....la musica

Cosa scriveranno, adesso, gli storici del “contesto”, i musicologi puri e duri, i devoti del politically correct?
Il nuovo “Beethoven” di Piero Buscaroli (Rizzoli, 1356 pagine, 45 euro, in libreria dal 21 aprile) fa l’effetto di una bomba atomica che esplode nelle acque stagnanti del conformismo intellettuale. E’ un libro volutamente, orgogliosamente “inattuale”.
Fin dalla scelta della biografia, un genere proclamato impossibile in generale e per Beethoven in particolare: troppe fonti e troppo note, tutto già scritto, e poi basta con questi grandi che fanno la storia (come se si potesse raccontarla senza di loro: sarebbe, ammoniva Golo Mann, come mettere in scena l’Amleto senza il principe di Danimarca).
E invece no: dopo Bach e Mozart, lo storico eretico, il revisionista in servizio permanente effettivo, l’ultrareazionario rivoluzionario si attacca al Gigante, scopre fonti dimenticate o trascurate, rilegge quelle conosciute, ristabilisce gerarchie estetiche, smaschera miti, distribuisce randellate ai falsi idoli di ieri e di oggi.
La grandezza e il genio, mettono paura, ma sono le uniche categorie applicabili a Beethoven.
Il resto è chiacchiera.
I professionisti della musicologia saranno costretti a fare salti sulla sedia a ogni pagina, quando scopriranno che il loro Beethoven è stato spazzato via; il lettore comune sarà avvinto da una prosa che sta al giornalistese dei best seller come una statua del Canova a un attaccapanni Ikea.
Raccontare tutte le novità del libro è impossibile. Si può, però, cercare di elencarne alcune.
E allora cominciamo dall’analisi capillare delle origini fiamminghe della famiglia di Beethoven, che non furono senza importanza sulla formazione della sua personalità.
Poi, il ruolo centrale della sordità, che non è un dettaglio strappalacrime, ma l’origine di quella “concentrazione” che tanto impressionò Goethe: del resto, “ci voleva un sordo per farci sentire qualcosa di diverso”, come scrisse Julian Green.
La ricostruzione capillare ma senza rivelazioni da scandalismo scemo dei rapporti con il fratello, la sua puttanissima moglie e il nipote.
L’analisi dei quaderni di conversazione, che Buscaroli conduce da mezzo secolo, da quando, cioè, Leo Longanesi gliene commissionò un’edizione.
Il nodo dei rapporti con Vienna e gli Asburgo ignavi, nessuno dei quali si scomodò a presenziare ai funerali dell’artista, dove nell’immensa folla Grillparzer vide “i rappresentanti del popolo tedesco” cui era negata la patria e che la trovava, per la prima volta, davanti a quella bara.
E il rapporto con Napoleone, che dell’Eroica mai fu il dedicatario (la dedica toccò, da subito, al principe Lobkowitz, che del resto l’aveva profumatamente pagata).
E le mille figure di un’epoca in cui era davvero possibile veder passare per l’Europa lo Spirito insieme ai tanti eserciti che la percorrevano: ritratti brevi, quasi biografie dentro la Biografia, del principe Luigi Ferdinando di Prussia, di un giovane Theodor Körner, di Varnhagen von Ense, di un Rossini che va a Vienna a far soldi e capisce che quel sordo è l’unico vivo in una città, una corte e un Impero di morti.

E poi, certo, la musica.
Non le analisi “musicologiche”, dove i primi a non riconoscere le note così dottamente descritte sarebbero coloro che le hanno scritte. Ma la rivalutazione di pagine sempre snobbate (il Triploconcerto, per esempio), l’abbassamento di altre sopravvalutate (il finale della Nona sinfonia).
La nuova gerarchia estetica dell’opera beethoveniana, che trova nell’immensa Missa solemnis il suo vertice, è da considerare definitiva.
Insomma, la biografia data per spacciata è viva e combatte una grande battaglia di revisione storica. Il termine non è casuale.
Perché se dovessimo scegliere uno solo degli infiniti temi che si rincorrono in questo libro, sarebbe quello politico.
Niente politique politicienne, beninteso.
Ma, finalmente, Beethoven viene sottratto alle grinfie del giacobinismo, del progressismo, del buonismo globalista. Beethoven fu, sempre e solo, un patriota tedesco, fermo nel detestare la Rivoluzione ma deluso dal Congresso di Vienna.
E il suo Fidelio, nonostante le regie di Strehler, è la più controrivoluzionaria opera mai scritta, è Burke fatto note. Buscaroli tira fuori dagli archivi dove sono accuratamente nascosti (la stessa sorte del Triumphlied di Brahms) i canti guerrieri scritti per i volontari che andavano a combattere la Révolution:
“Beethoven scrive Buscaroli – non fu mai illuminista; non fu mai giacobino; non fu mai amico dei francesi, cui portò, da quando li vide invasori della Germania, forsennato odio”.
Né fu mai un cantore delle magnifiche sorti e della fratellanza universale. L’Unione europea ha sbagliato a scegliersi l’inno, sia perché di quello cosiddetto “alla gioia” Beethoven s’era pentito, sia perché nulla fu più lontano dal suo spirito dell’“embrassons-nous” caro ai retori e agli imbecilli.
Infine, questo sterminato pamphlet è anche un’elegia su una musica finita, un’Europa perduta, una cultura morta.
Beethoven oggi sarebbe un alieno, forse lo è già.
Resta come monito, colossale monumento di una civiltà estinta, ma sempre impressionante, gigantesco, ammonitore.
Lo scrive, Buscaroli, nella dedica del libro a una nipotina che l’ha visto nascere (e viceversa):
“Sia il Gigante ringhiera e difesa da questo fetido nulla”.

naturalmente da il Foglio

saluti