User Tag List

Pagina 2 di 3 PrimaPrima 123 UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 22
  1. #11
    Moderatore
    Data Registrazione
    30 Mar 2009
    Località
    Messina
    Messaggi
    18,411
     Likes dati
    1,422
     Like avuti
    1,210
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Quando ti morde la tarantola...



    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 08-11-12 alle 00:58
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  2. #12
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    A Giurdignano, piccolo paese in provincia di Lecce detto "il giardino megalitico d'Italia", si trova il menhir di San Paolo. Il monolite presenta alla base una piccola cavità: al suo interno, si trovano quattro affreschi, uno dei quali rappresenta San Paolo, il protettore dei tarantati, accanto a una tela di ragno. Davanti a questo menhir si svolgono ancora oggi cerimonie la cui funzione, secondo gli anziani del luogo, sarebbe strettamente legata al tarantismo e al relativo rito liberatorio.

    E, in effetti, la presenza della figura di San Paolo accostata alla tela del ragno lascia ben poco spazio ai dubbi: la possessione del ragno provoca difficoltà, sofferenza, disperazione, mentre San Paolo rappresenta la liberazione. E' infatti colui che uccide il ragno possessore, liberando il corpo dal male.

    Il luogo è spesso frequentato da sofferenti che, sia pure in forme diverse dal passato, si recano a pregare e a chiedere grazie al santo, attraverso semplici ex-voto. Alla fine di giugno di ogni anno, è possibile verificare il passaggio dei sofferenti attraverso il numero dei ceri accesi.



  3. #13
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Quando ti morde la tarantola...

    Massimo Centini


    Nelle fonti del XVII secolo abbiamo già notizia della ripetizione del rito dei tarantolati: quasi sempre, dopo il manifestarsi della prima crisi - generalmente curata in casa, con l'ausilio di un apparato allestito per l'occasione - i colpiti presentavano quello che il De Martino definiva il "rimorso". A quel punto era necessario che i tarantolati si recassero (tra il 29 e il 30 giugno) alla cappella di San Paolo a Galatina. Qui, molte volte riesplodeva la crisi, in parecchie occasioni gli effetti erano enfatizzati da cause socioculturali diverse.
    Il legame con San Paolo merita un breve approfondimento. In primis abbiamo un riferimento negli Atti degli Apostoli, in cui una vipera, pur mordendo il santo, non produce alcun effetto. [1] E’ certamente singolare che il territorio di Galatina fosse immune al tarantismo, in quanto "feudo" di San Paolo, che proteggeva il sito dalla malattia. L'intervento del santo è quindi evocato con il rito dalla danza nella cappella e con orazioni che propongono un singolare simbolismo sessuale:


    "Santo Paulu meu de la tarante
    che pizzichi le caruse a ’mmenzu ll’anche
    Santu Paulu meu de li scorzoni
    che pizzichi li carusi int'i cuiuni…"


    Questo strano detto ha certamente aspetti contraddittori, poiché potrebbe essere posto in relazione a un concetto di punizione, di castrazione, quasi voluto in origine dal santo, ripetuto stagionalmente ed eliminato solo con l'intercessione dello stesso santo. Secondo gli psicanalisti non è casuale che le vittime della tarantola fossero prevalentemente donne giovani, spesso nella fase della pubertà, povere e stagionalmente in crisi. Per De Martino, il ragno peloso, scuro, con strisce sul dorso, sarebbe quindi il catalizzatore, elemento mitico necessario per innescare un ciclo ben preciso, destinato a condurre il tarantolato quasi fuori dalla realtà, in una specie di sospensione tra il terreno e il divino, mediata dalla figura del santo protettore.
    Alcuni studiosi sarebbero indotti a considerare il malessere e i conflitti generati dalla preclusione dell'eros (evidentemente censurato, soprattutto nelle donne) come una delle cause principali del tarantismo. Malesseri e conflitti che "si incarnano nel simbolo della tarantola. Del resto l'erotismo è spesso al centro dei più vari comportamenti di trance e di possessione: ogni trance – sostiene Lapassase - è in un certo senso una trance sessuale". [2]





