La riflessione sul “credere” e sulle “credenze” è strettamente interconnessa nella modernità alla discussione sulla verità. Nella filosofia moderna sembra esserci uno schema consolidato di “conoscenza”. Le condizioni moderne alla “conoscenza” di x sono: a] che si creda x b] che x sia vero e c] che si riesca a motivare il fatto di credere in x. Quindi il termine “conoscenza” è sinonimo della locuzione “credenza vera e motivata”. Il termine “conoscenza” non è univoco. Esistono due usi del termine “conoscenza”. Con “conoscenza” in senso stretto si intende “conoscenza di x”, vale a dire “credenza vera e motivata”. Con “conoscenza” in senso lato si intende “insieme delle conoscenze di x”. “Pensiero” è un ulteriore sinonimo della “conoscenza” in senso lato. “Pensiero” secondo Peirce non sarebbe altro che concatenazione abduttiva di credenze. Ecco il razionalismo moderno. “Pensiero” non è altro che catena di credenze vere e motivate abduttivamente in modo che la credenza successiva si basi sulla credenza antecedente e così via fino al riconoscimento di una credenza iniziale immotivabile ed inverificata. “Pensare” – secondo Peirce- non sarebbe altro che creare tale catena abduttiva. Rimane il dilemma della credenza iniziale inverificata ed immotivabile. Lo scetticismo moderno ha riutilizzato la tesi dell’esistenza di una credenza iniziale inverificata e immotivabile all’interno della catena della “conoscenza” con l’intenzione di introdurre una dura e definitiva critica nei confronti delle idee stesse di “conoscenza” e razionalismo. Come? In due maniere. Predicando l’esistenza di una sorta di illecita reductio ad infinitum sia a livello della teoria della conoscenza che a livello della teoria del discorso umano. Due sono le tesi dello scetticismo moderno. Per lo scettico la "teoria della conoscenza" del razionalismo è viziata dal rischio di reductio ad infinitum. Se una credenza successiva al fine di condurre a conoscenza deve essere motivata in base ad una credenza antecedente, e all’interno della vastissima catena conoscitiva la credenza antecedente deve essere motivata alla luce di una credenza ancora antecedente, non si corre il rischio di fondare la nostra conoscenza o su un circolo di motivazioni o su una catena infinita di motivazioni la cui circolarità/infinità in realtà non dimostra alcunché? Lo scettico cerca di minare la "terza condizione" in relazione alla conoscenza in senso stretto e la nozione di catena in relazione alla “conoscenza” in senso lato.
Per lo scettico allo stesso modo la "teoria del discorso" del razionalismo è viziata dal rischio di reductio ad infinitum. Se la definizione di una enunciazione avviene attraverso enunciazioni relative allo stesso discorso del contesto di enunciazione iniziale, le enunciazioni "definienti" al fine della conoscenza (semantica) necessiteranno di una nuova definizione, e così via all’infinito. Per definire un’enunciazione devo utilizzare un’ulteriore enunciazione "definiente". Per definire la nuova enunciazione "definiente" mi servirà introdurre una nuova enunciazione "definiente". E così via all’infinito. Come bloccare la circolarità/ infinità di motivazioni e di definizioni? Come vincere la sfida contro lo scetticismo conoscitivo? Fissando credenze e definizioni conclusive. Non mi interessano ora le soluzioni di razionalismo storico (riconoscimento dell’esistenza di assiomi auto-evidenti) e dell’empirismo (riconoscimento della “fondatività” dei c.d. resoconti osservativi).
