di Israele, n.d.r.], LA MAGGIORANZA DEL POPOLO EBRAICO HA MANIFESTATO UNA VIVA SIMPATIA PER I MUSULMANI. Un nemico comune è un gran vincolo d'amicizia e DAL MOMENTO CHE I CRISTIANI ERANO NEMICI SIA DEI MUSULMANI CHE DEGLI EBREI, QUESTI DUE POPOLI HANNO STRETTO UNA SORTA D'ALLEANZA"de facto" FRA LORO. .Al tempo delle crociate gli ebrei furono gli alleati che aiutarono i musulmani a respingere la marea dell'invasione cristiana. ed in Spagna gli ebrei sono stati gli alleati e gli amici fedeli dei mori contro gli abitanti cristiani del paese. Gli ebrei avevano prosperato nella Spagna musulmana ed avevano trovato rifugio nella Turchia musulmana. . Si potrebbe parlare di una TRADIZIONE GIUDAICO-ISLAMICA, dato che LA RELIGIONE MUSULMANA, È STRETTAMENTE LEGATA AI SUOI PROGENITORI EBRAICI" (40).

    Per chiunque legga il Corano l'influsso del Giudaismo è evidente. Quanto poi all'interpretazione di tale influsso esistono diverse spiegazioni: c'è chi, come il Padre Théry, vede nel Giudaismo l'unico motore dell'Islàm, chi, come il Pertus, vede influssi giudaici e nello stesso tempo, anche se meno forti, nestoriani e/o di cristiano-giudaizzanti, e/o gnostici. Resta il fatto acquisito del rapporto causa-effetto tra Giudaismo post-biblico e Islàm, anche perché le eresie antitrinitarie o negatrici della divinità di Cristo (come il Nestorianesimo) furono ampiamente fomentate dal Giudaismo (41). Lo stesso Pertus riconosce che "il Corano fu profondamente impregnato, se non ispirato dal Giudaismo" (42). Ecco perché le parole di Arafat (il capo dell'O.L.P.) non devono stupirci: "IL GIUDAISMO È UNA PARTE DELLA MIA RELIGIONE" (43); "VOGLIAMO LA PACE CON I NOSTRI CUGINI EBREI" (44). Anche René Sirat, presidente dei rabbini europei, ha ribadito il legame che unisce il Giudaismo all'Islàm e l'opposizione che regna, al contrario, tra Israele e la Chiesa cattolica romana. L'ex rabbino capo di Francia ed oggi presidente del consiglio permanente della Conferenza dei rabbini europei ha dichiarato a "30 GIORNI": "Mi auguro che sia possibile la stessa qualità di dialogo con i cristiani e con i musulmani. CON QUESTI ULTIMI NOI EBREI NON ABBIAMO ALCUN CONTENZIOSO TEOLOGICO RELIGIOSO, PERCHÉ I MUSULMANI NON SOSTENGONO DI ESSERE IL VERO ISRAELE [come i cristiani]. Per loro noi siamo il popolo del Libro. DI CONSEGUENZA IL DIALOGO CON LORO SARÀ MOLTO PIÙ FACILE" (45).

    «La polemica ebraica - scrive il Messori (46) - [è] convinta che IL VANGELO IN SE STESSO (con quella sua vicenda di Passione e morte di Gesù anche per responsabilità del Sinedrio) costituisca una fonte perenne di ostilità antigiudaica. Per dirla con la bruta sincerità di uno scrittore
    ebreo: 'Fino a quando qualcuno prenderà come storico il racconto evangelico della passione di Gesù, vi sarà pericolo per noi'. L'Islamismo non è invece considerato altrettanto rischioso per gli ebrei, e si tende ad attribuire solo alle PARTICOLARI CIRCOSTANZE STORICHE lo scontro tra la Stella di David e la Mezzaluna musulmana. Per il passato anzi vi fu uno stretto legame tra Islàm ed ebraismo in funzione anticristiana: L'Islàm si stanziò qui [in Israele] col fattivo aiuto e tra le grida di esultanza di quegli stessi ebrei che ora tentano. di combatterlo con le armi. Maometto muore nel 632. Bastano poco più di vent'anni alle orde arabe uscite dal deserto per giungere in Occidente. Un blitz vittorioso senza precedenti e che è meno inspiegabile solo se si pensa al RUOLO CHE VI EBBERO ANCHE LE COMUNITÀ EBRAICHE. È infatti storicamente appurato che, per avversione al Cristianesimo, GLI EBREI (ed anche i Nestoriani ed i Monofisiti)GIOCARONO IL RUOLO DI 'QUINTE COLONNE' A FAVORE DEI MUSULMANI. Non è leggenda, ma verità che sta anche nelle cronache
    arabe: si giunse a consegnare agli assedianti [musulmani] le chiavi delle città e a svelare i punti deboli della difesa. È un fatto che l'arrivo della cavalleria araba fu salutato con entusiasmo da parte ebraica. Come scrive Daniel Rops: "Gli ebrei si fecero, e con gioia, i furieri dei conquistatori musulmani. NEI MOMENTI DELLE INVASIONI, LE COMUNITÀ GIUDAICHE FURONO COSTANTEMENTE CON GLI ASSALITORI"» (47).

