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    Giacobino 1799
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    Predefinito La guerra in Iraq vista da John Le Carrè

    Ecco il giudizio sulla guerra in Iraq, su Bush e sul governo americano e i suoi alleati, da parte di uno che di conflitti internazionali e di spionaggio ne capisce davvero...

    Domanda a John Le Carrè: Verso la fine di "Amici assoluti" c'è un paragrafo decisivo su questo conflitto. Dice: "Questa guerra dell'Iraq è illegittima, signor Mundy. E' stata una cospirazione criminale e immorale. Non c'erano provocazioni, non c'erano vincoli con Al Qaeda, non c'erano armi apocalittiche. (...) E' stata una guerra coloniale per il petrolio uguale alle solite, travestita da crociata a favore della libertà e della forma di vita occidentale, e l'ha iniziata una cricca di illuminati specialisti della geopolitica ebreo-cristiani assetati di guerra che si sono appropriati dei mezzi di comunicazione e che hanno approfittato della psicopatia americana post 11 settembre". Prima che la guerra cominciasse, lei aveva pubblicato su diversi giornali un articolo nel quale affermava che gli Stati Uniti erano impazziti.

    Risposta di John Le Carrè: E' stato nel gennaio dell'anno scorso che ho detto che gli Stati Uniti erano impazziti. A me pare che gli americani stiano attraversando un periodo di democrazia molto discutibile. Visti da fuori, li separa soltanto una guerra o un'elezione dal diventare ciò che noi chiamiamo fascismo. Fa paura la mancanza di differenze che lì si verifica tra la classe politica, la classe imprenditoriale e mezzi di comunicazione. Prima esistevano gruppi di pressione esterni alla Casa Bianca che esercitavano la loro influenza per ottenere delle modifiche alle leggi vigenti in materia di imprese farmaceutiche, di concessioni petrolifere, di riduzione delle tasse... Ora tutti questi gruppi di pressione stanno all'interno della Casa Bianca rappresentati da membri del gabinetto ministeriale.

    Domanda: Lei ha dichiarato diverse volte che è una follia affermare che chiunque si opponga a Bush, come è il suo caso, sia antiamericano.

    Risposta: Questo è il tipo di semplificazioni demagogiche che utilizzano tutti i fanatici in politica e religione. Considero che gli Stati Uniti siano il luogo di nascita delle idee democratiche, ma credo anche che in questo momento le stiano abbandonando, si veda la legge sul patriottismo - il Patriot Act -, Guantanamo e il disprezzo per le Nazioni Unite, nonchè l'atteggiamento crudele, fondamentalista e guidato dalla religione e dagli interessi delle grandi aziende verso tutto ciò che è straniero. A mio avviso, il ruolo che il mio stesso paese, l'Inghilterra, sta svolgendo in tutto ciò è vergognoso. Io avevo accolto Blair con entusiasmo, lo ritenevo un uomo coraggioso, un idealista, ma è diventato una comparsa degli americani. Non credo che sacrificare la politica estera, la politica della difesa e della sicurezza interna del proprio paese siano un atto di coraggio. In questo caso, ciò che è davvero coraggioso è disertare.

    Domanda: Applica la stessa analisi ad Aznar?

    Risposta: Si, ad Aznar in Spagna è successo lo stesso.

    Domanda: Lei ha anche seguito da vicino la situazione politica spagnola negli ultimi tempi.

    Risposta: Tanto per cominciare, la vittoria di Zapatero nelle elezioni spagnole ha terrorizzato Blair, che ha tutti i suoi alleati nella destra. Aznar ha già perso in Spagna, e se a questa sconfitta si sommano nel futuro quella di Howard in Australia e quella di Bush negli Stati Uniti, si potrebbe produrre un effetto domino che lascerebbe Blair come un naufrago. Personalmente ritengo che le elezioni spagnole siano state un grande trionfo della volontà popolare. A quanto ho capito, molte persone giovani che non avevano mai votato prima lo hanno fatto a marzo. Questo è magnifico: la gente ha confermato con il proprio voto che è ingiusto trascinare il paese in una guerra contro la volontà popolare. Qualcosa di simile è successa nel mio paese. In Gran Bretagna non c'erano mai state delle manifestazioni così imponenti quanto quelle della protesta contro la guerra in Iraq. Un milione di persone nelle strade di Londra è qualcosa di incredibile.

    Domanda: Attaccare l'Iraq è stato, più che una deviazione dalla lotta contro il terrorismo di Al Qaeda, un errore spaventoso. L'Iraq era il posto più sbagliato per lottare contro Al Qaeda.