    In Puglia, il cristianesimo delle origini concesse di conservare alcuni aspetti della ritualità arcaica per giungere ad un saldo rapporto con la popolazione. Vi erano però riti che la Chiesa non poteva “rivestire", ma che era costretta a combattere, come, ad esempio, i riti orgiastici del culto di Dioniso. Malgrado tutto, osservava De Martino, "proprio questi riti, facendo appello agli istinti più primitivi, si rivelarono come i più radicati, e sopravvissero: possiamo immaginare che la gente si ritrovasse in segreto per abbandonarsi alle antiche danze e tutto quanto ad esso collegato. Agendo in questo modo essi però cadevano in peccato. Ed ecco che, ad un certo momento, il senso della danza si trasformò: non sappiamo quando, ma certamente nel corso del medioevo, poiché da tale epoca in poi i vecchi riti apparvero soltanto come sintomi di un morbo, di guisa che musica, ballo e comportamento orgiastico furono giustificati. Chi si abbandonava a tali pratiche non era più un peccatore, ma solo una miseranda vittima della tarantola" [3]

    Tra le diverse interpretazioni del tarantismo non va dimenticata quella che considera la fenomenologia come una reminiscenza dei culti dionisiaci: forse il primitivo nucleo dal quale ha preso forma l'ambigua malattia, in bilico costantemente in un'altrettanto ambigua connessione tra il ragno e il contesto del sacro: "Vestite di una pelle di cerbiatto e talora di volpe, coronate di edera, la pianta sacra a Dionisio, che masticata da l'ebbrezza, impugnando il tirso intrecciato di edera, durante le grandi feste che avevano luogo ogni due anni secondo l'informazione di Erodoto, correvano pazzamente per la montagna stringendo al seno il cerbiatto, incorporazione di Dionisio, al suono assordante di cembali e timpani e flauti, conforme alla chiara notizia di Strabone che paragona queste feste a quelle tributate alla Grande Madre Cibele dal popolo etnicamente affine ai Frigi. Questa notturna corsa sfrenata tra gli urli incomposti e il frastuono di quella strumentazione primitiva, finiva con il portare al parossismo l'eccitazione delle adepte di Dionisio, le quali, con la testa all'aria e le chiome fluenti, finivano con il gettarsi sull'animale che stringevano al seno o trascinavano seco, e addentarne crude le carni". [4]


    NOTE

    [1] Atti degli Apostoli 28, 3-6
    [2] A. Rivera, Il mago, il santo, la morte, la festa. Forme religiose nella cultura popolare, Bari 1988, pagg. 263-264
    [3] H. E. Sigerist, The Story of Ttarantism, pag. 113
    [4] N. Turchi, Le religioni dei misteri nel mondo antico, Roma 1987, pag. 2 3.


    Da Le bestie del diavolo, Massimo Centini (Rusconi editore - pag.164 e seguenti)
    Ultima modifica di Silvia; 12-11-11 alle 16:12

  4. #14
    Forumista assiduo
    Data Registrazione
    02 Apr 2009
    Messaggi
    6,012
     Likes dati
    1
     Like avuti
    363
    Mentioned
    27 Post(s)
    Tagged
    4 Thread(s)

    Predefinito Rif: Quando ti morde la tarantola...


    La musica legata al tarantismo rivisitata dagli "artisti" di questi tempi è in realta la pantomima di una liturgia sacra, nata in origine dalla fatica e dalla durezza di una vita che nonostante gli stenti cercava una via di fuga attravarso il lenimento della danza liberatoria, come una uscita dal corpo per alleviare le sofferenze sopratutto fisiche, un volo liberatorio. L'imbecillità di questi tempi ha eliminato definitivamente un mondo che già ai tempi di De Martino era in estinzione e che la chiesa voleva in ogni modo togliere per imporre il suo dio!
    Oggi peggio di ieri, nemmeno la musica è più la stessa suonata istintivamente dai popolani che avevano una sensibilità e un anima. Stiamo parlando di case ormai morte!

