Il New Yorker: le radici di Abu Ghraib in un'operazione voluta dal capo del Pentagono Un anno fa Un'operazione altamente segreta, decisa dopo l'11 settembre e focalizzata sulla caccia ad Al Qaeda viene estesa ai prigionieri in Iraq
«Le radici dell'attuale scandalo alla prigione di Abu Ghraib non si trovano nelle inclinazioni criminali di pochi riservisti dell'esercito ma nella decisione, approvata l'anno scorso dal segretario alla difesa Donald Rumsfeld, di estendere all'interrogatorio dei prigionieri in Iraq una operazione altamente segreta, focalizzata sulla caccia ad Al Qaeda»: così conclude Seymour Hersh al termine di una inchiesta pubblicata dal settimanale The New Yorker (15 maggio). L'operazione, denominata «Verde rame», viene decisa poco dopo l'11 settembre 2001: per evitare rallentamenti nelle operazioni delle forze speciali, dovuti alle procedure della catena di comando, Rumsfeld avvia «un programma altamente segreto che autorizza in anticipo l'uccisione o la cattura e, se possibile, l'interrogatorio di obiettivi "di alto valore" nella guerra al terrorismo dell'amministrazione Bush».

Vengono a tale scopo reclutati, dopo attenta selezione, commandos e agenti segreti altamente addestrati provenienti dalle forze d'élite (Navy Seals, Delta Force e Cia), autorizzati a operare sotto falsa identità così che non siano rintracciabili. Essi possono in tal modo attraversare le frontiere senza visti e sottoporre i sospetti di terrorismo a «immediati interrogatori, usando se necessario la forza, nei centri di detenzione segreti della Cia sparsi in tutto il mondo». Sono pienamente al corrente dell'operazione «meno di duecento agenti e funzionari», tra cui ovviamente Rumsfeld e altri responsabili politici e militari. Non viene inoltre fatto figurare alcun bilancio per l'operazione, così da tenere all'oscuro il Congresso.

Nei primi mesi dopo la caduta di Baghdad, Rumsfeld e i suoi aiutanti sono convinti che le azioni armate contro le truppe statunitensi siano opera di pochi baathisti duri a morire e seguaci di Al Qaeda. Dopo però, «all'interno del Pentagono, cresce la consapevolezza che la guerra sta andando male» a causa della crescente opposizione degli iracheni. Un rapporto interno, di cui Seymour Hersh ottiene copia, ammette che «politicamente gli Usa finora hanno fallito». A questo punto Rumsfeld decide di «usare metodi duri con i detenuti iracheni sospetti di essere insorti». Viene a tale scopo inviato a Baghdad, nell'agosto 2003, il generale Geoffrey Miller, comandante del centro di Guantanamo, il quale sollecita che «i comandanti a Baghdad cambino politica e affidino la responsabilità delle prigioni ai servizi segreti militari». Egli li istruisce anche sui metodi usati a Guantanamo: «privazione del sonno, esposizione a estremi di freddo e calore, costrizione dei prigionieri ad assumere per lungo tempo posizioni stressanti». Per attuare tali metodi sono inviati ad Abu Ghraib e in altre prigioni irachene gli specialisti dell'operazione «Verde rame».

La stessa generalessa Janis Karpinski, comandante della polizia militare ad Abu Ghraib, intervistata da Hersh, ammette che nel carcere operano «misteriosi civili» incaricati degli interrogatori. Tra i metodi usati particolare importanza è attribuita alla «umiliazione sessuale», basata sulla «nozione che gli arabi sono particolarmente vulnerabili ad essa». Così i prigionieri sono costretti a compiere o fingere atti omosessuali durante i quali sono fotografati. Si minaccia poi di «diffondere queste foto vergognose tra i familiari e gli amici», così da costringerli a diventare informatori.

Dall'inchiesta di Seymour Hersh - che un portavoce del Pentagono ha immediatamente definita «assurda, cospirativa, piena di errori e congetture anonime» - emergono le responsabilità politiche delle torture in Iraq. Anche se i responsabili dell'operazione «Verde rame» sono probabilmente meno di 200, la responsabilità politica è molto più ampia di quella denunciata da Seymour Hersh. Essa risale a quando, tre giorni dopo l'11 settembre 2001, il presidente degli Stati uniti è stato autorizzato dal senato e dalla camera dei rappresentanti, in nome della «guerra globale al terrorismo», a condurre una guerra senza confini né limiti di tempo non solo contro organizzazioni o persone ma intere nazioni, la cui colpevolezza viene determinata (in base alle informazioni dei servizi segreti) dal presidente stesso, che emette la sentenza senza processo né possibilità di appello e ne ordina l'immediata esecuzione per mezzo della guerra aperta e segreta. Essa risale a quando l'amministrazione Bush ha istituito «un sistema giuridico parallelo, che permette di indagare, interrogare, processare e punire i sospetti di terrorismo - sia cittadini che non-cittadini statunitensi - senza l'assistenza legale garantita dal sistema ordinario» (The Washington Post, 1 dicembre 2002). Dalle torture venute alla luce in Iraq emerge dunque qualcosa di ancora più inquietante: l'esistenza di un esercito segreto, che opera con licenza di rapire, torturare e uccidere non solo in Iraq. La longa manus della Cupola del potere.

Manlio Dinucci
Fonte:Il Manifesto 18.05.04