dal quotidiano liberaldemocratico IL GIORNALE
" il Giornale del 21/04/2004
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Il caso
I colpevoli silenzi sull'intoccabile
Paolo Guzzanti
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La storia è semplice, anzi banale. Se Berlusconi in una intervista, in una chiacchierata, mentre sta a prendere un aperitivo al bar, dice qualcosa di politicamente scorretto che poi finisce sui giornali, si aprono le cateratte, vengono giù cori di urla che scuotono in modo grottesco stampa e persino il Parlamento, si invocano le sue dimissioni e la cagnara dura per giorni, settimane, in qualche caso mesi. Se invece a straparlare, o a parlare sopra le righe, a parlare in modo imprudente, è un leader della sinistra (facciamo un nome a caso, Massimo D'Alema), allora la questione non si pone, anzi si pone in modo rovesciato e cioè così: come si è permesso quel mascalzone del giornalista di riferire, scrivere, riportare quel che costui ha detto? Lo si indaghi, gli si facciano le analisi, si veda come redarguirlo, colpirlo, intimidirlo. Cine diamine, la stampa non era tutta in mano nostra?
È esattamente quel che è successo ieri quando è andato in edicola il Giornale con una intervista "dietro le quinte" di un set televisivo, in cui proprio Massimo D'Alema usa un linguaggio più da cialtrone che da arrogante, e in cui riepiloga con parole crudissime, tutto il suo proverbiale disprezzo per la stampa e per i giornalisti che non siano suoi caudatari ("Se un giornalista fa il furbo gli spezzo le ossa e lo prendo a calci nel sedere"), tratta in tono derisorio il suo compagno Walter Veltroni, si dimostra - diciamo - "moooòlto" affezionato al potere di governo (il che è peraltro legittimo, ma suona puerile se dichiarato), irride, deride è - per i miei gusti personali - del tutto irresistibile nella sua teatralità da Capitan Fracassa arrampicato sul cassero: "Il suo giornale lo querelo sempre volentieri. È la principale fonte di finanziamento della mia barca".
Naturalmente anch'io, quando ho letto ieri mattina l'intervista del nostro bravissimo Luca Telese raccolta sul set di Batti & Ribatti di Pigi Battista, ho fatto un salto sulla sedia. Ma un salto d'invidia per il bravo collega. Non certo perché D'Alema apparisse diverso da come è e da come appare, ma proprio per il contrario: perché ci trovavamo di fronte a un ritratto del politico tale e quale come tutti lo conoscono nella realtà, sulla terraferma e litigando con i flutti. La sua famosa arroganza (un prodotto made in Italy che meriterebbe un marchio Doc) appare nel suo truculento splendore, spettacolare e teatrale, l'uniforme che calza sul guerriero come una seconda pelle. Siamo, mi dicevo, nell'arte: bravo il giornalista, ma fantastico questo personaggio che si mostra con tanta generosità. C'era, intanto, tutto: il suo prezioso linguaggio manesco: rompere le ossa, prendere a calci nel sedere. Che tempi, signora mia, non solo non ci sono più le mezze stagioni, ma non si riesce più a distinguere ad occhio nudo un democratico di sinistra da un vecchio squadrista. Un solo aggettivo: irresistibile.
Questo, in un mondo ideale. Nel mondo reale italiano, ieri si è consumata invece una tragedia del buon gusto e delle convenzioni che regolano il rapporto fra politici e giornalismo: D'Alema non ha gradito e forse non ha capito. Non ha, del resto, l'umorismo facile: quando, molti anni fa, io ero un cronista di Repubblica e lui un giovane deputato, mi apostrofava regolarmente, puntualmente, ci potevi scommettere, quando mi incrociava nel Transatlantico, dicendo con il suo ghigno d'ordinanza: "Hai fatto anche oggi il tuo compitino anticomunista?". Una volta non me lo disse, e ci restai male. Insomma, l'articolo era bellissimo, le idee politiche rispettosamente raccontate e se D'Alema fosse stato una persona normale avrebbe dovuto semplicemente mandare due bottiglie di Champagne a Luca Telese con un biglietto di felicitazioni.
Invece, ecco la cupezza inquietante di D'Alema, il leader della sinistra che si dichiara riformista ha preso cappello, si è infuriato, ha innescato là protesta dei sindacati, ha, duole dirlo, mobilitato le masse. Domanda: possiamo farci governare da uno che si fà difendere dall'Usigrai? È un problema. Ma la questione che vogliamo sottoporre ai lettori è quella di cui dicevamo all'inizio. Non soltanto Berlusconi è accusato di essere il padrone di tutte le televisioni che lo ricoprono quotidianamente di improperi (quando è al governo) e di calunnie (quando è all'opposizione). Ma se Berlusconi parla e racconta una barzelletta ai suoi amici, e un cronista di serie C corre a diffonderne le scorrettezze, tutti addosso a Berlusconi come mute di cani da cinghiale. Se invece D'Alema si lascia andare con un giornalista (il quale si presenta come giornalista, lo avverte che scriverà da giornalista) ad un eloquio poco dignitoso e anzi deplorevole, allora le mute dei cani non azzannano più i polpacci del politico, ma quelli del giornalista. È la solita storia, è come il conflitto d'interessi nel caso di Romano Prodi, che fa campagna elettorale da capopartito in Italia, sfruttando la sua posizione dominante di presidente della Commissione europea, e nessuno della stampa plaudente ci trova niente da ridire.
Io, l'ho detto e lo ripeto, con D'Alema mi diverto. E' uno che sa usare i colpi bassi. Non sembra di sinistra neanche a guardarlo col microscopio. Lo ricordo quando, nella stanza di Achille Occhetto al termine di una intervista, vomitava fiele contro lo stesso Francesco Cossiga che poi gli è tornato comodo (e come biasimarlo) per andare a palazzo in carrozza. È uno che usa la querela - ce lo ha confermato ieri - a scopo intimidatorio e probabilmente ha ragione: le sue querele trovano maggior ascolto, miglior sintonia, di quelle nostre.
Sa approfittare delle situazioni e delle occasioni capovolgendo le sue opinioni (come, appunto, nel caso di Cossiga) dunque - politicamente parlando - è uno splendido esemplare di opportunista. Tutto in lui sembra, politicamente parlando, artefatto, salvo le sue bordate di sorgivo disprezzo. Il ritratto reso da Luca Telese sarebbe da antologia per le scuole medie. Ma in Italia non è permesso ai giornalisti rendere le parole di D'Alema. Possono inventarle su Berlusconi, questo si, e guai se si osa sfiorare chi deride Berlusconi e ne offusca l'immagine, questo sì. Ma il permesso non è accordato se si tratta di D'Alema, questo liberale che dovendo affrontare da Maurizio Costanzo dei giornalisti, pose la condizione che chi scrive e il direttore di questo Giornale fossero esclusi. "
Saluti liberali