  5. #15
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Rif: Quando ti morde la tarantola...

    Ernesto De Martino

    IL SIMBOLO DELLA TARANTA



    Di tutto l'ordine simbolico del tarantismo, la taranta costituisce il simbolo egemonico, il mito unificatore. Musica, danza, colori, selva, fonte, specchi, spade, funi o altalena, simbolismo stagionale posseggono nella taranta il loro centro di coordinazione e di unificazione, la norma fondamentale della loro coerenza. Noi dobbiamo ora esaminare più da vicino, sulla base della documentazione diacronica, la struttura di questo simbolo egemonico del tarantismo. La taranta avvelenatrice può avere varia grandezza e vario colore, anzi ha inclinazioni per questo o quel colore; è sensibile a diverse melodie, anzi il suo morso stesso è melodico; danza secondo il ritmo e la melodia che le sono congeniali; il suo morso, in tal modo partecipe a melodie, danza e colori, comunica a chi lo patisce corrispondenti inclinazioni e insinua nelle vene un veleno che dura finché la taranta vive, e la cui efficacia è estinta quando il tarantato attraverso l'identificazione agonistica della danza fa «crepare» la bestia avvelenatrice. La taranta morde nella stagione estiva, ma è possibile che il morso patito nel corso di un'estate si risvegli nelle estati successive, «rimorda»: segno che la taranta è ancora viva (o che ha trasmesso la sua eredità a sorelle, figlie, nipoti, secondo quanto non si ricava dalla letteratura antica ma dall'indagine etnografica). La taranta porta talora un nome di persona, si chiama «signora Faustina» o «signora Caterina», oppure semplicemente «la signora tarantola»; da ordini al tarantato, dialoga e viene a patti con lui. In quanto persona ha carattere e inclinazioni: vi sono infatti tarante che comunicano comportamenti lascivi, ve ne sono di epiche che sollecitano a mimare comportamenti di potenza e di gloria e ve ne sono anche di melanconiche, che richiedono nenie funebri. Insomma la taranta si atteggia proprio come uno «spirito» che possiede e che l'esorcismo controlla. […]

    Come sì è detto più volte, la letteratura sul tarantismo, dal '600 in poi, è interamente dominata dal presupposto della «riduzione» del tarantismo a una malattia: per far entrare il fenomeno nel loro modello esplicativo gli antichi autori lo amputavano di tutti i suoi momenti di autonomia culturale, e in virtù di questa amputazione ottenevano l'illusione che il modello prescelto fosse pertinente. Tuttavia prima ancora che l'argomento diventasse oggetto di indagine da parte di medici e di naturalisti, troviamo qualche accenno, nell'alta cultura del '400 e del '500 a una valutazione strettamente simbolica, sia pure occasionale. In uno dei manoscritti vinciani si legge questa concisa annotazione: «II morso della taranta mantiene l'omo nel suo proponimento, cioè quel che pensava quando fu morso». [1] A questa annotazione Leonardo non attribuisce carattere di conoscenza scientifica, poiché nella raccolta in cui è inserita gli animali vi sono fantasticamente sorpresi e fissati in un momento del loro comportamento che è simbolico di una virtù, di un vizio, di un ideale morale, di una passione. […]



