La violenza è azione esercitata su un soggetto per farlo agire contro la sua volontà: quindi è neutra, dal punto di vista della non aggressione: può essere aggressiva, ma anche semplicemente difensiva. Se la coercizione è il ricorso alla violenza per inibire l'azione altrui, allora anche la coercizione sarà neutra, dal punto di vista della non aggressione. Da qui segue che tutti i diritti, se i terzi non intendono rispettarli, implichino la violenza per esercitarli. Per godere di un bene, per essere liberi, talvolta anche per continuare a vivere, può rendersi necessario l'uso della violenza per far recedere dai suoi propositi chi vuole negarcelo. Ovviamente è possibile anche per scopi molto meno condivisibili, infatti non mi stancherò mai di dire che la definizione delle giuste pretese (altrimenti dette diritti) è materia soggettiva.
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Qui vige l'uguaglianza: non conta un cazzo nessuno.
A parte il fatto che la coercizione non è necessariamente il ricorso alla violenza per inibire, ma semmai per costringere, lo dici tu stesso: "talvolta può rendersi necessario" etc etc; il che implica che è una condizione straordinaria, nel qual caso chi ricorre alla violenza per "affermare un proprio diritto", in realtà non sta impiegando la forza esclusivamente in quel senso, ma agisce per sottrarsi a sua volta dalla coercizione, cioè dalla violazione di un suo diritto. La soggettività, inoltre, c'entra poco: si tratta infatti di discriminare tra "pretese" che non inficiano il presupposto della libertà negativa, da quelle invece che richiedono di essere rese effettive attraverso l'interventi positivo.
La frequenza con cui accada, il suo essere straordinario o no, non mi sembra dica niente sulla validità. In ogni caso liberarsi della coercizione è presupposto per esercitare il diritto, e se usare violenza per liberarsi dalla coercizione è lecito allora rientra anche questo nell'esercizio del diritto. I casi in cui questo è lecito dipendono essenzialmente dal giudizio morale e dalla definizione di coercizione. Tutto quello che un grado di intervento positivo ci dice sulla pretesa è la presenza o assenza di volontà, infatti anche l'esercizio delle libertà negative può richierne un uso massiccio. Fermo restando che il contenuto delle libertà negative è soggettivo, come soggettivi sono i confini della coercizione.
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Qui vige l'uguaglianza: non conta un cazzo nessuno.
Non era questione di frequenza, ma di condizioni, mi pare talmente evidente da non dover essere nemmeno specificato. Com'è del resto ovvio che l'uso della violenza può essere giustificato, ma solo in caso difensivo, mai aggressivo: e se è per difesa che si reagisce con la violenza, significa che a monte c'è un'aggressione pertanto non è per il diritto in sé che si agisce, ma per contrastare l'aggressione. Il giudizio morale, ancora una volta, c'entra una cippa: si tratta di stabilire le modalità in cui è possibile esercitare un "diritto", non la sua origine.
Ultima modifica di H.I.M.; 19-10-09 alle 13:05
Le condizioni non c'entrano, perché hai incodizionatamente detto che non serve violenza per esercitare un diritto. Sostieni questa posizione, mi par di capire, sostenendo esista una distinzione tra esercizio del diritto e il suo enforcement. Per me non regge: fattualmente sono indistinguibili, mentre quello che in qualsiasi teoria della giustizia distingue enforcement e violenza è proprio la discendenza o meno da una pretesa riconosciuta giusta (diritto). La pretesa di esercitare una pretesa è indistinguibile dalla pretesa, sia fattualmente, sia concettualmente, e il discorso non cambia al cambiare del giudizio di valore sulla pretesa. Da ultimo, aggressione e difesa, esattamente come coercizione e libertà, diritto e lesione, sono concetti interpretabili in modo soggettivo, e il giudizio morale entra una volta che a queste due parole è stato dato un contenuto.
Ultima modifica di teo; 19-10-09 alle 21:20
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Qui vige l'uguaglianza: non conta un cazzo nessuno.
Ultima modifica di H.I.M.; 20-10-09 alle 13:27
Non ho elencato miei giudizi di valore, ma ho argomentato tesi. In ogni caso la parola coercizione deriva dal latino coercigere, costringere, e come tale viene usata: costringere qualcuno a fare qualcosa non ci dice niente sul qualcosa, indica semplicemente l'uso della violenza che ha per scopo influenzare il comportamento altrui. Questo qualcosa potrebbe essere benissimo il cessare una pretesa considerata aggressiva, quindi la coercizione non presuppone l'aggressione. Una qualunque impresa di protezione userà la coercizione in modo non aggressivo per permettere ai propri clienti di godere dei loro diritti, qualora questo fosse ad essi impedito con la forza da terzi. La parola coercizione indica quindi l'applicazione del concetto astratto di violenza, per aggredire o per difendersi. Un crimine e l'enforcement sono fattualmente identici, ma la loro diversità (per te fortunato ovvia) consiste nella discendenza o meno da una pretesa giusta (diritto). La giustizia di qualcosa, per quanto in molti casi possa apparire evidente, non è dimostrabile razionalmente in senso stretto. Quindi tanto la discendenza, quanto la giustizia della pretesa sono due giudizi di valore.
Ho spostato la discussione perché tutto sommato si era allontanata molto dal tema precedente (aborto).
Spero non ci sia niente di male, in caso contrario ripristino.
Ultima modifica di teo; 21-10-09 alle 00:43
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Qui vige l'uguaglianza: non conta un cazzo nessuno.
Costringere qualcuno a fare qualcosa significa obbligarlo ad agire contro la sua volontà, cioè aggredirlo. Quindi la coercizione presuppone sempre l'aggressione. Non a caso Bruno Leoni, non un giusnaturalista del cazzo qualunque, definisce la libertà "assenza di costrizione".
Ultima modifica di H.I.M.; 21-10-09 alle 11:24