    Già nel 1833 lo studioso ebreo Abraham Geiger pubblicò il famoso libro Was hat Mohammed aus dem Judenthume aufgenommen? (Che cosa ha preso Maometto dall'Ebraismo?), in cui, studiando l'influsso della religione giudaica postcristiana su quella Islamica, evidenziava gli elementi veterotestamentari e rabbinici nei primi testi islamici e arrivava alla conclusione che si trattava di CONTRIBUTI EBRAICI ALL'ISLÀM (48). Questo primo studio, che precede quello del Padre Théry di ben centotrent'anni, fu seguito poi da molti altri. "Alcuni studiosi arrivarono perfino ad ipotizzare che Maometto avesse avuto insegnanti o educatori ebrei che gli avevano fornito i rudimenti della sua religione" (49). Tali opinioni furono anche condivise dal noto arabista scozzese Richard Bell e dal grande studioso svedese Tor Andrae, professore di religioni comparate. «Più di recente si sono avuti nuovi approcci sull'argomento delle .influenze ebraiche. Mentre l'origine ebraica di alcuni concetti islamici è stata evidenziata inizialmente da studiosi ebrei, per lo più rabbini... Molto recentemente l'opera di due giovani studiosi ha presentato la relazione storica fra Ebraismo e Islàm in una luce del tutto nuova, in cui il ruolo svolto dall'Ebraismo nell'Islàm viene descritto come qualcosa di ben più importante di un semplice 'contributo' o di una 'influenza'. Questo lavoro che dipinge L'ISLÀM come una specie di DERIVATO .dell'ebraismo (50) ha suscitato violente controversie» (51). Bernard Lewis, uno dei più noti orientalisti contemporanei (52), cita anche Hanna Zakharias (pseudonimo del padre Théry), "ben noto studioso domenicano" (53). È interessante ritrovare nel libro (54) del Lewis le analogie tra Ebraismo e Islàm e una contrapposizione tra Ebraismo e Cristianesimo molto più radicale di quella esistente tra Giudaismo e Islàm. Infatti "mentre gli ebrei riconoscevano l'Islàm come una religione strettamente monoteista dello stesso tipo della loro, avevano forti dubbi, condivisi dai musulmani, circa il Cristianesimo. Era meno grave testimoniare che Maometto era il profeta di Dio, piuttosto che affermare che Gesù era il Figlio di Dio. Anche per quanto riguarda le regole alimentari Ebraismo e Islàm sono molto simili tra loro e dissimili dal Cristianesimo» (55). Il problema dei rapporti tra Giudaismo e Islàm è stato recentemente trattato anche da Shelom Goitein, professore emerito presso l'Università Ebraica di Gerusalemme e attualmente membro dell'Institute for Advanced Study di Princeton, il quale afferma: "La città di Medina .ospitava una popolazione ebraica così grande che sotto il suo esempio. fu in grado di preparare i suoi vicini Arabi ad accettare la religione monoteistica" (56). Medina, centro principale dell'attività di Maometto, fu originariamente una città di Kohanim (sacerdoti) ebraici. "La testimonianza più eloquente del carattere giudaico delle comunità israelite d'Arabia .si trova nello stesso Corano, che continuamente fa riferimento ai loro rabbini. Il Corano allude più volte al sabato come ad un giorno di riposo e al digiuno giudaico e ad altre leggi .le quali si riscontrano nella letteratura talmudica"(57). Il Corano dice (58) che la Resurrezione avverrà in un batter d'occhio; e questo versetto, fa notare lo studioso, viene recitato dagli ebrei tre volte al giorno. "Infine nel Libro Sacro dell'Islàm si sono trovati inequivocabili 'Midrashim' giudaici, che finora non sono stati rintracciati nella letteratura ebraica. Perciò, se troviamo nel Corano iscrizioni che lodano gli ebrei perché osservano il sabato o li rimproverano perché così non fanno, queste leggende possono essere scaturite solo da una fonte ebraica" (59).