    Risposta: Naturalmente. Non esiste alcun legame tra Al Qaeda e Saddam Hussein. Saddam odiava Al Qaeda e odiava Osama Bin Laden. Non c'erano campi di addestramento di Al Qaeda in quel paese, nè preparativi per lanciare attacchi terroristici o per fornire armi a organizzazioni terroristiche. E' stato tutto un totale miraggio, all'interno del quale Blair ha fatto un patto silenzioso con Bush per andare in guerra in ogni caso, senza nemmeno informare il proprio Parlamento e il proprio elettorato. Dal mio punto di vista, questa menzogna lo scredita totalmente.

    Stralcio dell'intervista pubblicata su "Repubblica" del 20 maggio. Intervista a sua volta tratta e tradotta da "El Pais".

  2. #2
    Giacobino 1799
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    Predefinito La biografia di John Le Carrè

    John Le Carrè è il nome con cui è conosciuto in tutto il mondo l'ex dipendente dei servizi britannici David J. M. Cornwell. Nato il 19 ottobre 1931 a Poole, nella regione inglese del Dorsetshire, Le Carrè è stato definito, forse non a torto, il più importante scrittore di spy story del Novecento; un autore che con i suoi romanzi impregnati dell'atmosfera della guerra fredda ha fatto scuola, e sulla cui scia si sono accodati centinaia di imitatori, pochi dei quali però riescono ad eguagliare quella miscela di "suspence", brillante scrittura e umorismo sapido che rendono grandi i romanzi di questo agente segreto prestato alla macchina da scrivere.

    Forse la sua straordinarietà risiede proprio nella biografia, facendone un uomo con una marcia in più e con così tanto da raccontare. Entrato a far parte dell'intelligence britannica durante la Seconda Guerra mondiale in qualità di traduttore di documenti segreti per ben cinque primi ministri britannici, nel 1947 si iscrive all'università di Berna, in Svizzera, per poi abbandonarla e tornare a Oxford, dove si specializza in letteratura tedesca. E' dalle sue esperienze professionali al servizio di Sua Maestà che prende l'ispirazione per realizzare i suoi primi libri.

    A partire dagli anni '60 inizia a scrivere spy stories: "Chiamata per il morto" (1961) segna l'atto di nascita di un personaggio che ha conquistato i lettori di tutto il mondo: il leggendario agente segreto George Smiley. Il successo arride però a Le Carrè con la sua terza prova "La spia che venne dal freddo", titolo poi diventato simbolico di tutti i libri di spionaggio. Inizialmente il successo di pubblico è enorme; meno entusiastica la reazione della critica che da lì a pochi anni dovrà tristemente ricredersi.
    In seguito il libro verrà anche ripreso sul grande schermo sotto l'egida attoriale di Burt Lancaster.

    Dopo la fine della guerra fredda, il genere "spy story" subisce un duro contraccolpo: sembra quasi che sia venuta a mancare la materia prima per la narrazione. La crisi non risparmia neanche l'autore inglese, apparentemente incapace di trovare nuove categorie narrative forti.

    Tuttavia con "Il sarto di Panama" (1999) e con l'entusiasmante "Il giardiniere tenace" (2001) lo scrittore ha ritrovato il successo e la vena narrativa dei tempi migliori torcendo la spy stories a nuove esigenze: comiche nel primo dei due titoli, civili nel secondo dove accusa il mondo delle multinazionali farmaceutiche e lancia un accorato grido d'allarme per la tragica situazione africana.

    Altri celebri titoli, tratti dalla vasta produzione di Le Carrè sono: "La talpa", "Tutti gli uomini di Smiley", "La tamburina", "La casa Russia" e "La passione del suo tempo".

    Attualmente John Le Carrè vive ritirato tra Cornovaglia e Hampstead.


    da www.biografieonline.it

  3. #3
    Giacobino 1799
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    Predefinito Foto di John Le Carrè


  4. #4
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    Il reality show dell´orrore
    Jean Baudrillard Stampa questo articolo

