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    Predefinito USA e GB presentano una bozza della nuova Risoluzione ONU

    USA-GB PRESENTANO LA NUOVA RISOLUZIONE ALL'ONU

    WASHINGTON - Con poche ore di anticipo su un discorso del presidente Bush sul futuro dell'Iraq i piani americani per la transizione sono approdati in Consiglio di Sicurezza.

    Stati Uniti e Gran Bretagna hanno presentato una bozza di risoluzione sul trasferimento della sovranita' nelle stesse ore in cui un attentato a Baghdad ha fatto quattro morti tra cui due cittadini britannici a pochi passi dalla sede della Coalizione.

    Preparata ieri da un battage di telefonate del segretario di stato Colin Powell con gli ambasciatori dei paesi del Consiglio, la bozza di risoluzione ha trovato una discreta accoglienza nelle delegazioni che si sono susseguite ai microfoni fuori dalla sala delle riunioni: ''Ci sono divergenze ma sono ottimista. Alcuni punti vanno rifiniti'', ha dichiarato l'inviato del Cile Heraldo Munoz.

    ''E' una buona base di discussione'', ha detto l'ambasciatore tedesco Gunter Pleuger rivelando che il testo e' il frutto di tre settimane di ''discussioni'' tra tutti i paesi del Consiglio, compresi i tre in prima linea l'anno scorso nel fronte contro la guerra in Iraq: oltre alla Germania, la Francia e la Russia.

    PER IL VOTO SI ASPETTA BRAHIMI - Nel tentativo di raccogliere consensi e appoggi in uomini e mezzi alla transizione irachena, il testo proposto da Usa e Gb avalla il calendario proposto dall'amministrazione Bush a partire dal passaggio dei poteri di governo a un governo ad interim sovrano il 30 giugno e autorizza una forza multinazionale per il mantenimento della pace con il consenso iracheno.

    Il testo e' stato presentato in una sessione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza: il voto - hanno anticipato a Londra un portavoce del primo ministro britannico Tony Blair e a New York i rappresnetanti di molte delegazioni - e' prevedibile dopo che l'inviato dell'Onu Lakhdar Brahimi avra' fatto rapporto al Palazzo di Vetro su contenuti e protagonisti della transizione.

    Questo dovrebbe avvenire entro la fine di maggio, forse entro la fine di questa settimana.

    NUOVO INIZIO IN IRAQ - Mancano 37 giorni all'ora 'x': proclamando la determinazione di Stati Uniti e Gran Bretagna per ''un nuovo inizio'' in Iraq la bozza di risoluzione trasmette al governo ad interim anche il controllo sull'industria del petrolio al pari di fondi attualmente nelle mani di Usa e Gb, dove sono stati depositati i proventi del greggio.

    La risoluzione scioglie formalmente l'Autorita' Provvisoria della Coalizione: ciononostante anche dopo il 30 giugno gli Stati Uniti manterranno oltre 130 mila soldati in Iraq, e saranno gli Stati Uniti, che ne manterranno il comando unificato, a tenere le redini di tutti i soldati.

    All'interno della forza multinazionale ne verra' costituita un'altra con il compito specifico di garantire la sicurezza dell'Onu. Nel tentativo di calmare le preoccupazioni di alcuni iracheni e di molti paesi europei che l'Iraq si senta ancora una nazione occupata, la bozza presentata oggi prevede che un futuro governo iracheno possa ''rivedere'' la presenza della forza.

    La revisione non avrebbe comunque possibilita' di essere effettuata prima del prossimo anno: il testo proposto stabilisce infatti che la rimessa in discussione della presenza dei soldati stranieri in Iraq debba avvenire entro 12 mesi dalla data della risoluzione o ''su richiesta del governo di transizione dell'Iraq'': sarebbe questo il governo espresso dalle elezioni del gennaio 2005 che scegliera' l'Assemblea Nazionale Transitoria.

    TRE GENERALI, UN COMANDANTE SUPREMO USA - Il rapporto tra il comando militare unificato a guida americana e il governo ad interim iracheno viene definito nella bozza un rapporto di ''partnerariato'' e ''collaborazione'', con una formula che rispecchia il concetto espresso la scorsa settimana in Congresso dal sottosegretario di stato Richard Armitage: le truppe irachene avrebbero la possibilita' di ''tirarsi fuori'' dalle operazioni militari non condivise.