    "Magnes sive de arte magnetica" - Athanasius Kircher

    Non ci è dato indicare la fonte diretta da cui Leonardo attinse nello stendere la sua rapida annotazione sul morso della taranta, ma è tuttavia certo che la tradizione relativa era già nota e circolava nella letteratura De venenis, se nel trattato con questo titolo compilato fra il 1424 e il 1426 dal pesarese Sante de Ardoynis troviamo ricordata l'ideologia secondo la quale fin quando il veleno della taranta non sia dissolto, la melanconia dei morsicati «persiste con quella immaginazione, inclinazione e pensiero in cui [i morsicati] erano al momento del morso». [2] Ma nel de Ardoynis la connessione simbolica di Leonardo sta semplicemente come segnalazione di una delle meravigliose proprietà del veleno delle tarante: di tale proprietà il Ponzetti nel suo De venenis cerca addirittura, nel quadro delle conoscenze del tempo, di fornire un tentativo di spiegazione meccanica. Secondo il Ponzetti, il veleno della taranta si insinua col morso nella cute, e attraverso i nervi viene addotto al cervello, dove per il suo carattere terreo e adusto fa impedimento e blocca pensieri e propositi, costringendo la vittima a perdurare nello stato in cui versa al momento del morso. Sforzandosi poi di rendersi conto, con questa immaginata spiegazione meccanica, del comportamento dei tarantati - i quali danzano, ovvero mimano scene di grandezza e di preminenza sociale - il Ponzetti osserva che danza, canto e immaginazioni di potenza e di gloria costituiscono pensieri e propositi a cui più frequentemente i contadini si abbandonano per trarre ristoro dalle loro fatiche: si spiegherebbe così perché nel tarantismo - che colpisce per lo più i contadini - propositi di questo genere si manifestano a preferenza di altri, perdurando sino a quando, col cessare dell'azione del veleno, i propositi e i pensieri si sbloccano e riprendono il loro corso normale." [3]

    Negli autori successivi questa singolare particolarità del tarantismo, intesa sempre meno in senso simbolico e sempre di più innestata sul piano della conoscenza naturalistica, comincia a essere revocata in dubbio e a cadere in sospetto di favola popolare. Nel De venenis di Gerolamo Mercuriale ancora si fa menzione, fra «i meravigliosi accidenti» provocati dal morso della taranta, di questo preteso perdurare dello stato d'animo o dell'azione in cui si è impegnati nel momento del «primo morso» di modo che «se [la taranta] morde alcuno camminando, questi sempre camminerà, se ballando, sempre ballerà, se ridendo sempre riderà»: ma - aggiunge subito l'autore - «se questo sia vero non oso affermarlo, sebbene quelli che hanno conoscenza della Puglia l'affermino come cosa certa». [4]

    In generale, dal 700 in poi, col prevalere dell'interesse medico-naturalistico per il tarantismo, e per la conseguente svalutazione degli aspetti ideologici e culturali del fenomeno, la segnalazione di questa particolarità venne meno nelle scritture dedicate all'argomento, sia che passasse inosservata ai testimoni oculari, sia che sembrasse superstizione del volgo, non meritevole di esser ricordata dall'uomo di scienza. Ma nella prospettiva storico-culturale e storico-religiosa nella quale è qui considerato il tarantismo, la singolare tradizione torna a imporsi all'analisi e alla valutazione, e proprio in quella forma, in cui Leonardo ce l'ha conservata, di simbolo mitico. Se il tarantismo è un nesso mitico-rituale, nel quale la «taranta», il morso», il «veleno», il cerimoniale coreutico-musicale stanno in una vibrante animazione simbolica, il simbolo vinciano diventa suscettibile di essere analizzato e compreso sul suo proprio piano.

    In altri termini, e più espliciti: sul piano del simbolismo mitico-rituale proprio del tarantismo è possibile ritrovare le radici esistenziali dell'orizzonte simbolico del morso della taranta che «mantiene l'uomo nel suo proponimento, cioè quello che pensava quando fu morso». In effetti il «morso della taranta» e il «veleno» sono immagini mitiche attraverso le quali il tarantismo dà orizzonte simbolico a conflitti psichici inconsci, perduti per la feconda rammemorazione e per la scelta risolutiva, e che perciò (per parafrasare in termini moderni la notazione vinciana) mantengono l'uomo vincolato all'episodio critico irrisolto, nel senso che l'episodio torna indefinitamente a farsi valere come sintomo nevrotico cifrato. Di fronte a questo rischio il tarantismo si dispiega innanzi tutto come un sistema di ricerca e di configurazione della crisi, come un sistema il cui centro simbolico unificatore è dato dalla taranta che morde e avvelena, dal periodico rimordere del ragno, e dall'esorcismo musicale danzato. In questa prospettiva acquistano nuovo significato anche alcune varianti della tradizione conservataci da Leonardo, per esempio l'ideologia secondo la quale il tarantato, per guarire, deve tornare al luogo dove fu morso, alla ricerca del ragno responsabile, che dev'essere ucciso: un «tornare» e un «cercare» che mimano simbolicamente il riportarsi all'inizio della crisi, per raggiungere il contenuto conflittuale e togliere il «blocco».