    Il Goitein si chiede allora di quale religione si sia servito Maometto come suo modello immediato o quali siano stati i suoi maestri, dato che il Corano allude più volte a persone che istruirono il Profeta. La risposta può essere triplice. Una prima tesi sostiene che il Corano contiene una grande quantità di materiale che si può far risalire sia a fonti giudaiche che cristiane. Però (seconda tesi) ciò che Maometto dice riguardo a Gesù Cristo e al Cristianesimo non si può applicare a nessuna delle diverse confessioni cristiane di allora e dunque la proposta cristiana andrebbe scartata. Infine (terza tesi) potrebbe essere esistita una terza tradizione di tipo gnostico esoterico, che potrebbe avere influenzato Maometto, una specie di gnosticismo cristiano riconducibile, quale antitradizione parassitaria, alla Càbala spuria giudaica. È in pratica la tesi di Harnack, secondo cui "l'Islàm è un rimaneggiamento della religione ebraica su suolo arabo, dopo che la stessa religione ebraica ha subito modifiche ed assorbito influssi da un cristianesimo gnostico-esotericheggiante" (60). Goitein sostiene che "nell'ultimo periodo della sua attività, a Medina, MAOMETTO FU INFLUENZATO IN MANIERA CONSIDEREVOLE DAL PENSIERO E DAI MODI DI VITA DEGLI EBREI. .LA SPIRITUALITÀ DI MAOMETTO, con il suo irriducibile monoteismo [interpretato in funzione antitrinitaria, n.d.r.] EBBE IN CIÒ MOLTO DELLO SPIRITO DEL GIUDAISMO. L'ipotesi che Maometto, all'inizio della sua attività di profeta, fosse principalmente ispirato da cristiani, compresi i giudeo-cristiani, sembra sia da scartare nel modo più assoluto per il semplice fatto che non c'è alcun riferimento alla figura (persino al nome) di Cristo. Si ha l'impressione che Maometto abbia fatto uno studio specifico dei dogmi cristiani unicamente in una fase molto più tarda della sua attività" (61). La figura dominante del Corano, d'altronde, è Mosè, citato più di cento volte contro le quattro di Gesù Cristo. Inoltre le storie su Mosè pervadono tutto il Corano e non sono limitate a certi capitoli specifici. Il gruppo ebraico, che influenzò Maometto, non era dunque una setta giudeo-cristiana ed ebionita, poiché il CORANO PRESENTA DELLE AFFINITÀ STRETTISSIME CON LA LETTERATURA TALMUDICA.

    La soluzione posta dal Goitein perciò è quella dell'influsso del Giudaismo-talmudico sull'Islàm. "La battaglia che Maometto così gloriosamente e facilmente ha vinto sugli arabi compatrioti è stata decisa molti secoli prima sulle colline della Giudea. I VALORI reali DELLA FEDE IN UN SOLO DIO. GIUNSERO A MAOMETTO, come egli mai cessò di mettere in evidenza, da ISRAELE" (62). L'Islàm, come il Giudaismo, è una religione di 'Halaka', cioè un precetto che regola MINUZIOSAMENTE tutti gli aspetti della vita. "Di fronte a queste considerazioni - conclude Goitein, confermando la conclusione del Théry - si è portati a pensare che L'INFLUENZA DEL GIUDAISMO SULL'ISLÀM DELLE ORIGINI DEVE ESSERE STATA MOLTO CONSIDEREVOLE, SE NON DECISIVA" (63). Un altro noto storico e giornalista, Paul Johnson, scrive assai lucidamente sui rapporti tra Islàm e Giudaismo: ".l'Islàm fu in origine un movimento eterodosso all'interno del Giudaismo, divergendone al punto da diventare una religione a sé stante. La presenza ebraica in Arabia è molto antica. Durante i primi tempi dell'era cristiana il Giudaismo si diffuse nell'Arabia settentrionale e alcune tribù divennero interamente ebraiche. Ci sono prove che poeti ebrei siano fioriti nella regione di Medina nel VII secolo, ed è perfino possibile che uno stato dominato da ebrei sia esistito lì in quel periodo. Secondo fonti arabe, circa venti tribù in Medina e dintorni erano ebree. L'influenza del Cristianesimo, che ai suoi occhi [di Maometto, n.d.r.] non poteva apparire strettamente monoteistico, fu molto lieve. Sembra che l'obiettivo di Maometto fosse quello di distruggere il paganesimo politeistico della civiltà delle oasi, trasmettendo agli arabi il monoteismo etico ebraico in un linguaggio che essi potessero capire ed in termini adatti ai loro costumi. Egli accettò il Dio degli ebrei e i loro profeti .il Corano essendo il sostituto arabo della Bibbia. Lo sviluppo da parte di Maometto di una religione a se stante, ebbe inizio quando si rese conto che gli ebrei di Medina non erano disposti ad accettare la sua versione araba arbitrariamente elaborata del Giudaismo" (64).

