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Risultati da 1 a 9 di 9
  1. #1
    Capitan Harlock
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    Predefinito Gabriele Adinolfi, Immigrazione e razzismo

    Immigrazione e razzismo

    Mercato di schiavi Non è vero che chi si oppone all’immigrazione disprezza gli immigrati né che li stima chi la favorisce. Osserviamo da vicino la trappola dialettica, ideologica e giuridica che impedisce un adeguato approccio al problema. La confusione sul razzismo e sulla xenofobia, il ruolo delle oligarchie di sfruttatori. Alla ricerca di un'impostazione corretta, giusta e realistica della questione.

    di Gabriele Adinolfi

    Negli ultimi tre mesi sulle pagine di Orion si è spontaneamente riaperta la problematica dell’immigrazione, una questione che, da oltre un anno non avevamo affrontato. Non certo per mancanza di argomenti, per impreparazione o per pavore ma in quanto detto tema nell’area radicale è banalizzato e a noi premono soprattutto tematiche nuove, approfondimenti ed angolazioni speciali.
    Più di un lettore – e di un redattore – morde però il freno e non si vede perché non dovremmo accontentarli.
    E allora perché non mettere a fuoco il più adeguatamente possibile una condizione che è di primissima importanza e che anche se appare assai semplice è alquanto complessa ?

    Da destra e da sinistra

    Sull’immigrazione massiccia, a volte definita “selvaggia” ed altre “clandestina” si fa un gran sparlare, ovvero un parlare a sproposito. A destra la si ostacola veementemente in quanto vi si ravvede una volontà di sradicamento e di annientamento dell’insieme terra-storia-popolo da parte di registi perfidi e occulti. A sinistra la si difende in nome dell’utopia egalitarista ed a causa del complesso di colpa che prova chi, industrializzato e colonizzatore si sente oggettivamente responsabile della fame e della disperazione del Terzo Mondo e, pertanto, si sente obbligato a risarcirlo.
    Al solito entrambe le aree hanno ragione (anche se le conclusioni della sinistra sono disastrose, come sempre avviene quando essa passa dall’analisi, non priva di interesse, alle soluzioni), ma solo parzialmente. Vediamo perché..

    Cause dell’immigrazione

    L’immigrazione è un effetto del capitalismo, ovvero della suddivisione in zone economiche che sono rigidamente differenziate affinché si lavori sottocosto in alcuni territori per vendere a sovrapprezzo in altri. È il plusvalore all’ennesima potenza la causa di questo gigantesco mercato di schiavi che non è nato affatto con il colonialismo come si crede ma da quella decolonizzazione voluta e gestita insieme dall’Onu, dalle multinazionali americane e dalle internazionali socialista e comunista. Per interromperlo bisognerebbe rimettere in discussione i parametri dell’intera economia mondiale permettendo alle zone sfruttate di uscire dallo stato alle quali sono relegate e di offrire condizioni di vita accettabili e dignitose ai sottoparia dell’economia globalizzata.
    Il che non è possibile senza una rimessa in causa di tutto il sistema produttivo e mercantile, senza un rilancio dell’economia privata, della proprietà privata e dell’economia comunitaria e sociale, e infine della produzione autonoma e localizzata.
    Ovvero senza un totale abbandono delle logiche progressiste di sviluppo sulle quali si è andato evolvendo il liberismo internazionale, ovvero, ancora, senza il tramonto delle utopie marxiste che, a voler essere pignoli, poco hanno a che vedere con lo stesso Marx.
    L’immigrazione è, dunque, innanzitutto una cosa: un mercato di schiavi a vastissimo raggio, insito nelle logiche del capitalismo.
    Ed a tal proposito si rifletta sulla forza d’attrazione e di condizionamento umano raggiunto dal capitalismo. Secoli addietro uomini senza scrupoli solcavano i mari per rapire la mano d’opera africana e condurla di forza oltre oceano. E tra questi mercanti di schiavi singolarmente ritroviamo uno dei principali finanziatori di Marx ed Engels, un tal Lafitte 1
    Oggi sono gli stessi schiavi ad offrirsi volontari e a cercare direttamente i mercanti di uomini ai quali versano tutti i loro averi purché li conducano dai loro padroni occidentali.
    Potenza ipnotica del Leviatano !