    Secondo indiscrezioni di diplomatici del Consiglio l'assetto finale della struttura di comando sarebbe di tre organizzazioni militari autonome sotto il comando unificato Usa: le forze irachene, le restanti forze della coalizione e una nuova forza internazionale per proteggere l'Onu avrebbero ciascuna alla testa il loro generale all'interno di una struttura di comando unificata alla guida di un generale americano.


    24/05/2004 20:14

  2. #2
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    In origine postato da antonio
    e quando andranno via? nel 2005? oltre?
    Questo dipende dal MANDATO che riceveranno dall'ONU e dal disarmo più o meno completo che le bande armate saranno obbligate a fare.

  3. #3
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    In origine postato da antonio
    ..appunto...
    ma non credo che L'ONU possa daimporre agli occupati di disarmarsi...
    L'ONU farà di tutto per garantire la pace e la convivenza. L'instabilità derivante dalle mille e più bande armate (molte provenienti dall'esterno) è il primo problema... Disarmarle è la priorità delle Nazioni Unite, altrimenti di libere elezioni non ce ne possono essere (sarebbero ricattate dalal violenza).

  4. #4
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    In origine postato da antonio
    ma il disarmo delle bande potra' essere preteso, ragionevolmente, solo nel momento in cui gli altri occupanti armati, provenienti per certo dall'esterno, cioe' USA ed alleati, se ne saranno andati..
    non credo che chi si oppose alla guerra e siede in consiglio di sicurezza, lascera' passare un'operazione a costo politico 0 per gli USA...o meglio per Bush...
    Il Consiglio di Sicurezza (quindi non gli USA) farà i suoi ragionamenti, bisogna ovviamente stare a vedere cosa ne verrà fuori.
    Certo mi pare assurdo aspettarsi che, ritiratisi gli alleati angloamericani, le bande armate possano disarmarsi "da sole".

  5. #5
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    Cosa accadra' il 30-6...

    Gli USA controlleranno, GIUSTIZIA, ESERCITO, ECONOMIA, POLIZIA, STAMPA E TV... Ed ovviamente il governo lo scelgono loro... Non male come cessione di poteri....

    Protestare invece e' vietato per legge, una legge di.... Udite, udite, Saddam Hussein... Legge che giustamente viene mantenuta... Ecco la nuova liberta' dall'oppressione...

    Ed il palazzo del governo... Se lo tengono come "ambasciata", caso mai ci fossero equivoci... L' "ambasciatore" e' Negroponte (vedere sotto)... A dirigere le carceri invece c'e' Miller... Coppia di mazze...

    • il “governo iracheno”, e' stabilito dall’alto e non eletto. Per la gioia dei pollisti guerrafessi a cui tanto piaccio gli "eletti".
    • L’esercito iracheno sarà sottoposto al comando statunitense fino a quando non entrerà in vigore una costituzione definitiva
    • Inoltre rimarranno 110mila soldati statunitensi in Iraq.
    • la cosiddetta Autorità provvisoria della coalizione ha emesso una serie di “ordini” che non possono essere modificati su argomenti molto significativi, come ad esempio per il sistema giudiziario.
    • il nuovo “governo” non avrà poteri sui tribunali speciali che giudicano i membri del partito Baath.
    • Gli americani controllano le leggi per il funzionamento della banca centrale e delle aziende;
    • le istituzioni di controllo della stampa e della televisione in Iraq sono state create dagli Stati Uniti
    • c’è anche una Commissione per la comunicazione e i media che sarà «l’unica responsabile per concedere le licenze e per regolare le telecomunicazioni e i mezzi di comunicazione in Iraq».
    • Una legge di Saddam del 1987 che impedisce ai dipendenti statali iracheni di formare dei sindacati rimarrà in vigore; la resistenza nel posto di lavoro - resistenza “politica” - sarà proibita; i leader sindacali potranno essere arrestati.
    • Il palazzo di Baghdad usato dalla forza di occupazione diventerà l’ambasciata americana più grande al mondo
    • Il favorito alla carica di ambasciatore americano in Iraq era il falco Paul Wolfowitz. Poi hanno pensato bene che era meglio mandare qualcuno che avesse dimestichezza con le violazioni dei diritti umanitari. Cosi' hanno scelto Negroponte...