    Note

    [1] Codice H.18.V., in Charles Ravaisson-Mollien, vol. IV
    [2] Sante Ardoini, De venenis, Basilea 1562, Libro VIII, cap. V
    [3] F. Ponzetti, De venenis (De tarantula Apuliae et cura), cap. XIII
    [4] Gerolamo Mercuriale, De venenis, Venezia 1583, lib. Il, cap. VI Su Gerolamo Mercuriale v. Thornedike, op. cit., v, p. 479.
    [5] Epifanio Ferdinando, op. cit., p. 260.



    Ernesto De Martino, La Terra del rimorso (edizioni Il Saggiatore, pag. 195 e seguenti)

  6. #16
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Rif: Quando ti morde la tarantola...


    Incisione da Phonurgia Nova, 1673 - Athanasius Kircher

    La ricostruzione fantastica dell'esorcismo musicale all'aperto, presso alberi e fonti, come si praticava nel '600, si ritrova nella Phonurgia di Kircher, dove appare anche la tarantella terapeutica nella forma agonistica - oggi scomparsa - della Danza della spada.

  7. #17
    Forumista assiduo
    Data Registrazione
    02 Apr 2009
    Messaggi
    6,012
     Likes dati
    1
     Like avuti
    363
    Mentioned
    27 Post(s)
    Tagged
    4 Thread(s)

    Predefinito Re: Rif: Quando ti morde la tarantola...

    Silvia hai toccato un punto cruciale che nessuno e nemmeno il de Martino hanno mai riportato. Kircher coetaneo di Bruno era non solo uno studioso, ma per certi versi uno dei pochi studiosi e conoscitori della teologia e religione egizia (il suo museo ricchissimo è andato disperso), ma l'inquisizione non lo sfiorò nemmeno, certo fu diplomatico e le sue considerazioni le scriveva in sordina. Ma veniamo al tema: Ignazio da Loiola ebbe per un periodo dal papa per il suo fresco ordine il palazzo Venezia, si sa di preciso che il militare di Gesù fece affrescare una stanza dove si fissavano i metodi terapeutici legati alle tradizioni antiche e popolari. Una parete fu dedicata al ballo liberatorio dedicato alla tarantola, lenitiva di certe malattie che oggi le inquadreremo nelle psichiche. Attanasio era un gesuita che indago la magia in tutti i suoi aspetti anche pratici........

  8. #18
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Quando ti morde la tarantola...

    Massimo Centini

    da Le bestie del diavolo




    Quando l'"avvelenamento" è ormai iniziato, si provvede a "far danzare forzatamente il tarantolato al suono d'istrumenti, fino a farlo cadere in un profusissimo sudore e sonno profondo, risvegliatosi dal quale, egli è guarito. La musica che viene suonata innanzi al tarantolato, può essere eseguita con qualunque istrumento, ma deve avere un carattere speciale; ossia deve essere molto flebile per un certo periodo iniziale: e dopo questo deve, con un crescendo sempre mantenuto, prendere il carattere di danza vivace che di consueto si traduce nel nostro trescone, simile assai alla tarantella napoletana. Innanzi all'infermo sono, durante la danza, agitate pezzuole di alcuni colori determinati, la cui vista è ad esso gradita". [1]

    I segni costituiti dalle pezzuole colorate, con la musica divenivano oggetti vivi, caricati con un'energia che assegnava loro un ruolo particolarmente importante nella dimensione rituale della danza. Va chiarito che il rapporto tra la base musicale e i segni cromatici - che avevano il ruolo di indurre una sorta di trance nel tarantolato - non si basava su uno schema definito, ma prendeva forma di volta in volta sulla base di caratteristiche specifiche dell'ammalato.