L’essere umano è un essere vivente attivo. E - di norma- se si chiedono ad un essere umano i motivi di una determinata azione, il destinatario della domanda tenderà ad addurre motivi strettamente connessi ai due sensi del termine “conoscenza”. Alla domanda: “Perché hai introdotto una tale azione?”, l’uomo avrà la tendenza a dire: “Perché credevo o credo che ad una determinata azione sarebbero successi o succedano determinati effetti…” o in altri termini “Preso atto della situazione mi è sembrato corretto intervenire modificandola/ conservandola…”! Perché ti attivi? Perché conosco. Conoscenza ed azione sono strumentalmente connesse. L’uomo vive come se la conoscenza esistesse. O in altri termini l’uomo vive come se esistessero credenze e definizioni conclusive. E’ il “come se” che mi conduce a riflettere sulla natura di tali credenze/ definizioni conclusive. Cosa sono? Come descriverle? Quale il criterio di identificazione? Viene subito la tentazione di connettere tale criterio con il mio/ nostro vissuto. La conclusività delle nostre credenze (le definizioni ora ci interessano meno) coincide con la loro verità, vale a dire con la loro verificazione. E’ credenza attualmente conclusiva una credenza che sia vera/ verificata e che si fondi su una credenza antecedente non attualmente verificabile (o falsificazionisticamente una credenza che non sia falsa/ falsificata e che si fondi su una credenza antecedente non falsificabile). Nel momento in cui si modificasse il livello di verificabilità/ falsificabilità della credenza antecedente muterebbe anche la conclusività della credenza successiva. La tentazione dello “scientismo” è forte. Però il criterio scientistico è criterio universalmente accettato/ accettabile? Dinnanzi a dilemmi come il dilemma dell’esistenza di Dio e il dilemma dell’immortalità dell’anima, vale a dire dilemmi di cui allo stato delle cose non è dimostrabile la falsità o la verità mancando verificabilità e falsificabilità, cade il criterio “scientistico”. Nel mondo c’è chi crede fermamente in Dio e chi crede fermamente che Dio non esista. Pure il dilemma dell’esistenza di Dio allo stato delle cose non è verificabile/ falsificabile. E in moltissimi casi la credenza in Dio è una credenza conclusiva. Dire che i criteri di conclusività di una credenza sono strettamente connessi al vissuto di ciascun individuo vuole dire riconoscere che il criterio di conclusività di una credenza è una variabile del carattere di ciascun individuo. E’ una sorta di emozione che varia al variare del carattere di ciascun individuo, non certamente universalizzabile. Ecco che ci viene in aiuto un concetto utilizzato abbondantemente all’interno delle scienze della mente moderne, vale a dire il concetto di Aha-Erlebnis. Per le scienze della mente moderne “Aha-Erlebnis” è l’illuminazione, l’”eureka!”, affiancata da una sensazione di soddisfazione fisica e mentale derivante dalla soluzione di un dilemma. E’ l’emozione di chi dinnanzi alla soluzione di un dilemma afferma sorridente: “Ecco! Com’era facile. Come ho fatto a non arrivarci subito!”. Ciò che accomuna l’uomo che desidera conoscere non è il criterio di conclusività, ma l’Aha-Erlebnis, una sorta di emozione di conclusività. Per alcuni conoscere un fiore è sentirne l’odore, vederne il colore, sfiorarne la morbidezza (senso comune). Per altri conoscere un fiore è osservarne la causa fisica, dominarne la crescita, causarne la nascita (scienza). Per altri ancora conoscere un fiore è conoscere Dio (senso del divino). E così via credendo in mille modi l’esistenza del fiore e credendo in mille modi conclusivi.Però ciò che sembra essere comune a tutti i mille modi è l’Aha-Erlebnis. E’ l’emozione di chi si accosta al senso comune di dire: “Credo che il fiore esista dal momento che ne vedo il colore…”; di chi si accosta alla scienza di dire: “Credo che il fiore esista dal momento che ne conosco la causa materiale…”; di chi si accosta al senso del divino di dire: “Credo che il fiore esista dal momento che è creatura di Dio…”. L’Aha-Erlebnis è la soddisfazione della conoscenza che – secondo Peirce- annichilisce la frustrazione del dubbio.
Riassumiamo. “Pensare” è costruire una catena di credenze vere e motivate. Però – secondo critica scettica- la catena conoscitiva è fondata se esiste una credenza conclusiva nella catena razionale. Chiedersi come è motivato il credere dell’uomo vuole dire chiedersi se la conoscenza abbia un senso. Qual è la credenza conclusiva della catena di credenze dell’uomo? Ciascun uomo è diverso razionalmente da ciascun altro. Così ciascun uomo avrà una autonoma credenza conclusiva. Come riconsocere la credenza conclusiva di ciascun uomo visto che i criteri di conclusività sembrano essere infiniti? Attraverso il concetto di Aha-Erlebnis. Ciascun uomo introduce all’interno della sua catena di credenze un suo autonomo criterio di conclusività identificabile mediante il meccanismo dell’Aha-Erlebnis. Meccanismo che è connesso indissolubilmente al carattere di ciascun individuo e che non è criticabile, essendo uno stato emotivo.

Ivan Pozzoni