Le torture di Abu Ghraib non sono un momento qualsiasi della planetaria pratica della tortura che Amnesty International documenta con assiduità. Esse muovono dall'interno di una guerra con una sua proclamata specificità che non può non aver toccato anche i più abietti esercizi di potere sui corpi dei prigionieri. Che Rumsfeld si scusi e prometta il risarcimento del danno come se fosse un automobilista distratto che ha spaccato un fanalino, è offensivo fumo negli occhi. Che l'abominio sia spacciato per l'operato disdicevole di un pugno di cretini in divisa è un trucco di vecchissima data. Quelle pratiche di tortura sono troppo coerenti con questo tipo di guerra per essere solo lo spasso sadico di una sporca dozzina di spostati al lavoro. Il dato di fatto è che nell'impresa bellica di Usa e compagni importa piegare il singolo.

L'esercito più potente del pianeta, infatti, si è mosso e si muove sperperando miliardi non per battere in una qualche battaglia risolutiva un esercito di più o meno uguale potenza, ma per spianare case o montagne dovunque appaia necessario, per frugare nelle grotte e nei sotterranei braccando ombre di leader e sparando sui molti raccolti in agglomerati provvisori. Non a caso, pur essendo in guerra, gli Usa e i loro alleati considerano solo i propri soldati come militari legittimamente nell'esercizio delle loro funzioni belliche. Il nemico invece è senza divisa, senza numero di matricola, mutante, di volta in volta terrorista, bandito, predone, resistente, criminale, fanatico religioso, kamikaze. Soprattutto è raro che abbia una faccia, un nome. Più spesso è puro corpo in movimento, organismo vivo e perciò potenzialmente pericoloso: di uomo, di donna, di bambino.
Questo tipo di guerra, dunque, è particolarmente folle proprio perché è condotta contro tutti e nessuno. «Regime talebano» o «regime di Saddam Hussein» si sono rivelate formule di comodo. I regimi in realtà si sono squagliati subito, quasi senza colpo ferire, rivelando fin troppo presto di non essere il vero problema, soprattutto militare. Tuttavia, pur disssolvendosi gli eserciti, ecco che la guerra non finisce affatto, diventa endemica, si sposta, divampa a tratti più furiosa che mai. Mostra insomma di essere una parentesi avventatamente, stupidamente aperta, che non trova più il modo di chiudersi.

Per vincere, perciò, sta diventando sempre più chiaro che non basta piegare la resistenza di uno stato, di una qualche nazione o popolo, dopo un'esibizione di muscoli. Bisogna anzi dispiegare un esercito potentissimo, levare muri o fortificazioni, far fuoco e fiamme tra cielo e terra, per imporre di fatto, paradossalmente, ai singoli corpi di molti sparsi nemici, quasi uno per uno, la disciplina dell'occidente, i suoi valori, le sue urgenze, le sue necessità; per disciplinarli e governarli fin nelle midolla e in ogni loro disposizione. Tanto più che non pochi di questi organismi disperatamente vivi, piuttosto che cedere, sono sempre più disposti ad autodistruggersi trasformandosi essi stessi in ordigni di distruzione.

La tortura è da sempre il più terribile dei modi per ridurre il corpo umano a un fascio di facoltà obbedienti. Pietro Verri, nel 1776 (Osservazioni sulla tortura), lodava Maria Teresa d'Austria per aver avuto la grazia di abolirla e sottolineava che solo i popoli arretrati la usano. A due secoli e più di distanza, quella pratica criminale è ancora molto diffusa. Ma il fatto nuovo è che essa risbuca oggi - fissata allegramente, spudoratamente, con l'imprudenza di chi si sente tassello di un potere inegugliabile, da foto e video realizzati a mo' di souvenir dopo una bisboccia sadomaso in un paese esotico - dall'interno della democrazia più opulenta, più orgogliosamente esibita del mondo, impegnata con gran dispiego propagandistico a portare con le armi un distillato del meglio dell'Occidente ai «popoli retrogradi» e per di più traviati da califfi e fanatici.

Perciò Abu Ghraib è un segnale sinistro, non immediatamente catalogabile, tutto da interpretare. Dentro la parentesi di questa guerra, se non ci si affretta a chiuderla, tutto il peggio della storia del genere umano può essere rimesso scientemente a punto e riusato. I diritti vanno e vengono, le leggi si fanno e disfanno. C'è voluto parecchio tempo per sancire che il nemico in divisa, identificabile, visibile, è un essere umano. Ma il nemico sfuggente, in seno a una guerra dai confini e dalle ragioni sfuggenti? Il nemico il cui stesso corpo potrebbe essere una mina? Il nemico che va identificato e battuto necessariamente prima dell'unica cosa che conti, la prossima scadenza elettorale? Quello è un essere umano?

Domenico Starnone
Fonte:Il Manifesto
9.05.04