    Sintomo di disastro sociale e acceleratore di disgregazione

    L’immigrazione è indiscutibilmente un sintomo del disastro sociale verificatosi nei paesi di provenienza ed è, al contempo, un acceleratore di disgregazione della società di accoglienza. Perché, come osserva giustamente Geminello Alvi, essa non è l’avvio di quel confronto etno-culturale che pretenderebbero gli utopisti umanisti bensì lo scimmiottamento del modello yankee.
    “Il collante tra l’immigrante e le nazioni che lo ospitano, anche in Europa, non è né la cultura dell’immigrato né quella di chi lo ospita: è la sciatta cultura delle plebi americanizzate”.2
    E, come fa notare Eric Werner, essa contribuisce a creare attrito sociale e senso di pericolosità rafforzando, pertanto, l’instabilità collettiva e la consequenziale stabilità del potere oligarchico. 3
    Benché gli Americani siano consci del fattore deflagrante ed identicida dell’immigrazione di massa e, probabilmente, tendano a favorirla in Europa, neppure è corretto risolvere la questione come il frutto di un complotto mondialista. Proprio da alcuni tra i principali esponenti mondialisti, come Giscard d’Estaing e Kissinger, si sono levate autorevoli voci volte a contrarre questo fenomeno, ma inutilmente. Il gotha finanziario, le multinazionali, le chiese ed i partiti comunisti, che sono tutti, sia pur in misura diversa, parassiti dell’umanità, non hanno alcuna intenzione di porre freno al mercato di schiavi che arreca loro potere, onore e ricchezze.
    Ci troviamo dunque in presenza di un dramma irreversibile e di un problema irrisolvibile ?
    No, perché nulla è definitivo e tutto può cambiare, come da tempo affermiamo su Orion cercando di esplorare le vie praticabili e le linee di tendenza potenzialmente favorevoli.
    Si fintanto che i rapporti di forza, la struttura economica e lo stordimento culturale non subiscano modifiche.
    Il che non significa che non si possa controbattere, anche se è da stabilire come, una tendenza pericolosa. A patto, però, di avere le idee chiare e, soprattutto di saper evitare le trappole disseminate sul cammino di chi ha deciso di far propria questa battaglia.
    Ed a tal proposito vogliamo sgombrare il campo dai peggiori equivoci.

    Il tabù “razzista”

    Il primo equivoco, forse il più importante, è insito nella vera e propria trappola ideologica, dialettica e giuridica nella quale si imbatte chiunque voglia trattare il problema dell’immigrazione.
    All’origine di questo equivoco che oramai è divenuto una vera e propria trappola stanno due elementi: da un lato la mistificazione linguistico-ideologico-valoriale che è insieme l’ariete ed il cavallo di Troia di tutte le penetrazioni marxiste e dall’altro l’interesse di alcune oligarchie (le multinazionali, i centri gerarchici dell’integralismo islamico e le chiese cristiane) che esigono che il processo migratorio non abbia fine né regolamentazione.
    La coincidenza di questi fattori ha finito con l’imporre l’assioma anti-immigrazione = razzismo.
    Dal che il timore, da parte di chi vorrebbe veder scemare detto fenomeno, di essere incriminato o comunque socialmente scomunicato. E quindi la solita premessa dell’uomo della strada “non sono razzista ma...”
    In realtà l’assioma è falso in quanto si può essere contro l’immigrazione senza essere razzisti ed essere razzisti e favorire l’immigrazione, com’è il caso frequente dei mercanti di schiavi Wasp delle multinazionali.
    Ma è arduo comprenderlo finché si resta prigionieri della confusione imposta dialetticamente dalle sinistre che hanno la capacità straordinaria e la vocazione atavica di snaturare, mistificare e bollare qualsiasi valore o modello che non rientri nelle loro categorie.
    Così sotto la voce “razzismo” si sono fatte passare una serie di tendenze diverse e spesso inconciliabili, talune delle quali con il “razzismo” almeno così come lo si intende comunemente non hanno nulla a che fare.