    The Independent

    Iraq, il caos è appena cominciato
    di Robert Fisk

    Cosa accadrebbe se gli americani lasciassero subito l’Iraq? È la domanda più ripetuta sui mezzi di comunicazione negli Usa. Le risposte sono diverse, ma simili nella forma: guerra civile, caos, anarchia. Per questo non ce ne possiamo andare; dobbiamo proteggere il popolo iracheno. Quindi, se ne dovrebbe dedurre che il popolo iracheno non vuole che noi ce ne andiamo. Stiamo proteggendo gli iracheni da una guerra civile, almeno così si dice.

    Il punto è che molti iracheni preferirebbero prendersi cura di loro stessi, senza il nostro aiuto.
    I fatti sono semplici: il 30 giugno, “noi” trasferiremo la sovranità - una comodità delicata e illusoria - al popolo iracheno, che senza dubbio ci sarà profondamente grato per tanta generosità. Il palazzo di Baghdad usato dalla forza di occupazione diventerà l’ambasciata americana più grande al mondo, e il nostro “governo iracheno”, stabilito dall’alto e non eletto, diventerà un faro di libertà, di uguaglianza e di tutto ciò che più ci piacerebbe.
    Ma adesso passiamo ai fatti. Come ha fatto notare Nathan Brown, professore di Scienze politiche e di Affari internazionali alla George Washington University, la cosiddetta Autorità provvisoria della coalizione - la forza di occupazione - ha emesso una serie di “ordini” che non possono essere modificati su argomenti molto significativi, come ad esempio per il sistema giudiziario. L’esercito iracheno sarà sottoposto al comando statunitense fino a quando non entrerà in vigore una costituzione definitiva; inoltre, il nuovo “governo” (ovviamente non eletto) non avrà poteri sui tribunali speciali che giudicano i membri del partito Baath.

    Gli americani controllano le leggi per il funzionamento della banca centrale e delle aziende; le istituzioni di controllo della stampa e della televisione in Iraq sono state create dagli Stati Uniti - c’è anche una Commissione per la comunicazione e i media che sarà «l’unica responsabile per concedere le licenze e per regolare le telecomunicazioni e i mezzi di comunicazione in Iraq». Saranno molte le sacche di influenza americana a rimanere in Iraq. Grazie, Professor Brown.

    Ho avuto idea di cosa questo possa significare la scorsa settimana. Sto lavorando a una storia che tratta della sorte di Saddam Hussein e che, Inshallah (se Dio lo concede) apparirà sul «The Independent» tra qualche giorno. La scorsa settimana ho chiamato la mia fonte in un Paese del Medio Oriente, e quando ho chiuso la comunicazione, la linea è rimasta aperta e il numero del mio telefono è passato a un numero di telefono inglese - chiaramente registrato sull’apparecchio - che, quando cercavo di richiamarlo, rispondeva con un messaggio: «numero inesistente». Il numero era 0044 (il prefisso della Gran Bretagna) 000920167. Quando ho chiesto all’ufficio del giornale di mettermi in collegamento con questo numero, non ci sono riusciti. Quando hanno tentato di chiamare il numero, dall’altro capo del filo si sentiva solo un unico suono regolare. Perché il Gchq (Government Communications Head Quarter, il Centro governativo britannico delle comunicazioni) è interessato alle mie telefonate? Benvenuti nel nuovo Iraq.
    Gli Stati Uniti credono di aver trovato una risoluzione delle Nazioni Unite che li autorizzerebbe a mantenere i 110mila soldati statunitensi in Iraq. Paul Bremer, il proconsole statunitense, ha già rilasciato un ordine esecutivo specificando che le nuove forze armate irachene saranno sottoposte al comando del comandante americano in Iraq, il luogotenente generale Ricardo Sanchez, che guiderà le forze americane dopo il “trasferimento” del potere il 30 giugno. La risoluzione dell’Onu 1511, che ha concesso il mandato all’alleanza guidata dagli Stati Uniti - e di questa informazione devo ringraziare il mio collega John Burns del New York Times - può essere infatti usata per giustificare legalmente la presenza del comando militare statunitense, che potrà rimanere in carica fino al 31 dicembre del 2005.