    la Repubblica - 22/05/2004


    WORLD Trade Center: l´elettrochoc della potenza, l´umiliazione inflitta alla potenza, ma dall´esterno. Con le immagini delle prigioni di Bagdad è anche peggio: si tratta di un´umiliazione, anch´essa simbolicamente funesta, che la potenza mondiale - l´America, nel caso specifico - infligge a se stessa. Un elettrochoc di vergogna e di cattiva coscienza: è in questo il collegamento tra i due avvenimenti. Davanti a questi due eventi si è scatenata una reazione violenta in tutto il mondo: nel primo caso un sentimento di sbalordimento, nel secondo uno di abiezione. Per l´11 settembre immagini toccanti di un avvenimento di fondamentale importanza, nell´altro immagini avvilenti di qualcosa che è del tutto agli antipodi dell´avvenimento, un non-avvenimento di una banalità oscena. L´abiezione, atroce e tuttavia banale, non soltanto delle vittime, ma degli sceneggiatori, estimatori di questa parodia della violenza.
    Perché il peggio è che si tratta in realtà di una parodia di violenza, di una parodia della guerra stessa, nella quale la pornografia diventa la forma ultima di abiezione. Una guerra che è impotente, che non riesce a essere soltanto guerra, soltanto massacro, ma è una guerra che si estenua in un reality show grottesco e infantile, in una parvenza miserabile di potenza.
    Quelle immagini sono lo specchio di una superpotenza che, giunta al suo punto apicale, non sa più che farsene di se stessa, di un potere che ormai non ha più obiettivi, che è senza finalità perché senza nemici plausibili. Nella totale impunità. Essa non può far altro che infliggersi un´umiliazione gratuita, e - come ben sappiamo - la violenza che si infligge agli altri non è altro che la manifestazione di quella che si infligge a se stessi. Essa non può far altro che umiliare al contempo anche se stessa, avvilirsi, rinnegarsi in una sorta di perverso accanimento. L´ignominia, l´abiezione, è il sintomo estremo di una potenza che non sa più che farsene di se stessa.
    Con l´11 settembre, vi è stata come una reazione globale, la reazione di tutti coloro che non sanno più che farsene di questa potenza mondiale, che non la sopportano più. Nel caso delle sevizie inflitte agli iracheni è ancora peggio: è la potenza medesima che non sa più che farsene di se stessa e che non si sopporta più, salvo parodiare se stessa in modo disumano.
    Quelle immagini sono altrettanto funeste per l´America di quelle del World Trade Center in fiamme. Ciò nonostante l´America in sé non è messa in discussione, è inutile accusare gli americani: la macchina infernale si inceppa da sola, in gesti specificatamente suicidi. Di fatto gli americani sono sovrastati dalla loro stessa potenza, non hanno più modo di scongiurarla. Noi siamo coinvolti da quella potenza. È l´occidente intero, la cui cattiva coscienza è cristallizzata in quelle immagini, è l´Occidente intero ad essere là, nel sadico scoppio di riso dei soldati americani. Così come è l´Occidente intero ad appoggiare la costruzione del muro israeliano.
    Quella è la verità di quelle immagini, una verità di cui esse sono pregne: la smodatezza di una potenza che si designa da sé abietta e pornografa. La verità, non la veridicità. Perché a partire da lì è inutile appurare se quelle immagini sono vere o sono false. Ormai e per sempre ci troviamo nell´incertezza, per ciò che concerne le immagini. Soltanto il loro impatto conta davvero, nella misura stessa in cui quelle immagini sono calate nella guerra. Non vi è neppure più bisogno di giornalisti embedded, al seguito delle truppe: sono i soldati stessi ormai a scattarsi da soli delle immagini. Grazie alla tecnologia digitale, le immagini sono definitivamente integrate nella guerra. Le immagini non la rappresentano più, non implicano più una certa distanza da essa, né implicano percezione soggettiva o giudizio. Le immagini non appartengono più alla sfera della rappresentazione, né dell´informazione in senso stretto e di colpo la questione di sapere se occorra pubblicarle, riprodurle, diffonderle, proibirle e persino la questione "cruciale" di sapere se siano vere o false è del tutto "irrilevante".
    Perché le immagini siano vera informazione occorrerebbe che fossero altro dalla guerra. E invece oggi esse sono diventate virtuali esattamente come la guerra, dunque la loro violenza specifica si somma alla violenza specifica della guerra. D´altronde, con la loro onnipresenza, grazie alla regola oggi universalmente applicata del mostrare tutto, del tutto-visibile, le immagini, le nostre immagini reali, sono diventate sostanzialmente pornografiche, perché sposano spontaneamente il volto pornografico della guerra.
    In tutto ciò, e specialmente nell´ultimo episodio in Iraq, vi è una giustizia immanente all´immagine stessa: ciò che punta sull´esibizione, perirà per causa sua. Volete il potere tramite l´immagine Allora perirete per il ritorno di immagine che ve ne deriverà.
    Gli americani ne fanno e ne faranno l´amara esperienza e ciò nonostante i sotterfugi "democratici", nonostante le disperate parvenze di trasparenza, che a sua volta corrisponde a una disperata parvenza di potenza militare. Chi ha commesso quelle azioni Chi ne è davvero responsabile Gli alti vertici militari La natura umana, che sappiamo essere bestiale, anche "in democrazia" Il vero scandalo non è più nella tortura, è nella slealtà di chi sapeva e non ha detto nulla (o di chi l´ha rivelato). Ad ogni modo, tutta la violenza reale è spostata sulla questione della trasparenza: la democrazia si trova a doversi rifare una virtù tramite la divulgazione dei propri vizi.
    Esulando da tutto ciò, qual è il segreto di quelle abbiette scenografie Ancora una volta, queste rispondono - andando oltre le peripezie strategiche e politiche - all´umiliazione dell´11 settembre. Vogliono rispondervi con un´umiliazione ancora peggiore, peggiore della morte stessa. Senza contare i cappucci - che di per sé costituiscono già una forma di decapitazione (alla quale a sua volta ha corrisposto l´effettiva decapitazione di un americano) - senza contare le pile di corpi e i cani, la nudità forzata di per se stessa è già stupro. E così abbiamo visto dei soldati americani far camminare degli iracheni nudi e incatenati attraverso la città, e nel racconto Allah Akhbar di Patrick Dekaerke, si legge di Franck, l´emissario della Cia, che costringe l´arabo a spogliarsi, gli fa indossare con la forza una guêpière e delle calze a rete, lo fa infine sodomizzare da un maiale, e durante tutto ciò scatta delle fotografie che spedirà al villaggio dell´uomo e a tutti i suoi famigliari. Così l´altro sarà simbolicamente sterminato. Ed è lì che salta agli occhi lo scopo di una guerra, che non è quello di uccidere o di vincere: è quello di annientare il nemico, di spegnergli (credo sia stato Canetti a dirlo) la luce del cielo.
    In effetti, che vorranno mai far confessare a quegli uomini, qual è il segreto che dovrebbero estorcere loro È semplicemente ciò nel cui nome, in virtù di cui, essi non hanno paura di morire. Quella è l´invidia profonda, la vendetta dei "zero morti" su coloro che non ne hanno paura, in nome della quale infliggere loro qualcosa di ben peggiore della morte L´impudicizia radicale, la vergogna della nudità, la spoliazione da ogni velo. È sempre quello il problema, la trasparenza: strappare il velo alle donne, incappucciare gli uomini per farli sembrare ancora più nudi, più osceni Tutta questa mascherata che incorona l´ignominia della guerra, fino a quel travestimento in quell´immagine, la più crudele di tutte (la più crudele per l´America) perché la più fantomatica, la più "reversibile" di tutte: la foto di quel prigioniero minacciato di essere folgorato e diventato tutto intero travestimento, un membro del Ku Klux Klan, crocifisso dai suoi consimili. In quell´immagine l´America si è davvero folgorata da sola con una scarica elettrica.