    A proposito di razzismo

    Il razzismo zoologico, il razzismo sociale, il razzismo nazionalistico, la fierezza della propria identità e persino la preservazione della memoria storica si sono così venuti a confondere nel medesimo pentolone mescolandosi infine con altre categorie quali la xenofobia e l’antisemitismo.
    Che non vi sia comunanza tra tutti questi sentimenti è ovvio: non hanno neppure la medesima origine storica.
    Il razzismo zoologico, che si fonda sull’ipotesi evoluzionista darwiniana e adduce superiorità di scatole craniche o di Q.I., è una trovata anglosassone e protestante, contro cui Evola peraltro polemizzò a lungo trovando tra i suoi avversari, e dunque tra i difensori del razzismo zoologico, lo stesso Almirante non a caso politicamente moderato ed anglofilo: fascino della vocazione oligarchica...
    Con qualche allargamento in zone germaniche, questo razzismo è prettamente di stampo inglese o di civilizzazioni insulari restie all’apertura della mente.
    È’ indiscutibile che la gran parte dell’oligarchia dominante, e dunque degli stessi mercanti di schiavi, sia razzista zoologicamente e, malgrado ciò o forse proprio perciò, favorevole all’immigrazione massiccia.
    Il razzismo sociale, che poi è il più diffuso e dal quale ben pochi sono esenti, nasce nella destra storica: è un razzismo borghese e classista per il quale Tizio disprezza gli Africani non tanto perché portatori di valori a lui non consoni ma in quanto pezzenti, poveri, squalificanti socialmente. E’ il razzismo dei parvenus che, attraverso l’abbassamento dell’altro ritengono di innalzarsi; infatti nell’inferiorità altrui trovano il conforto di una presunta superiorità individuale altrimenti indimostrabile nella loro vita quotidiana.
    Il razzismo nazionalistico e colonizzatore nasce a sinistra, nella cultura giacobina. Chi lo nutre ritiene che il suo popolo sia portatore di un modello avanzato, da esportare assolutamente per emancipare chi è culturalmente ritardato.
    La fierezza della propria identità è, invece, elemento fondamentale ed imprescindibile per la salute di un popolo e della sua civiltà: colpevolizzarla, come avviene da tempo, significa minarne la compattezza, la sopravvivenza ed il destino. L’attacco pernicioso contro questo naturale riflesso identitario si è infine spinto fino a mettere in discussione la stessa memoria storica dei popoli europei perché in essa, giustamente, si ravvedono al contempo elementi “politicamente scorretti” e gli anticorpi alla dissoluzione.
    L’antisemitismo c’entra come i cavoli a merenda ma lo si lascia lì nel pentolone perché è fonte di facile criminalizzazione. In realtà sullo stesso antisemitismo dovremmo dilungarci molto perché è a sua volta un fenomeno assai complesso che si nutre di sentimenti di sinistra, di reazioni di destra e di elementi di razzismo religioso, peraltro reciproci.
    Infine nel coacervo razzista ritroviamo la xenofobia che non è altro che timore e diffidenza verso l’ignoto. Un sentimento, questo, un po’ primario, di origine contadina che dovremmo considerare angusto e censurabile. L’esperienza ci insegna però che oltre cinque secoli fa gli “indios” americani non erano xenofobi e per tutta risposta sono stati sterminati; se invece lo fossero stati avrebbero rigettato in mare coloro che furono la causa della loro estinzione. Dunque la xenofobia non è necessariamente un difetto.