    Sostanzialmente dello stesso avviso, riguardo all'origine dell'Islàm dal Giudaismo ed alla successiva 'rottura', è anche Lea Sestrieri: "In contatto con gli ebrei. gli arabi avevano acquistato una certa familiarità con l'idea monoteista. Non meraviglia perciò che in un determinato momento uno di essi. abbia sentito il richiamo del Dio unico. È molto probabile. che gli arabi di religione essenzialmente idolatrica, arrivassero all'orrore dell'idolatria attraverso il contatto costante con gli ebrei, che da secoli vivevano tra loro. L'essenza della dottrina di Maometto può essere riassunta in questi punti: credere in Dio, negli Angeli, nelle Scritture. Ad essi può aggiungersi: la preghiera, l'elemosina, i digiuni, i pellegrinaggi a La Mecca. Ognuno di questi punti si riallaccia alla fede e alla pratica ebraica, compresa l'idea del pellegrinaggio (in cui solo la città cambia)" (65). La Sestrieri si domanda come si sia prodotta la rottura tra Giudaismo e Islàm, che oggi continuano a chiamarsi cugini (cfr. nota n° 51) e
    risponde: "La separazione tra Giudaismo e Cristianesimo fu determinata dal carattere cristologico di Gesù [e dalla divinità di Gesù, n.d.r.]. Ma nella predicazione di Maometto non vi sono dottrine che costituiscano una separazione dall'ebraismo" (66). Ecco spiegato in breve quanto si cerca di provare: tra Cristianesimo ed Ebraismo vi è una opposizione di contraddizione di carattere teologico: per il Cristianesimo Gesù è Dio; per il Giudaismo Gesù non è Dio. Tra Islàm e Giudaismo, invece, non vi è nessuna opposizione di carattere teologico, mentre vi è opposizione di contraddizione tra Cristianesimo e Islàm riguardo i due Misteri principali della Fede: Unità e Trinità di Dio e Incarnazione, Passione e Morte e Resurrezione di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Secondo la Sestrieri la rottura tra Giudaismo e Islàm avvenne per motivi caratteriali o personali, comunque accidentali e contingenti; infatti "per una personalità come quella di Maometto la sfiducia degli ebrei dettata da superiorità e tradizione furono più che sufficienti per produrre la rottura. Si potrebbe concludere perciò che la separazione Ebraismo-Islamismo è solo in parte religiosa; fu dettata essenzialmente dal desiderio di predominio dell'Islàm" (67). Un altro eminente studioso, Günter Stemberger, ammette la dipendenza dell'Islàm dal Giudaismo: "ALL'INIZIO L'EBRAISMO, .HA FORTEMENTE INFLUENZATO L'ISLÀM, anche se in seguito ne subì l'influenza. Proprio l'ambiente politico-culturale dell'Islàm ha contribuito alla diffusione del Giudaismo rabbinico" (68); entra poi nei dettagli e conferma l'influsso rabbinico su Maometto: "Già molti secoli prima di Maometto esistevano in Arabia comunità ebraiche: esse svilupparono un'intensa attività missionaria MAOMETTO ebbe così l'opportunità di incontrarsi con loro e di conoscerne la tradizione. Egli BASÒ AMPIAMENTE LA SUA DOTTRINA SULLA TRADIZIONE BIBLICOEBRAICA. Vi sono TANTISSIMI ELEMENTI CHE COLLEGANO chiaramente IL CORANO e il pensiero islamico posteriore ALLA TRADIZIONE EBRAICA" (69).

