Una bandiera per il Mediterraneo


(Tratto da AREA) - E’ solo un divertissement, ma come tutte le cose fatte per scherzo cela una volontà molto seria. Abbiamo ridisegnato la bandiera dell’Unione europea come la sentiamo più vicina: una costa mediterranea stilizzata, con un asse centrale che rappresenta l’Italia, costellata dalle sette grandi isole del Mediterraneo. Bisogna ammettere che l’effetto grafico è grazioso. Ma ciò che più importa è il contenuto. L’Europa è ancora da fare e non c’è un solo modo di farla: la Germania guarda ad Est, come è logico per la sua collocazione geopolitica; la Francia ha a cuore la stabilità dell’Africa settentrionale e occidentale, dove ha radici storiche ed interessi strategici ed economici. La Spagna di Zapatero ha scoperto che, in fin dei conti, di quello che succede in Medio Oriente non gli importa un granché e che meglio sarebbe concentrare la propria attenzione su ciò che accade in America latina, dove le condizioni storiche e culturali offrono alle ambizioni ispaniche migliori garanzie di realizzazione. Le nazioni hanno una personalità e quindi un passato, una visione ed un interesse, oltre ad ambizioni e sogni, a volte complementari, ma ognuna diversi. La Gran Bretagna, se a guida conservatrice o laburista non importa, non può prescindere dalla propria realtà insulare e dalla comune radice culturale con le altre nazioni anglosassoni. è l’affinità di passato e di interessi che l’ha portata a congiungersi agli Usa nella realizzazione della rete di spionaggio satellitare Echelon, in barba alla comune appartenenza all’Unione europea e ad altri organismi transnazionali. E poi ci sarebbe l’Italia, che per non essere marginalizzata dal forte asse franco-tedesco aveva tentato la carta del fronte alternativo insieme ad Aznar e Blair, proponendosi agli Usa come sponda contro la deriva autonomista del blocco renano. Con l’elezione di Zapatero il progetto salta e comunque Blair aveva già avviato da mesi delle manovre di riavvicinamento ai franco-tedeschi, prospettando un patto di egemonia europea ancora più pericoloso. L’Italia, dunque. Senza una sua centralità l’Europa meridionale è destinata a rimanere nella marginalità e servire, al massimo, come meta turistica ed enogastronomica dei cugini settentrionali, troppo impegnati a fare soldi e progettare imperi per avere anche il tempo di imparare a cucinare. Certo, i francesi sanno fare entrambe le cose e, un tempo, anche noi non eravamo da meno. L’attuale governo di centrodestra ha ereditato, dalle pessime gestioni antecedenti, problemi di difficile soluzione. Ne abbiamo parlato nei numeri precedenti. Tra crisi economiche globali, un patrimonio industriale già svenduto a cordate straniere con le privatizzazioni varate dai governi tecnici del centrosinistra e una difficoltà oggettiva di bilanciare la politica dei prezzi con quella dei redditi, risultato diretto dell’ingresso forzato nell'euro operato da Prodi con una faciloneria esemplare, è oggettivamente difficile trovare la serenità ed il tempo per rimettere sui giusti binari una strategia di politica internazionale. Soprattutto in un’epoca nella quale qualcuno, forte delle sue rendite di posizione, sembra più interessato a destabilizzare il pianeta per meglio gestirlo, piuttosto che fermare le bocce e permettere ad eventuali concorrenti di pensare lucidamente al da farsi. Ma ora c’è una occasione imperdibile per dire le cose giuste su quello che l’Europa dovrebbe fare nel mondo e quello che l’Italia dovrebbe fare in Europa. La campagna elettorale del centrosinistra per le prossime europee, sarà tutta incentrata sulla sensazione: ci saranno scioperi e occupazioni delle fabbriche, scontri con la polizia giustificati dal carovita o dalla guerra, grandi speculazioni sui morti, sulla povertà e bandiere arcobaleno in tutte le salse. La destra potrebbe non perdere invece l’occasione di parlare di politica. Non solo elencando giustamente le cifre delle cose fatte - tanto lo sta facendo già Berlusconi - bensì ritagliandosi il ruolo che gli spetterebbe e cioè quello di laboratorio strategico per il futuro della Nazione. La vocazione della sinistra è da sempre quella di distruggere le nazioni, missione che porta avanti in modo egregio, favorendo qualsiasi progetto di dissoluzione. A queste elezioni avrà come trascinatore Romano Prodi, simbolo di un europeismo tecnocratico nemico delle Patrie e farcirà le sue liste di star televisive - tipo Santoro e la Gruber - a testimonianza del fatto che, al contrario del centrodestra, ha ben presente il potere che esercita il piccolo schermo e che tutti, o quasi, i servizi che certi giornalisti hanno fatto dall’Iraq erano propedeutici alla campagna elettorale e non alla corretta informazione. A noi spetterà come al solito il dovere di proteggere dai loro assalti la nostra bandiera, questa volta una e trina: dell’Italia, dell’Europa delle Patrie e del nostro Mare, che noi vorremmo animato dal dialogo e dalla collaborazione, anziché da venti di tempesta. Ma perché questo sia possibile ci vuole l’Europa - che non è soltanto l’euro - e che è ancora tutta da venire.

Marcello De Angelis