di Ernesto Galli della Loggia
E’ giunto il momento in cui la destra s’interroghi su che cosa non ha funzionato e non funziona nel suo rapporto con il paese; in particolare su cosa non ha funzionato e non funziona rispetto al suo elettorato, alle attese della vasta area sociale che nel 2001 la votò raffigurandosene quell’immagine che poi il governo Berlusconi avrebbe dovuto incarnare. C’è qualcosa di profondo che si è rotto e che appare molto difficile ricostruire: un capitale di grandi speranze, di novità, di svolte, che era stato a suo tempo investito da una parte dell’opinione pubblica, quella parte, non lo si dimentichi, che molto probabilmente è stata decisiva nelle elezioni del 2001 e che è decisiva in tutte le elezioni nazionali che si tengono con il maggioritario. Quel milione che fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
Ma cos’è dunque che appare soprattutto deludente nel bilancio della destra? Credo che al governo della destra sia mancato in fin dei conti uno spirito di destra. Abbia fatto difetto quell’atteggiamento complessivo verso la realtà che storicamente è proprio di quella parte e che si esprime specialmente nel rapporto con il passato, con la tradizione. Alla destra italiana messa alla prova del governo è mancato un elemento conservatore, un “vero” spirito conservatore: quello spirito per il quale conservare si può soltanto a patto di cambiare, che comprende che conservazione e innovazione sono due aspetti strettamente intrecciati. Viceversa, l’innovazione non è riuscita quasi mai a coniugarsi in maniera significativa e visibile con qualcosa che esprimesse un interesse e un legame con il passato, con la tradizione, con le radici del paese. Tutte cose che hanno un senso e un valore, naturalmente, non di per sé, in quanto reperti da museizzare e conservare sotto vetro, ma in quanto servono da presupposto alla realtà di valori e di atteggiamenti sociali a cui si attribuisce un’importanza per l’oggi. E tutte cose a cui ci si immagina che uno schieramento di destra debba essere attento, specialmente in un paese come l’Italia che ha attraversato una modernizzazione così rapida e per molti versi distruttiva.
Mi chiedo: se un governo di destra non pone attenzione alle cose che sto dicendo che governo di destra è? Che governo è quello che non capisce che una delle sue funzioni principali è anche una funzione per così dire restaurativa nel senso più alto del termine? Se la destra non capisce che un problema storico di fondo del paese è stato proprio quello di non aver mai potuto contare su un polo modernamente conservatore, conservatore e insieme liberale, come può pensare di essere all’altezza del compito che la sua andata al governo evidentemente le assegna? Naturalmente so benissimo perché le cose sono andate e stanno andando come non avrebbero dovuto: perché la destra giunta al governo in realtà ha ben poco di conservatore nel suo codice genetico, tanto meno ha alcunché di conservatore impregnato di spirito liberale. Ma in una democrazia liberale senza un tratto conservatore la destra rischia di smarrire ogni sua vera funzione politica, ogni volto suo proprio. Per un verso essa cercherà di fare concorrenza alla sinistra sul piano della socialità e dell’innovazione (dove però la sua avversaria si presenta come più accreditata e più credibile), per l’altro tenderà ad acquisire solo un’identità negativa come puro e semplice contraltare alla sinistra, nel caso italiano come puro e semplice anticomunismo. In entrambi i casi, cioè, essa si troverà a battere strade che la privano di un’identità autonoma e forte; che soprattutto le impediscono di abbracciare quella prospettiva politica realmente alternativa alla sinistra di cui le società moderne, tutte le società moderne, nell’alterno movimento del loro sviluppo, hanno periodicamente bisogno.