    Lo Stemberger passa poi ad elencare i punti di contatto tra Islamismo e
    Giudaismo: la fede, la legge religiosa ed il materiale narrativo, cose che già abbiamo visto nel corso dell'articolo. Sembra però opportuno soffermarsi sulle prescrizioni legali riguardo ai cibi. Maometto riprende sostanzialmente i divieti già noti al Giudaismo, anche se pur con meno proibizioni. Tuttavia "si permette ai musulmani di mangiare la carne macellata dagli ebrei" (70). Il Verminjon risponde alla domanda sollevato dalla Sestrieri, sulla rottura tra Giudaismo e Islàm, facendo un pararallelo con Lutero: «Lutero. si schierò per gli ebrei e fu da questi sostenuto; ma quando il fuoco dell'eresia fu acceso, essi, facendo macchina indietro, si ritirarono. Per tale voltafaccia lo stesso Lutero li investì con l'opuscolo Gli ebrei e le loro menzogne. Il rabbino Camerini riconosce che la Riforma, tenendo occupati i cristiani a lottare tra loro (proprio come era voluto dal Giudaismo), segnò una tregua alle azioni antigiudaiche. E non si pensi che allo stesso sorgere del Maomettanesimo sia stato estraneo l'intervento della Sinagoga. Maometto, in principio, fu aiutato da ebrei col consiglio e con l'oro. Ma UNA VOLTA CHE TALE RELIGIONE SI DIFFUSE, ESSI TROVARONO IL MODO DI RITIRARSI ALLA CHETICHELLA. Fu, in realtà, il fanatismo di un pugno di ebrei, fra i più reputati della città di Medina, che gettò le fondamenta della potenza politico-religiosa dell'Islàm. Dopo di che, più facilmente, si arguisce quanto il Giudaismo abbia interesse a che i "goim" lottino tra loro e siano al massimo grado divagati da quelle cose che risultino più distraenti» (71). Sembra quindi del tutto lecito affermare che, se il Marxismo è una versione laicizzata del Giudaismo talmudico, l'Islamismo è un Giudaismo semplificato ed armato contro i cristiani. È proprio dell'Islàm voler imporre la mezzaluna con la spada, mentre la Chiesa ammette il ricorso alla forza solo per impedire all'eretico di spargere l'errore nella società (72) o per difendersi dall'attacco di un ingiusto aggressore, fosse anche un non battezzato sul quale non ha giurisdizione. "La guerra contro gli infedeli è uno dei doveri più sacri raccomandati dall'Islàm. .la guerra santa non deve né cessare né essere interrotta prima che il mondo sia tutto sottomesso all'Islàm" (73). Come non essere preoccupati, allora, di fronte al fenomeno sempre più invadente di milioni e milioni di musulmani che si sono infiltrati nell'Europa (una volta) cristiana per volerla musulmanizzare?

    Nel 1981 il dr. Israël Shahak (presidente della Lega israeliana dei diritti dell'uomo, professore di chimica all'Università ebraica di
    Gerusalemme) scriveva un'appendice ad un articolo intitolato: "La religione ebrea e le sue attitudini rispetto alle altre nazioni" (in Khamsin N° 9, 1981, Ithaca Press, London). Tale appendice è stata tradotta in francese da Jacques Monnot, e riportata come postfazione al libro "L'Azyme de Sion" del generale Moustafà Tlass (prima edizione francese 1990, Damasco, Siria, pagg. 303-365). Ebbene anche il dott. Shahak ammette, in tale appendice, che "l'Islàm è considerato [dal sistema giuridico giudaico, n.d.a.] più favorevolmente del Cristianesimo" (op. cit., pag. 328). «IL GIUDAISMO È IMPREGNATO - spiega il dott. Shahak - DI UN PROFONDO ODIO VERSO IL CRISTIANESIMO... Tale odio risale all'epoca in cui il Cristianesimo era ancora debole... Tale attitudine... è fondata su due elementi principali: in primo luogo, sull'odio e le calunnie contro Gesù... In secondo luogo per ragioni teologiche, ...secondo le quali il Cristianesimo è posto (dall'insegnamento rabbinico) tra le religioni idolatriche. Tutto ciò a causa della dottrina cristiana sulla Santissima Trinità... Invece L'ATTITUDINE DEL GIUDAISMO VERSO L'ISLÀM È RELATIVAMENTE BENEVOLA... Il Corano, a differenza del Nuovo Testamento, non è condannato ad essere bruciato. Non è onorato come la legge islamica onora i rotoli della Torah, ma è trattato come un libro normale. La maggior parte delle autorità rabbiniche riconoscono che l'Islàm non è idolatra» (op. cit., pagg. 362-365).