    Dall'analisi delle fonti sembrerebbe di poter concludere che "inclinazioni o aborrimenti cromatici sono nel tarantismo in rapporto con i contenuti critici individuali che si riversano nel simbolo mitico-rituale in azione". [2] In sintesi, nel tarantismo il simbolismo cromatico, come quello coreutico e musicale, assolveva la funzione di stimolare il deflusso emotivo, creando precise rispondenze sul piano simbolico. Già il Kircher (XVII secolo) aveva osservato: "Altri tarantolati si mostrano irresistibilmente attratti dal colore verde, altri dal color giallo, altri dal rosso: appena vedono un oggetto che sia del colore che li attrae, si accendono a tal punto di brama per esso da lanciarsi come leoni famelici per morsicarlo ripetutamente, la bocca spalancata, le braccia aperte, gli occhi lacrimosi, il petto ansante, stringono infine in amoroso amplesso il panno colorato e sembrano fingere una ardentissima unione, per così dire una identificazione con esso". [3]

    Il fenomeno del tarantismo era particolarmente diffuso, al punto tale che i suonatori erano professionisti che operavano nelle varie province dove si verificavano casi di persone punte dalla tarantola; nell'Ottocento in Puglia agivano ottimi musicisti girovaghi per tarantolati. A Taranto, nel XVII secolo, erano addirittura dipendenti statali, segno questo della grande quantità di interventi richiesti. [4]





    È bene ricordare che le fonti sul rapporto tra la tarantola e la musica sono più antiche delle fonti sul tarantismo: ne abbiamo traccia nel Sertum papale de venenis attribuito a Guglielmo di Marra di Padova e probabilmente composto nel 1362. Nel capitolo dedicato al veleno della tarantola si fa riferimento ad una tradizione popolare secondo la quale la tarantola produce un effetto dopo un po' di tempo dal suo morso; quando poi il malato fosse stato sottoposto ad una musica che riecheggia il canto della tarantola, ne avrebbe ricevuto giovamento.

    In genere, il rito terapeutico della danza tendeva a placare per un certo tempo la sintomatologia, ma non ad eliminarla totalmente, in quanto, come abbiamo visto, essa riaffiorava stagionalmente. La crisi di fatto era l'occasione per far defluire forme di avvelenamento simbolico (traumi, frustrazioni, conflitti individuali ecc); inoltre, in determinate condizioni socio-economiche la crisi individuale, riplasmata nel tarantismo, poteva essere controllata ritualmente in seno alla cultura del gruppo. [...]

    Le vittime del tarantismo furono le persone più suggestionabili ed isteriche che, vivendo in una situazione marginale, finirono per non resistere al peso delle frustrazioni indotte dalle carenze endemiche. In queste patologie furono convogliati atteggiamenti, istinti e ansie che non potevano trovare una soluzione sul piano della realtà. Ma accanto ad una situazione conflittuale che trovava nell'apparato simbolico del morso e del "ri-morso" una possibilità per rispondere ad istanze interne alla società, si ponevano residui di tradizioni più antiche, in cui il ballo e il rapporto con il soprannaturale erano strettamente connessi. Una connessione che, ancora oggi, conserva alcuni interrogativi senza risposta.



    NOTE

    1. Z. Zanetti, La medicina delle nostre donne, 1892, Rist. Anast. 1978, pag. 218
    2. E. De Martino, La terra del rimorso, Milano 1961, pag. 153
    3. A. Kircher, Magni sive de arte magnetica libri tres, 1641
    4. E. De Martino, Op. Cit., 1961, pag. 155


    Massimo Centini, Le bestie del diavolo (Rusconi, pag. 162 e seguenti)

  9. #19
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Quando ti morde la tarantola...

    II tarantismo ha la sua area elettiva in Puglia, dove il suo carattere culturale è più nettamente individuato e la sua autonomia simbolica più sviluppata. Ma in tutta l'Italia meridionale, in Spagna, in Sardegna, Sicilia e forse in Provenza si ritrovavano un tempo forme analoghe.