    (Traduzione di Anna Bissanti)

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    Predefinito un saggio circa la "fine" dell`america

    La fine delle Nazioni
    di Robert Cooper

    Pagina 1 di 6
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    Il XXI secolo potrebbe essere il periodo peggiore della storia europea, contraddistinto da terrorismo, armi di distruzione di massa, insicurezza generalizzata. Robert Cooper, fin dalle prime righe della prefazione del suo nuovo saggio (La fine delle Nazioni, Edizioni Lindau), individua subito i termini della questione e non tace sugli enormi rischi cui va incontro la nostra società.

    Sono passati solo 15 anni dal radioso 1989, quando l'Europa assistette stupita al crollo pressoché indolore delle dittature comuniste e in tutto l'Occidente si diffuse la sensazione che il mondo fosse ormai giunto a un vertice di sviluppo democratico irreversibile. Tre lustri più tardi quelle illusioni sono andate progressivamente svanendo. La prima guerra del Golfo, i genocidi in Bosnia e Ruanda, il conflitto in Kosovo e poi, naturalmente, l'11 settembre hanno spazzato via i sogni di una pace universale e ci hanno proiettato in una situazione che Samuel Huntington ritiene sia ormai di scontro tra civiltà.

    Proprio questo stato di disordine è al centro dello studio di Robert Cooper che analizza la realtà senza paraocchi ideologici e individua le cause del caos nel confronto tra Stati che corrispondono a tre diverse tipologie: premoderni, ossia quelli sempre sull'orlo del fallimento; moderni, cioè quelli che perseguono sempre e comunque i propri interessi; postmoderni, ovvero quelli che mettono al primo posto la cooperazione e la legge.

    Al primo tipo appartiene ad esempio l'Afghanistan, al secondo la Cina, al terzo l'Unione europea. Mancano gli Stati Uniti, che pure sono il perno dell'equilibrio mondiale (il "Paese indispensabile" per riprendere la definizione dell'ex segretario di Stato Madeleine Albright) e, secondo Cooper, proprio dall'atteggiamento - oggi ancora oscillante - che l'unica superpotenza assumerà nei prossimi anni si potrà definire il quadro complessivo del secolo che si è appena aperto.

 

 

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