    Per una corretta impostazione del problema

    Ma cosa c’entrano queste precisazioni con il problema politico dell’immigrazione ?
    C’entrano per quel che riguarda la sua impostazione che è di primaria importanza se è vero, come è vero, che l’albero è nel germoglio.
    Da quanto sommariamente esposto si ricava infatti una prima certezza e cioè che a proposito di “razzismo” si parla a vacca. Dal che consegue una seconda certezza, ovvero che nell’equiparare l’opposizione all’immigrazione con il razzismo si fa quantomeno una forzatura.
    La stessa equazione che viene automaticamente formulata tra l’ideologia del neofascismo, poiché esso si esprime quasi compatto ed a gran voce perché sia dato freno all’immigrazione, e l’odio razziale è pretestuosa ed infondata.
    L’esperienza storica ci insegna infatti che durante l’ultimo conflitto le relazioni con le popolazioni e le truppe di colore furono improntate, da parte fascista, al massimo rispetto mentre il disprezzo razziale fu prerogativa delle autorità civili e delle gerarchie militari delle democrazie.
    Le conseguenze sta ad ognuno il trarle.
    Personalmente riteniamo che l’opposi all’immigrazione debba sì fondarsi sulla fierezza della propria identità e sulla difesa della propria memoria ma anche sulla concordia con i popoli schiavizzati e gettati alla deriva sulle nostre spiagge.
    Riteniamo che la difesa delle identità vada perseguita contemporaneamente ed in contrasto con la prepotenza e l’antiumanismo che sono alla base dell’attuale sistema capitalistico a cultura angloamericana ed a struttura oligarchica.
    Concordiamo con Jean Marie Le Pen che non si stanca d’insistere sul fatto che i nemici della Francia (e dunque i nostri) non sono gli immigrati ma le lobbies dell’immigrazione.
    Col che non vogliamo giungere all’eccesso di assolvere i consistenti gruppi di criminalità organizzata che immigrano da noi, perché l’essere oggettivamente vittime di un fenomeno non cancella le successive colpe soggettive.

    Liberarsi degli equivoci

    A nostro avviso una visione corretta e complessiva s’impone perché non si può restare prigionieri dell'alternativa tra il favorire gli scafisti e lo sperare che la Marina mitragli le scialuppe dei disperati.
    Proprio in quest’alternativa, falsa e fuorviante, si trova infatti il secondo equivoco, la seconda trappola insita nell’impostazione comune del problema e che impedisce che questo abbia una soluzione.
    Il che è lampante in terre d’immigrazione massiccia, come la Francia o il Belgio. Prigionieri di quest’equivoco i “progressisti” accordano agli immigrati tutte le qualità morali possibili ed immaginabili mentre gli “xenofobi” si sentono obbligati a negar loro la stessa dignità umana.
    Alla prova dei fatti le teorie, come sempre accade, si dimostrano mendaci ed al momento di entrare in contatto con gli immigrati tanto coloro che li esaltano quanto coloro che li rifiutano si accorgono di avere ampiamente torto, di aver commesso iniquità, sicché si trovano a disagio ed incapaci di fornire ipotesi praticabili per la risoluzione del problema giacché il fondamento teoretico delle loro costruzioni si fonda sulle sabbie mobili.
    Una volta di più nel dualismo imposto subdolamente troviamo la falsità, la mistificazione e l’impossibilità di una via d’uscita.
    Una terza via non solo è possibile ma è fondamentale.

    Alla ricerca della soluzione

    Quale via?
    Una via che, come abbiamo detto, si orienti verso la cooperazione e verso la fuoriuscita dal capitalismo nel nome della proprietà privata e sociale, della produzione e del benessere e non certo in quella della regressione allo stadio proletario proto-industriale che certe opposizioni nostalgiche e marginalizzate propugnano.
    Ma questo è un obiettivo ambizioso, nel frattempo c’è da far fronte ad ondate sempre più massicce di portatori di drammi e di infelici destini ed è urgente ed opportuno stabilire il come.
    Nell’attuale caos è indispensabile battersi per una regolamentazione e per l’assegnazione di priorità che magari favoriscano la composizione di modelli omogenei (ciò che avverrebbe ad esempio con le migrazioni intraeuropee) ma che, soprattutto, puntino ad incoraggiare l’immigrazione di ritorno dei nostri compatrioti partiti un tempo oltremare.
    Ed è quantomeno singolare che allorquando essi ci domandano oggi asilo, specie dall’Argentina, le autorità politiche scoprano che “è meglio aiutarli laggiù”. Può essere anche vero ma perché questo mai viene loro in mente quando si tratta degli immigranti africani ? Probabilmente perché ciò andrebbe in contrasto con le logiche di sfruttamento delle multinazionali, ovvero dei padroni dei nostri politici e dei nostri facitori d’opinione.
    Regolamentare l’immigrazione, dunque, dando priorità alla salvaguardia culturale ed ai doveri nei confronti dei nostri compatrioti. Questo hanno proposto sia la Lega che Forza Nuova ed è stupefacente che una soluzione così logica e naturale, che dovrebbe essere non solo trasversale ma sfiorare l’unanimità nelle persone ragionevoli ed indipendenti di giudizio, sia rimasta del tutto inascoltata.