    È difficile non scorgere la connessione con l'argia sarda: un aracnide temutissimo per i terribili morsi che facevano cadere la vittima in una sorta di possessione demoniaca che, a scopo terapeutico, richiedeva rituali arcaici. Quando nei campi, durante i mesi estivi, qualcuno veniva morsicato dall'argia, cadeva prima in uno stato di prostrazione... poi, in preda a dolori lancinanti, si contorceva come un epilettico. Occorreva portarlo immediatamente in un letamaio in fermentazione, dove il paziente, spossato e inebetito dal dolore, veniva sprofondato.




    Oppure veniva sepolto fino al collo nella terra o, più raramente, lasciato libero di dibattersi al suolo. A differenza della taranta, l'argia colpiva soprattutto gli uomini e, secondo la tradizione, era di tre tipi: nubile (s'argia bagadia), sposata (s'argia coiada), vedova (s'argia fiuda). Ed ecco perché i danzatori potevano essere sposati, scapoli o vedovi, in relazione al tipo di argia. Il loro intervento, come nel caso del tarantismo, era necessario per dar vita un rituale coreutico completo e favorire così la guarigione. Nella variante di Tonara, chi veniva punto dall'argia non era il protagonista della prestazione coreutica, ma si lamentava su una stuoia, mentre parenti e amici eseguivano una danza circolare, su ballu tundu (le scene sono ricostruite secondo la memoria dei più anziani, poiché la pratica è caduta in disuso da molti decenni).




    Riporto da L'Unione Sarda di martedì 12 settembre 2006

    «Le più pericolose sono le femmine, i maschi sono gracili e non hanno i cheliceri, gli organi usati per pungere, molto robusti - aggiunge Francesco Fois, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna - Comunque non sono animali aggressivi, mordono solo quando sono in pericolo e non hanno possibilità di fuggire». Ogni ragno è grande solo pochi millimetri e il suo veleno è quindici volte più potente di quello del serpente a sonagli. Per questo, per tenerselo lontano, i sardi di qualche secolo fa ripetevano rituali e danze tribali, come se sulla Terra ce l’avesse mandato il demonio. E così chi era stato punto dal maledetto veleno della vedova nera veniva sepolto e ricoperto di letame. Le donne ci ballavano intorno e solo quando riuscivano a strappargli un sorriso potevano essere certe di averlo salvato. Da qualche parte "Su ballu de s’argia" era accompagnato dal suono dei campanacci delle capre che riusciva ad allontanare gli spiriti maligni. E quando la situazione sembrava essere critica in qualche paese usavano persino infilare il malato dentro un forno riscaldato. Lo avvolgevano in fasce calde e lo tenevano per almeno dieci minuti, fino a quando i più esperti non diagnosticavano la guarigione. (Nicola Pinna)

    Immagini dal cortometraggio "Su ballu'e s'arza" di Serafino Deriu

  10. #20
    Sognatrice
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    11,135
     Likes dati
    191
     Like avuti
    775
    Mentioned
    20 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Re: Quando ti morde la tarantola...

    Ernesto De Martino

    LO SCENARIO E GLI OGGETTI DEL RITO


    da La terra del rimorso


    Su ciò che fu un tempo lo scenario rituale del tarantismo la più antica letteratura sull'argomento ci fornisce dati preziosi, ormai perduti per l'osservazione etnografica. Da una descrizione che risale alla prima metà del '700 si ricava infatti che l'esorcismo coreutico-musicale-cromatico poteva aver luogo sia a domicilio che all'aperto, in entrambi i casi con l'osservanza cerimoniale di alcune precise particolarità dell'ambiente, e talora con l'apprestamento artificiale di esso a guisa di vero e proprio "spazio sacro". Ma ecco la descrizione che è del medico e erudito leccese Nicola Caputo:

    a camera da letto destinata al ballo dei tarantati sogliono adornare con rami verdeggianti cui adattano numerosi nastri e seriche fasce di sgargianti colori. Un consimile drappeggio dispongono per tutta la camera; e talora apprestano un tino, o una sorta di caldaia molto capace, colma d'acqua, e addobbata con pampini di vite e con verdi fronde di altri alberi; ovvero fanno sgorgare leggiadre fonticelle di limpida acqua, atte a sollevare lo spirito, e presso di queste i tarantati eseguono la danza, palesando di trarre da esse, come dal resto dello scenario, il massimo diletto. Quei drappi, quelle fronde e quei rivoli artificiali essi vanno contemplando, e si bagnano mani e capo al fonte: tologno anche dal tino madidi fasci di pampini, e se ne cospargono il corpo ionteramente, oppure – quando il recipiente dia abbastanza capace- vi si immergono dentro, e così più facilmente sopportano la fatica della danza. Accade spesso che coloro i quali per città e sasali vanno danzando accompagnati dalle solite musiche, si portano in qualche frutteto, dopve all'ombra di un albero, presso un laghetto o un ruscello offerti dalla natura o apprestati dall'arte, si abbandonano al ballo con massimo diletto, mentre frotte di giovani in cerca di piaceri e di scherzi vi si danno convegno, ai quali son mescolati non pochi che ormai volgono alla vecchiaia, e che, contemplando con seria curiosità quelle melodiche folli, par che esortino con tacito ammonimento la gioventù..."[1]

    La descrizione del Caputo, malgrado la sforzatura arcadica, è sostanzialmente esatta, com'è provato dal fatto che i suoi particolari sono verificabili e controllabili in base a quanto è attestato in più dimessa prosa da altri autori del '500, del '600 e del '700. L'erudito Q.M. Corrado, nel suo De copia latini sermonis, ricorda come i tarantati ad aquam, ad fontes, ad rarum viridem, ad umbras, ad amæna ominia rapiuntur [2], ed Epifanio Ferdinando fa esplicito riferimento a celebrazioni all'aperto: "...altri tripudiano nei paesi, fuori dalle mura, per i campi, per le pubbliche piazze, alcuni in un sol giorno, altre per due, tre, quattro, cinque, altri per una settimana,altri per due..." [3]; Padre Atanasio Kircher che, come si è detto, lavorò la sua interpretazione del tarantismo utilizzando le informazioni di Padre Nicolello e di Padre Galliberto, attesta che nel luogo destinato alla danza venivano spesso collocate conche colme d'acqua, addobbate con erbe e rami verdeggianti: e dall'acqua e dalle fronde i tarantati traevano grandissimo diletto, sino al punto di tuffarsi enlla conca, e di guazzarvi a mo' di anitre. [4]


    NOTE

    1. Nicola Caputo, De tarantulae anatome et morsu, Lecce 1741, p.201

    2. Q.M. Corrado, De copia latini sermonis Venezia 1581-82, V, p.171

    3.Epifanio Ferdinando, Centum historiae seu observationes, Venezia 1621, p.255

    4. Atanasio Kircher, Magnes sive de arte magnetica opus tripartium, Colonia 1643, p.759 (I ed. Roma 1641)




    Ernesto De Martino, La terra del rimorso (Saggiatore, pag. 145 e seguenti)




    continua...

 

 
Pagina 2 di 3 PrimaPrima 123 UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Quando l'uomo morde il cane.
    Di Naitmer nel forum Fondoscala
    Risposte: 40
    Ultimo Messaggio: 11-03-12, 18:52
  2. Quando il protezionismo si morde la sua stessa coda
    Di Alexandri Magni nel forum Economia e Finanza
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 10-03-10, 13:55
  3. Risposte: 21
    Ultimo Messaggio: 05-09-09, 14:42
  4. Quando ti morde la tarantola...
    Di Tomás de Torquemada nel forum Esoterismo e Tradizione
    Risposte: 11
    Ultimo Messaggio: 25-01-08, 11:56
  5. Il tarantola-diliberto a ballarò
    Di parmigiano (POL) nel forum Padania!
    Risposte: 14
    Ultimo Messaggio: 24-03-04, 19:30

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito