RILETTURA DE "LA GRANDE NAZIONE" DI JEAN THIRIART
di Adriano Scianca
da ORION 236, maggio 2004
La cultura non conformista europea posteriore al 1945 presenta poche figure veramente fondamentali. Una di queste è sicuramente Jean Thiriart. Padre nobile dell’europeismo nazionalrivoluzionario, Thiriart ha contribuito in modo essenziale a formulare i temi centrali della nostra visione del mondo: si pensi solo al mito dell’Europa unita, alleata dei popoli del Terzo Mondo e nemica irriducibile degli USA, o alla definizione del concetto di “mondialismo”, termine di cui l’ideologo belga è stato probabilmente anche l’inventore. Rileggere Thiriart oggi, nel 2004, mentre l’anaconda statunitense accerchia l’Eurasia e sempre più forti si odono i canti ingannatori delle sirene dello “scontro di civiltà”, è quasi un dovere. Per riscoprire le nostre migliori radici, per gettare uno sguardo rivoluzionario sul presente e sul futuro, per tornare ad essere, nietzscheanamente, dei “buoni Europei”.
L’Europa unita: una necessità.
La Grande Nazione è un testo che risale ai primi anni ’60. All’inizio degli anni ’90 è stato saggiamente e doverosamente ristampato dalle edizioni Barbarossa in occasione della scomparsa dell’autore, avvenuta il 23 novembre 1992 per una crisi cardiaca. Insieme a Un Impero di 400 Milioni di Uomini: l’Europa (di cui pare che le Edizioni Controcorrente stiano preparando una nuova edizione), il testo in questione è forse una delle opere più famose del pensatore belga. In 65 tesi agili e scorrevoli, Thiriart traccia un vero e proprio programma politico, attingendo contemporaneamente tanto alla concretezza pragmatica quanto all’immaginazione visionaria. Il punto di partenza della trattazione thiriartiana è la constatazione dell’ineluttabilità della dimensione continentale: già al primo punto si dichiara che “non esiste più, attualmente, né indipendenza effettiva, né progresso possibile, al di fuori dei grandi complessi politici organizzati su scala continentale. […] Oggi la dimensione europea è il minimo indispensabile per l’indipendenza”. Contro i veteronazionalismi sciovinisti e fratricidi, gli Europei debbono cominciare a pensare in grande: “rifarsi ad un piccolo e antiquato nazionalismo non vitale è una forma di sentimentalismo suicida. Vogliamo un nazionalismo all’altezza del nostro tempo, vogliamo un nazionalismo valido, vogliamo un nazionalismo vitale: il nazionalismo europeo”. Questo tipo di nazionalismo si basa su un’identità di destino voluta per un grande disegno comune, si fonda su un progetto per l’avvenire.
Del resto “un’Europa senza nazionalismo è […] impossibile. È una concezione astratta, tipica della sinistra ‘rammollita’, contraddittoria nei termini. Cos’è una nazione senza sentimento nazionale?”. L’ideale nazionalista grandeuropeo si invererà storicamente ad opera di un partito rivoluzionario. La liberazione e l’unificazione del continente saranno opera di una struttura rigorosamente centralizzata e gerarchizzata di tipo leninista, all’interno della quale “i migliori Europei viv[ranno] l’Europa prima della nascita dello Stato europeo”.
Unita, armata, indipendente