    Che il tutto non resti lettera morta

    Con questo pensiamo di aver espresso quelli che a nostro avviso devono essere il sentimento da nutrire e l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’invasione che subiamo dai sottoparia, spossessati dal capitale globalizzato non solo di tutte le ricchezze reali e potenziali ma anche delle prospettive del domani e infine scagliati, all’inseguimento di assurde illusioni, nelle nostre false Eldorado.
    Restano da stabilire le forme ed i metodi opportuni affinché queste prese di posizione non restino lettera morta o un puro e semplice sfogo di nervi.
    E qui ritorniamo alla vera questione centrale, ovvero al come muoversi concretamente nella società globalizzata, postpolitica e virtuale.
    Chi ci legge sa che è proprio per trovare una soluzione a questo che siamo impegnati da anni. Continueremo fino a tanto che le prese di posizione e le soluzioni offerte dall’area (destro)radicale continueranno a restare limitate alla risibile forza d’impatto di un forum su internet, se non addirittura su di un circuito intranet.
    L’evoluzione è possibile e sta in una mutazione antropologica che ci permetta di comprendere e dominare le leggi della comunicazione. Ma questa è un’altra storia, anzi è la storia perché, in fondo, le forze politiche da circa venti anni sono ferme alla letteratura. E anche in questo lasciano piuttosto a desiderare.

    1. Vedi il film-documentrio di Jacopetti “Zio Tom”, 1972.
    2. Geminello Alvi, Il Foglio, 23 luglio 2001
    3. E.Werner “L’avant-guerre civile” ed. L’age d’homme, 1998 e “L’après-démocratie” ed L’age d’Homme, 2001

  2. #2
    Socialismo e Nazione
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    E' razzista chi incita all'immigrazione selvaggia, perché fà così sapendo di andare incontro alle richieste dei padroni di avere un mercato di lavoratori schiavi.
    E' schifosamente razzista la frase "fanno lavori che gli Italiani non vogliono fare", che vorrebbe giustificare l'immigrazione senza freni e che in realtà sancisce la creazione di una classe di sottouomini ai quali si può chiedere tutto.
    E' razzista chi vuole calpestare i diritti del Popolo Italiano imponendogli convivenze forzate con allogeni d'ogni tipo.
    Io non ho alcuna propensione all'esclusione nei confronti di alcuno. I miei figli giocano con i figli di un vicino immigrato dall'africa e, poiché sono per la scuola statale, vanno a scuola con loro. Quando mi trovo questi bambini a casa mia mi sorprendo a riflettere sulla loro innocenza e sul fatto che non posso riversare su di loro la mia rabbia.
    Vanno combattute le logiche razziste di questa politica, fatta ad uso e consumo del capitale e ai danni degli Italiani.

  3. #3
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    Mi piace il fatto che ti ritieni il detentore della verità assoluta ad inizio discorso.
    Argomentazioni giuste, deja vu.
    Cose che diciamo da 30 anni, non abbiamo bisogno di te.

    Medita sulle tue azioni, adinolfi.

    Grazie comunque al contributo dei Cap. Harlock.

  4. #4
    Enclave MUSSOLINISTA
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    Immigrazione e Razzismo


    Uno dei problemi più gravi nel nostro paese è l' immigrazione. E non solamente quella clandestina.

    Tutti i settori della politica e della vita civile sono toccati da questo fenomeno. Un fenomeno che parte da lontano: dal calo demografico nel nostro paese, dalla crisi economica ed alimentare e dal disordine politico nel terzo mondo, dal definitivo sopravvento dell’economia sulla politica tradizionale nei paesi occidentali e dallo svilupparsi di un’eresia buonista e pauperista all’interno di ambienti ecclesiastici.

    L’immigrazione va innanzitutto contro quello che è l’ordine naturale e provvidenziale delle cose. Ciò è riassumibile nello slogan: "Ogni popolo ha la sua terra ogni terra ha il suo popolo". E se nella storia dei popoli spesso sono avvenute migrazioni, invasioni, mai abbiamo assistito ad un fenomeno come quello odierno, di tali proporzioni e soprattutto con tali conseguenze.