    I RAPPORTI ATTUALI TRA MONDO PALESTINESE E STATO D'ISRAELE
    In questo articolo si è trattata la questione delle origini storiche dell'Islàm, sulla base di studi scientifici seri e documentati; per quanto riguarda invece i rapporti attuali tra Palestina e Stato d'Israele il discorso è diverso. Bisogna perciò concludere che tra Giudaismo e Islàm il rapporto è SOSTANZIALMENTE di causa ed effetto. Tuttavia, ACCIDENTALMENTE (cioè date le circostanze storiche che hanno fatto sì che Israele occupasse con la forza i territori palestinesi), il mondo arabo si è trovato in una situazione conflittuale con Israele. Questo, però, non è dovuto a cause religiose (essendo l'Islam una emanazione del Giudaismo talmudico), ma soltanto a cause di ordine politico-militare (74). Mi sembra che non si possa negare tuttavia che la reazione del mondo islamico all'imperialismo ebraico (che sta realizzando il Nuovo Ordine Mondiale) sia da considerare come qualcosa di positivo, "per accidens et non per se" (direbbero gli scolastici). Non bisogna però esagerare e vedere nella reazione araba allo Stato d'Israele qualcosa di buono IN SÉ o SOSTANZIALMENTE, così da farci addirittura abbracciare la causa dell'Islàm! Si tratta infatti della lotta della Palestina contro lo Stato d'Israele e non dell'Islàm contro il Giudaismo! Sarebbe fatale per noi, cristiani, dimenticare che (come ha dichiarato Jocelyne Khoueiry, ex comandante della milizia cristiana libanese) "il Libano [cristiano] è stato sacrificato per soddisfare Siria e Israele [musulmani ed ebrei]. Sul Libano pesavano tre pericoli. Il primo era la Siria, con le sue mire .Il secondo è costituito dall'integralismo delle nazioni islamiche, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita. Infine vi è la minaccia di Israele, che preferirebbe un Libano diviso in tanti piccoli stati quante sono le sue religioni. Inoltre non bisogna dimenticare che USA ed Israele avevano concluso un patto internazionale .il cui scopo era di risolvere la questione palestinese a spese dei cristiani libanesi. I palestinesi non avevano patria? Il Libano diventerà la loro patria. E i cristiani? Potranno emigrare verso gli USA." (75). GIUDAISMO E ISLAM SONO SEMPRE PRONTI (ANCHE ORA) AD ALLEARSI, QUANDO SI TRATTA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO! Perciò l'infiltrazione giudaico-massonica all'interno della Chiesa romana e la giudaizzazione dell'ambiente cristiano, non debbono farci dimenticare, ma al contrario debbono rafforzarci sempre più nella convinzione che L'UNICO VERO ANTIDOTO AL GIUDAISMO TALMUDICO NON È LA MEZZA LUNA (che è preceduta e s'interseca con la stella di David) MA SOLO E SOLTANTO LA CROCE DI GESÙ!

    Note
    Le citazioni del Corano sono state tratte dal vol. del Padre Théry: "Vrai Mohammed et faux Coran".