    Il governo ad interim servirà a raggiungere qualcosa di simile a un accordo «Sofa» (Status of Forces agreement, un accordo sullo status delle forze armate) che gli Stati Uniti hanno già stipulato in decine di nazioni in cui sono spiegate le forze americane. Quindi, quando la “sovranità” verrà trasferita al governo iracheno, il potere rimarrà nelle mani americane fino al «completamento del processo politico». In altre parole, l’Iraq rimarrà sotto l’occupazione angloamericana. I musulmani sunniti, che avranno un membro in una presidenza composta da tre persone, sostengono che è nell’interesse dell’Iraq che le truppe statunitensi combattano contro i nemici del Paese - o almeno contro la versione americana dei nemici iracheni e contro le rivolte. Ma in Iraq sono già preoccupati per tale questione. Una legge di Saddam del 1987 che impedisce ai dipendenti statali iracheni di formare dei sindacati rimarrà in vigore; la resistenza nel posto di lavoro - resistenza “politica” - sarà proibita; i leader sindacali potranno essere arrestati.

    Gli iracheni normali - quelli che non lavorano nel palazzo di Bremer e che non sono interessati a certe questioni perché quello che vogliono è elettricità, petrolio, lavoro - hanno dimostrato poco interesse verso queste notizie: ma sbagliano.

    Infatti il 30 giugno non ci sarà un “trasferimento” di poteri. Quello a cui assisteremo sarà un passaggio di una sovranità mistificata a iracheni pagati e appoggiati dagli americani, che faranno quello che Washington dirà loro di fare. Il favorito alla carica di ambasciatore americano in Iraq altri non è che Paul Wolfowitz [ndr e' stato scelto invece Negroponte, dalla padella alla brace], membro dell’Amministrazione americana e uno dei falchi che ha voluto la disastrosa invasione dell’Iraq.

    Che cosa farà allora la “resistenza”? La guerriglia cercherà di rovesciare la nuova amministrazione del Paese, di attaccare le forze di polizia e il “nuovo” esercito iracheno. Non è difficile capire cosa hanno in mente gli americani: le truppe irachene presidiano già i posti di blocco insieme agli americani; condividono la guardia al palazzo di Bremer; indossano occhiali da sole e spesso - come a Sammara - mettono su dei posti di blocco che controllano portando cappucci neri che coprono il volto.

    Sarà questa l’immagine del nuovo Iraq sovrano e indipendente. Si sta facendo di tutto per far uscire le truppe americane dalla linea di fuoco e spostarle in zone deserte - dove possono essere attaccate dal fuoco di mortaio, ma non saranno sottoposte a degli attacchi più strutturati; in fin dei conti, solo i “terroristi” potranno attaccare l'esercito del nuovo Iraq libero.

    Ma qui nasce il problema: gli iracheni rispetteranno questo nuovo esercito, questa forza di polizia, questa nuova “sovranità”? Ne dubito. La popolazione del Paese vuole che venga messa fine alla mancanza di leggi, alle uccisioni e ai rapimenti che hanno segnato l’occupazione americana; ma vuole anche vivere in un Paese che non sia sottoposto al controllo degli Stati Uniti - e questo non sarà possibile.

    Quindi il 30 giugno tirate fuori i giubbotti antiproiettile, nascondetevi e - se siete occidentali - state lontani dalle strade e pregate che gli iracheni assoldati dagli americani vi proteggano, insieme alle migliaia di mercenari stranieri che sono entrati nel Paese. Gli americani non sono stati molto bravi a proteggere i loro cari fino ad oggi - per non parlare dell'atrocità delle uccisioni, delle mutilazioni e delle impiccagioni pubbliche dei corpi nudi dei cittadini americani a Fallujah - quindi c’è da chiedersi quali siano le possibilità reali di successo dei loro servi iracheni.
    Insomma: il 30 giugno, tutti con i giubbotti antiproiettile. E chiamate lo 000920167.

  6. #6
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    Eccovi chi comanda (e continuera' a comandare) in Iraq


    John Negroponte


    Cominciamo dal nuovo "ambasciatore" iracheno, ambasciatore che occupera' la piu' grande sede diplomatica al mondo e quello con maggiore "influenza" sul governo locale...

    Quest'uomo e' stato gia' ambasciatore in Honduras, nel controverso periodo in cui gli USA hanno aiutato i contras nicaraguensi, nella base militare da lui costruita furono rinvenuti 185 corpi e vi furono numerosi casi di tortura ed assassini riportati dal tristemente famoso battaglione 316, cose di cui il nostro era al corrente e nonostante cio' decise di continuare il rapporto di "collaborazione"...