    L’ Italia non ha bisogno di immigrazione, ma di giustizia sociale e di spinta demografica. Gli stessi ambienti oligarchici e tecnocratici che hanno causato carestie e guerre nel terzo mondo ci hanno propinato la favola del pianeta iper-popolato (dimenticando che solo il 2% del globo è effettivamente abitato) e ci hanno imposto il modello di famiglia con un solo figlio. Il gap demografico come in altri periodi della storia può essere colmato in un solo modo: con una forte politica a favore della famiglia e della natalitá. Quando, nel secolo scorso, a causa di una guerra disastrosa con i suoi vicini, il Paraguay perse quasi tutta la popolazione maschile, la società non si perse in chiacchiere ma indirizzò tutti i suoi sforzi nello stimolare la crescita demografica.

    In una situazione sicuramente meno drammatica di questa, la Francia e persino la Finlandia hanno oggi invertito la rotta surclassando il nostro paese nei parametri di natalità.

    E’ noto inoltre che, ovunque vi sia alta immigrazione, le paghe salariali si abbassino. Il capitalismo superando tutte le remore di carattere etico e politico favorisce il fenomeno dell’immigrazione, perché consente ulteriori profitti alle solite grandi famiglie di oligarchi a scapito dei lavoratori.

    L’ordine pubblico, la convivenza civile e la sicurezza sono stati già messi a dura prova dall’immigrazione clandestina e selvaggia. Basti pensare al fatto che la popolazione carceraria in Italia è per il 60% composta di extracomunitari. I reati legati allo spaccio di droga, alla prostituzione e alla violenza interna alle stesse comunità di stranieri (violenza a sfondo etnico, se non tribale , alla faccia della tolleranza e della societá multirazziale!) sono ormai nella quasi totalitá ascrivibili al mondo dell’immigrazione.

    Le cifre parlano chiaro. Se la tendenza non sarà invertita, nel 2040 avremo 40 milioni di Italiani e dieci milioni di extracomunitari; il profilo etnico, la grandezza culturale e religiosa del paese scompariranno per sempre per dar luogo ad un "melting pot" dove l’orgoglio nazionale, il senso della comunità e la tradizione cristiana e nazionale, saranno vecchi ricordi del passato.

    La soluzione del problema non può che essere radicale, è necessario quindi analizzare alla radice quest’evento di massa senza pari nella storia moderna.

    Il fenomeno immigratorio va bloccato non solo ai confini ,ma, soprattutto all’interno del Paese fonte. Se è vero che qualunque essere umano deve essere rispettato in quanto tale , è anche vero che lo Stato può garantirgli assistenza o aiuti dopo il rimpatrio o prima che arrivi sulle nostre coste; la superiorità economica delle Nazioni Occidentali permette concreti e tangibili interventi di soccorso oltre i confini europei. I consolati italiani devono funzionare da tramite fra le imprese italiane e i Paesi sottosviluppati e in via di sviluppo, coniugando la capacità delle nostre imprese con le risorse umane e naturali del terzo mondo.La nostra presenza assume quindi i connotati di un’operazione nobile,intelligente e produttiva; un’operazione economica e culturale di prestigio e di vera solidarietà.

    Coloro che hanno lavorato nel nostro paese e tornano nelle loro terre, proprio perché hanno conosciuto la nostra lingua ed i nostri costumi, costituiranno un ponte naturale fra l’Italia e questi luoghi.

    Un altro approccio vale per i Paesi dove sono radicate importanti comunitá di origine italiana, primo fra tutti l’Argentina. Il dramma di questo Popolo ha evidenziato un paradosso. Gli italo-argentini dotati di un diritto naturale a tornare nel nostro paese sono bloccati da un sistema burocratico che non consente loro di ottenere un passaporto e tornare in madrepatria. Vi sono attese ai consolati che durano anni e che quindi scoraggiano un fenomeno positivo che potrebbe sanare la ferita nata tempo addietro e che portò molti connazionali ad emigrare in cerca di fortuna.

    Una politica che, lungi dal risolvere il fenomeno, rischia addirittura di stravolgere la fisionomia del nostro paese.