    1) 1891-1959. Fu membro dell'Accademia Pontificia,
    cofondatore con Etienne Gilson degli Archives doctrinales
    et littéraires du Moyen Age, fondatore dell'"Istituto
    storico di Santa Sabina" di Roma, professore
    all'Istituto Cattolico di Parigi, membro delle sezione
    storica della Sacra Congregazione dei Riti.
    2) N.E.L.. Paris 1960.
    3) J. BERTUEL, L'Islam: ses véritables origines,
    N.E.L., Paris 1983-84, 3 voll.
    4) BRUNO BONNET-EYMARD fr., Le Coran, CRC ed., Saint-Parres-lès-Vaudes 1988, tomo I, pag. XIX
    5) L'edizione precedente di De Moïse à Mohammed,
    sotto lo pseudonimo di H. ZAKHARIAS, apparve nel
    1955 "chez l'auteur", seguito dal III tomo postumo nel
    1963 presso le edizioni dello Scorpione. Un IV volume è
    rimasto allo stato di manoscritto.
    6) Cfr. Angelicum, fascic. 3-4, 1960.
    7) Probabilmente un meteorite.
    8) A La Mecca si praticava sia il politeismo, che
    adorava una decina di divinità, tra le quali una triade femminile, sia la litolatria: il culto delle pietre sacre.
    9) Sura XVIII, 8.
    10) Probabilmente agli inizi del VI secolo.
    11) E. PERTUS, Connaissance élémentaire de l'Islam, Action familiale et scolaire, Paris 1991, suppl. al n° 65, pag. 24.
    12) Sura XCII.
    13) Sura XCV.
    14) Sura LXXX, 13-16.
    15) Sura XXXVII, 114-120.
    16) Sura LXXXV, 21-22.
    17) Sura CXII.
    18) Sura CIX, 1-6.
    19) H. ZAKHARIAS, Vrai Mohammed et faux Coran,
    N.E.L., Paris 1960, pag. 32.
    20) Sura LXXX 11-15, XCVII, LXXXVII, LXVIII
    15-52, LVI 76-77.
    21) "Si resta colpiti dal posto che tengono - nel Corano
    - i precetti, minuziosamente dettagliati, relativi alle
    donne; ora questi stessi precetti occupano circa un settimo
    del contenuto del Talmùd". (E. PERTUS, op.cit., pag. 41).
    22) Sure: LXXVII, 41-44; LXXXIII, 47; LXXVIII,
    31; LII, 20; LVI, 22; LV, 72; XXXVII, 47; XLIV, 54;
    XVI, XXXVII, 47; LV, 47.
    23) Sura XVII, 75.
    24) Sura LIV, 17, 22, 32, 40.
    25) Sura XX, 112.
    26) Sura XI, 20.
    27) Sura X, 38.
    28) Sura XLVI, 11.
    29) Op. cit. pag. 112
    30) Sura XXVI, 217-219.
    31) Sura VI, 125.
    32) Op. cit., pag. 129.
    33) Sura XIX, 1-15.
    34) Sura, XIX, 16-21.
    35) Sura XIX, 29.
    36) Sura XVIII, 3-4.
    37) Sura LXXII, 3.
    38) Cfr. E. PERTUS, Connaissance élémentaire de
    l'Islam, Action familiale et scolaire, Paris 1991, suppl. al n° 65.
    39) B. LAZARE, L'antisemitisme, Documents et témoignages
    1969, pag. 51.
    40) B. LEWIS, La rinascita Islamica, Il Mulino, Bologna
    1991, pagg. 187-205.
    41) Cfr. J. MEINVIELLE, Dalla Cabala al progressismo,
    Roma 1989.
    42) E. PERTUS, op. cit., pag. 26.
    43) Intervista ad Arafat, LA STAMPA, 15/9/1993.
    44) L'Osservatore Romano, 21/8/1994, pag. 2.
    45) 30 GIORNI, febbraio 1994, pag. 16.
    46) V. MESSORI. Pensare la Storia, ed. Paoline, Milano
    1992, pag. 624.
    47) Ibidem, pagg. 117-118.
    48) A. GEIGER, Was hat Mohammed aus dem Judenthume aufgenommen?, Bonn 1833, ed. Rivista, Lipsia 1902.
    49) B. LEWIS, Gli Ebrei nel mondo Islamico, Sansoni,
    Firenze 1991, pag. 72.
    50) P. CRONE-M. COOK, Magarism: the Making of
    the Islamic World, Cambridge, England, 1977.
    51) B. LEWIS, op. cit., pag. 73.
    52) È professore di storia del Medio Oriente presso l'Università americana di Princenton.
    53) B. LEWIS, op. cit., pag. 204.
    54) Pagg. 82-86.
    55) Ibidem, pagg. 87-88.
    Sull'argomento si vedano anche:
    S. W. BARON, Social and Religious History of the Jesus,
    New York 1952.
    E. I. J. ROSENTHAL, Judaism and Islam, Londra 1961.
    A. I. KATSH, Judaism in Islam, New York 1962.
    S. D. GOITHEIN, Studies in Islamic History and Institutions, Leida 1966. M. R. COHEN, The Jewish self-Government in Medieval Egipt, Princeton 1980.
    56) S. D. GOITEIN, Ebrei e Arabi nella storia, Jouvence,
    Roma 1980, pag. 59.
    57) Ibidem, pag. 63.
    58) Sura XVI, 77.
    59) S. D. GOITEIN, op. cit., pag. 65.
    60) Dogmengeschichte, II, pagg. 553-557.
    61) S. D. GOITEIN, op. cit., pagg. 68-69
    62) Ibidem. Pag. 74.
    63) Ibidem, pag. 76.
    64) P. JOHNSON, Storia degli ebrei, Longanesi, Milano
    1987, pagg. 186-187.
    65) L. SESTRIERI, Gli Ebrei nella storia di tre millenni, Carucci, Roma 1980, pagg. 92-95.
    66) Ibidem, pag. 95.
    67) Ibidem, pagg. 94-95.
    68) G. STEMBERGER, Il Giudaismo classico, Città
    nuova, Roma 1991, pag. 288.
    69) Ibidem, pagg. 288-289.
    70) Ibidem, pag. 290.
    71) VERMINJON, Le forze occulte che manovrano il
    mondo, Roma 1977, pagg. 64-66.
    72) Assassinando così lo spirito, reato questo molto più
    grave dell'omicidio (vedasi Sodalitium n° 5, pagg. 14-23).
    73) Ibidem, pag. 94.
    Sull'argomento vedasi anche R. BARKAI, Chrétiens,
    musulmans et juifs dans l'Espagne médiévale, ed. Du
    Cerf, Paris 1994.
    74) IL GIORNALE del 12/11/'94 (pag, 15) riporta
    un'intervista a Mahmud El Adhar, uno dei laeders indiscussi
    di Hamas a Gaza, nella quale si legge: "PER NOI
    MUSULMANI GLI EBREI NON HANNO MAI COSTITUITO
    UN PROBLEMA IN QUANTO TALI. Li
    abbiamo accolti ogni volta che voi Europei avete deciso
    di liberarvi di loro. Abbiamo iniziato cinque secoli fa
    quando gli Spagnoli iniziarono a buttarli fuori dal loro impero". Lo stesso Arafat ha recentemete dichiarato: "Vogliamo la pace con I NOSTRI CUGINI EBREI"; da L'OSSERVATORE ROMANO, 21 agosto 1994, pag. 2.
    75) J. KHOUEIRY, in Missioni della Consolata, agosto
    1993, pagg. 26-28.