    John Negroponte was ambassador to Honduras from 1981-1985. As such he supported and carried out a US-sponsored policy of violations to human rights and international law. Among other things he supervised the creation of the El Aguacate air base, where the US trained Nicaraguan Contras during the 1980's. The base was used as a secret detention and torture center, in August 2001 excavations at the base discovered the first of the corpses of the 185 people, including two Americans, who are thought to have been killed and buried at this base.

    During his ambassadorship, human rights violations in Honduras became systematic. The infamous Battalion 316, trained by the CIA and Argentine military, kidnaped, tortured and killed hundreds of people. Negroponte knew about these human rights violations and yet continued to collaborate with them, while lying to Congress.

    Geoffrey Miller.


    Ora veniamo alla persona di recente incaricata di prendersi cura delle carceri irachene

    Chi e' Miller? Il comandante di Guantanamo la base americana dove sono detenuti i presunti terroristi... La base dove si sono rifiutati di applicare la convenzione di Ginevra sui i prigionieri di guerra, nonche' le leggi USA, nonche' le leggi locali. Nessuna legge insomma. Cosa facciano a questi detenuti e' ben noto ai difensori dei diritti umanitari....

    Non solo, Miller e' la persona che, secondo il rapporto interno dell'esercito redatto dal generale Taguba, ha SUGGERITO DI TORTURARE I DETENUTI IRACHENI DI CUI AVETE DI RECENTE AMMIRATO LE FOTO

    Rimosso il generale precedentemente incaricato delle prigioni irachene, gli USA hanno pensato bene di inviare come sostituto lo stesso Miller...

    Gen. Miller Set to Command Iraq Prisons


    Wednesday May 5, 2004 8:01 AM

    By PAISLEY DODDS

    Associated Press Writer

    SAN JUAN, Puerto Rico (AP) - The Army major general appointed to run Iraq's prisons in fallout of a major scandal weathered controversy in his last assignment overseeing the detainment center at Guantanamo Bay, Cuba.

    Maj. Gen. Geoffrey Miller spent more than a year at Guantanamo Bay, boasting that detainees there had become much more cooperative during his time there. But he was in charge during a time when one interrogator was accused of espionage and human rights groups leveled their most scathing criticism at the camp.

    The career military officer from Menard, Texas, began his time at Guantanamo with tough talk.

    ``If you attack America, then you, too, could end up in Guantanamo,'' Miller, 55, said in a fiery warning as he took control of the U.S. prison camp for terror suspects on Cuba's eastern tip.

    He softened his tone soon after arriving at Guantanamo in October 2002, promising to release detainees who didn't pose a threat and to increase information from uncooperative prisoners.

    Miller was appointed to the Iraq job last month, replacing Gen. Janis Karpinski. She was suspended amid investigations into the allegations that U.S. soldiers abused Iraqi inmates at Baghdad's Abu Ghraib prison.

    In response to the claims in Iraq, Miller on Tuesday said he would eliminate some interrogation techniques considered humiliating, such as the hooding of prisoners.

    By the end of his stint at Guantanamo in March, the square-jawed Miller said intelligence tips at the U.S. prison camp had increased dramatically and that detainees, accused of links to Afghanistan's ousted Taliban regime or the al-Qaida terror network, were being more cooperative.

    He said three-fourths of the approximate 600 detainees had confessed to some involvement in terrorism and many had exposed former friends.

    He attributed those success to a reward system he started, which included the opportunity for detainees to live communally in a medium-security prison and to get extra perks, such as packets of sugar or exercise time.

    But Miller's time in Guantanamo was not all smooth.

    Under his watch, one interrogator was charged with espionage and is up for court martial this month. Another interrogator was charged with transporting secret documents; his case is pending. A Muslim chaplain - and close adviser to Miller - was charged with mishandling classified information and adultery, though those charges were recently dropped.

    Miller also faced steady criticism from human rights groups over the U.S. detention mission itself, which they say is abusive. None of the detainees have been charged yet, and some have been held for more than two years. The U.S. government has yet to agree on a date for tribunals.

    In a rare public rebuke, the International Red Cross condemned the prolonged detentions at Guantanamo in October, saying that mental instability and attempted suicides among detainees indicated severe problems with the U.S. operation.

    Miller, who said his deployment to Guantanamo would likely last for two years, always contended that the detainees were being treated humanely.

    Coming from an assignment in South Korea, Miller succeeded Brig. Gen. Rick Baccus, who left Guantanamo after complaints from some interrogators that he was too concerned about prisoner treatment.

    Some former prisoners who returned to Afghanistan recently complained of torture at Guantanamo, saying they were abused and deprived of sleep - similar allegations to those made by former Iraqi prisoners.

    Officials at Guantanamo say interrogations are often done at night but deny mistreating detainees. And unlike the situation in Iraq, there have been no U.S. military punishments over alleged abuses at the Cuban prison


    Ahmed Chalabi


    Ed ora veniamo al "governo degli iracheni". Sapete da chi e' formato? Un nome su tutti (la persona con maggior potere nel congresso iracheno): Chalabi

    Questo tizio e' pappa e ciccia con i neoconservatori americani, da loro allevato e finanziato sin dal 1991, ed in particolare con Rumsfeld che, oltre ad avergli garantito un posto di rilievo nell'attuale "governo degli iracheni" intende affidargli una posizione di notevole influenza nel prossimo governo.... E' uno dei candidati principali alla presidenza...

    E' a lui che dobbiamo molti dei documenti di intelligence FALSI che dimostravano l'esistenza delle ADM che hanno portato alla guerra. Intervistato sulla scarsa attendibilita' (per usare un eufemismo) delle prove fornite agli USA il nostro ha sostenuto di non pentirsi per quanto fatto, visto che grazie a cio' e' riuscito ad abbattere Saddam (e sopratutto a garantirsi un bel posticino)....

    Chalabi stands by faulty intelligence that toppled Saddam's regime



    By Jack Fairweather in Baghdad and Anton La Guardia
    (Filed: 19/02/2004)

    An Iraqi leader accused of feeding faulty pre-war intelligence to Washington said yesterday his information about Saddam Hussein's weapons, even if discredited, had achieved the aim of persuading America to topple the dictator.

    Ahmad Chalabi and his London-based exile group, the Iraqi National Congress, for years provided a conduit for Iraqi defectors who were debriefed by US intelligence agents. But many American officials now blame Mr Chalabi for providing intelligence that turned out to be false or wild exaggerations about Iraq's weapons of mass destruction.

    Ahmad Chalabi: 'we've been entirely successful'

    Mr Chalabi, by far the most effective anti-Saddam lobbyist in Washington, shrugged off charges that he had deliberately misled US intelligence. "We are heroes in error," he told the Telegraph in Baghdad.

    "As far as we're concerned we've been entirely successful. That tyrant Saddam is gone and the Americans are in Baghdad. What was said before is not important. The Bush administration is looking for a scapegoat. We're ready to fall on our swords if he wants."

    His comments are likely to inflame the debate on both sides of the Atlantic over the quality of pre-war intelligence, and the spin put on it by President George W Bush and Tony Blair as they argued for military action.

    US officials said last week that one of the most celebrated pieces of false intelligence, the claim that Saddam Hussein had mobile biological weapons laboratories, had come from a major in the Iraqi intelligence service made available by the INC.

    US officials at first found the information credible and the defector passed a lie-detector test. But in later interviews it became apparent that he was stretching the truth and had been "coached by the INC".

    He failed a second polygraph test and in May 2002, intelligence agencies were warned that the information was unreliable.

    But analysts missed the warning, and the mobile laboratory story remained firmly established in the catalogue of alleged Iraqi violations until months after the overthrow of Saddam.

    America claimed to have found two mobile laboratories, but the lorries in fact held equipment to make hydrogen for weather balloons.

    Last week, US State Department officials admitted that much of the first-hand testimony they had received was "shaky".

    "What the INC told us formed one part of the intelligence picture," a senior official in Baghdad said. "But what Chalabi told us we accepted in good faith. Now there is going to be a lot of question marks over his motives."

    Mr Chalabi is now a member of the Iraqi Governing Council, but his star in Washington has waned.

  7. #7
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    Scusate ma tutta la montagna di roba postata qui in cima cosa ha a che fare con la risoluzione dell'ONU prossima ventura? All'Indipendent sono così ben informati che GIA' SANNO cosa conterrà?
    A me risulta che il Consiglio di Sicurezza (formato anche da Francia, Russia, Germania) debba ancora proprio cominciare a discuterne, e che da qui al 30 Giugno le cose siano ancora tutte da vedere.
    Ma evidentemente per i sinistri del mondo intero, che fino a settimana scorsa INVOCAVANO l'ONU, qualsiasi cosa succederà in futuro comunque non andrà bene.
    Questo si chiama oltranzismo, e fa solamente il gioco dei terroristi.

  8. #8
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    In origine postato da UgoDePayens
    Scusate ma tutta la montagna di roba postata qui in cima cosa ha a che fare con la risoluzione dell'ONU prossima ventura?
    La montagna di roba, per chi se la vuole leggere, spiga bene in cosa consiste questo "governo" degli iracheni di cui parlano gli americani nella risoluzione onu...

  9. #9
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    da www.ilfoglio.it
    "
    Prendere Fallujah, neutralizzare al Sadr, una nuova risoluzione e i buchi nel piano Brahimi
    --------------------------------------------------------------------------------
    Il primo dei sei discorsi con cui, da qui al 30 giugno, George W. Bush spiegherà agli elettori la sua visione del nuovo Iraq, s’è tenuto ieri notte all’Army War College di Carlisle, in Pennsylvania, oltre che in diretta televisiva su Cnn, Fox, Msnbc e C-Span. Bush ha dovuto confutare l’idea che l’Amministrazione non sappia che cosa sta accadendo in Iraq, accusa che ormai gli imputano quasi tutti, dai Democratici ai neoconservatori come Robert Kagan. Contemporaneamente, americani e inglesi hanno presentato la bozza di una nuova risoluzione delle Nazioni Unite che dovrà dare legittimità al nuovo governo iracheno, alla cui formazione sta lavorando l’inviato di Kofi Annan a Baghdad, Lakhdar Brahimi. Ma i dubbi sulla strategia americana sono sul campo, in Iraq, con la clamorosa vicenda di Ahmed Chalabi, l’esule iracheno prima favorito e ora accusato di essere una spia iraniana, e con il nodo mai risolto della guerriglia scatenata dalle brigate Mahdi di Moqtada al Sadr e dell’insorgenza armata nel triangolo sunnita. La grande novità della dottrina Bush, elaborata dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, era racchiusa in poche parole: l’America non avrebbe fatto più differenze tra gruppi terroristici e Stati che li finanziano, che li ospitano, che li proteggono. Eppure l’eccezione non è soltanto l’Arabia Saudita, ma anche la cittadina irachena di Fallujah, l’enclave nel triangolo sunnita rimasta fedele a Saddam. A Fallujah, come in moltissime altre città irachene, le truppe angloamericane non sono mai penetrate, né durante le operazioni militari che l’anno scorso hanno portato alla caduta del regime, né nelle ultime cinque settimane quando i seguaci del dittatore hanno ripreso la guerriglia armata. C’è chi dice che l’errore strategico di non essere entrati a Fallujah sia imputabile all’improvvisa decisione turca, l’anno scorso, di negare l’accesso alle truppe americane dal nord. A quell’errore, ormai riconosciuto da tutti, non è stato ancora trovato rimedio. E ogni giorno che passa una soluzione armata diventa sempre più difficile. “L’eccezione Fallujah” alla dottrina Bush ha creato parecchi guai, non solo militari ma anche politici. I partiti sciiti e curdi sono grandi alleati dell’Amministrazione Bush che li ha liberati da Saddam e dall’oppressione subita dalla minoranza sunnita che guidava l’Iraq. Anche le autorità religiose sciite, come al Sistani, partecipano al processo democratico. Ora però i più fedeli alleati della guerra di liberazione cominciano a sospettare delle reali intenzioni americane, dopo che l’Autorità provvisoria di Paul Bremer ha deciso di consegnare Fallujah a un ex ufficiale dell’esercito di Saddam iscritto al Baath. Sciiti e curdi temono che se nel paese passasse “il modello Fallujah”, i sunniti potrebbero tornare al potere. Come ai tempi di Saddam. La debolezza dell’azione militare L’esempio Fallujah, tra l’altro, si sta diffondendo non solo tra i sunniti. La guerriglia antiamericana tenta ovunque di ripetere quel tipo di successo, cioè combatte e poi si rifugia dentro le città, perché sa che gli americani non vogliono affrontare una vera e propria battaglia. Anzi succede che, come a Fallujah, si affidano a un leader sunnita, magari legato al vecchio sistema di potere, per imporre una tregua. Trovato l’accordo, gli americani mollano la presa e la guerriglia ricomincia più forte di prima. La stessa cosa avviene nel sud sciita, dove Moqtada al Sadr fa liberamente le sue conferenze stampa dentro le moschee delle città sante assediate dalla coalizione. Domenica gli americani lo hanno circondato a Kufa ma, come in precedenza, attaccano senza affondare, perché temono che uccidere al Sadr possa trasformarlo in un martire. William Kristol e Lewis Lehrman hanno spiegato sul Washington Post di domenica che gli obiettivi del passaggio dei poteri e delle elezioni non potranno essere raggiunti se non sarà garantita agli iracheni una adeguata sicurezza: “Per ottenerla occorre una decisa operazione militare contro le insorgenze armate che cercano di impedire la nascita di un governo iracheno”. Bisogna, dunque, “distruggere” le milizie “che si oppongono alla transizione pacifica. Fallujah deve essere conquistata e ai terroristi deve essere impedito di trovare rifugio nelle città”. Solo in questo modo, hanno scritto Kristol e Lehrman, “un Iraq sovrano, con l’assistenza militare americana e di altri, sarà in grado di affrontare la sfida della ricostruzione politica”. ed economica”. Dipartimento di Stato e Pentagono oggi preferiscono una soluzione soft. Secondo Michael Ledeen, analista dell’American Enterprise Institute, l’Amministrazione è tentata dal perpetuare ovunque il “modello Fallujah”. A pochi mesi dalle elezioni americane, la Casa Bianca non vuole aprire altri fronti pericolosi sul piano della guerra mediatica che già sta perdendo. Eppure, fin qui, le tregue si sono dimostrate effimere, perché i guerriglieri non vengono neutralizzati, anzi acquistano coraggio, la popolazione perde fiducia e l’iniziativa militare passa nelle mani dei terroristi. Il pericolo è evidente: rimettendo al governo delle città la leadership sunnita, la coalizione rischia di perdere il consenso sciita, specie quello decisivo fornito dall’ayatollah Sistani. “Se perdiamo Sistani, perdiamo l’Iraq”, ha scritto sul Weekly Standard Reuel Marc Gerecht, il quale ha consigliato ai funzionari dell’Amministrazione di chiedersi sempre quale potrebbe essere la reazione di Sistani prima di prendere qualsiasi decisione. William Safire, sul New York Times di ieri, ha raccontato che la vera guerra tribale non è tra sciiti, sunniti e curdi, ma tra Pentagono, Cia e Dipartimento di Stato. Al Pentagono sono troppo indeboliti dallo scandalo delle torture per poter imporre la mano forte contro la guerriglia, la partita quindi si gioca a Foggy Bottom, dove gli arabisti del Dipartimento di Stato sono influenzati dai leader sunniti dell’Arabia Saudita, dell’Egitto e della Giordania che a Baghdad vorrebbero un baathista sunnita come garanzia per la stabilità del paese. Le mosse del sunnita Lakhdar Brahimi rientrano in questo schema. Secondo Safire, Robert Blackwill, che è l’inviato di George Bush in Iraq, ha imposto a Paul Bremer di accontentare tutte le richieste di Brahimi. Si deve a una precisa richiesta del diplomatico algerino la decisione di chiedere l’aiuto dei leader sunniti per pacificare Fallujah, così come la scelta di rigettare la politica di de-baathificazione del paese presa da Bremer pochi giorni dopo il suo insediamento a Baghdad e affidata ad Ahmed Chalabi. L’ex favorito di Washington, peraltro, è l’uomo politico iracheno che più di ogni altro l’estate scorsa si era battuto per convincere gli americani a entrare a Fallujah per fare piazza pulita dei nostalgici del regime. Anche l’improvviso alt posto da Bremer all’inchiesta irachena sullo scandalo Oil for food dell’Onu, gestita ovviamente da Chalabi, risponde alla logica di accontentare Brahimi, il quale si sta barcamenando tra le posizioni dei vari partiti politici per trovare gli otto iracheni che occuperanno i posti chiave del nuovo Iraq post 30 giugno. Gli americani vorrebbero Adnan Pachachi alla presidenza, ma ci sono da riempire anche le caselle di primo ministro, dei due vicepresidenti e dei ministri della Difesa, degli Esteri, delle Finanze e del Petrolio. Secondo Chalabi gli americani dovrebbero sconfiggere militarmente i nostalgici, i terroristi e gli avversari della democrazia e affidare subito agli iracheni la responsabilità del proprio paese: “Il piano Brahimi, Bremer, Blackwill fallirà”, ha detto. Ma la sera prima era a cena con Brahimi e gli altri leader iracheni. Christian Rocca
    "

    Shalom

 

 

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