    La Comunità, quindi, sostiene che lo Stato italiano deve:

    1) Bloccare l’immigrazione.

    2) Avviare un rimpatrio umano degli immigrati già presenti nelle nostre terre. In particolare, rimpatriare immediatamente tutti quelli detenuti, evitando al contribuente tasse maggiori, per mantenerli in italia

    3) Dare vita, in accordo con gli altri paesi europei, ad un programma di ristrutturazione economica dei paesi del terzo mondo.

    4) Consentire ai nostri connazionali residenti all’estero, di ritornare immediatamente e così colmare il gap occupazionale del nord. E in modo prioritario, dare immediata occupazione a tutti i disoccupati italiani, prima di assumere un solo straniero

    Vogliamo però fugare ogni dubbio riguardo il problema del razzismo.

    Per noi, parlare di «razzismo» o di «antirazzismo» da un ottica prettamente fascista, è soltanto un non senso. Il Fascismo, infatti, parla di «stirpe»: una nozione, quest’ultima, che non ha niente a che vedere, né con il concetto di «razza» (inteso in senso biologico o antropologico), né con l’idea di «melting pot» o di «miscuglio etnico-culturale», intesa nel senso di «brulicanti cocktails» di popolazioni di origine e di cultura diversa che vivono all’interno dello stesso habitat e che sono quasi sempre contraddittori ed antagonisti ed, in ogni caso, origine e causa primaria di patenti o latenti conflittualità multirazziali e/o multiculturali. La «stirpe», per il Fascismo è una nozione strettamente politica. Una nozione, cioè, che tende a circoscrivere, esplicitare e mettere in luce le qualità, le caratteristiche e le prerogative del «popolo» nel quale si identifica. In quest’ottica, il Fascismo concepisce i diversi «popoli» o le diverse «nazioni» del mondo, non come degli «Stati-Nazione», ma come «Popoli-Nazione». La razza, dunque, è un modo di essere (per questo si faccia riferimento al testo di Julius Evola “Carattere”).

  5. #5
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    a proposito di razzismo, ritorna a puntino quello che riportai già in altro tread:

    "La razza è concepita come attualizzazione di quel principio di differenza in grado di riordinare la realtà, secondo le norme dell'armonia e della giustizia universale, e come estremo baluardo di resistenza contro le forze caotiche che tendono all'indifferenziazione totale; se ciascuna civiltà è ritenuta simbolo e manifestazione di un radicale sentimento etnico e quindi sintesi dell'operato di una precisa stirpe che esprime le sue enerige sottili in una forma particolare della politica, della scienza, dell'arte, dell'economia - allora il "razzismo" significa non disprezzo delle altre razze ma fedeltà alla propria razza, riconoscimento della specifica forma di vita che la segna, rispetto di tutti i nessi, interiori ed esteriori, superiori e inferiori che la ordinano.
    [...]
    Noi sosteniamo non la superiorità di una razza sull'altra, ma il rispetto che ciascuna razza deve avere di se, della propria forma 'razziale' - ossia della propria 'identità', intendendo con questo la propria cultura, le proprie tradizioni, i propri costumi, la propria religiosità.
    [...]
    Gli unici che, semanticamente, rispettano la società multirazziale siamo noi, rispettosi dell'identità di ogni razza. Noi avversiamo il dissolvimento delle razze, il disfacimento dei popoli e la deformazione delle culture nel meticciato universale."

    F.G.Freda

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    Bravo, Wan.

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    In origine postato da Wandervogel
    allora il "razzismo" significa non disprezzo delle altre razze ma fedeltà alla propria razza, riconoscimento della specifica forma di vita che la segna, rispetto di tutti i nessi, interiori ed esteriori, superiori e inferiori che la ordinano.

    Questa parte la sinistra e gli antirazzisti non capiscono mai di noi...

  8. #8
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    facciamo tornare su pure questa!

  9. #9
    Dio e Po***o
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    di quest' ottimo articolo di Adinolfi, su tutto deve emergere l'indispensabilita' , di esigere dalla leggittima propieta' privata, la funzionalita' sociale!
    cio' e' previsto anche dalla Costituzione Repubblicana.
    la proprieta' privata di utilita' sociale e' il modo milgiore per garantire coesione sociale al Popolo Italiano

 

 

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