    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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    C. GASBARRI, Cattolicesimo e Islam oggi, Città Nuova,
    Roma 1972.
    H. LAMMENS, L'Islam, Croyances et institutions, Librairie orientale, Beirouth, 1943. B. LEWIS, Il linguaggio politico dell'Islam, Laterza, Roma- Bari, 1991. H. C. PUECH,Islamismo, Laterza, Roma-Bari 1991. M. QUTUB, Equivoci sull'Islam, Sita, Ancona 1980. R. DA MONTECROCE, I Saraceni, Contra legem sarracenorum, Nardini, Firenze 1992. E. VARRIALE, La legge sacra. Diritto e Religione. nell'Islam, Stamperia della frontiera, Careggio 1986. G. LEVI DELLA VIDA, Arabi ed Ebrei nella Storia, Guida ed., Napoli 1984. G. BALDACCI, Arabi ed ebrei, Longanesi, Milano 1968. G. TROVATO, Maometto e gli ebrei, Agate, Palermo 1939. A. UCCELLI, Gli Arabi nella storia e nella civiltà, Vallardi, Milano 1912. G. VALABREGA, La Rivoluzione araba, Dall'Oglio, Milano 1967. ABDEL-KADER, A. RAZAK, Israele e il mondo arabo, Il Saggiatore, Milano 1964. R. DE MATTEI, La vita interiore fondamento della Contro- Rivoluzione, in Lepanto, luglio-agosto 1993. STEFANO NITOGLIA, L'Islàm anatomia di una setta, Effedieffe Milano 1994. Encyyclopédie de l'Islam, 2 ed, Brill, Leiden 1961-78. Voci: Isrà il iyyat Al Kur'an Ka'ba Indjil S. NOJA, Maometto profeta dell'Islam, Mondadori, Milano 1974. E. COUVERT, La gnose universelle, ed. de Chiré, Chiréen- Montreuil, 1994. P. VASSALLO, Nuove tesi su Islam e Giudaismo, in "Lo Stato", n° 23, settembre 1961, pagg. 28-30. A. BAUSANI - F. M. PARADA, L'Islamologia, Roma, Orbis Catholicus, 1951. Non è stata consultata, ma sarebbe importante poter prendere visione della confutazione del Corano scritta originariamente in arabo da Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II)
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  8. #8
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    Predefinito L'islam è antiisraeliano...ne siamo proprio sicuri?

    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  9. #9
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    Predefinito

    Ottimi articoli!
    Islam e Giudaismo = spazzatura semitica.

  10. #10
    Non sono d'esempio in nulla
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    Predefinito

    Odiano i giudei e la falsa religione maomettana, la SS.Trinità e quindi noi Cattolici che la adoriamo e vediamo davvero nell'Eucarestia durante la S.Messa, oggi solo quella di 'S.Pio V' altresì nota come 'in latino' (non una cum... )


    Daniele

 

 
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