Ernesto De Martino
LO SCENARIO E GLI OGGETTI DEL RITO (2)
da
La terra del rimorso
Il medico leccese Nicola Caputo, nel descrivere il caso di una tale Marianna Madàro, punta il 10 luglio 1728 "a mezzogiorno", riferisce che la tarantata aveva eseguito la danza tenendosi ad una fune fermata al soffitto, secondo il costume praticato da tutti i tarantati (ut hic mos est omnibus tarantis), impegnandosi con tanto trasporto nella sua prestazione coreutica da spezzare la fune e da lussarsi nella caduta [1]. Del resto il barone Francesco De Raho, medico in Lecce, poté ancora osservare, in un periodo compreso fra gli ultimi anni del secolo scorso e il primo decennio del nostro, la singolare pratica del reggersi durante il ballo ad una fune pendente dal soffitto: le fotografie che accompagnano la monografia di De Raho mostrano una fune terminante in due capi, ai quali la tarantata si appendeva, ora danzando in tondo secondo il raggio della fune, ora piegandosi in ginocchio come se non potesse più reggersi in piedi, e ora infine - a ciclo coreutico terminato- abbandonando la presa e cadendo al suolo [2] La fune dunque serviva al pratico fine di facilitare il passaggio alla posizione eretta, e di evitare sbandamenti oltre il perimetro cerimoniale, ma occorre tener presente anche il significato simbolico del ragno sospeso al filo della sua tela e oscillante in aria trasporato dal vento, seconodo la ideologia accennata dal Kircher. Nel corso della indagine etnografica non ci fu dato osservare il particolare rituale della fune, di cui ancora si serba memoria qua e là nel Salento, ma ci fu riferito che qualche tarantato, durante il ballo, solleveva le braccia nel gesto di reggersi ad una fune immaginaria, proprio come se rappresentasse in un sogno mimato il ragno oscillante nell'aria appeso al filo della ragnatela. Oltre i nastri multicolori, le spade, gli specchi, l'altalena e la fune, l'esorcismo musicale del tarantismo utilizzava anche altri oggetti rituali che servivano all'abbigliamento del tarantato ed erano messi a sua disposizione intorno al perimetro cerimoniale:
"[i tarantati] vogliono bindelle, cateniglile, vesti preziose, e quando son loro portate, le ricevono con allegrezza inesplicabile, e con molta riverenza ringraziando chi loro le reca. Tutte le cose sopraddette dispongono con bell'ordinanza allo steccato, dove ballano, servendosi di tempo in tempo or dell'una or dell'altra, secondo gli impulsi che gliene dà il malore "[3]
Questa descrizione della fine del '600 concorda puntualmente con quanto era ancora osservabile nelle campagne di Taranto intorno al 1931:
"Tutte le comari offrono - in prestito s'intende - fazzoletti, scialli, sciarpe, sottane, tovaglie d'ogni colore, vasi di basilico, di cedrina, di menta, di ruta, specchi e gingilli ed infine un gran tino pieno d'acqua. L'ambiente viene così addobbato e quando tutto è pronto la morsicata, vestita di colori vistosi, sceglie a suo gusto nastri, fazzoletti, sciarpe che le ricordano i colori della tarantola, e se ne adorna in attesa dei suonatori."[4]
I vasi di basilico, di cedrina, di menta e di ruta erano impiegati durante l'esorcismo come stimolo olfattivo: la tarantata di tanto in tanto odorava queste piante aromatiche allo stesso modo come contemplava i colori dei drappi e dei nastri, o si accostava a questo o quello strumento per entrare con esso in particolare rapporto. In altri termini l'evocazione non si compiva soltanto attraverso suoni e colori, ma anche gli aromi potevano avere la loro parte, per quanto relativamente minore, almeno a giudicare dal fatto che questo particolare del rito non trova altri riscontri nella documentazione diacronica. Del resto nel corso dell'indagine etnografica avemmo occasione di osservare una volta - a proposito del caso di Michele di Nardò - come il tarantato durante l'esorcismo musicale occasionalmente odorava dei fiori di campo, proprio come se cercasse di trarre degli stimoli olfattivi quanto non riusciva ad ottenere da quelli sonori e cromatici.
NOTE
1. Caputo, De tarantulae anatome et morsu, Lecce 1741, pp. 111 sgg.
2. Francesco de Raho, Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, Lecce 1908, p. 33 sgg: le fotografie sull'impiego della fune si trovano a pp.35,36,37 e 38
3. Lettera del rev.Domenico Sangenito al signor Antonio Bulifon intorno agli effetti della tarantola, in Anonio Bulifon, Lettere memorabili istoriche, politiche ed erudite, Napoli 1693, pp.141 sgg.
4. Anna Caggiano, La danza dei tarantolati nei dinotrni di Taranto,in "Folklore italiano: archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari", VI (1931) pp.72 sgg.
Ernesto De Martino, La terra del rimorso (Saggiatore, pag. 149 e seguenti)